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Autore: Hidemeplz    03/02/2017    0 recensioni
Questa storia é piena di difficoltà, tutti i personaggi affrontano problemi di tutti i giorni ma la protagonista ha avuto un po' più di difficoltà nella sua vita. La sua vita prende una strada completamente in discesa quando sua sorella perde la vita e crea una reazione a catena di avvenimenti che la spingeranno a conoscere la persona capace di farla incazzare e ridere come mai nessuno aveva fatto prima. Anche lui non ha una vita facile ma chi c'é l'ha? Lotta contro suo padre e lotta contro se stesso.
Spero che vi piaccia e che riusciate a vedervi in uno dei personaggi.
Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate, le critiche costruttive sono le mie preferite.
Everyone has a dark corner that no one can see, we're all dark inside. Let the light in.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Capitolo 1-

 

Il tempo era piuttosto umido quel giorno e quella fu una delle ragioni per cui non stavo prendendo a testate il muro. Ero seduta accanto alla finestra e guardavo fuori con lo sguardo spento e l'aria stanca. -Coraggio! C'é la puoi fare- disse Lauren, avvicinandosi con un sorriso e due tazze di caffé tra le mani. -Se l'universo fosse dalla mia parte probabilmente ora sarei eccitata perché mi starei preparando per la prima lezione del semestre a Yale. New Haven, Connetticut- dissi, prendendole una tazza dalle mani. -Oh, ora so perché non ho la fortuna di essere a Yale. Ho peccato cosi' tanto nella mia vita che non posso nemmeno avvicinarmi ad una città che abbia la parola ''paradiso'' nel nome- aggiunsi, prima di bere un sorso di caffé. Lauren sorrise e si sedette accanto a me cercando di confortarmi. -Cerca di guardare il lato positivo di questa storia- disse Lauren, la fulminai con lo sguardo prima di ascoltare i suoi ''lati positivi''. -L'università non ci ha divise, passeremo altri cinque insieme e poi ci aspetterà una vita di avventure. Ho sempre avuto paura che tu potessi partire per un'università della Ivy League e che questo potesse dividerci. E' un pensiero piuttosto egoista ma sono contenta che tu sia qui..- disse, serrando le labbra. -Non ti abituare al caffé mattutino, sono venuta solo perché ero certa che ti avrei trovata di pessimo umore e speravo di addolcirti prima di vederti commettere un omicidio- disse, aprendo il mio armadio. Portai le ginocchia al petto e mi rannicchiai sul divano, non avevo alcuna voglia di vestirmi per andare a quello stupido college statale. -Sai cosa vuol dire stare a Detroit?- chiesi, Lauren sbuffo' e si giro' verso di me. -Travis, Brad, Luke, Rebecca, Sarah.....

-Sei un'adulta ora, vivi da sola, non puoi aver paura di incontrare certe persone. Anche se avrei paura di incontrare Travis anche io se fossi in te- replico' Lauren, mi alzai e trascinai il mio corpo al bagno. Mi feci una doccia sperando di riuscire a svegliarmi e tornai in camera. -Ti ricordo che devi trovarti un lavoro- disse Lauren, a volte la vedevo più come un'agenda che come un'amica. -Si, mi sono segnata qualche bar, ci andro' dopo le lezioni- dissi, infilandomi la biancheria. Lauren mi lancio' un paio di jeans neri e un maglione mostarda. Dopo essermi vestita, buttai giù in un sorso tutto il caffé che era rimasto nella tazza. Infilai nello zaino un paio di libri da leggere in caso di noia e un bloc notes. Mi asciugai i capelli e infilai gli occhiali da vista. -Non spreco le lenti solo per una stupida università statale- dissi, uscendo dall'appartamento seguita da Lauren. Salimmo sulla sua auto, una Range Rover bianca nuova di zecca. I suoi genitori gliel'avevano comprata come regalo di diploma. I miei avevano deciso di cacciarmi di casa, invece. -Com'é vivere da sola?- chiese Lauren, poggiai la testa contro al finestrino e sospirai. -Tranquillo, faccio molte conversazioni con le mie altre personalità e ora che vivo da sola posso farle ad alta voce- risposi, Lauren sorrise e scosse la testa. -Parlo sul serio, non ti senti sola?

-Tengo la tv e il pc accesi contemporaneamente per non sentirmi sola- risposi, giro' il volante verso destra e si infilo' nel parcheggio del campus. -E credi di potercela fare? Pagare l'affitto e tutto il resto intendo.

-Certo, ho messo insieme molto soldi in questi anni e so che pensi che io li abbia spesi tutti durante le vacanze che abbiamo fatto quest'estate ma erano molti più di quanto tu creda- risposi, lei assunse un'espressione preoccupata perché sapeva come mi ero procurata quel denaro. -Dovro' comprarti un sistema dall'allarme per quell'appartamento- disse, mentre cercava la sua borsa, chiusi la portiera dell'auto e lei fece scattare la chiusura automatica. -Perché?

-Perché é uno dei quartieri più pericolosi di tutta Detroit e tu sei sola. Se vivessi io da sola probabilmente non riuscirei ad intimidire nessuno- rispose. Lauren era la classica bella ragazza, occhi scuri e misteriosi, labbra morbide, lunghi capelli castani, un sorriso angelico, una personalità adorabile. Io invece ero di dieci centimetri alta, avevo occhi blu poco attraenti ma molto inquietanti, avevo i capelli corti, neri. Avevo un piercing tra il labbro superiore e il naso, qualche tatuaggio e un metro e settantacinque di gambe. Ero piuttosto brava ad intimidire le persone, grazie alla mia personalità simile a quella di un serial killer. -Staro' bene, ho le mie conoscenze- scherzai, facendole l'occhiolino. -Fai come tutte le persone normali, quando non ti senti al sicuro chiama la polizia invece di chiamare una delle tue conoscenze.

-Oppure compro illegalmente una pistola e la tengo sotto al cuscino- dissi, Lauren mi fulmino' con lo sguardo e io scoppiai a ridere. -Ci vediamo qui dopo la lezione?- chiese Lauren, annui' e corsi verso l'aula di sociologia. Apri' la porta dell'aula e sperai di non essere troppo in ritardo. -Per un pelo, signorina- disse l'insegnante, vedendomi entrare, annui' e andai a sedermi il più lontano possibile dagli altri esseri umani. L'insegnante per un'ora parlo solo di interessi e valori, ci spiego pi o meno quello che avremmo fatto durante quel semestre e ci libero'. Fu piuttosto noioso ma non potevo aspettarmi grandi lezioni d'ispirazione in una stupida università statale.

Andai al punto d'incontro e mi sedetti a terra ad aspettare Lauren, presi un libro dalla borsa e iniziai a leggere. La gente mi passava accanto e mi guardava curiosa, ero seduta per terra davanti ad una caffetteria e allora?

-Eccomi, scusa- disse Lauren, progendomi la mano, infilai il libro in borsa e le strinsi la mano cercando di rialzarmi. -Com'é andata?- chiesi, Lauren sorrise e mi diede una pacca sulle spalle. -Bene!- disse, arricciai il naso e alzai gli occhi al cielo. -A te?- chiese, la guardai e prima di poter parlare lei mi interruppe. -Non dirmelo, lo so- disse, -noioso, prevedibile, avrei fatto di meglio e non sono nemmeno un'insegnante- aggiunse imitando la mia voce. -Sono davvero cosi' prevedibile?- chiesi, sorpresa del modo in cui aveva azzeccato ogni parola. -No, sei davvero cosi' arrogante- replico', con un sorriso, la spinsi scuotendo la testa. -Ok, ora devo correre alla lezione di filosofia. Spero di fare in ritardo e salvarmi citando Socrate- dissi, facendole un'occhiolino. Presi la mappa della scuola dallo zaino e cercai di orientarmi senza rallentare il passo. Quando individuai la classe corsi più velocemente rischiando di ritrovarmi più volte faccia a terra a causa del mio scarso equilibro. Dopo aver attraversato il campus, aver dato spallate a destra e sinistra riusci' a raggiungere l'aula trecentotre del professor Brown. Apri' la porta e mi piegai per riprendere fiato, senti' dei risolini fastidiosi da parte del resto della classe ma feci finta di niente. -Buongiorno!- disse l'insegnante, con voce piuttosto eccitata. Mi rialzai e guardai il professore, era un uomo di bell'aspetto. Alto, capelli scuri, occhi verdi, barba e occhiali da intellettuale sul naso. Non mi aspettavo di vedere quel tipo di professore per un corso di filosofia. -Salve- dissi, salendo le scale verso i banchi infondo alla classe. -Puo' fermarsi li' signorina...

-Evans- risposi, fermandomi, lui mi fece cenno di scendere e io sbuffai pensando a quello che mi volesse dire. -Signorina Evans..- disse, guardando un foglio. -Sunshine Evans, perché é in ritardo alla prima lezione del semestre?

-Mi piace leggere- risposi, lui inclino' la testa e mi guardo' perplesso. -Dopo la lezione di sociologia mi sono fermata a leggere e ho perso la cognizione del tempo.

-Bene, prima di perdere altro tempo continuero' la lezione da dove siamo stati interrotti- disse, ignorandomi completamente, feci per sedermi ma venni richiamata dall'insegnante. -Non ho detto che poteva sedersi..

-Vuole che resti in piedi per tutta l'ora?

