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Autore: Levyan    03/02/2017    0 recensioni
Due anni dopo gli eventi dello speciale Omega Ruby e Alpha Sapphire, molte cose sono cambiate. E molte vecchie conoscenza avranno modo di reincontrarsi ad Holon, un resort per Allenatori in cui tradizioni e leggende sono sostituite da comodità e attrazioni. Sarà necessario far fronte ad un nuovo pericolo. Purtroppo non tutti gli amici che si hanno accanto sono sempre quello che crediamo siano.
Ma la follia è come la gravità, basta solo una piccola spinta.
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Levyanbräu (Pokémon Adventures)'
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Capitolo 4: San martino pt. 1
 
 
Sapphire uscì fuori dall’ospedale. Aveva bisogno di una boccata d’aria. Aria pura. Trovò soltanto polvere. Aria pesante e satura, difficile da respirare, difficile da mandar giù.
Erano le prime ore della sera, il cielo cominciava a prendere una fievole tinta rossastra, il sole a nascondersi dietro l’angolo dell’orizzonte. Il mare era calmo, i Wingull erano tornati a stridere. La zona transennata era stata riaperta, almeno nei primi tratti. Operai a cavallo di macchine ed escavatrici avevano iniziato a lavorare sulle macerie. Appena fuori dal centro erano state allestite alcune piccole tendopoli per i pochi rimasti senza dimora. Ormai non vi era più bisogno di soccorso urgente, la situazione si stava stabilizzando. Gli aiuti arrivavano dalla buona volontà delle persone e dalla solidarietà delle altre regioni.
‒ Come stai? ‒ le domandò Blue comparendole alle spalle.
La ragazza sembrò quasi colta alla sprovvista.
‒ Momento di riflessione? ‒ provò ad indovinare la donna di Kanto.
‒ Figurati ‒ ribatté Sapphire infastidita.
‒ Non ricordavo fosse tanto brutto ‒ commentò Blue mentre guardava il panorama di distruzione.
‒ Cosa? Il disastro?
‒ No, il senso di impotenza.
Sapphire prese tempo.
‒ È qualcosa a cui devi abituarti, facciamo combattere i nostri Pokémon e diventiamo famosi, ma non siamo niente in confronto a tutto questo… basta tanto così e neanche sappiamo reggerci in piedi sulle nostre gambe.
‒ Che filosofa… ‒ commentò Blue alzando le sopracciglia. ‒ Non avrei mai sentito dire certe cose alla vecchia Sapphire.
‒ Quale vecchia Sapphire?
‒ Quella che diceva quello che pensava senza tergiversare troppo attorno al nocciolo del discorso.
Sapphire la guardo storta.
‒ A cosa pensi? ‒ le chiese infine Blue.
‒ Penso dobbiamo capire cosa sta succedendo qui. Ruby si tiene i suoi segreti per sé e intanto la gente muore. Voglio arrivare al fondo di questa vicenda.
‒ Troppo facile, non siamo mica in un videogioco…
‒ Lo so ‒ Sapphire non riusciva a staccare gli occhi dalle macerie informi che si erano riversate sul terreno.
‒ Sembra di essere tornati indietro, vero?
‒ Sì, è tutto come prima.
‒ Qual è il tuo piano, allora?
Sapphire si morse il labbro. ‒ Non… non ne ho idea…
‒ Sapphire, ti prego, tu sei l’unica a conoscere abbastanza bene Ruby da poterlo convincere a spiegarci che cosa sta succedendo.
‒ No, io non lo conosco più.
Blue sembrò quasi intenzionata a schiaffeggiarla.
‒ Per favore, ragazza! Dacci una mano e smettila di comportarti come se tutto il male del mondo fosse stato riversato su di te! ‒ girò i tacchi e se ne andò via scalciando un qualche pezzo di metallo rimasto a terra.
Sapphire non ebbe la forza di reagire. Non si aspettava quella violenta reazione, non certo da Blue.
