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Autore: Tourniquet    02/02/2017    1 recensioni
“Possa tu crescere per sempre giusto, possa tu crescere per essere sincero. Possa tu conoscere sempre la verità e vedere le luci che ti circondano. Possa tu essere sempre coraggioso, stare eretto e forte. E possa tu restare per sempre giovane.” Questo è il consiglio che il Capo di Stato Maggiore della Difesa offre il 12 dicembre 2014 agli ufficiali della Scuola d’Applicazione di Torino.
L’ammiraglio si rivolge agli studenti come un padre ai figli, come Bob Dylan che dedicò al figlio una canzone rimasta nella storia e nel cuore di tutte le generazioni, presenti e future, di giovani affamati di vita.
Del resto, era questo l’invito gridato dalle grandi icone del rock, un’onda sonora così potente di cui tutt’ora a distanza di anni si avverte l’eco, una pulsazione che si sovrappone a quella del cuore umano, o forse ne è ormai parte integrante, quasi come se non si fosse mai esaurita del tutto, e forse è così.
“Ascoltate Bob Dylan per imparare a vivere” consiglia l’Ammiraglio “e con lui i grandi del rock”.
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[Nota: NON è una storia, il fatto citato è realmente accaduto, da cui nasce un commento/riflessione.]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rudere scritto due anni fa per essere pubblicato su un giornaletto scolastico, adesso è stato riesumato dall'angolino buio in cui era confinato e, dovutamente riveduto e corretto, potrebbe avere una sua qualche ragione di esistere. Bob Dylan a cui il 10 dicembre 2016 viene riconosciuto (finalmente!) il Nobel non poteva passare inosservato...

Canzoni consigliate per l'occasione: Born to Run di Bruce Springsteen (da cui il titolo), Forever young di Bob Dylan (citata dal Capo di Stato Maggiore il 12 dicembre 2014) e Blowin' in the Wind ancora di Bob Dylan (perchè è straordinaria, perchè tre è il numero perfetto, e perchè non ne ho mai avere abbastanza), ma ce ne sarebbero molte, molte altre...

 

 

Tramps like us, Baby, we were born to run

No matter what we get out of there, I know that we don’t forget

 


Possa tu crescere per sempre giusto, possa tu crescere per essere sincero. Possa tu conoscere sempre la verità e vedere le luci che ti circondano. Possa tu essere sempre coraggioso, stare eretto e forte. E possa tu restare per sempre giovane.” Questo è il consiglio che il Capo di Stato Maggiore della Difesa offre il 12 dicembre 2014 agli ufficiali della Scuola d’Applicazione di Torino.

L’ammiraglio si rivolge agli studenti come un padre ai figli, come Bob Dylan che dedicò al figlio una canzone rimasta nella storia e nel cuore di tutte le generazioni, presenti e future, di giovani affamati di vita: un appello a un ideale che non conosce confini né barriere di tempo e luogo, un invito a vivere il più possibile al meglio, fedeli a se stessi, godendosi la gioventù appieno, come se non si dovesse morire mai o al contrario una spada di Damocle incombesse sulle proprie teste e si avesse non più che poche ore per dire addio al mondo.

Del resto, era questo l’invito gridato dalle grandi icone del rock, un’onda sonora così potente di cui tutt’ora a distanza di anni si avverte l’eco, una pulsazione che si sovrappone a quella del cuore umano, o forse ne è ormai parte integrante, quasi come se non si fosse mai esaurita del tutto, e forse è così.

Gli anni Sessanta sono stati teatro delle lotte per i diritti civili dei neri e dei gay, della nascita del predecessore di Internet e del massacro di Piazza Fontana, del rifiuto della guerra in Vietnam e dei colpi di Stato in Sudan e in Libia, dell’assassinio di Kennedy e del primo sbarco sulla Luna. Sono stati spettatori di eventi straordinari, nel bene e nel male, e tra questi figura anche il Festival di Woodstock nell’Agosto del ’69, il cui slogan “3 Days of Peace and Rock ‘n Roll” lo presenta come data simbolo dello sviluppo di quel genere musicale che allora come adesso è capace di colpire dritto al cuore con l’accuratezza e la potenza di un fucile di precisione, un evento a cui parteciparono migliaia di giovani idealisti che protestavano per un mondo migliore, infiammati di speranza e rabbia e passioni ardenti come il fuoco che divampa dentro di loro, e a cui la musica faceva da megafono.

E da ribellione adolescenziale si trasformò in forma d’arte, grazie ad artisti come Bob Dylan e Jimi Hendrix, i Rolling Stones e gli Who, che aprivano la strada allo sviluppo di nuovi sottogeneri che avrebbero animato i decenni futuri, i cui esponenti avrebbero fatto tesoro dell’eredità lasciatagli, mantenendo però come componente fondamentale la sorpresa. La sorpresa e la rivoluzione potente e inaspettata di uomini e donne che con poche parole e accordi di chitarra danno voce al cuore caldo e pulsante di migliaia di persone, risvegliandone le passioni e i tormenti, il dolore, la gioia, emozioni che credevano morte e sepolte da tempo e che invece, come le grandi icone del rock, tornano sul palco, “più dinosauri che leoni” ma decisi a non lasciarsi sconfiggere dal tempo impietoso.

Come sotto l’effetto di un elisir di lunga vita, i sopravvissuti all’estinzione delle celebrità fuori tempo massimo rinnegano la pensione, con indolenza e sfacciataggine e accompagnati da catetere e Viagra, perché hanno ancora qualcosa da insegnare, e vivi o morti le loro canzoni restano a farne le veci, mentre il loro spirito si rifiuta di lasciare il mondo che li ha resi miti e noi che li abbiamo resi tali non siamo ancora pronti a lasciarli andare.

Ascoltate Bob Dylan per imparare a vivere” consiglia l’Ammiraglio “e con lui i grandi del rock”, e forse effettivamente non è una cattiva scelta affidarsi a coloro che, attraverso un linguaggio che tocca e graffia e stringe e lacera chi non ascolta le parole, ma trema se l’emozione trasmessa è vera, hanno saputo trasformare in musica sogni, sconfitte, desideri, passioni capaci di far tendere come le corde delle chitarre strette tra le loro mani, come se davvero “i vagabondi come noi fossero nati per correre”.

  
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