-Puo' darsi...se non le sta bene puo' correre fuori dalla classe e non presentarsi più alle mie lezioni- rispose l'insegnante, alzai gli occhi al cielo e digrignai i denti. -Se siete qui, in questo determinato corso consideratevi fortunati- disse il professor Brown, qualcuno infondo alla classe chiese il perché e io mi trattenni dal ridere considerando che sarei potuta essere al corso di filosofia in una classe a Yale. -Grazie di averlo chiesto. Perché? Perché io sono gran bravo insegnante e sono cosi' bravo che vengo pagato più di chiunque altro insegnante universitario di trent'anni. Ho lavorato in molte università della Ivy League e ora sono qui in uno stupido college statale perché voglio creare i nuovi Ernest Hemingway- disse, non riusci' a trattenermi per molto tempo e mi scappo' una risata. Il professore mi guardo' e sorrise. -La signorina Evans probabilmente starà ridendo perché crede che voi non siate abbastanza perché siete qui e non in un'università della Ivy League o ad Oxford, o a Cambridge. Siete qui a Detroit e quindi non valete abbastanza. Ma é qui che si sbaglia la signorina Evans perché tutti voi siete stati scelti da me, in base ai vostri voti, ai vostri saggi d'ammissione e in base alle risposte dei vari college a cui avete fatto domanda- disse, cogliendomi di sorpresa, sospirai. -Prendiamo ad esempio la nostra amica Evans, lei é stata ammessa a cinque delle università della Ivy League. La signiorina Evans é una delle persone più arroganti che abbia mai visto e sapete perché? Vuole spiegarcelo lei, signorina?- chiese, scoppiai a ridere e iniziai a pensare di essere davvero arrogante vista la situazione. -Non ho avuto il tempo di mostrarle la mia arroganza, professor Brown, quindi non saprei a che cosa si riferisce ora come ora- risposi, posando la borsa a terra. -La signorina Evans prima di fare domanda a questo college ha fatto domanda ai college più costosi del paese.

-Ed é per questo che mi considera arrogante?

-No, questo dimostra solo che é molto sicura di se. Ho letto il saggio che ha mandato a queste scuole e che secondo me l'hanno ammessa solo per il modo in cui l'ha scritto e per il contenuto. Perché considerato il suo curriculum, signorina Evans, lei non dovrebbe nemmeno trovarsi qui. La vostra compagna di classe é arrogante perché quando ha capito di non potersi permettere nessuno di questi grandi college ha fatto domanda qui ma non ha mandato il saggio che ha mandato alle altre scuole, ne ha mandato uno meno elaborato, meno studiato, meno interessante del primo. Questo perché?

-Perché chiunque puo' entrare in un college statale, il contenuto del saggio vale poco e quindi ho mandato materiale più scadente. Sinceramente? Avrei poututo scrivere di peggio, la Mary Groove dovrebbe sentirsi fortunata ad avermi ed é per questo che mi considero arrogante- risposi, l'insegnante annui' sorridendo. -Non vergognartene, Evans. Tutti i più grandi filosofi erano un po' arroganti.

-L'arroganza é la mia unica qualità, signore- replicai, la classe scoppio a ridere. Dopo un paio di minuti spesi a parlare di me e della mia vita, cosa che non mi piaceva, il professor Brown mi disse che potevo sedermi. La lezione fu molto interessante, il professor Brown amava farci rispondere e scommetto che amasse anche sentire le risposte stupide di alcuni studenti. -Prima di andarvene- disse, il professore dopo il suono della campanella. -Chi sa dirmi chi ha detto questa frase: ''il filosofo scrive cose che non capisci, poi ti fa credere che sia colpa tua''?- chiese, lo guardammo tutti perplessi non sapendo perché ci stesse facendo quella domanda. -Alzate la mano se lo sapete- aggiunse, quasi tutta la classe alzo' la mano, me compresa. -Abbassate le mani- disse, si guardo' intorno. -Samuel Beckett- disse, lo guardai confusa sapendo che si era sbagliato. -Siete tutti d'accordo?- chiesi, alla classe alzandomi. -Lei no, signorina Evans?- chiese, il professore, scossi la testa. -Quanti di voi non sono d'accordo?- chiese, il professore, alcuni alunni alzarono la mano timidamente e il professore mi guardo'. -Chi ha detto questa frase allora?- chiese, rivolgendosi a me. -Spero per te sia giusto altrimenti tutti quelli che hanno alzato la mano due secondi fa finiranno nella popo a causa tua.

-Boris Makaresko e ne sono piuttosto sicura- dissi, guardando le persone che avevano alzato la mano in disaccordo con il professore. -Bene! Le persone che hanno osato contraddirmi, non dovranno scrivermi un saggio sull'impatto della filosofia ai giorni nostri, tutti gli altri caproni...voglio vederlo entro venerdi' sulla mia scrivania- disse, con tono minaccioso. Sorrisi soddisfatta di me stessa e usci' dalla classe con orgoglio. -Sei stata gradiosa, Evans- disse, un ragazzo uscendo dopo di me. -Grazie a te la mia vita é meno pesante- disse, sorridendomi, serrai le labbra annuendo indifferente. -Mi chiamo Mike- disse, porgendomi la mano, la strinsi contro voglia. -Io sono 'non mi interessa', é un piacere- dissi, abbozzando un sorriso. Lui roteo' gli occhi e se ne ando' dandomi della stronza. L'arroganza era la mia unica qualità, poco ma sicuro.

-Con chi parlavi?- chiese Lauren, presi un chewingam e lo infilai in bocca. -Un fan- risposi, lei alzo' gli occhi al cielo e mi spinse. -Hai lezione o possiamo andare a cercare qualcosa da mangiare?- chiese Lauren. -Cinese?- chiese, -messicano?- replicai. -Non mi va di puzzare di cipolla per il resto della giornata.

-A me non va il maiale- replicai, lei mi guardo' e alzo' le sorpaciglia. -Giapponese?

-E che puzza di pesce sia- risposi, lei sorrise.

Tornammo a lezione verso del tre del pomeriggio e alle sei avevamo entrambe finito. Chiesi a Lauren di darmi un passaggio ad un bar che avevo trovato su internet. -Come farai a tornare?- chiese, con tono preoccupato. -Prendero' l'autobus o chiamero' un taxi, dipende da quanto ricca mi sentiro' una volta uscita da questo posto- scherzai, lei sorrise e mi saluto'. Presi la borsa e le feci l'occhiolino prima di scendere dall'auto. Sull'insegna del bar c'era scritto ''La Dea delle Luna'', sembrava uno di quei bar vecchio stile, rustici, vintage. All'interno c'erano un paio di uomini seduti a bere al bancone, non vidi nessun cameriere o barista cosi' iniziai a curiosare in giro. -Vuoi una mano?- chiese, un ragazzo mentre guardavo dietro al bancone e leggevo le etichette delle bottiglie di bourbon. -Salve- dissi, sperando con tutto il cuore che non fosse lui il proprietario del bar. -Addio- disse, con tono minaccioso mentre mi allontanavo lentamente dal bancone. Lo fulminai con lo sguardo nonappena mi manco' di rispetto. Incrociai i suoi occhi, grandi, enormi, occhi grigi. Mi rilassai per un'attimo, mentre cercavo di non sbavare per i suoi occhi. Aveva la pelle abbronzata, labbra carnose e lo sguardo piuttosto minaccioso. Era alto, molto più alto di me, cosi' alto da intimidirmi. Ed era difficile intimidirmi. -In che posa vuoi che mi metta?- chiese, distraendomi dal suo viso. -Come scusa?- chiesi, confusa. -Per la foto che chiaramente vuoi farmi- disse, mi scappo' un ghigno, era più una piccola risata nervosa perché chiaramente aveva capito che ai miei occhi piaceva. -Parli cosi' a tutti i clienti o solo alle ragazze?- replicai, avevo tirato fuori le armi e non avrei lasciato un figlio di papà qualunque mancarmi di rispetto. Nessuno mi metteva i piedi in testa. -Sei riuscita a fare una frase di senso compito, brava. Ora puoi andartene, ti mandero' un premio per posta- ribatté, mi prese piuttosto alla sprovvista una persona cosi' maleducata non l'avevo mai vista prima. -Suppongo tu sia uno di quei ricchi figli di papà che si danno alla deep house, fanno crescere la barba e indossano berretti di lana con quaranta gradi all'ombra. Credo che i media li chiamino Hipster- dissi, mi divertivo in quel genere di situazione. -Ti avrei trattato mille volte meglio se tu non fossi cosi' fastidiosamente irritante

-Hai iniziato a fare lo stronzo prima che aprissi la...

-La tua faccia, irritante- disse, interrompendomi. Mi leccai le labbra e sistemai gli occhiali sul naso. -Posso parlare con il proprietario?- chiesi, incrociando le dita sperando che non fosse lui. -Eccolo- disse, sbuffai esasperata e tornai a combattere. -Lavori da solo qui?

-Cerchi lavoro, piccola?- chiese, sorridendo, il suo sorriso mi fece perdere un battito. Aveva delle splendide fossette e il suo viso si illuminava. Peccato avesse un pessimo carattere. -Si, tu non mi piaci- dissi. -Preferisco essere chiamata con il mio nome e non con uno stupido nomignolo sessista.

-E sarebbe? Piccola ragazzina irritante? Angelo della perdita di tempo?

-Oh questa era davvero divertente- dissi indifferente e fredda, lui prese uno straccio e ando' verso i tavoli. Io lo segui' praticamente disperata. -Non hai bisogno di una cameriera? Sono piuttosto brava.

-Sei una ragazza.

-Davvero? Come lo hai scoperto? Cosa mi ha tradita le tette o i capelli?- chiesi, in tono sarcastico, lui si fermo' e mi guardo' di nuovo con quello sguardo minaccioso. -Ingaggiare una ragazza mi creerebbe più problemi che altro. E nemmeno tu mi piaci.

 

-Non sono la figlia illegittima di Robert Hais, okey? Sono cresciuta nei bassi fondi dei bassi fondi di Detroit, so cavarmela da sola- ribattei, lui si sedette al tavolo e io mi sedetti davanti a lui. -Allora devi essere davvero forte, dimmi devo avere paura di te o..

-Senti, ho capito, ti irrito e va bene cosi' perché nemmeno tu sei tra le persone più simpatiche che abbia mai conosciuto quindi facciamo le persone adulte e parliamo di lavoro. Mettimi alla prova, posso lavorare per una settimana qui e se trovi che io possa farcela mi assumi altrimenti me ne vado- dissi, sperando di non sentirmi rispondere in modo sarcastico o scontroso. -Perché dovrei farlo?

-Perché mentre eri a prendere il ghiaccio, io avrei potuto rubare tutti i soldi nella cassa- risposi, lui guardo' verso l'alto e sospiro. -Una settimana e al minimo errore sei fuori- disse, sorrisi soddisfatta e annui'. -Che cosa devo fare?- chiesi, posando la borsa dietro al bancone. -Parlare meno sarebbe utile- rispose, lo guardai sperando che capisse quanto fosse seccante. -Ah, parlavi di lavoro. Stai dietro al bancone per ora, devo ancora assumere un cuoco quindi alla cucina ci devo pensare io. Sai qualcosa di alcolici?