Si voltò a guardarla mentre affondava furiosamente i passi lontano da lei. Era sotto stress e parecchio stremata, la capiva. Decise di seguirla.
 
Red uscì fuori dall’ufficio del primario. Aveva gli occhi sbarrati e stringeva in mano una cartella di colore giallastro. Si appoggiò con le spalle al muro, sentiva che le gambe avrebbero ceduto da un momento all’altro. Trasse un lungo respiro. Niente, i polmoni sembravano rifiutarsi di accumulare anche solo lo stretto necessario di ossigeno di cui il suo corpo aveva bisogno. Aveva la gola secca e i muscoli privi di ogni energia. Non aveva alcuno dei suoi Pokémon con sé, e ringraziò il cielo, altrimenti la loro ansia e il loro nervosismo avrebbe messo ancora più alla prova la sua psiche.
Solamente quando l’ultimo brivido fu passato lungo la sua spina dorsale il suo cervello tornò a ragionare. Mise la cartella del responso nella borsa, la nascose bene. Cercò il bagno più vicino.
Quando entrò il pungente tanfo sovrastato da un ancor più acre odore di disinfettante gli penetrò nelle narici. Il Campione di Kanto impiegò numerosi lunghi istanti per capire se dovesse svuotarsi o no la vescica. Optò per il no. Passò le mani sotto uno dei rubinetti e questo attivandosi le irrigò con un forte getto d’acqua. Si buttò qualche manata di gelo liquido sul volto.
Si guardò allo specchio con il volto ancora fradicio e gli occhi vuoti che non riuscivano ad uscire da quell’oblio in cui erano caduti.
“Sii forte” disse una voce nella sua testa.
Senza rendersene conto un singhiozzo era fuggiascamente uscito dalla sua gola. Red si spaventò, non avrebbe dovuto piangere. Tuttavia, quando la pressione cominciò a salirgli lungo le guance fino a giungere ai suoi occhi, non poté trattenere una smorfia di disgusto.
La sua bocca si aprì e le sue corde vocali cominciarono a vibrare. Sputò fuori dai polmoni tutta l’aria che essi contenevano.
Gridò. Non curandosi di chi avrebbe potuto sentirlo. Gridò.
Cinque minuti dopo era fuori dal bagno. La camicia era a posto, i pantaloni sistemati e si era persino pettinato i capelli con le mani. Il suo volto era quello del Red del giorno prima. Sorridente, calmo, maturo. In fin dei conti era pur sempre il Campione di Kanto.
Tornò nella sala d’attesa dove tutto il suo gruppo lo stava aspettando. Vide una Blue imbronciata e a braccia conserte che era seduta con la schiena appoggiata alla spalla di Green. Silver dal canto suo sembrava essere la sua fotocopia, stessa posizione, stesso sguardo. Crystal poco lontano da lui sedeva con tutti i muscoli tesi mentre fissava con odio viscerale la copertina di una rivista, i suoi occhi sembravano doverla perforare da un momento all’altro. E no, non vi era nessun Ruby in prima pagina, ma probabilmente quel giornalino era la prima cosa che il suo sguardo aveva trovato oltre il vuoto. Gold era lontano che conversava con Platinum nella maniera più sobria che gli avesse mai visto fare. Sapphire non c’era.
‒ Amore ‒ Yellow aprì le braccia andandogli incontro. ‒ È tutto ok?
Red la guardò dritta negli occhi. Pensò a quanto fosse bella e a quanto fosse bello baciare le sue labbra. Desiderò di urlare ancora.
‒ Sì, tutto ok ‒ rispose.
La gente scorreva attorno a loro: pazienti, medici, infermieri, visitatori. Red sentiva solo il sangue pulsargli sulle tempie e il cuore battergli talmente forte da dargli l’idea di star per colpire Yellow. I due si staccarono. Appena in tempo perché Red intravedesse tra la folla, appena oltre la sua ragazza, una faccia conosciuta.
