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Autore: PawsOfFire    02/02/2017    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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I giorni si susseguirono flaccidi e monotoni.
Maik aveva trovato un ottimo passatempo per allietare le sue giornate. Cacciare i lupi lo rendeva ebbro di felicità. Ogni notte, dopo la solita finta, rastrellava l’ambiente circostante alla ricerca dei cadaveri delle bestie che trascinava per le code, a gruppi di quattro, dentro l’accampamento. 
Mentre noi dormivamo all’interno dei nostri carri lui macellava le bestie, nascondendo enormi brani di carne sotto terra in un gelido riparo. Con l’acqua del torrente vicino ne conciava le pelli e ne estirpava il grasso con una pietra affilata, inchiodandole poi agli alberi. 
In assenza di provviste, abbandonati come porci, quella carne era una manna per i nostri palati. Nonostante il terribile sapore che impastava le bocche ad ogni morso, gli stufati di lupo erano il piatto migliore che avessimo mangiato da qui alla zuppa di rape. Colto dalla fame, qualche stolto scavava nelle buche frigorifere e sollevava grossi raggrumi sanguinolenti, divorando come bestie enormi pezzi di carne cruda che finivano disperatamente vomitati negli angoli più reconditi dell’accampamento. Quella compagnia di certo non brillava per acume, constatammo. 
Chagall, per spezzare la noia, ridipingeva i manici dei fucili della fanteria con dubbi impasti di terra, foglie e sangue lupino. Un bastoncino di legno con un ciuffo di pelo era il suo pennello e con esso realizzava atroci commissioni per quei ragazzini appena diciottenni che erano lieti di scambiare i suoi servizi con sigarette ed alcolici. 
“Fammi una donna nuda, qua!” diceva un giovane, porgendogli un fucile talmente lucido da sembrare nuovo. “La voglio sdraiata su un fianco, così! E con gli occhi splendidi come quelli della mia dolce Margarethe. 
E quello, per cinquanta sigarette, eseguiva orridi disegni tra il grottesco ed il caricaturale, trasformando la sensuale figura femminile in un mostro dalla pelle scarlatta e dai lunghi capelli castano fanghiglia. Ma i ragazzini erano contenti come a Natale, così erano disposti a fare lunghe file per avere la propria arma personalizzata. Donne ed animali andavano forte. 
Ma Chagall non era davvero soddisfatto. Una notte, di nascosto, aveva ridipinto il carro di Becker, raffigurandovi sopra una specie di idra a dodici teste che si avviluppava per tutta la superficie del carro. La testa principale si insinuava sulla bocca del cannone in un atroce ghigno sputafiamme. 
Quando l’indomani il giovane ed inetto capocarro la vide non poté fare a meno che urlare di orrore 
L’ho mai detto? Quel tipo sembra una donnola. Piccoletto ed apparentemente minuto, ha un buffo naso alla francese e gli incisivi un po’ sporgenti. Oltretutto ha i capelli rossicci e quando cammina ogni tanto saltella. È un dannato mustelide inafferrabile. Confuso ha ondeggiato con la sua stramba camminata verso lo Stug, saltandovi sopra con un balzo animale. 
“E’ una vergogna, dannazione! La poterò davanti alla corte marziale, cazzo!” mugolava, tentando di scrostare la dura patina di terra dal suo amato mezzo. 
Fu molto divertente finché non decise di assaltare la Furia, suo sogno erotico. Ogni notte sorvegliavo meticolosamente il mio carro temendo un attacco improvviso da parte di quel dannato artista fin quando, d’improvviso, fui indotto nel sonno da una bottiglia di alcool. Russando come un ghiro il bastardo ne aveva approfittato per dipingere sul fianco una grossa tigre che divora un pollo giallo con la testa rossa. Klaus ne fu entusiasta ma io, alla vista di cotanto orrore, urlai per lo sgomento, lanciandomi come una bestia affamata al collo di Chagall. 
Ero davvero incazzato, ma gli altri sembravano divertirsi un mondo. Tom aveva allestito alla veloce un banco di scommesse, quotandomi cinquanta a zero. Becker puntò dieci sigarette su di me. Joseph scommise invece sul suo uomo, gettando una bottiglia di alcool nel calderone delle vincite. 
Alla fine, il banco vinse tutto e così il Comandante fermò il nostro aspro duello, zittendoci come dei bambini ed intascandosi per intero la scommessa. 
“Ed è solo l’assaggio, bastardo!” Urlai al pittore mentre i miei uomini mi trattenevano a stento per le braccia. In risposta il dannato mi fece una pernacchia serpentina, facendo sibilare la lingua nell’incavo dei due incisivi mancanti. Poi sparì nell’accampamento. 