-Si, posso cavarmela- risposi, lui si guardo' intorno e annui'. -Vado nel mio ufficio, suona il campanello se il locale si riempie e hai bisogno di una mano- disse, prima di sparire dietro ad una porta in legno. -Sono Sunshine comunque..

-Alex- disse, chiudendo la porta del suo ufficio.

 

I primi clienti iniziarono ad entrare, alcuni di loro si sedettero al bancone, servi' i loro ordini con velocità ed elganza. Ma le cose iniziarono a complicarsi quando il bar inizio' a riempirsi e non sapevo come fare a servire la gente al bancone e quella ai tavoli. Me la cavai piuttosto bene per una buona mezz'ora, il mio orgoglio mi impediva di chiamare Alex ma poi lo feci ragionare e premetti il campanello. -Quali tavoli non hai servito?- chiese, con voce bassa e aria annoiata. -Li ho serviti tutti ma inizia a riempirsi e non so come gestirli da sola- spiegai, lui prese un grembiule e se lo allaccio' attorno alla vita.

Preparai in fretta tutti i drink che Alex mi chiedeva di preparare, quando dimenticavo un'ingrediente cercavo in fretta su google e mi salvavo il culo.

-Che ci fa qui la ragazzina?- chiese, un uomo sulla quarantina con addosso una maglietta sporca. Quell'uomo mi ricordava la persona che odiavo di più al mondo e di conseguenza detestavo anche quel pover uomo. -E' in prova- rispose, indifferente Alex.

-Cerchi di ucciderla?- chiese il cliente, strinsi i pugni, le unghie si conficcarono nella pelle. Mi concentrai sulla forza, più premevo più mi faceva male e non pensavo alla rabbia. Funzionava. -Hai un fazzoletto?- chiesi, con voce bassa, Alex sposto' lo sguardo su di me e mi passo' un paio di tovaglioli. Apri' le mani e vidi del sangue, strinsi i tovaglioli e tornai con la testa sul bancone. -Guarda, Alex, sono solo le nove e sta già iniziando una rissa- disse il cliente, alzai la testa e guardai la sala. Due uomini si stavano picchiando, Alex scavalco' il bancone ma per qualche ragione non ando' verso la rissa. -Gestisci la situazione piccola- disse rivolgendosi a me, scossi la testa e mi alzai. Frugai nella borsa in cerca del mio teser coprato per difesa personale, lo strinsi e mi preparai a tutto. Andai verso gli uomini con passo lento e pesante, a pochi passi da loro caricai il teaser e diedi una scarica al primo. Il secondo cerco' di colpirmi ma io mi abbassai e gli scaricai duecento volt sullo stomaco. Cadde a terra e tremo' per una decina di secondi. Alex era al mio fianco e guardava gli uomini per terra confuso. -E' illegale se non sbaglio- disse, scrollai le spalle e sorrisi. -Ho gestito la situazione se non sbaglio- dissi, rimettendo il teaser nei pantaloni. -Stai sanguinando- disse, rivolgendo lo sguardo alle mie mani. -Ho le mie cose, sanguino dalle mani quando succede- risposi, fredda, mi capitava di dire cose stupide quando non mi piaceva la persona con cui parlavo.

-Piccola- disse Alex, mentre tornavo al bancone, mi fermai e mi voltai pronta a darli una scarica. -Sei dentro ma non ho intenzione di farti da babysitter- disse, sorrisi e sospirai felice di aver ottenuto il lavoro senza fare la settimana di prova.

Erano le due quando finii di lavare e sistemare i bicchieri, la serata era finita in tranquillità e aspettavo che Alex mi mandasse via. -Ti voglio qui alle sei domani- disse, mentre si metteva la giacca di pelle, lo guardai e annui' soddisfatta. Presi la mia roba e uscii mentre lui mi teneva la porta aperta, chiuse a chiave il locale e mi guardo'. -Sai dov'é la fermata dell'autobus?- chiesi, lui sorrise e scosse la testa. -Niente autobus dopo l'una- rispose, sbuffai e pensai a come sarei potuta tornare a casa. -Sali', ti riporto a casa- disse, indicando la sua auto. Era piuttosto autoritario come ragazzo ma ero autoritaria anche io. -Chiamero' un taxi, ci vediamo domani capo- dissi, andando verso la strada. -Siamo a Detroit e anche se sei irritante e non mi piaci non voglio avere il tuo cadavere sulla coscenza. Sali e dammi il tuo indirizzo- disse, aprendomi la portiera, sali' sulla Jeep nera nonostante non volessi passare un momento di più con quel ragazzo. -Abito sulla Helmway- dissi, allacciando la cintura, lui fece retromarcia e usci' dal parcheggio. -Con i tuoi?- chiese, fui sorpresa di quella domanda. Non pensavo volesse avere una conversazione civile con me o con qualunque altro essere umano. -Da sola- risposi, mantendo un muro di ghiaccio tra noi. -Per questo hai il teaser.

-No, lo usa per massaggiarmi i polpacci- replicai, lui mi lancio' un'occhiataccia e io deglutii leggermente intimidita. Il resto del viaggio fu silenzioso e imbarazzante, almeno per me. Mi lascio' davanti al mio condominio e non rimise in moto l'auto finché non mi vide entrare. Non era un bastardo infondo, era semplicemente uno stronzo. Per questo non andavamo d'accordo, lui era uno stronzo e io ero una..stronza. Pessima accoppiata.

 

Ero sdraiata a letto, erano più o meno le cinque e mezza, Lauren si passava lo smalto sulle unghie mentre io fissavo il soffitto. -Lavori stasera?- chiese, la guardai e sbuffando annui'. -Il tuo nuovo lavoro onesto non ti piace?- chiese, mi conosceva bene ed era ovvio che non mi piacesse il mio lavoro ma non per il fatto di fare la cameriera era più per colpa di Alex e a me non piaceva tutto quello che aveva a che fare con un essere umano. -Non é poi cosi' onesto considerando che quel tipo potrebbe essere un'assassino e potrei essere io la sua prima vittima.

-Che c'é che non va con il tuo capo?

-E' un pezzo di merda, una di quelle persone che ti rispondo ad una domanda con un'altra domanda. Costantemente sarcastico, freddo, sguardo sempre spento...

-Stai descrivendo te stessa o é solo una mia impressione?- chiese Lauren, le lanciai un cuscino che fu costretta a prendersi in pieno volto visto che aveva le unghie ancora umide. -L'unica cosa positiva di quel tipo é che é un bel ragazzo.

-Quanti anni ha?- chiese Lauren, ci pensai su per qualche secondo e poi ricordai che non eravamo amici per parlare d'età. -Un numero a due cifre?- chiesi, lei alzo' gli occhi al cielo. Era la quarta volta quel pomeriggio. -Hai detto che ti ha riaccompagnata a casa...quindi é premuroso.
-Sarebbe stato premuroso se fossimo nel Kansas e volesse semplicemente farmi un favore ma siamo a Detroit e qui se ti riaccompagnano a casa é solo scappare dal senso di colpa- replicai, lei sorrise e soffio' sulle dita per farle asciugare. Mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto, iniziai a mordicchiarmi le unghie e a pensare. -Vorrei attaccare le foto di Hope e di mio padre lassu'- dissi, indicando il soffitto. Lauren guardo' in alto e sorrise malinconica. -Non credi che cosi' facendo..

-Forse é meglio iniziare da quelle di Hope- dissi, quando provai una stretta al cuore pensando a mio padre. -Ti do un passaggio al lavoro?- chiese Lauren, prendendo la sua roba, saltai giù dal letto e annui'.

Entrata al bar Alex mi fulmino' con lo sguardo. -Si prospetta una giornata da favola- borbottai, lui mi fulmino' di nuovo e i sorrisi in modo piuttosto forzato. Infilai le cuffie e feci partire la mia playlist. Puli' tutto il locale senza rivolgere parola ad Alex, e mi stava benissimo. Quando inizio' ad entrare la gente non fecimo altro che scambiarci le ordinazioni senza rivolgerci parola. E a fine giornata quando mi sedetti a terra esausta non mi disse niente. -Posso andare?- chiesi, sperando in una risposta concisa. -Devo solo finire un paio di email e poi ti riporto a casa- disse, sembrava più calmo di prima. -Non serve che mi riaccompagni ogni volta- replicai, lui alzo' lo sguardo verso di me. -E' l'ultima volta infatti.

-Bene.

-Bene- ripeté, prese la sua giacca e usci'. In macchina l'atmosfera era persino peggiore di quella del giorno prima, una stupida gara a chi piscia più lontano e anche se era stupida non avrei lasciato perdere.

Quando mi buttai sotto alle coperte dopo una bella doccia, strinsi a me l'orso di peluche preferito della mia sorellina e chiusi gli occhi sperando di dormire. Mi risvegliai di colpo quando il giorno più brutto della mia vita si trasformo' in un incubo. Lei era li', nella vasca da bagno, con i polsi dilagnati e lo sguardo assente.

Ero sudata, stanca e avevo il viso bagnato dalle mie stesse lacrime, mi trascinai in bagno e apri' l'acqua. Riempi' la vasca da bagno d'acqua fredda e mi infilai dentro ancora vestita, trattenni il respiro e restai sott'acqua per qualche secondo. Non mi rialzai fino a che inizio' a mancarmi l'aria. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la mia piccola Hope, nella posizione in cui mi trovavo io, con il suo sangue sparso per il bagno. Se fossi tornata a casa solo dieci minuti prima, probabilmente l'avrei salvata. Se non avessi dato retta a Callum, probabilmente io e lei vivremmo insieme, probabilmente lei sarebbe viva.

Restai in quella vasca fino al suono della mia sveglia, la svuotai e mi feci una doccia veloce. Indossai un paio di jeans e un maglione e usci' di casa con i capelli ancora bagnati. Sali' sull'autobus e infilai le cuffie, feci partire l'ultimo album dei Fall out boy e cercai di svuotare la mente. Di pensare a cose che non avessero a che fare con il mio passato, di pensare alle cose a cui pensano i giovani della mia età.

