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Autore: Son of Jericho    04/02/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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II - iLostYou


 

Seattle, tre mesi prima

 

- Io non ho più niente qui, mamma! –

Le dure parole di Freddie avevano inondato l’appartamento al Bushwell Plaza, urtando le pareti come un terremoto. Lo sguardo di sua madre si era fatto incredulo e sconcertato.

La vita di Freddie Benson scorreva tranquilla a Seattle.

Dopo il liceo si era iscritto alla facoltà di economia e aveva continuato il suo trend positivo, risultando agli occhi dei professori sempre uno dei migliori ai loro corsi. Non era arrivata la tanto agognata borsa di studio sognata da Marissa Benson, ma poteva dirsi comunque soddisfatta dell’andamento del figlio.

Per contribuire alle spese di casa e mettere qualcosa da parte, Freddie aveva trovato anche un lavoretto. Tre giorni a settimana aiutava il padrone del bar accanto al Bushwell Plaza, dandosi da fare tra servizi e pulizie.

Il tempo che gli rimaneva lo spendeva sui libri e ogni tanto in qualche appuntamento senza particolare importanza.

Sembravano lontani i giorni di iCarly, del volto dietro la telecamera, dei conti alla rovescia incompiuti. Si ritrovava sempre più raramente a pensare al web show, a Carly e a Sam, come se fossero ormai ricordi prossimi a dissolversi. Sembrava far tutto parte di un’altra vita, considerato che quella che aveva adesso non gli stava per niente stretta. Aveva trovato un suo personale equilibrio, senza troppe pretese.

Era bastata però una semplice telefonata, la sera prima, per farlo accorgere di quanto fosse fragile quell’equilibrio, basato su anni di bugie a se stesso.

Erano state le parole di Gibby a spezzarlo bruscamente.

Da quasi due anni, Il suo vecchio amico si era unito a un gruppo di giovani esploratori specializzati in speleologia, e aveva cominciato ad essere coinvolto in lunghi viaggi in giro per il mondo. Freddie sapeva che era stato in diversi paesi dell’Asia e dell’Africa, e per quanto ne sapeva, adesso si trovava in Bahrain per una ricerca su alcuni antichi reperti. Le comunicazioni tra loro erano già ridotte al minimo e, di fatto, da quando era partito non lo aveva più rivisto.

Tuttavia, qualche giorno prima, Gibby gli aveva comunicato che sarebbe riuscito a liberarsi per l’estate, e che gli sarebbe piaciuto tornare a Seattle per trascorrerla. Inutile dire quanto Freddie ne fosse stato felice, nonostante i loro rapporti non fossero più quelli di un tempo. Erano cresciuti, avevano sviluppato vite e interessi diversi, ma questo non significava che la loro amicizia dovesse essere finita.

Freddie era corso al telefono aspettando di sentirsi dire quando Gibby sarebbe arrivato, ma non era stato così. L’amico lo aveva informato che sarebbe rimasto lontano dagli Stati Uniti ancora per un po’, prima di imbarcarsi per un’altra traversata.

- Non riesco a tornare a Seattle per l’estate. –

E in qualche modo era stato proprio questo, un’idiozia che in qualunque momento avrebbe superato senza problemi, a far saltare l’ultimo filo che lo teneva legato.

I pensieri che già da tempo affollavano la mente di Freddie, occultati alla sua stessa ragione, erano riusciti a sfuggire al suo controllo. Si erano insinuati prepotentemente davanti ai suoi occhi, e lui si era ritrovato a fronteggiarli uno per uno.

Troppo a lungo aveva ingenuamente creduto di poter resistere in quel modo, confinando le rare incertezze che ogni tanto facevano capolino in qualche remoto anfratto.

Avrebbe dovuto sopportare l’ennesima delusione, ma stavolta voleva che fosse l’ultima della lista.

- Di che stai parlando, tesoro? – Marissa non poté fare a meno, almeno all’inizio, di pensare che suo figlio stesse scherzando. – L’università, il lavoro… -

Freddie si sentiva come guidato da un’ombra. – L’università serve solo a illudermi, e a nient’altro. Credi davvero che a qualcuno interesserà la mia media, dopo la laurea? Sarò bloccato comunque in quel “lavoro”, come lo chiami tu, che doveva essere soltanto un modo per racimolare qualche spicciolo. –

- Hai degli amici… -

- Quelli sono compagni di classe, punto e basta. Gli amici? Mamma, gli unici amici di cui mi importasse veramente se ne sono andati! Tutti! –

Aveva deciso di dare finalmente ascolto a quell’idea che si dibatteva e gli urlava in testa, da più tempo di quanto riuscisse a ricordare. Troppe volte aveva messo nel mirino quel desiderio, per poi fare un passo indietro. Ne aveva abbastanza.

- Parto per Los Angeles. – Ne aveva bisogno, sentiva solo questo.

Sapeva quanto fosse complicato separarsi dalla propria base e dai propri effetti, ma era giunto anche per lui il momento di andare avanti. Di afferrare il borsone e la prenotazione per il biglietto aereo, di sola andata, che aveva preparato la notte precedente.