‒ Guarda chi è venuta a trovarci ‒ sussurrò a Yellow.
 Quella voltandosi individuò subito la faccia di Misty tra la folla. Fece una smorfia che il ragazzo non poté vedere.
‒ Red! ‒ esclamò la Capopalestra di Celestopoli individuandolo.
Corse dal ragazzo e gli saltò tra le braccia. Yellow prese vistosamente le distanze.
‒ Stai bene, state tutti bene ‒ trasse un sospiro di sollievo mandando lo sguardo anche a Green e gli altri.
Yellow non intervenne perché capiva sia che Misty poteva non sapere ciò che era sbocciato tra lei e Red negli ultimi tempi sia che la ragazza fosse rimasta troppo tempo in ansia per un ragazzo di cui era sempre stata cotta. Tuttavia, non poteva negare che la sua espansività nei confronti del moro le desse non poco fastidio.
‒ Sì, grazie per essere venuta, noi siamo a posto ‒ le rispose Red.
Il volto della giovane si illuminò di un sorriso radioso che affondò nell’abbracciò dell’amico. Poi quella luce sparì per un’istante.
‒ Mi dispiace per Emerald…
‒ Lo so.
E Misty fu soltanto la prima di un interminabile processione di Capipalestra e amici dei Dexholder che si presentarono dentro quell’ospedale per dar loro un abbraccio, salutarli, accertarsi che stessero bene o solamente dirgli grazie. Pian piano la zona cominciò a riempirsi di parole e di traffico di visitatori.
 
Nel frattempo, Sapphire era ancora fuori dall’ospedale. Camminava, sentiva ogni singolo pezzo di cemento che passava sotto le sue sneakers, cercava di far scendere l’aria nei polmoni. L’ultima volta che la sua psiche era stata sottoposta ad un trauma tanto forte lei aveva perso il quasi totale utilizzo delle corde vocali. Ricordava bene quei giorni, la settimana in cui avevano avuto a che fare con la pioggia di meteoriti. Lei e Ruby avevano superato anche quello, insieme.
‒ Che coraggio hai avuto ‒ esclamò una voce alle sue spalle.
Era Alice, Capopalestra di Forestopoli e un tempo sua istruttrice.
‒ Ciao, maestra ‒ la salutò Sapphire con un barlume di sorriso in volto.
Quella scosse la testa.
‒ Niente maestra, mi hai superata ormai da anni.
‒ Grazie.
Le due si strinsero in un maturo abbraccio. Sapphire era sinceramente felice di vederla.
‒ Ho saputo di Emerald…
Quella fievole serenità che era comparsa nell’animo della ragazza fu smorzata all’istante.
‒ Scusa… io… ‒ Alice se ne rese conto.
‒ Niente, va tutto bene, mi dispiace solamente che il suo sacrificio sia stato vano.
Alice fece una smorfia di disappunto: ‒ Che cosa intendi dire?
‒ Ecco… Ruby…
‒ Ruby sta bene, l’ho visto uscire dall’ospedale proprio pochi minuti fa, sembrava di fretta.
Sapphire cambiò espressione: ‒ Ruby se ne sta andando?
‒ Sì, lui…
‒ Perdonami, Alice, ma ho un impegno importante ‒ Sapphire le voltò le spalle.
Alice fece appena in tempo ad abbozzare una sorta di sorriso.
‒ Va bene, dolcezza, volevo dirti che sono contenta che tu stia bene. Hai avuto un gran fegato lassù.
‒ Grazie, davvero ‒ la ringraziò toccata.
Sapphire cominciò a correre. Avrebbe dovuto intercettare Ruby, era la priorità che quel ragazzo rimanesse rintracciabile. Allo stato attuale vi era per lui la situazione più comoda per andarsene, con le telecamere ancora impegnate con i servizi sulla catastrofe e poco dirette verso le star come loro.