-Buongiorno mia dolce metà- esclamo' Lauren, porgendomi un caffé, sorrisi sperando di sembrare credibile e bevetti un sorso di quel nettare degli dei. -Come va?- chiesi, regolando il mio tono di voce sulla stessa frequenza di Lauren. -Bene, com'é andata ieri sera?

-Mi ha ordinato di non rivolgerli parola per tutta la durata del lavoro- risposi, lei alzo' le sopraciglia e apri' la bocca scioccata. -E' un bastardo!- esclamo', mentre mi accompagnava in classe. -Si, probabilmente- ribattei, le sorrisi ed entrai in classe. -Ci vediamo a pranzo- dissi, prima di chiudere la porta. Andai a sedermi al solito posto e poggiai la testa sul banco. -Vorrei che mi citiate il nome di alcuni grandi filosofi storici- disse il professor Brown, cercai di non addormentarmi perché la lezione sembrava importante. -Samuel Beckett?- chiese, dubbiosa una ragazza alle mie spalle. -Era uno scrittore e un poeta, non un filosofo- borbottai. -Oscar Wild.

-Nemmeno lui é considerato storico, chi sa dirmi il perché?

-Perché quando si parla di ''storici'' parliamo dei primi filosofi che hanno fatto poi la storia della filosofia. Socrate, Platone, Telete, i grechi insomma- risposi, senza alzare la testa dal banco. Il professore non aggiunse altro e continuo' la lezione. Presi qualche appunto e finita la lezione corsi in caffetteria a prendermi un'altra dose di caffeina. Arrivai alla lezione di giornalismo con cinque minuti di ritardo ma la professoressa non disse niente. La professoressa ci fece una lezione intera sui mass-media ma tentai di uccidermi conficcandomi la matita in un occhio solo dopo la prima mezz'ora.

-Guarda chi esce dalla classe di giornalismo- disse, una voce maschile alle mie spalle, mi voltai lentamente sperando che la faccia di quella persona non fosse quella che mi aspettavo che fosse. -Come stai Sunny?- chiese, in tono premuroso, sospirai e feci un passo indietro cercando di mettere più distanza possibile tra me e lui. Aveva tagliato i capelli dall'ultima volta che l'avevo visto, si era fatto crescere la barba ed era andato in palestra. -Sono stata meglio- risposi, lui annui' e si avvicino'. Incrociai le braccia e mi preparai a qualunque tipo di scontro. -Ho provato a chiamarti dopo quello che é successo..

-Ho bloccato il tuo numero- replicai, lui abbasso' lo sguardo e si passo' una mano tra i capelli. -Come sta il tuo caro amico Travis?- chiese, digrignando i denti e stringendo i pugni. -Mi ha chiesto di salutarti- risposi, fredda e indifferente. -Lo frequenti ancora?

-Non sono affari tuoi, Callum. In realtà ti ho già dedicato troppo tempo, la prossima volta che hai voglia di parlarmi sbatti la testa contro al muro e scommetto che tornerai a riflettere come si deve- risposi, prima di girare i tacchi ed andarmene. Durante la lezione di sociologia cercai di rimettere le cose al proprio posto e dimenticare di aver visto Callum. A pranzo ne parlai con Lauren che mi fece mille domande sul perché ce l'avessi cosi' tanto con lui nonostante il nostro ''passato''. -Non puoi capire- dissi, sperando di cambiare argomento. -Ho una buona notizia, sta sera hai un'appuntamento- disse, iniziai a sbattere dolcemente la testa contro al tavolo. -Non voglio uscire con nessun essere vivente di sesso maschile, ho avuto pessime esperienze con loro.

-Si, lo so ma non avevi ancora trovato l'uomo giusto. Probabilmente l'hai conosciuto,e non sto affando parlando di Callum, ma lo hai lasciato per ragioni stupide come fai sempre.

-Dire che non parli di Callum mi fa pensare che tu stia parlando di Callum- replicai, lei scosse la testa offesa. -E' un'appuntamento a quattro, io te e altri due ragazzi. Nessuna pressione se non ti piace puoi mandarlo a cagare- disse, dopo una lunga conversazione sull'appuntamento fini' per accettare.

 

Il giorno dopo, finite le lezioni tornammo a casa mia per preparaci per l'appuntamento. Avendo un lavoro non potevo uscire con loro la sera quindi decidemmo di andarci a prendere un gelato in città. Lauren inizio' a svuotare il mio armadio in cerca di qualcosa di sexy e femminile da farmi indossare. Era semplice routine per noi. Quando Callum mi chiese di uscire per la prima volta, Lauren mi invito' a casa sua alle tre del pomeriggio e né usci' solo alle sette, truccata, pettinata e vestita da lei. -Pensavo di non farti indossare dei tacchi perché rischieresti di essere più alta di lui e non a tutti i ragazzi piace- disse, mentre giacevo assente sul letto. -Ah é perché non vuoi far stare male lui, non é perché io subito dopo dovro' andare a lavorare come cameriera e con un paio di tacchi sarebbe molto scomodo.

-No, a nessuno importa di te, tesoro- scherzo', le lanciai un cuscino ma con la mia pessima mira cadde a un paio di centimetri da lei. -Che ne dici di andare sul casual?- chiese, lanciandomi dei vestiti. Un paio di pantaloncini di jeans, un crop top nero e una camicia in flanella. -Non viviamo in California.

-Ma il tempo non é niente male, non piove- disse, sbuffai e decisi di assecondarla. -Non pensavo avresti scelto cosi' in fretta.

-Devi lavorare dopo quindi ho pensato a qualcosa che mettesse in risalto i tuoi punti forti senza doverti far indossare abiti che chiamino gli stupratori.

-E quali sarebbero questi punti forti??

-Tette, culo, gambe- rispose, scoppiai a ridere e lei continuo' a fissarmi come se stessi ridendo senza una buona ragione. -Vestiti, dobbiamo uscire tra due ore.

-Giusto il tempo per guardarci un film- dissi, lei mi fulmino' con lo sguardo e mi alzai quasi per paura. Allacciai le converse bianche che mi costrinse ad indossare e mi buttai sul divano ad aspettare che lei finisse di prepararsi.

Sali' sull'auto di Lauren e sperai con tutto il cuore che andasse bene, ovviamente non avrei mai incontrato l'uomo della mia vita grazie ad un'appuntamento al buio organizzato per pietà ma speravo comunque di passare un pomeriggio tranquillo. Lauren diede appuntamento ai ragazzi davanti ad un centro commerciale, lei conosceva uno di loro quindi non ci saremmo guardate in torno alla ricerca di un ragazzo vestito di blu o di verde militare. Lauren ando' verso un ragazzo alto, muscoloso, biondo e con l'aria da figlio di papà. Accanto a lui c'era un ragazzo anche lui alto e muscoloso ma meno figlio di papà e più figlio di nerd. Indossava una felpa blu, una t-shirt degli

X-men e un paio di jeans scuri. Aveva occhi azzurro chiaro ed era carino. -Lauren?- chiese, il primo ragazzo avvicinandosi. -Paul, é un piacere rivederti- disse Lauren, con un sorriso, probabilmente quel Paul si era già innamorato di lei. -Lei é Sunny, la mia migliore amica- disse Lauren, presentandomi. -Preferisco essere chiamata Sunshine, piacere- dissi, stringendo la mano del primo e poi del secondo. -Logan, piacere mio- disse, con un sorriso. Guardai la sua maglietta e mi feci scappare un sorriso, poi pensai che magari nemmeno conosceva la copertina del fumetto da cui era tratta la sua maglietta e tornai ad essere fredda. -Siete di Detroit?- chiese Lauren, mentre entravamo nel centro commerciale. Fortunatamente c'era lei a gestire le conversazioni. -Siamo qui per gli studi.

-Quindi siete venuti in una delle città più pericolose dello stato per studiare?- chiesi, sorpresa, loro sorrisero anche se non capivo che cosa ci fosse di divertente. Ero seria. -I nostri genitori sono cattolici e hanno voluto mandarci in una delle migliori università cattoliche del Micchigan- disse Paul, alzai gli occhi al cielo e accellerai il passo. -Mi pare di aver capito che lavori- disse Logan, camminando alla mia stessa velocità. -Esatto- dissi, con indifferenza. -Che cosa fai?

-Cameriera, barista, cuoca..quello che mi chiedono di fare- risposi, senza rivolgerli lo sguardo. -E riesci a gestire li studi e il lavoro?
-Ci sono abituata- risposi, lui annui' e si fermo' con gli altri a prendere un gelato. -Tre gelati e un frozen yogurt- disse Lauren, alla cameriera, dopo aver dato i vari gusti i ragazzi guardarono Lauren. -A Sunny non piace il gelato- disse Lauren, cercando di trovare un'argomento di cui parlare visto e considerato che io non ero molto utile. -Ah no? Perché?- chiese Logan, sorrisi divertita dalla domanda. -Per il modo in cui la terra gira intorno al sole- risposi, Lauren sorrise ma poi si ricordo' che era un'appuntamento e inarco' le sopraciglia e mi fulmino' con lo sguardo. -Ha un senso dell'umorismo particolare- spiego' Lauren, le sorrisi e lei si trattenne dal ridere. -Da quanto vi conoscete?

-Dodici anni- risposi, guardandola, lei sorrise annuendo. -Gli psicologi dicono che se un'amicizia dura per più di sette anni allora durerà tutta la vita- disse Paul, mi mordetti il labbro inferiore e mi trattenni dal parlare. -Sunny, non sono quei cartoni che leggi quando hai voglia di sentirti maschio?- chiese Lauren, indicando la maglietta di Logan. -Si chiamano fumetti, Lauren.

-Lo so ma é più divertente cosi'- replico', Logan mi guardo' con gli occhi luminosi e un sorriso. -Leggi fumetti?- chiese, rivolgendomi tutta la sua attenzione. -Fumetti Marvel più che altro- risposi, lui sorrise di nuovo e si avvicino' con la sedia a me. -Eroe preferito?

-Xavier e tutti gli Xmen- risposi, lui alzo' la mano e aspetto' che gli battessi il cinque.