Passai la giornata aggrappato al mio bestione nell’ardua impresa di ripulirlo da quelle atrocità. 
Avevo approfittato di un momento di distrazione del sedicente artista per rubare un paio dei suoi indumenti, riutilizzati al nobile scopo di scrostare la Furia da quegli orribili disegni. Dei miei uomini solo Tom si degnò di aiutarmi a ripulire quel pasticcio. 
“Capitano Faust” era scivolato dietro di me di soppiatto, facendomi trasalire. Per un primo momento temetti l’omicidio intenzionale, visto che rischiai di cadere dal Panzer. Ero dannatamente concentrato nel mio lavoro. 
“Mi passi uno straccio. Questo carro è anche mio”
Fui quasi commosso da quelle parole. Gli passai un brutto paio di mutandoni arrotolati e lui, sbuffando, iniziò a rimuovere il fango colorato dai cingoli, accucciandosi dignitosamente dinnanzi a me. 
“Potrebbe essere una strategia. Questi disegni sono talmente brutti che...ehi, se io fossi un russo e vedessi quest’aberrazione scoppierei a ridere fino allo svenimento. E a quel punto bang! Facile preda, non crede?” 
E’ un’idiozia, Weisz. Con tutto questo rosso siamo visibili come un falò di notte. È umiliante. Guarda gli occhi della tigre. Uno guarda a Francoforte e l’altro a Berlino. Atroce” 
Il giovane si fermò un secondo, meditabondo, prima di annuire e riprendere con le sue pulizie. 
Impiegammo quella che doveva essere una domenica di carte e relax a pulire il Tiger. Alle prime luci del tramonto, sfiancati dalla stanchezza, eravamo riusciti a lustrarlo come un diamante. La corazza, lucida e graffiata, brillava sotto i tiepidi raggi del sole primaverile. 
Quando tornai al campo, esausto, il Comandante mi chiamò. Sicuramente qualcosa bolliva in pentola e non tardai a scoprirlo. 
A quanto pare erano stati inviati in avanscoperta un paio di uomini ed avevano portato brutte notizie. Il nemico procedeva veloce verso di noi. 
“Sono umani, almeno?” Chiesi. Non volevo più saperne di lupi. 
“Certamente. Hanno gambe, piedi ed armi a volontà. Non dovrebbero superarci di numero. Se ci prepariamo con la dovuta cura dovremmo respingere il loro attacco senza troppe perdite” Sbuffò il Comandante, facendo scivolare la pipa vuota tra le labbra spaccate dal freddo. 
Sapevo che, da qualche parte in questa terra inospitale, vi erano intere squadre russe composte unicamente da donne. Per un momento pensai che, tutto sommato, non doveva essere una cattiva idea offrirsi come prigioniero di guerra. Alla vista di un trofeo teutonico vigoroso come il sottoscritto avrebbero certamente saputo come punirmi. A turno, in coppia o in gruppo non faceva differenza. Il pensiero mi fece miagolare come un gattino infreddolito. Fui felice che nessuno mi avesse sentito. 
“Dovrebbero esserci addosso tra due giorni. Scaveremo un secondo fossato e se la fortuna ci assiste dovremmo riuscire a respingerli tra lanciafiamme e mitragliatrici pesanti. Voglio i carri in prima linea” 
Non volevo mettere in discussione il piano del Comandante. Sapevo solo che non fu una grande idea costringere i soldati a scavare un fossato di notte mentre noi, riparati nei carri, tentavamo di uccidere i lupi che non smettevano mai di attaccarci. Molti uomini perirono stupidamente mentre quelli diventavano sempre più grassi. Maik oramai non aveva più paura Non che prima li avesse temuti ma, coperto da una folta pelliccia bruno-grigia, il berserk del fronte orientale andava ad affrontarli da solo, armato di coltelli, difendendo i piccoli minatori infreddoliti. Ben presto divenne una leggenda. Lo chiamavano Wolfmann, l’uomo lupo. In sua presenza le morti si fecero più rare, così come gli incontri con i lupi. Ben presto smisero di avvicinarsi, per sua sfortuna. 
 
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In vista dello scontro, Maik aveva preparato un particolare cappello bellico con una testa di lupo mal conciata che puzzava di decomposizione. Non che questo tanfo pungente mancasse nelle nostre vite ma quella visione aggiungeva quel tocco di raccapriccio che ancora mancava. 
