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Autore: busybee_    01/02/2017    0 recensioni
Lucia, detta Luz, dovrà accettare i cambiamenti che sconvolgeranno la sua perfetta vita, iniziando dalla scuola, alle amicizie, mille novità galopperanno nella sua vita come cavalli imbizzarriti che lei imparerà a domare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno mi era crollato il mondo addosso, non volevo crederci. Credevo di essere nella classe perfetta, perfetta come la mia vita, la  mia tanto amata routine.  Invece ero lì, seduta, con la testa bassa, un fazzoletto ormai fradicio e il giaccio sul naso. Il fatto che il mio preside, un uomo molto giovanile nell’ aspetto quanto arretrato mentalmente, mi stesse supplicando di dare delle risposte alle sue domande non mi aiutava per nulla. Non sentivo le sue parole, sentivo solo il suono della mia voce spezzarsi in un impercettibile “ti prego, no”, mentre la pressione sul mio collo saliva, rivedevo solo la mia schiena sbattere sul muro, una mano a tenermi stretta per il collo, a dieci centimetri da terra e un pugno in piena faccia. “cosa hai in testa? Andare a dirlo alla coordinatrice? E brava la nostra avvocata degli sfigati”. Avevo ancora la sensazione di quelle mani strette intorno alla mia gola, quella presa così forte da non potermene liberare, tanto ero mingherlina. “Signorina Macari, per favore, risponda alle mie domande. La supplico di farmi capire cosa è successo” la voce del preside mi riscuote dai miei pensieri, e questa volta facendo un grosso e doloroso respiro con il naso, che ormai si stava gonfiando ingloriosamente sul mio pallido viso, e tutto d’ un fiato dissi “io ho solamente parlato con la Professoressa Ferri, volevo solamente dirle che avevo visto due miei compagni di classe prendere a calci un ragazzino della quarta ginnasio…” non feci in tempo a finire che il mio interlocutore finì la mia frase “questi due ragazzi devono  aver sentito le sue parole, e hanno provato a fermarla”. Mi limitai ad annuire. “Signorina, io le consiglio di andare a casa a risposare un po’, e di farsi portare all’ospedale per controllare che nulla sia rotto. Appena starà meglio vorrei parlare con lei” la conversazione si chiuse lì, sospesa nel  gelido silenzio che regnava in quell’ufficio.
Appena mia madre mi vide per poco non svenne, la cosa non mi stupiva, era abituata a vedere lividi e fratture, lavorando come infermiera, ma di certo non era abituata a vederli addosso a sua figlia, che non si era mai conciata così per via della sua vita divisa tra studio, lettura e canto.
Dopo pochi attimi di ripresa mi disse “non serve una radiografia per vedere che quel naso è a pezzi” sospirai entusiasta che non mi volesse portare in ospedale, “ma preferisco farti fare una visita per la gola, non mi piace quel livido” come non detto.
Mi dissero solamente che il naso era rotto, e dopo averlo bendato dissero di riposare un pochino, e di mettere del ghiaccio.
La mattina seguente mi alzai come ogni giorno, ma la testa era pesantissima, tanto da farmi barcollare sulle gambe, la mamma che mi aveva sentita alzarmi era venuta a vedere come stavo, e a giudicare dal suo immediato “Luz, rimettiti sotto le coperte, sei bianca come il muro!” forse era il caso di saltare un giorno di scuola. Così avendo libero arbitrio sulle mie decisioni, mi misi a studiare e, non avendo più nulla da fare, presi il mio quaderno di coro e mi misi a cantare, sapendo che se non andavo a scuola non andavo neanche a prove. Il pomeriggio sentii una voce familiare, ma che non riuscivo a riconoscere nell’ immediato, così scesi le scale, e trovai mia madre seduta i soggiorno davanti a una tazza di tè con il preside davanti a lei, che sembrava aver pianto, ma adesso sorrideva.