Per il resto dell'appuntamento parlammo di film e fumetti, fu piuttosto interessante ma non poi cosi' interessante. Prima di salutarli ci scambiammo i numeri di telefono anche se ero sicura che non l'avrei più rivisto. Lauren mi lascio' al lavoro e io mi preparai mentalmente ad affrontare Alex e i suoi sbalzi d'umore.

 

Capitolo 1-

 

Il tempo era piuttosto umido quel giorno e quella fu una delle ragioni per cui non stavo prendendo a testate il muro. Ero seduta accanto alla finestra e guardavo fuori con lo sguardo spento e l'aria stanca. -Coraggio! C'é la puoi fare- disse Lauren, avvicinandosi con un sorriso e due tazze di caffé tra le mani. -Se l'universo fosse dalla mia parte probabilmente ora sarei eccitata perché mi starei preparando per la prima lezione del semestre a Yale. New Haven, Connetticut- dissi, prendendole una tazza dalle mani. -Oh, ora so perché non ho la fortuna di essere a Yale. Ho peccato cosi' tanto nella mia vita che non posso nemmeno avvicinarmi ad una città che abbia la parola ''paradiso'' nel nome- aggiunsi, prima di bere un sorso di caffé. Lauren sorrise e si sedette accanto a me cercando di confortarmi. -Cerca di guardare il lato positivo di questa storia- disse Lauren, la fulminai con lo sguardo prima di ascoltare i suoi ''lati positivi''. -L'università non ci ha divise, passeremo altri cinque insieme e poi ci aspetterà una vita di avventure. Ho sempre avuto paura che tu potessi partire per un'università della Ivy League e che questo potesse dividerci. E' un pensiero piuttosto egoista ma sono contenta che tu sia qui..- disse, serrando le labbra. -Non ti abituare al caffé mattutino, sono venuta solo perché ero certa che ti avrei trovata di pessimo umore e speravo di addolcirti prima di vederti commettere un omicidio- disse, aprendo il mio armadio. Portai le ginocchia al petto e mi rannicchiai sul divano, non avevo alcuna voglia di vestirmi per andare a quello stupido college statale. -Sai cosa vuol dire stare a Detroit?- chiesi, Lauren sbuffo' e si giro' verso di me. -Travis, Brad, Luke, Rebecca, Sarah.....

-Sei un'adulta ora, vivi da sola, non puoi aver paura di incontrare certe persone. Anche se avrei paura di incontrare Travis anche io se fossi in te- replico' Lauren, mi alzai e trascinai il mio corpo al bagno. Mi feci una doccia sperando di riuscire a svegliarmi e tornai in camera. -Ti ricordo che devi trovarti un lavoro- disse Lauren, a volte la vedevo più come un'agenda che come un'amica. -Si, mi sono segnata qualche bar, ci andro' dopo le lezioni- dissi, infilandomi la biancheria. Lauren mi lancio' un paio di jeans neri e un maglione mostarda. Dopo essermi vestita, buttai giù in un sorso tutto il caffé che era rimasto nella tazza. Infilai nello zaino un paio di libri da leggere in caso di noia e un bloc notes. Mi asciugai i capelli e infilai gli occhiali da vista. -Non spreco le lenti solo per una stupida università statale- dissi, uscendo dall'appartamento seguita da Lauren. Salimmo sulla sua auto, una Range Rover bianca nuova di zecca. I suoi genitori gliel'avevano comprata come regalo di diploma. I miei avevano deciso di cacciarmi di casa, invece. -Com'é vivere da sola?- chiese Lauren, poggiai la testa contro al finestrino e sospirai. -Tranquillo, faccio molte conversazioni con le mie altre personalità e ora che vivo da sola posso farle ad alta voce- risposi, Lauren sorrise e scosse la testa. -Parlo sul serio, non ti senti sola?

-Tengo la tv e il pc accesi contemporaneamente per non sentirmi sola- risposi, giro' il volante verso destra e si infilo' nel parcheggio del campus. -E credi di potercela fare? Pagare l'affitto e tutto il resto intendo.

-Certo, ho messo insieme molto soldi in questi anni e so che pensi che io li abbia spesi tutti durante le vacanze che abbiamo fatto quest'estate ma erano molti più di quanto tu creda- risposi, lei assunse un'espressione preoccupata perché sapeva come mi ero procurata quel denaro. -Dovro' comprarti un sistema dall'allarme per quell'appartamento- disse, mentre cercava la sua borsa, chiusi la portiera dell'auto e lei fece scattare la chiusura automatica. -Perché?

-Perché é uno dei quartieri più pericolosi di tutta Detroit e tu sei sola. Se vivessi io da sola probabilmente non riuscirei ad intimidire nessuno- rispose. Lauren era la classica bella ragazza, occhi scuri e misteriosi, labbra morbide, lunghi capelli castani, un sorriso angelico, una personalità adorabile. Io invece ero di dieci centimetri alta, avevo occhi blu poco attraenti ma molto inquietanti, avevo i capelli corti, neri. Avevo un piercing tra il labbro superiore e il naso, qualche tatuaggio e un metro e settantacinque di gambe. Ero piuttosto brava ad intimidire le persone, grazie alla mia personalità simile a quella di un serial killer. -Staro' bene, ho le mie conoscenze- scherzai, facendole l'occhiolino. -Fai come tutte le persone normali, quando non ti senti al sicuro chiama la polizia invece di chiamare una delle tue conoscenze.

-Oppure compro illegalmente una pistola e la tengo sotto al cuscino- dissi, Lauren mi fulmino' con lo sguardo e io scoppiai a ridere. -Ci vediamo qui dopo la lezione?- chiese Lauren, annui' e corsi verso l'aula di sociologia. Apri' la porta dell'aula e sperai di non essere troppo in ritardo. -Per un pelo, signorina- disse l'insegnante, vedendomi entrare, annui' e andai a sedermi il più lontano possibile dagli altri esseri umani. L'insegnante per un'ora parlo solo di interessi e valori, ci spiego pi o meno quello che avremmo fatto durante quel semestre e ci libero'. Fu piuttosto noioso ma non potevo aspettarmi grandi lezioni d'ispirazione in una stupida università statale.

Andai al punto d'incontro e mi sedetti a terra ad aspettare Lauren, presi un libro dalla borsa e iniziai a leggere. La gente mi passava accanto e mi guardava curiosa, ero seduta per terra davanti ad una caffetteria e allora?

-Eccomi, scusa- disse Lauren, progendomi la mano, infilai il libro in borsa e le strinsi la mano cercando di rialzarmi. -Com'é andata?- chiesi, Lauren sorrise e mi diede una pacca sulle spalle. -Bene!- disse, arricciai il naso e alzai gli occhi al cielo. -A te?- chiese, la guardai e prima di poter parlare lei mi interruppe. -Non dirmelo, lo so- disse, -noioso, prevedibile, avrei fatto di meglio e non sono nemmeno un'insegnante- aggiunse imitando la mia voce. -Sono davvero cosi' prevedibile?- chiesi, sorpresa del modo in cui aveva azzeccato ogni parola. -No, sei davvero cosi' arrogante- replico', con un sorriso, la spinsi scuotendo la testa. -Ok, ora devo correre alla lezione di filosofia. Spero di fare in ritardo e salvarmi citando Socrate- dissi, facendole un'occhiolino. Presi la mappa della scuola dallo zaino e cercai di orientarmi senza rallentare il passo. Quando individuai la classe corsi più velocemente rischiando di ritrovarmi più volte faccia a terra a causa del mio scarso equilibro. Dopo aver attraversato il campus, aver dato spallate a destra e sinistra riusci' a raggiungere l'aula trecentotre del professor Brown. Apri' la porta e mi piegai per riprendere fiato, senti' dei risolini fastidiosi da parte del resto della classe ma feci finta di niente. -Buongiorno!- disse l'insegnante, con voce piuttosto eccitata. Mi rialzai e guardai il professore, era un uomo di bell'aspetto. Alto, capelli scuri, occhi verdi, barba e occhiali da intellettuale sul naso. Non mi aspettavo di vedere quel tipo di professore per un corso di filosofia. -Salve- dissi, salendo le scale verso i banchi infondo alla classe. -Puo' fermarsi li' signorina...

-Evans- risposi, fermandomi, lui mi fece cenno di scendere e io sbuffai pensando a quello che mi volesse dire. -Signorina Evans..- disse, guardando un foglio. -Sunshine Evans, perché é in ritardo alla prima lezione del semestre?

-Mi piace leggere- risposi, lui inclino' la testa e mi guardo' perplesso. -Dopo la lezione di sociologia mi sono fermata a leggere e ho perso la cognizione del tempo.

-Bene, prima di perdere altro tempo continuero' la lezione da dove siamo stati interrotti- disse, ignorandomi completamente, feci per sedermi ma venni richiamata dall'insegnante. -Non ho detto che poteva sedersi..

-Vuole che resti in piedi per tutta l'ora?

-Puo' darsi...se non le sta bene puo' correre fuori dalla classe e non presentarsi più alle mie lezioni- rispose l'insegnante, alzai gli occhi al cielo e digrignai i denti. -Se siete qui, in questo determinato corso consideratevi fortunati- disse il professor Brown, qualcuno infondo alla classe chiese il perché e io mi trattenni dal ridere considerando che sarei potuta essere al corso di filosofia in una classe a Yale. -Grazie di averlo chiesto. Perché? Perché io sono gran bravo insegnante e sono cosi' bravo che vengo pagato più di chiunque altro insegnante universitario di trent'anni. Ho lavorato in molte università della Ivy League e ora sono qui in uno stupido college statale perché voglio creare i nuovi Ernest Hemingway- disse, non riusci' a trattenermi per molto tempo e mi scappo' una risata. Il professore mi guardo' e sorrise. -La signorina Evans probabilmente starà ridendo perché crede che voi non siate abbastanza perché siete qui e non in un'università della Ivy League o ad Oxford, o a Cambridge. Siete qui a Detroit e quindi non valete abbastanza. Ma é qui che si sbaglia la signorina Evans perché tutti voi siete stati scelti da me, in base ai vostri voti, ai vostri saggi d'ammissione e in base alle risposte dei vari college a cui avete fatto domanda- disse, cogliendomi di sorpresa, sospirai. -Prendiamo ad esempio la nostra amica Evans, lei é stata ammessa a cinque delle università della Ivy League. La signiorina Evans é una delle persone più arroganti che abbia mai visto e sapete perché? Vuole spiegarcelo lei, signorina?- chiese, scoppiai a ridere e iniziai a pensare di essere davvero arrogante vista la situazione. -Non ho avuto il tempo di mostrarle la mia arroganza, professor Brown, quindi non saprei a che cosa si riferisce ora come ora- risposi, posando la borsa a terra. -La signorina Evans prima di fare domanda a questo college ha fatto domanda ai college più costosi del paese.