Quando gli uomini riuscirono a scavare il secondo fossato erano oramai esausti. Avevano posizionato le rispettive armi in comodi treppiedi ed aspettavano con le viscere attorcigliate il segnale di attacco. Qualcuno giocava a carte. Altri, per smorzare la tensione, fumavano. 
Non fu secondo me una grande idea sfibrare in questo modo gli uomini. Erano già stanchi prima di iniziare. Alcuni dormivano dà in piedi, con gli elmetti ciondolanti che cozzavano nel duro terriccio del permafrost. 
All’interno della Furia anche noi aspettavamo. Avevamo fatto una veloce manutenzione, controllato i cingoli, riempito il serbatoio e caricato un paio di casse di munizioni. Seminascosti tra gli alberi, avevamo provveduto ad attuare le migliori tecniche di mimetismo tramandate dall’età della pietra ad oggi. Con una poltiglia di terra e foglie avevamo ridipinto la fiancata mentre, col muschio, avevamo sistemato lo scafo ed il tettuccio. Con qualche pietra, un paio di rami e, soprattutto, ignorando il cannone da due metri che sporgeva minaccioso tra le fronde, sembravamo davvero un enorme macigno. 
“Brutto stronzo di un pittore, questa è arte!”  vantai in frequenza, ghignando vittorioso. Dalla mia posizione non potevo vederli, ma ero abbastanza sicuro che loro potessero fare altrettanto. 
“Carino. Potresti diventare mio allievo. Hehe” Rispose, sghignazzando con la sua risata aspra e polmonare. Essendo me infinitamente superiore, decisi di non ribattere. Mi sarei limitato ad aspettare il momento della sua dipartita per pisciare sui relitti del suo carro. Io, il cane e tutto il mio seguito. E con questo dolce pensiero di vendetta che i russi ci attaccarono scagliandoci addosso il peso della loro fanteria ruggente. 
Constatai con una certa delusione che erano tutti uomini. Speravo davvero di imbattermi in una compagnia femminile in abitini succinti, capelli al vento, collana di proiettili e mitraglietta ad una mano, selvagge ed affamate. Disperato io, disperate loro...ero certo che saremmo venuti ad un ottimo accordo. Nessuno le aveva mai incontrate, così in noi nascevano le peggiori fantasie. Non so gli altri, ma io mi sarei subito consegnato in mano loro. Disonorevole ma uhm, allettante… 
Nonostante la nostra fanteria fosse piuttosto stanca, parevano incassare bene i colpi e rispondere a tono. La voce grossa continuavamo a farla noi, dai nostri carri, costringendo i russi a ballare un tiptap mortale al ritmo dei nostri bossoli. 
Dopo la prima ondata dal fitto bosco, sotto la collina, emerse un nutrito gruppo di T-34. Mimetizzati come fagiani in primavera, sentivamo di avere un grosso vantaggio. Mirammo al collo di un bestione, tra la torretta ed i cingoli, ed assestammo un colpo mortale. 
...O almeno credemmo di averlo fatto. 
“Dannazione, ho mirato troppo in basso” Miagolò Klaus, disperato. Lui e Martin ricaricarono il cannone e ripeterono lo stesso stupido errore. Il muso del carro faceva rimbalzare i colpi come se fossero di gomma, lasciando una banale ammaccatura nella corazza. Però rallentò la sua avanzata. Forse il pilota era stato ferito, là sotto. 
“Levatevi, faccio io” Non potevo resistere ad una umiliazione del genere. La nostra copertura sarebbe saltata e da lì a poco ci avrebbero scoperto. Puntai dritto alla debolezza del T-34 e sparai. 
“Ho abbattuto una pernice!” esclamai, esultante. 
Per un attimo i miei uomini mi fissarono allibiti. Una nuvola di piume aleggiava a mezz’aria. Non voglio sapere quella povera bestia quanto sia finita lontana. 
“Dannazione Capitano Faust, lo ha mancato completamente! Temo si siano accorti di noi, ora!” Tom sembrava sul punto di piangere. 
“Il muschio è scivolato, mi ha coperto la visuale. Non ci vedo un cazzo...”
Fu a questo tragico punto che Maik prese una decisione. Armato di mine anticarro l’uomo abbandonò la sua postazione e si lanciò con un urlo animale verso il nemico, studiando i punti ciechi e sfidandoli con un coraggio da barbaro celtico contro la testuggine romana, falciando a grandi passi l’erba bruna che li divideva. La pelliccia si gonfiava nel vento, facendo apparire quel soldato dalle spalle larghe come un enorme mostro leggendario. 
Entrammo in competizione.