‒ Tropius!
Il Pokémon Frutto spalancò le ali permettendole di salire a cavalcioni sulla sua schiena. In quel momento ricordò il motivo per cui era debitrice alla sua insegnante: le tecniche di volo che aveva imparato da lei. Il rettile salì di quota dando a Sapphire una panoramica sulla situazione circostante. Ai suoi occhi balzò per prima la vista del gigantesco squarcio lasciato dal colpo di Rayquaza. Sembrava proprio una cicatrice che spezzava l’armonia di una città come Vivalet. Poi però tornò a concentrarsi. Vivere in mezzo alla natura le aveva fatto sviluppare dei sensi acutissimi, infatti individuò il Flygon di Ruby con in groppa il proprio Allenatore quasi immediatamente nonostante avesse raggiunto la quota di settecento metri da terra.
Sussurrò un ordine all’orecchio di Pilo e quest’ultimo ritirò le ali per scendere in picchiata. Ruby si trovava poco lontano dall’ospedale, volava verso il quartiere d’élite, dove probabilmente era l’hotel nel quale aveva alloggiato durante i giorni del torneo. Decise a che punto intercettarlo: appena sopra un vicoletto che sembrava abbastanza isolato da permetterle di strillare contro quel ragazzo senza problemi. Comunicò il piano d’azione al suo Pokémon e questo aggiustò la rotta.
L’aria le scompigliava i capelli e la costringeva a tenere gli occhi socchiusi, calcolò la distanza che intercorreva tra Ruby e il terreno, il sibilo del vento la stava quasi assordando. Precisione millimetrica. Sapphire scese dal suo Tropius senza alcuna paura, mise un piede su Flygon, afferrò Ruby per la collottola e lo tirò giù con sé verso il terreno. Certamente non era miss Delicatezza di Hoenn, lei. Il ragazzo finì a terra, strappandosi i pantaloni, lacerandosi la maglia e spaccandosi entrambe le lenti degli occhiali. Sapphire, atterrando con equilibrio da manuale, credette di vederlo perdere qualche goccia di sangue.
‒ Che cazzo ti salta in… ‒ provò a dire Ruby.
‒ Stammi a sentire, stronzo! ‒ Sapphire lo tirò su solo per gettarlo addosso al muro del vicolo. ‒ Dove credi di andare?
‒ Sapphire, tu sei fuori di testa…
‒ Esattamente, sono fuori di testa e ti conviene non farmi arrabbiare!
‒ Mi hai rovinato tutti i…
‒ Non me ne frega un cazzo! ‒ e gli assestò un ceffone che probabilmente era stato udito da tutto il quartiere.
Ruby tacque. Aveva il lato destro del volto completamente rosso e guardava la sua ex amica con odio.
‒ Mettiamola così, la colpa è tua per tutto, per la morte di tutti quegli innocenti, per la morte di Emerald e per la morte di Rayquaza, mi capisci? ‒ e lo spinse una seconda volta contro il muro. ‒ Ma dato che sapevi tutto questo prima che accadesse allora io pretendo il tuo aiuto che è il minimo che tu possa darmi dopo quello che hai combinato, ok? ‒ e lo prese ancora per la maglia cercando di essere più minacciosa possibile.
Ruby girò di novanta gradi, e Sapphire con lui, giusto per non avere più le spalle al muro.
‒ Dopo che avremo risolto questa faccenda per me puoi anche andare a farti fottere.
Ruby sembrò accusare la cosa: ‒ Cerchiamo di darci una calmata… ‒ mormorò provando a togliersi di dosso le mani della ragazza.
‒ Ah! ‒ esclamò quella scaraventandolo via da sé. Il suo tocco era stato rovente.