-Ed é per questo che mi considera arrogante?

-No, questo dimostra solo che é molto sicura di se. Ho letto il saggio che ha mandato a queste scuole e che secondo me l'hanno ammessa solo per il modo in cui l'ha scritto e per il contenuto. Perché considerato il suo curriculum, signorina Evans, lei non dovrebbe nemmeno trovarsi qui. La vostra compagna di classe é arrogante perché quando ha capito di non potersi permettere nessuno di questi grandi college ha fatto domanda qui ma non ha mandato il saggio che ha mandato alle altre scuole, ne ha mandato uno meno elaborato, meno studiato, meno interessante del primo. Questo perché?

-Perché chiunque puo' entrare in un college statale, il contenuto del saggio vale poco e quindi ho mandato materiale più scadente. Sinceramente? Avrei poututo scrivere di peggio, la Mary Groove dovrebbe sentirsi fortunata ad avermi ed é per questo che mi considero arrogante- risposi, l'insegnante annui' sorridendo. -Non vergognartene, Evans. Tutti i più grandi filosofi erano un po' arroganti.

-L'arroganza é la mia unica qualità, signore- replicai, la classe scoppio a ridere. Dopo un paio di minuti spesi a parlare di me e della mia vita, cosa che non mi piaceva, il professor Brown mi disse che potevo sedermi. La lezione fu molto interessante, il professor Brown amava farci rispondere e scommetto che amasse anche sentire le risposte stupide di alcuni studenti. -Prima di andarvene- disse, il professore dopo il suono della campanella. -Chi sa dirmi chi ha detto questa frase: ''il filosofo scrive cose che non capisci, poi ti fa credere che sia colpa tua''?- chiese, lo guardammo tutti perplessi non sapendo perché ci stesse facendo quella domanda. -Alzate la mano se lo sapete- aggiunse, quasi tutta la classe alzo' la mano, me compresa. -Abbassate le mani- disse, si guardo' intorno. -Samuel Beckett- disse, lo guardai confusa sapendo che si era sbagliato. -Siete tutti d'accordo?- chiesi, alla classe alzandomi. -Lei no, signorina Evans?- chiese, il professore, scossi la testa. -Quanti di voi non sono d'accordo?- chiese, il professore, alcuni alunni alzarono la mano timidamente e il professore mi guardo'. -Chi ha detto questa frase allora?- chiese, rivolgendosi a me. -Spero per te sia giusto altrimenti tutti quelli che hanno alzato la mano due secondi fa finiranno nella popo a causa tua.

-Boris Makaresko e ne sono piuttosto sicura- dissi, guardando le persone che avevano alzato la mano in disaccordo con il professore. -Bene! Le persone che hanno osato contraddirmi, non dovranno scrivermi un saggio sull'impatto della filosofia ai giorni nostri, tutti gli altri caproni...voglio vederlo entro venerdi' sulla mia scrivania- disse, con tono minaccioso. Sorrisi soddisfatta di me stessa e usci' dalla classe con orgoglio. -Sei stata gradiosa, Evans- disse, un ragazzo uscendo dopo di me. -Grazie a te la mia vita é meno pesante- disse, sorridendomi, serrai le labbra annuendo indifferente. -Mi chiamo Mike- disse, porgendomi la mano, la strinsi contro voglia. -Io sono 'non mi interessa', é un piacere- dissi, abbozzando un sorriso. Lui roteo' gli occhi e se ne ando' dandomi della stronza. L'arroganza era la mia unica qualità, poco ma sicuro.

-Con chi parlavi?- chiese Lauren, presi un chewingam e lo infilai in bocca. -Un fan- risposi, lei alzo' gli occhi al cielo e mi spinse. -Hai lezione o possiamo andare a cercare qualcosa da mangiare?- chiese Lauren. -Cinese?- chiese, -messicano?- replicai. -Non mi va di puzzare di cipolla per il resto della giornata.

-A me non va il maiale- replicai, lei mi guardo' e alzo' le sorpaciglia. -Giapponese?

-E che puzza di pesce sia- risposi, lei sorrise.

Tornammo a lezione verso del tre del pomeriggio e alle sei avevamo entrambe finito. Chiesi a Lauren di darmi un passaggio ad un bar che avevo trovato su internet. -Come farai a tornare?- chiese, con tono preoccupato. -Prendero' l'autobus o chiamero' un taxi, dipende da quanto ricca mi sentiro' una volta uscita da questo posto- scherzai, lei sorrise e mi saluto'. Presi la borsa e le feci l'occhiolino prima di scendere dall'auto. Sull'insegna del bar c'era scritto ''La Dea delle Luna'', sembrava uno di quei bar vecchio stile, rustici, vintage. All'interno c'erano un paio di uomini seduti a bere al bancone, non vidi nessun cameriere o barista cosi' iniziai a curiosare in giro. -Vuoi una mano?- chiese, un ragazzo mentre guardavo dietro al bancone e leggevo le etichette delle bottiglie di bourbon. -Salve- dissi, sperando con tutto il cuore che non fosse lui il proprietario del bar. -Addio- disse, con tono minaccioso mentre mi allontanavo lentamente dal bancone. Lo fulminai con lo sguardo nonappena mi manco' di rispetto. Incrociai i suoi occhi, grandi, enormi, occhi grigi. Mi rilassai per un'attimo, mentre cercavo di non sbavare per i suoi occhi. Aveva la pelle abbronzata, labbra carnose e lo sguardo piuttosto minaccioso. Era alto, molto più alto di me, cosi' alto da intimidirmi. Ed era difficile intimidirmi. -In che posa vuoi che mi metta?- chiese, distraendomi dal suo viso. -Come scusa?- chiesi, confusa. -Per la foto che chiaramente vuoi farmi- disse, mi scappo' un ghigno, era più una piccola risata nervosa perché chiaramente aveva capito che ai miei occhi piaceva. -Parli cosi' a tutti i clienti o solo alle ragazze?- replicai, avevo tirato fuori le armi e non avrei lasciato un figlio di papà qualunque mancarmi di rispetto. Nessuno mi metteva i piedi in testa. -Sei riuscita a fare una frase di senso compito, brava. Ora puoi andartene, ti mandero' un premio per posta- ribatté, mi prese piuttosto alla sprovvista una persona cosi' maleducata non l'avevo mai vista prima. -Suppongo tu sia uno di quei ricchi figli di papà che si danno alla deep house, fanno crescere la barba e indossano berretti di lana con quaranta gradi all'ombra. Credo che i media li chiamino Hipster- dissi, mi divertivo in quel genere di situazione. -Ti avrei trattato mille volte meglio se tu non fossi cosi' fastidiosamente irritante

-Hai iniziato a fare lo stronzo prima che aprissi la...

-La tua faccia, irritante- disse, interrompendomi. Mi leccai le labbra e sistemai gli occhiali sul naso. -Posso parlare con il proprietario?- chiesi, incrociando le dita sperando che non fosse lui. -Eccolo- disse, sbuffai esasperata e tornai a combattere. -Lavori da solo qui?

-Cerchi lavoro, piccola?- chiese, sorridendo, il suo sorriso mi fece perdere un battito. Aveva delle splendide fossette e il suo viso si illuminava. Peccato avesse un pessimo carattere. -Si, tu non mi piaci- dissi. -Preferisco essere chiamata con il mio nome e non con uno stupido nomignolo sessista.

-E sarebbe? Piccola ragazzina irritante? Angelo della perdita di tempo?

-Oh questa era davvero divertente- dissi indifferente e fredda, lui prese uno straccio e ando' verso i tavoli. Io lo segui' praticamente disperata. -Non hai bisogno di una cameriera? Sono piuttosto brava.

-Sei una ragazza.

-Davvero? Come lo hai scoperto? Cosa mi ha tradita le tette o i capelli?- chiesi, in tono sarcastico, lui si fermo' e mi guardo' di nuovo con quello sguardo minaccioso. -Ingaggiare una ragazza mi creerebbe più problemi che altro. E nemmeno tu mi piaci.

 

-Non sono la figlia illegittima di Robert Hais, okey? Sono cresciuta nei bassi fondi dei bassi fondi di Detroit, so cavarmela da sola- ribattei, lui si sedette al tavolo e io mi sedetti davanti a lui. -Allora devi essere davvero forte, dimmi devo avere paura di te o..

-Senti, ho capito, ti irrito e va bene cosi' perché nemmeno tu sei tra le persone più simpatiche che abbia mai conosciuto quindi facciamo le persone adulte e parliamo di lavoro. Mettimi alla prova, posso lavorare per una settimana qui e se trovi che io possa farcela mi assumi altrimenti me ne vado- dissi, sperando di non sentirmi rispondere in modo sarcastico o scontroso. -Perché dovrei farlo?

-Perché mentre eri a prendere il ghiaccio, io avrei potuto rubare tutti i soldi nella cassa- risposi, lui guardo' verso l'alto e sospiro. -Una settimana e al minimo errore sei fuori- disse, sorrisi soddisfatta e annui'. -Che cosa devo fare?- chiesi, posando la borsa dietro al bancone. -Parlare meno sarebbe utile- rispose, lo guardai sperando che capisse quanto fosse seccante. -Ah, parlavi di lavoro. Stai dietro al bancone per ora, devo ancora assumere un cuoco quindi alla cucina ci devo pensare io. Sai qualcosa di alcolici?

-Si, posso cavarmela- risposi, lui si guardo' intorno e annui'. -Vado nel mio ufficio, suona il campanello se il locale si riempie e hai bisogno di una mano- disse, prima di sparire dietro ad una porta in legno. -Sono Sunshine comunque..