“Adesso dobbiamo abbatterne più di lui. Non possiamo fare la figura degli allocchi” 
“Ricevuto, Capitano!” 
Tom si spostò appena, avanzando con il muso verso il nemico. Ruotando appena la torre, prendemmo nuovamente la mira su un carro che deliziosamente aveva messo il cannone addosso al capocarro Joseph ed a quel suo fottuto equipaggio. 
“Dannazione, mio cugino è nei guai” Si lamentò Klaus, incalzando il suo compagno nel sistemare le munizioni.
Questa volta il colpo andò a segno ed il nemico esplose in un rigurgito di metallo e fumo. Mi sarebbe piaciuto vedere quello stronzo di un pittore fare la danza del fuoco ma non potevo chiudere gli occhi. Sarebbe stato inumano, avrei fallito sia come soldato ma, soprattutto, come essere umano. 
L’umanità scarseggia, in questa valle di lacrime. Mi concessi un battito di ciglia ed un respiro profondo mentre Klaus batteva le mani contro le pareti della Furia come se fosse matto, esultando di folle gioia. Dovetti concedergli il merito, questa volta. Fu una frazione di secondo, il tempo di gioire, e la guerra ci schiacciò nuovamente come un treno, impattandoci un feroce colpo di muso che ci fece rimbalzare di qualche passo, lasciandoci sgonfi d’aria come palloncini. 
“Siamo stati colpiti!”
“Capitano, il suo acume è notevole” Bofonchiò Tom, facendo marcia indietro. La nostra copertura efficacissima doveva essere saltata, lasciandoci come ringraziamento una bella incrinatura sul davanti. 
“Su di noi. Ore tre” 
Motivatissimi, ci preparavamo a bussare col fuoco contro chi ci aveva colpito. 
Fulminei ed ancora ebbri di felicità i miei uomini caricarono il cannone. 
“Aspettate” Dissi. Qualcosa non andava. Uno dei nostri era nella nostra traiettoria. 
“Dannazione. WOLFMANN!” 
Maik stava avanzando a grandi balzi e ci sfilò la preda sotto gli occhi, applicando sotto pancia del bestione la mina magnetica. Scivolò via dalle sue grinfie ed il T-34 esplose, lasciandolo illeso e trionfante, con la pelliccia bianca e bruciata che ondeggiava al vento, impeccabile mostro di guerra. 
Li affondava come se fossero pedine dei domino, saltellando felice tra i rottami come una versione battagliera di cappuccetto rosso in mezzo ai boschi. 
Quando a tarda sera i russi si ritirarono Maik aveva collezionato un indicibile numero di vittorie. Noi, scossi e sfibrati, riuscimmo a trovare a malapena la forza di raggiungere le tende e da lì crollare come sassi, sporchi e sudati, ringraziando immensamente il cielo di essere vivi. Dalle nostre orecchie sorde, dove fischiavano ancora i colpi dei cannoni, impercettibilmente, potevamo sentirlo fischiettare un motivetto gioioso mentre con le pietre taglienti faceva colare il grasso dalle pellicce dei lupi restanti. 
Ebbi un sussulto, un rigurgito di bile che mi fece rotolare su un fianco, annaspante e sbavante, al pensiero non molto lontano che Wolfmann non stesse più conciando pelle di bestia. Il cane mi saltò addosso, leccandomi con una certa apprensione il volto sudato e macchiato di fuliggine. 
“Dannazione a me” ringhiai ai denti stretti, imponendomi alcune ore di sonno. Mi era impossibile, ora. Accanto a me Tom il pilota, steso per terra, russava. Con una copertina di fortuna dormiva in posizione fetale, succhiandone un lembo come se fosse un bebè. Ed un po’ in un certo senso lo sembrava, con quel visetto tondo e glabro. Non ero il più vecchio del gruppo, ma sicuramente ero quello più prestante, virile e aderente ai canoni di bellezza attuali. Solo concentrandomi su me stesso e su quanto fossi meraviglioso sia fisicamente che mentalmente riuscii nuovamente a ripiegare alcune ore di un sonno senza sogni, bruscamente interrotto all’alba. 
 
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Eravamo ancora intorpiditi quando un urlo inumano spezzò la quiete. Ingrigiti e terrorizzati balzammo fuori dai nostri giacigli, raccogliendo alla svelta armi e munizioni. Fiete iniziò ad abbaiare, mostrando le mascelle dentate e le gengive rosa. 