Ruby inciampò su uno scatolone che era a terra e fini addosso ad una recinzione. La sua schiena affondò in un groviglio di filo spinato arrugginito e, cacciando un urlo, il ragazzo si contorse e finì a terra in mezzo ad una pozza formata dal suo sangue misto al lerciume che c’era a terra.
‒ Oh cazzo! ‒ esclamò Sapphire rendendosi finalmente conto di aver a che fare con un essere umano fatto di carne.
‒ Sapphire, porca miseria ‒ Ruby sbatté un pugno a terra. Era ancora vivo e cosciente.
La ragazza provò ad andargli incontro per fare qualcosa, ma di nuovo, toccandolo, ottenne solo di scottarsi la mano come se l’avesse posata su un vassoio appena uscito da un forno. Si ritirò emettendo un gemito.
E quasi si rifiutò di credere a ciò che si manifestò davanti a lei. La sofferenza scomparve sostituita dallo stupore.
Dalla schiena di Ruby si levò un lieve odore di carne bruciata. La sua pelle emise lo sfrigolio di un pezzo di metallo rovente immerso nell’acqua. Del vapore avvolse la sua figura dolorante e ansimante a terra.
Ruby tremava e sembrava star soffrendo parecchio.
Poi, davanti agli occhi esterrefatti di Sapphire, le sue ferite si cauterizzarono all’istante e il suo sangue smise di uscire. Tutti i graffi e i tagli che Ruby aveva sul suo corpo si chiusero. Al loro posto, complessi disegni formati da linee rosse e blu si aprirono un solco nella sua schiena.
Quando il processo terminò, Ruby smise di respirare a fatica, e si rialzò davanti ad una quasi terrorizzata Sapphire.
‒ Che diavolo è appena successo? ‒ domandò lei.
Ruby testò alcuni movimenti per saggiare che tutto fosse a posto.
‒ Questo è Groudon ‒ rispose solo. ‒ le Gemme hanno diversi effetti sul mio corpo, tra cui la possibilità di sistemarmi le ferite con il fuoco.
‒ Stai scherzando? ‒ fece incredula Sapphire.
‒ Che cosa hai appena visto?
La ragazza non rispose.
Ruby annuì: ‒ Ora che ti sei calmata… la risposta è no.
Sapphire fece un rewind mentale per tornare alla rabbia di istanti prima. Evitò stavolta di mettere le mani addosso al ragazzo, ma gli urlò comunque in faccia: ‒ Vuoi prendermi in giro? Ruby, sono morte delle persone!
‒ E né io né tu possiamo resuscitarle! ‒ rispose lui.
Ruby tolse la maglia ridotta a brandelli. Sapphire ebbe appena il tempo di vedere tutto il corpo snello di Ruby coperto centimetro per centimetro da linee e disegni rossi e blu prima che questo prendesse dalla borsa che era rimasta sul suo Pokémon una maglietta nuova. La ragazza fece finta di niente, doveva fissarsi in testa che Ruby non fosse una vittima della situazione.
‒ Senti, mi dispiace e sì, lo sento il bruciante senso di colpa se proprio vuoi saperlo ‒ proseguì il ragazzo. ‒ Ma ora non possiamo fare più niente e peggioreremo solo la situazione se io non mi affretto ad andarmene ‒ fece per tornare su Flygon.
Sapphire tornò definitivamente in sé. ‒ Non posso lasciartelo fare ‒ mormorò. ‒ Ruby, ti prego.
Il ragazzo mise il paio d’occhiali di riserva che teneva nello zaino. Questi avevano una montatura meno alla moda e delle lenti più spesse. ‒ No.
E Flygon spiccò il volo in una frazione di secondo, tanto veloce da dare quasi alla ragazza l’impressione averlo visto scomparire.
‒ Stronzo! ‒ esclamò lei stridula.
Il suo Tropius era apparso dietro di lei qualche istante prima. Pure lei fu rapida a tornare in volo. Non vide alcun Flygon nei dintorni. Guardò meglio.