-Alex- disse, chiudendo la porta del suo ufficio.

 

I primi clienti iniziarono ad entrare, alcuni di loro si sedettero al bancone, servi' i loro ordini con velocità ed elganza. Ma le cose iniziarono a complicarsi quando il bar inizio' a riempirsi e non sapevo come fare a servire la gente al bancone e quella ai tavoli. Me la cavai piuttosto bene per una buona mezz'ora, il mio orgoglio mi impediva di chiamare Alex ma poi lo feci ragionare e premetti il campanello. -Quali tavoli non hai servito?- chiese, con voce bassa e aria annoiata. -Li ho serviti tutti ma inizia a riempirsi e non so come gestirli da sola- spiegai, lui prese un grembiule e se lo allaccio' attorno alla vita.

Preparai in fretta tutti i drink che Alex mi chiedeva di preparare, quando dimenticavo un'ingrediente cercavo in fretta su google e mi salvavo il culo.

-Che ci fa qui la ragazzina?- chiese, un uomo sulla quarantina con addosso una maglietta sporca. Quell'uomo mi ricordava la persona che odiavo di più al mondo e di conseguenza detestavo anche quel pover uomo. -E' in prova- rispose, indifferente Alex.

-Cerchi di ucciderla?- chiese il cliente, strinsi i pugni, le unghie si conficcarono nella pelle. Mi concentrai sulla forza, più premevo più mi faceva male e non pensavo alla rabbia. Funzionava. -Hai un fazzoletto?- chiesi, con voce bassa, Alex sposto' lo sguardo su di me e mi passo' un paio di tovaglioli. Apri' le mani e vidi del sangue, strinsi i tovaglioli e tornai con la testa sul bancone. -Guarda, Alex, sono solo le nove e sta già iniziando una rissa- disse il cliente, alzai la testa e guardai la sala. Due uomini si stavano picchiando, Alex scavalco' il bancone ma per qualche ragione non ando' verso la rissa. -Gestisci la situazione piccola- disse rivolgendosi a me, scossi la testa e mi alzai. Frugai nella borsa in cerca del mio teser coprato per difesa personale, lo strinsi e mi preparai a tutto. Andai verso gli uomini con passo lento e pesante, a pochi passi da loro caricai il teaser e diedi una scarica al primo. Il secondo cerco' di colpirmi ma io mi abbassai e gli scaricai duecento volt sullo stomaco. Cadde a terra e tremo' per una decina di secondi. Alex era al mio fianco e guardava gli uomini per terra confuso. -E' illegale se non sbaglio- disse, scrollai le spalle e sorrisi. -Ho gestito la situazione se non sbaglio- dissi, rimettendo il teaser nei pantaloni. -Stai sanguinando- disse, rivolgendo lo sguardo alle mie mani. -Ho le mie cose, sanguino dalle mani quando succede- risposi, fredda, mi capitava di dire cose stupide quando non mi piaceva la persona con cui parlavo.

-Piccola- disse Alex, mentre tornavo al bancone, mi fermai e mi voltai pronta a darli una scarica. -Sei dentro ma non ho intenzione di farti da babysitter- disse, sorrisi e sospirai felice di aver ottenuto il lavoro senza fare la settimana di prova.

Erano le due quando finii di lavare e sistemare i bicchieri, la serata era finita in tranquillità e aspettavo che Alex mi mandasse via. -Ti voglio qui alle sei domani- disse, mentre si metteva la giacca di pelle, lo guardai e annui' soddisfatta. Presi la mia roba e uscii mentre lui mi teneva la porta aperta, chiuse a chiave il locale e mi guardo'. -Sai dov'é la fermata dell'autobus?- chiesi, lui sorrise e scosse la testa. -Niente autobus dopo l'una- rispose, sbuffai e pensai a come sarei potuta tornare a casa. -Sali', ti riporto a casa- disse, indicando la sua auto. Era piuttosto autoritario come ragazzo ma ero autoritaria anche io. -Chiamero' un taxi, ci vediamo domani capo- dissi, andando verso la strada. -Siamo a Detroit e anche se sei irritante e non mi piaci non voglio avere il tuo cadavere sulla coscenza. Sali e dammi il tuo indirizzo- disse, aprendomi la portiera, sali' sulla Jeep nera nonostante non volessi passare un momento di più con quel ragazzo. -Abito sulla Helmway- dissi, allacciando la cintura, lui fece retromarcia e usci' dal parcheggio. -Con i tuoi?- chiese, fui sorpresa di quella domanda. Non pensavo volesse avere una conversazione civile con me o con qualunque altro essere umano. -Da sola- risposi, mantendo un muro di ghiaccio tra noi. -Per questo hai il teaser.

-No, lo usa per massaggiarmi i polpacci- replicai, lui mi lancio' un'occhiataccia e io deglutii leggermente intimidita. Il resto del viaggio fu silenzioso e imbarazzante, almeno per me. Mi lascio' davanti al mio condominio e non rimise in moto l'auto finché non mi vide entrare. Non era un bastardo infondo, era semplicemente uno stronzo. Per questo non andavamo d'accordo, lui era uno stronzo e io ero una..stronza. Pessima accoppiata.

 

Ero sdraiata a letto, erano più o meno le cinque e mezza, Lauren si passava lo smalto sulle unghie mentre io fissavo il soffitto. -Lavori stasera?- chiese, la guardai e sbuffando annui'. -Il tuo nuovo lavoro onesto non ti piace?- chiese, mi conosceva bene ed era ovvio che non mi piacesse il mio lavoro ma non per il fatto di fare la cameriera era più per colpa di Alex e a me non piaceva tutto quello che aveva a che fare con un essere umano. -Non é poi cosi' onesto considerando che quel tipo potrebbe essere un'assassino e potrei essere io la sua prima vittima.

-Che c'é che non va con il tuo capo?

-E' un pezzo di merda, una di quelle persone che ti rispondo ad una domanda con un'altra domanda. Costantemente sarcastico, freddo, sguardo sempre spento...

-Stai descrivendo te stessa o é solo una mia impressione?- chiese Lauren, le lanciai un cuscino che fu costretta a prendersi in pieno volto visto che aveva le unghie ancora umide. -L'unica cosa positiva di quel tipo é che é un bel ragazzo.

-Quanti anni ha?- chiese Lauren, ci pensai su per qualche secondo e poi ricordai che non eravamo amici per parlare d'età. -Un numero a due cifre?- chiesi, lei alzo' gli occhi al cielo. Era la quarta volta quel pomeriggio. -Hai detto che ti ha riaccompagnata a casa...quindi é premuroso.
-Sarebbe stato premuroso se fossimo nel Kansas e volesse semplicemente farmi un favore ma siamo a Detroit e qui se ti riaccompagnano a casa é solo scappare dal senso di colpa- replicai, lei sorrise e soffio' sulle dita per farle asciugare. Mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto, iniziai a mordicchiarmi le unghie e a pensare. -Vorrei attaccare le foto di Hope e di mio padre lassu'- dissi, indicando il soffitto. Lauren guardo' in alto e sorrise malinconica. -Non credi che cosi' facendo..

-Forse é meglio iniziare da quelle di Hope- dissi, quando provai una stretta al cuore pensando a mio padre. -Ti do un passaggio al lavoro?- chiese Lauren, prendendo la sua roba, saltai giù dal letto e annui'.

Entrata al bar Alex mi fulmino' con lo sguardo. -Si prospetta una giornata da favola- borbottai, lui mi fulmino' di nuovo e i sorrisi in modo piuttosto forzato. Infilai le cuffie e feci partire la mia playlist. Puli' tutto il locale senza rivolgere parola ad Alex, e mi stava benissimo. Quando inizio' ad entrare la gente non fecimo altro che scambiarci le ordinazioni senza rivolgerci parola. E a fine giornata quando mi sedetti a terra esausta non mi disse niente. -Posso andare?- chiesi, sperando in una risposta concisa. -Devo solo finire un paio di email e poi ti riporto a casa- disse, sembrava più calmo di prima. -Non serve che mi riaccompagni ogni volta- replicai, lui alzo' lo sguardo verso di me. -E' l'ultima volta infatti.

-Bene.

-Bene- ripeté, prese la sua giacca e usci'. In macchina l'atmosfera era persino peggiore di quella del giorno prima, una stupida gara a chi piscia più lontano e anche se era stupida non avrei lasciato perdere.

Quando mi buttai sotto alle coperte dopo una bella doccia, strinsi a me l'orso di peluche preferito della mia sorellina e chiusi gli occhi sperando di dormire. Mi risvegliai di colpo quando il giorno più brutto della mia vita si trasformo' in un incubo. Lei era li', nella vasca da bagno, con i polsi dilagnati e lo sguardo assente.

Ero sudata, stanca e avevo il viso bagnato dalle mie stesse lacrime, mi trascinai in bagno e apri' l'acqua. Riempi' la vasca da bagno d'acqua fredda e mi infilai dentro ancora vestita, trattenni il respiro e restai sott'acqua per qualche secondo. Non mi rialzai fino a che inizio' a mancarmi l'aria. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la mia piccola Hope, nella posizione in cui mi trovavo io, con il suo sangue sparso per il bagno. Se fossi tornata a casa solo dieci minuti prima, probabilmente l'avrei salvata. Se non avessi dato retta a Callum, probabilmente io e lei vivremmo insieme, probabilmente lei sarebbe viva.

Restai in quella vasca fino al suono della mia sveglia, la svuotai e mi feci una doccia veloce. Indossai un paio di jeans e un maglione e usci' di casa con i capelli ancora bagnati. Sali' sull'autobus e infilai le cuffie, feci partire l'ultimo album dei Fall out boy e cercai di svuotare la mente. Di pensare a cose che non avessero a che fare con il mio passato, di pensare alle cose a cui pensano i giovani della mia età.

-Buongiorno mia dolce metà- esclamo' Lauren, porgendomi un caffé, sorrisi sperando di sembrare credibile e bevetti un sorso di quel nettare degli dei. -Come va?- chiesi, regolando il mio tono di voce sulla stessa frequenza di Lauren. -Bene, com'é andata ieri sera?