Niente russi all’orizzonte. Solo un soldato dei nostri piegato in due sul limitare dell’accampamento. Vomitò a lungo, tossendo ed urlando di terrore, prima svenire per la paura, piombando a peso morto su ciò che aveva rigurgitato. 
Altri soldati raggiunsero per soccorrerlo ma, improvvisamente, diventavano rigidi come legni ed urlavano. Alcuni tornavano indietro, balbettando ed esibendo i coloriti biancastri delle loro facce. 
“Che branco di mollaccioni” mugugnai. “Bastian Faust vi mostrerà cosa significhi essere uomini” 
Mi feci largo a spallate tra quelle fila di cagasotto, sfruttando la mia mirabolante forza fisica e, soprattutto, il mio grado di Capitano. 
E mi resi conto che, indubbiamente, avrei fatto meglio a non avvicinarmi. 
Maik, Wolfmann, al diavolo su come vogliate chiamarlo. Chino sull’erba stava inchiodando qualcosa ad una grossa tavola di legno, di quelle lisce e piatte che in genere usava per conciare le pelli dei lupi, tirarle e sgrassarle. 
Ma qualcosa fece intendere che no, questa volta davvero non erano lupi quelli che stava ripulendo. Quando finì il suo macabro lavoro si pulì le mani dentro un elmetto russo pieno d’acqua, asciugandosi le grosse e lorde mani con brandelli di divisa bianca e marroncina. 
“Maik, Dannazione” Miagolai. Ne avevamo viste tante, di cose, ed era infinita la lista delle atrocità a cui avevamo assistito, che ci avevano fatto sbiancare e vomitare come un branco di galline. 
Ma questa volta era diverso. Vedevamo in lui, in quell’uomo forse un po’ troppo devoto alla violenza quel barlume di umanità, di lucidità e razionalità oramai perduta.
“Tanto cosa cambia?” grugnì, masticando un pezzo di corteccia nerastra. “Uomo o lupo, non c’è alcuna differenza” 
“Sapete cosa succede? Siamo tutti uguali! Carne e cuoio! Tanto vale sopravvivere! Non si offenderà di certo, ora” 
Imbracciai il fucile, togliendo la sicura. Non volevo sparargli. Speravo di mettergli paura. 
“Non puoi farlo, Maik. Quando tutto sarà finito...” 
“Silenzio! Cosa succede?” il Comandante arrivò da dietro, facendosi spazio a spintoni tra i soldatini impietriti che si erano assiepati dietro di me, come se potessi fornire loro protezione. 
Avrei dovuto sentirmi orgoglioso, ma non fu così. 
Lo stupore di ciò che vide gli fece cadere di bocca la sua amata pipa, lasciandolo esterrefatto ed urlante. 
“Ti mando davanti alla corte marziale! Questo è, questo è.…”
Mi rubò il fucile dalle mani e sparò un colpo in aria. Maik si alzò in piedi, prese una carcassa di lupo e la carico in spalla con un ringhio. Poi sparì in mezzo agli alberi, lasciando che le ampie vesti in pelliccia bianca si gonfiassero di vento nell’inquietante visione del giorno precedente. 
Provai a fermarlo ma la paura mi bloccò a terra. Caddi in ginocchio con le mani nel fango e nel sangue, imprecando. 
Fu allora che mi beccai due sonori schiaffoni che mi rivoltarono come un calzino, lasciandomi supino ed annaspante come una tartaruga. 
“Capitano?” la voce di Tom si insinuò come velluto nella mia testa colma di dolore. Improvvise fitte traspiravano dalle mie tempie che martellavano come cannoni. 
“Maik...” Mugugnai ad occhi socchiusi, mortificato e colmo di dolore. 
“E’ fuori a giocare con i lupi. Pensavo più a lei. Ha un aspetto orribile Improvvisandosi medico fece dei gesti assolutamente inutili, come misurarmi il polso e toccarmi la fronte.
“E’ tutto finito. È tutto finito...era solo un brutto sogno. Qualunque cosa fosse...ero appena riuscito a chiudere occhio quando mi sono ritrovato con del fango in bocca. Mi sono svegliato e l’ho vista che si infossava sottoterra come un a talpa” 
Dannazione. Sospirai sollevato, facendomi sfuggire un’amara risata. 
“Deve essersi sbagliato, Weisz. Stavo sognando delle dolcissime mutandine rosa, col pizzo bianco...” 
Lui mi guardò allibito mentre io, sardonico, trattenevo a stento una sbruffonaggine alquanto innaturale anche per i miei standard. 
“Allora dovevano essere indossate da una donna davvero brutta” concluse. 
Ne fui davvero grato.
 

 
   
 
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