“Buongiorno, signor preside” dissi io, cauta, scendendo dalle scale. “Buongiorno, Lucia” disse lui cordialmente, invitandomi a sedere vicino a loro. Io mi unii alla conversazione, ma quello he sentii mi stravolse, forse più del colpo in pieno viso di ieri, perché quello era come una pallonata ben assestata alla bocca dello stomaco: “Lucia, da domani frequenterai una classe diversa dalla tua. Potrai continuare tutte le tue attività normalmente, cambierà solamente la sezione. Preparati ad andare in seconda C.” io rimasi spiazzata, mi aspettavo tutto, ma non che mi cambiassero della mia classe, per di più per finire in quella classe, dove tutti erano uniti in un gruppo, e avrei fatto molta fatica ad integrarmi. Conoscevo poche persone lì dentro, un ragazzo che abita vicino casa mia e due ragazze che ai tempi del ginnasio facevano coro assieme a me, “ma” intervenni “cosa farò nella classe nuova? È gennaio, tutti i professori, i compagni, i libri saranno diversi?” scoppiavo, stavo letteralmente per scoppiare e questo non era un bene, non ora, non davanti al preside; respirai profondamente. Una, due, tre, dieci volte. Poi finalmente il preside parlò: ”non devi preoccuparti di nulla. La classe è ottima, gli insegnanti sono gli stessi, esclusi quelli di matematica, fisica e inglese. Ma loro sanno già tutto di te, e sono pronti ad accoglierti. I libri sono gli stessi, e per qualsiasi cosa, sai dove trovare il mio ufficio”, poi la conversazione divenne meno scolastica e più informale, quindi mi ritirai, pensando a chi avrei potuto dire cosa stava succedendo. Solo Simone avrebbe capito. Simone era il mio più caro amico, o meglio, l’ unico che avessi. Simone aveva un anno più di me, conoscevamo da sempre, avevamo fatto tutte le scuole assieme, lui un anno avanti a me, ma quando avevamo iniziato le superiori alla fine del primo anno lui venne bocciato, per quanto studiassimo assieme, e andò allo scientifico, dove diceva di avere vita più semplice, materie migliori e meno lingue morte; io invece rimasi al liceo classico, non ci siamo mai persi di vista, perché le scuole erano vicine, e la mattina ci andavamo assieme, e non c’era cosa più bella di passeggiare con lui, mi dava sicurezza. Decisi di chiamarlo, ovviamente lui sapeva già cosa era successo, mia madre gli aveva telefonato mentre mi portava a fare le radiografie. “Simo, sono Luz, come stai?” “Bene, tu come stai, briciolina?” –era così che i chiamava, perché rispetto a lui ero proprio piccola, lui aveva dieci anni di intenso rugby alle spalle, mentre io mi limitavo a cantare, “io bene, dolorante, ma meglio di ieri. Oggi è passato il preside, ha detto che mi vuole cambiare di classe, o meglio, che da domani o quando torno, sarò in seconda C” “come? Ti ha spostata di classe?” “Sì, ma forse è meglio. Iniziare a vedere ogni giorno quei due non so quanto sarebbe conveniente” “Hai ragione, ascolta, ti va se andiamo a prendere un gelato così ti distrai un attimo, se te la senti, altrimenti vengo io da te, o tu da me, come vuoi basta che vediamo”. Ridendo agganciai. Controllai che il preside fosse andato via, e chiesi alla mamma di uscire, che con un rilassato sorriso disse che non era un problema, e mi ricordò che sarei rimata sola a cena, perché lei era di turno. Così la salutai, presi la borsa e mi avviai verso casa di Simo, senza neanche provare a truccarmi, il mio naso incerottato era contornato da un livido che mi copriva come una maschera scura. “Simo, sono io! Mi apri?” nessuna risposta, solo il ‘clic’ del cancello, poi un “Cavolo, Luz, sei messa male veramente!” “Grazie” risposi sarcastica “Ti va se restiamo dentro? Non mi sento troppo a mio agio con questa cosa in faccia” “Certo, entra pure”. Passai il pomeriggio da lui, e mi fermai da Simo anche a cena, era come una seconda casa per me, da quando papà se n’era andato e mamma lavorava così tanto, ero spesso da loro, e volevo molto bene alla loro famiglia. Dopo cena mi feci riaccompagnare da Simo, dicendo che lo aspettavo la mattina seguente pronta per tornare a scuola, al solito posto. Il nostro punto di incontro era a metà della via dove abitavamo, era una zona molto tranquilla, alla periferia della città, e nella nostra via c’era un piccolo parco, con una fontana che zampillava allegramente; noi ci ritrovavamo alla fontana. E da lì imboccavamo la via che portava al vialone principale, quello che conduceva in centro città, e poco prima di questo, alle nostre scuole: una rigida, schematica e bordeaux, intitolata a Galileo Galilei, e lì andava Simo. Io invece attraversavo la strada e andavo verso il mio amatissimo edificio antico, rialzato rispetto alla strada da una scalinata che ricordava quella di un tempio greco, e lì svettava incontrastato il maestoso Liceo Classico Tommaso D’ Aquino.
   
 
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