-Mi ha ordinato di non rivolgerli parola per tutta la durata del lavoro- risposi, lei alzo' le sopraciglia e apri' la bocca scioccata. -E' un bastardo!- esclamo', mentre mi accompagnava in classe. -Si, probabilmente- ribattei, le sorrisi ed entrai in classe. -Ci vediamo a pranzo- dissi, prima di chiudere la porta. Andai a sedermi al solito posto e poggiai la testa sul banco. -Vorrei che mi citiate il nome di alcuni grandi filosofi storici- disse il professor Brown, cercai di non addormentarmi perché la lezione sembrava importante. -Samuel Beckett?- chiese, dubbiosa una ragazza alle mie spalle. -Era uno scrittore e un poeta, non un filosofo- borbottai. -Oscar Wild.

-Nemmeno lui é considerato storico, chi sa dirmi il perché?

-Perché quando si parla di ''storici'' parliamo dei primi filosofi che hanno fatto poi la storia della filosofia. Socrate, Platone, Telete, i grechi insomma- risposi, senza alzare la testa dal banco. Il professore non aggiunse altro e continuo' la lezione. Presi qualche appunto e finita la lezione corsi in caffetteria a prendermi un'altra dose di caffeina. Arrivai alla lezione di giornalismo con cinque minuti di ritardo ma la professoressa non disse niente. La professoressa ci fece una lezione intera sui mass-media ma tentai di uccidermi conficcandomi la matita in un occhio solo dopo la prima mezz'ora.

-Guarda chi esce dalla classe di giornalismo- disse, una voce maschile alle mie spalle, mi voltai lentamente sperando che la faccia di quella persona non fosse quella che mi aspettavo che fosse. -Come stai Sunny?- chiese, in tono premuroso, sospirai e feci un passo indietro cercando di mettere più distanza possibile tra me e lui. Aveva tagliato i capelli dall'ultima volta che l'avevo visto, si era fatto crescere la barba ed era andato in palestra. -Sono stata meglio- risposi, lui annui' e si avvicino'. Incrociai le braccia e mi preparai a qualunque tipo di scontro. -Ho provato a chiamarti dopo quello che é successo..

-Ho bloccato il tuo numero- replicai, lui abbasso' lo sguardo e si passo' una mano tra i capelli. -Come sta il tuo caro amico Travis?- chiese, digrignando i denti e stringendo i pugni. -Mi ha chiesto di salutarti- risposi, fredda e indifferente. -Lo frequenti ancora?

-Non sono affari tuoi, Callum. In realtà ti ho già dedicato troppo tempo, la prossima volta che hai voglia di parlarmi sbatti la testa contro al muro e scommetto che tornerai a riflettere come si deve- risposi, prima di girare i tacchi ed andarmene. Durante la lezione di sociologia cercai di rimettere le cose al proprio posto e dimenticare di aver visto Callum. A pranzo ne parlai con Lauren che mi fece mille domande sul perché ce l'avessi cosi' tanto con lui nonostante il nostro ''passato''. -Non puoi capire- dissi, sperando di cambiare argomento. -Ho una buona notizia, sta sera hai un'appuntamento- disse, iniziai a sbattere dolcemente la testa contro al tavolo. -Non voglio uscire con nessun essere vivente di sesso maschile, ho avuto pessime esperienze con loro.

-Si, lo so ma non avevi ancora trovato l'uomo giusto. Probabilmente l'hai conosciuto,e non sto affando parlando di Callum, ma lo hai lasciato per ragioni stupide come fai sempre.

-Dire che non parli di Callum mi fa pensare che tu stia parlando di Callum- replicai, lei scosse la testa offesa. -E' un'appuntamento a quattro, io te e altri due ragazzi. Nessuna pressione se non ti piace puoi mandarlo a cagare- disse, dopo una lunga conversazione sull'appuntamento fini' per accettare.

 

Il giorno dopo, finite le lezioni tornammo a casa mia per preparaci per l'appuntamento. Avendo un lavoro non potevo uscire con loro la sera quindi decidemmo di andarci a prendere un gelato in città. Lauren inizio' a svuotare il mio armadio in cerca di qualcosa di sexy e femminile da farmi indossare. Era semplice routine per noi. Quando Callum mi chiese di uscire per la prima volta, Lauren mi invito' a casa sua alle tre del pomeriggio e né usci' solo alle sette, truccata, pettinata e vestita da lei. -Pensavo di non farti indossare dei tacchi perché rischieresti di essere più alta di lui e non a tutti i ragazzi piace- disse, mentre giacevo assente sul letto. -Ah é perché non vuoi far stare male lui, non é perché io subito dopo dovro' andare a lavorare come cameriera e con un paio di tacchi sarebbe molto scomodo.

-No, a nessuno importa di te, tesoro- scherzo', le lanciai un cuscino ma con la mia pessima mira cadde a un paio di centimetri da lei. -Che ne dici di andare sul casual?- chiese, lanciandomi dei vestiti. Un paio di pantaloncini di jeans, un crop top nero e una camicia in flanella. -Non viviamo in California.

-Ma il tempo non é niente male, non piove- disse, sbuffai e decisi di assecondarla. -Non pensavo avresti scelto cosi' in fretta.

-Devi lavorare dopo quindi ho pensato a qualcosa che mettesse in risalto i tuoi punti forti senza doverti far indossare abiti che chiamino gli stupratori.

-E quali sarebbero questi punti forti??

-Tette, culo, gambe- rispose, scoppiai a ridere e lei continuo' a fissarmi come se stessi ridendo senza una buona ragione. -Vestiti, dobbiamo uscire tra due ore.

-Giusto il tempo per guardarci un film- dissi, lei mi fulmino' con lo sguardo e mi alzai quasi per paura. Allacciai le converse bianche che mi costrinse ad indossare e mi buttai sul divano ad aspettare che lei finisse di prepararsi.

Sali' sull'auto di Lauren e sperai con tutto il cuore che andasse bene, ovviamente non avrei mai incontrato l'uomo della mia vita grazie ad un'appuntamento al buio organizzato per pietà ma speravo comunque di passare un pomeriggio tranquillo. Lauren diede appuntamento ai ragazzi davanti ad un centro commerciale, lei conosceva uno di loro quindi non ci saremmo guardate in torno alla ricerca di un ragazzo vestito di blu o di verde militare. Lauren ando' verso un ragazzo alto, muscoloso, biondo e con l'aria da figlio di papà. Accanto a lui c'era un ragazzo anche lui alto e muscoloso ma meno figlio di papà e più figlio di nerd. Indossava una felpa blu, una t-shirt degli

X-men e un paio di jeans scuri. Aveva occhi azzurro chiaro ed era carino. -Lauren?- chiese, il primo ragazzo avvicinandosi. -Paul, é un piacere rivederti- disse Lauren, con un sorriso, probabilmente quel Paul si era già innamorato di lei. -Lei é Sunny, la mia migliore amica- disse Lauren, presentandomi. -Preferisco essere chiamata Sunshine, piacere- dissi, stringendo la mano del primo e poi del secondo. -Logan, piacere mio- disse, con un sorriso. Guardai la sua maglietta e mi feci scappare un sorriso, poi pensai che magari nemmeno conosceva la copertina del fumetto da cui era tratta la sua maglietta e tornai ad essere fredda. -Siete di Detroit?- chiese Lauren, mentre entravamo nel centro commerciale. Fortunatamente c'era lei a gestire le conversazioni. -Siamo qui per gli studi.

-Quindi siete venuti in una delle città più pericolose dello stato per studiare?- chiesi, sorpresa, loro sorrisero anche se non capivo che cosa ci fosse di divertente. Ero seria. -I nostri genitori sono cattolici e hanno voluto mandarci in una delle migliori università cattoliche del Micchigan- disse Paul, alzai gli occhi al cielo e accellerai il passo. -Mi pare di aver capito che lavori- disse Logan, camminando alla mia stessa velocità. -Esatto- dissi, con indifferenza. -Che cosa fai?

-Cameriera, barista, cuoca..quello che mi chiedono di fare- risposi, senza rivolgerli lo sguardo. -E riesci a gestire li studi e il lavoro?
-Ci sono abituata- risposi, lui annui' e si fermo' con gli altri a prendere un gelato. -Tre gelati e un frozen yogurt- disse Lauren, alla cameriera, dopo aver dato i vari gusti i ragazzi guardarono Lauren. -A Sunny non piace il gelato- disse Lauren, cercando di trovare un'argomento di cui parlare visto e considerato che io non ero molto utile. -Ah no? Perché?- chiese Logan, sorrisi divertita dalla domanda. -Per il modo in cui la terra gira intorno al sole- risposi, Lauren sorrise ma poi si ricordo' che era un'appuntamento e inarco' le sopraciglia e mi fulmino' con lo sguardo. -Ha un senso dell'umorismo particolare- spiego' Lauren, le sorrisi e lei si trattenne dal ridere. -Da quanto vi conoscete?

-Dodici anni- risposi, guardandola, lei sorrise annuendo. -Gli psicologi dicono che se un'amicizia dura per più di sette anni allora durerà tutta la vita- disse Paul, mi mordetti il labbro inferiore e mi trattenni dal parlare. -Sunny, non sono quei cartoni che leggi quando hai voglia di sentirti maschio?- chiese Lauren, indicando la maglietta di Logan. -Si chiamano fumetti, Lauren.

-Lo so ma é più divertente cosi'- replico', Logan mi guardo' con gli occhi luminosi e un sorriso. -Leggi fumetti?- chiese, rivolgendomi tutta la sua attenzione. -Fumetti Marvel più che altro- risposi, lui sorrise di nuovo e si avvicino' con la sedia a me. -Eroe preferito?

-Xavier e tutti gli Xmen- risposi, lui alzo' la mano e aspetto' che gli battessi il cinque.

Per il resto dell'appuntamento parlammo di film e fumetti, fu piuttosto interessante ma non poi cosi' interessante. Prima di salutarli ci scambiammo i numeri di telefono anche se ero sicura che non l'avrei più rivisto. Lauren mi lascio' al lavoro e io mi preparai mentalmente ad affrontare Alex e i suoi sbalzi d'umore.

 

   
 
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