‒ Eccoti… ‒ mormorò individuando un supersonico Latios che volava come una freccia fendendo le nuvole al suo passaggio. La ragazza sapeva bene che se era presente Latios, nei dintorni avrebbe trovato pure sua sorella. ‒ Latias! Latias, dove sei? ‒ esclamò a voce altissima.
Timidamente, si mostrò a lei una figura rossa e bianca. La dragonessa aveva gli occhi lucidi.
‒ Riesci a stare dietro a tuo fratello? ‒ chiese saltandole in groppa e facendo rientrare Pilo.
Quella fece una smorfia. Era restia, non voleva muoversi.
‒ Ti è stato detto di non ascoltarmi… non è vero?
Quella abbassò il capo.
‒ Per favore, Ruby te lo ha detto per non farsi seguire, io invece voglio solo trovare colui che ha ucciso Rald ‒ alla pronuncia del suo nome, lo sguardo di Latias si rinvigorì. ‒ Per favore…
Il Pokémon Eone prese la sua decisione, si mise in posizione per dare il tempo a Sapphire di assicurarsi al suo corpo. E in meno di un millesimo di secondo aveva raggiunto una velocità tale da far tornare Ruby visibile agli occhi della ragazza.
‒ Eccolo! ‒ esclamò Sapphire. ‒ Dobbiamo prenderlo!
Latias spinse di più. La sua forma aerodinamica passava attraverso l’aria con estrema facilità, l’Allenatrice che la guidava si era posizionata più aderente possibile a lei in modo tale da non opporre resistenza. “Trovare chi ha ucciso Rald”. Quello stava pensando, quel pensiero la alimentava.
E in un blitz temporale si ritrovò a pari merito con suo fratello Latios che in groppa stava portando Ruby.
‒ Ruby devi fermarti! ‒ esclamò Sapphire.
Il ragazzo si mostrò infastidito dalla sua veemenza.
‒ Te lo sto chiedendo come vecchia amica, per favore!
‒ Un po’ difficile chiamare vecchia amica una che fino a poco fa mi ha gettato giù dal mio Pokémon per picchiarmi! ‒ ribatté lui.
‒ Andiamo, da quando sono io quella che si è comportata di merda tra noi due?!
Lui non rispose.
Allora parlò Latias, che emise il suo acuto verso nell’intento di comunicare con suo fratello. Disse qualcosa. Sapphire comprese che gli stava comunicando le sue intenzioni, allora la esortò a continuare. La ragazza vide Latios aprire gli occhi, ragionare. La sua espressione era quasi confusa. Ma il buon senso e la fiducia ebbero la meglio, il dragone rallentò. Ruby si trovò immobile a mezz’aria di fronte a Sapphire.
‒ Digli di scendere ‒ intimò lei a Latias.
Quella provvide. Pochi secondi e tutti e due gli Allenatori di Hoenn erano sul tetto di una casa circondati dai mansueti fratelli Eone.
‒ Ruby, per favore, se non vuoi ascoltare me almeno ascolta tutti gli altri: Green, Yellow, Crystal… abbiamo tutti bisogno di sapere che cosa sta succedendo.
‒ Sapphire, devo mantenere il silenzio per la sicurezza di tutti!
‒ Nessuno saprà che ci hai rivelato queste cose.
‒ Sì, sono sicuro che saranno proprio le persone sbagliate quelle che verranno a saperlo.
‒ Ruby, ti prego ‒ Sapphire parlava col vento sulla pelle e la luce del tramonto riflessa sui suoi capelli. ‒ Non posso chiedertelo da amica, voglio chiedertelo come pagamento per avermi fatto passare i due anni più brutti della mia vita ‒ il suo sguardo era duro, i suoi occhi umidi.
Ruby trasse un lungo e profondo respiro. Si mise le mani tra i capelli e chiuse gli occhi. ‒ Va bene… ‒ lo disse quasi senza voce.
   
 
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