 

*****

 

Il cielo della California trovò un particolare modo di accoglierlo, quasi volesse irriderlo: non era freddo, ma pioveva a dirotto.

Entrato nel terminal, in attesa di ritirare il bagaglio, Freddie si ritrovò per la prima volta faccia a faccia con ciò che Los Angeles stava rappresentando. Lo sguardo vagò distratto tra i tabelloni illuminati, i passeggeri che ancora aspettavano di imbarcarsi e quelli che erano appena atterrati. Era già stato in quella città, ma stavolta sembrava tutto diverso.

Il ricordo di un giorno di qualche anno prima iniziò a farsi spazio nella sua mente. Anche allora aveva mollato tutto e si era precipitato all’aeroporto. Aveva fatto tutto in fretta e furia, senza pensare, perché credeva che la sua presenza fosse stata disperatamente richiesta. Perché aveva creduto che ci fosse qualcosa di importante a Los Angeles. C’era, ma non proprio quello che sperava.

Quel pensiero fu per lui una scintilla, e finalmente si accorse delle farfalle che gli si stavano agitando nello stomaco. Durante il viaggio aveva dormito tutto il tempo, forse per evitare le sue stesse domande e i suoi stessi dubbi. Dubbi che ormai non tollerava più.

Con la valigia salda tra le mani, salì sul primo taxi che gli passò davanti e dette istruzioni all’autista di portarlo al motel più vicino che conosceva.

Una soluzione misera ma provvisoria, ciò che gli serviva per superare la prima notte. In fondo non aveva detto a nessuno del suo sbarco a Hollywood.

Si era buttato sul letto a fissare il soffitto, nell’oscurità della stanza e con le braccia incrociate dietro la nuca, mentre si imponeva di non pensare a ciò che lo aveva portato così lontano da casa. Ma fu proprio allora che le farfalle tornarono a farsi vive e mostrarono la ragione della loro esistenza. Freddie comprese chiaramente che si trattava di una sensazione inevitabile, da cui non sarebbe potuto scappare, che si era portato dietro e che aveva semplicemente cercato di occultare fino ad’ora, sia a Seattle sia in volo.

Sapeva cosa c’era là fuori, ma non cosa lo stava aspettando. Era come se fosse sceso da quell’aereo alla cieca, e questo gli faceva dannatamente paura. L’aveva sempre fatto, e in fin dei conti era questa la ragione che lo aveva tenuto ancorato a Seattle per tutti quei lunghi anni.

Non poteva negarlo, ma adesso si sentiva stanco. Stanco di essere lontano da tutto ciò che contava per lui. Stanco di tante cose che non vedeva l’ora di cambiare. E Hollywood era da sempre considerata la terra delle grandi opportunità, giusto?

 

*****

 

- Sei a Los Angeles?! – la voce di Carly, tanto acuta da far squillare anche le cuffie, lo aveva fatto balzare sulla sedia.

La mattina aveva trascorso un paio d’ore a confidarsi con l’amica riguardo la sua idea di lasciare Seattle, e della ragione che lo aveva spinto a farlo.

Era importante per lui poter parlare con Carly: era grazie a lei se, da piccolo, era riuscito a vincere le sue ansie e le sue insicurezze, e ad aprirsi con gli altri. Col tempo, quasi naturalmente, Carly si era trasformata nella persona perfetta su cui contare in ogni momento e per qualsiasi cosa, una spalla pronta a sorreggerlo ma anche ad ascoltarlo piangere, semmai ce ne fosse stato bisogno. Era l’amica a cui Freddie aveva sempre rivelato per prima i suoi segreti.

Come quello del suo primo bacio…

Freddie cercò di scacciare quell’immagine dalla testa e tornò a guardare lo schermo del portatile. Carly lo stava fissando attraverso la webcam con uno sguardo misto tra l’allibito e lo sbalordito, ma Freddie sapeva che aveva capito.

Non avrebbe cercato di fermarlo e nemmeno di farlo ragionare. D’altronde sapeva che, quando si trattava di lei, tutto il raziocinio di Freddie volava via con un soffio di vento.

Erano le undici passate quando il ragazzo uscì dalla stanza del motel e chiamò un taxi per raggiungere il centro.

Non gli importava quanta paura avesse avuto negli ultimi anni e quanta ne avesse oggi. Era giusto che lui fosse lì, questo era tutto ciò che sentiva.

Durante il tragitto, mentre lanciava occhiate distratte fuori dal finestrino, gli venne in mente che sarebbe stato meglio noleggiare un’auto, così da permettersi spostamenti più rapidi ed economici. Era una sciocchezza, ma forse per certi versi aveva ragione sua madre, quando diceva che non aveva niente a Los Angeles, specialmente degli amici.

Uno sì, in realtà, ed era proprio da lui che si stava dirigendo. Dopo Seattle erano rimasti in contatto per un po’, ma alla fine la distanza e le diverse strade avevano preso il sopravvento e li avevano lentamente allontanati. Ripensò con un velo di dispiacere al fatto che fossero passati quasi nove mesi, dall’ultima volta in cui avevano parlato.

Si fermò all’ingresso di un’enorme biblioteca, dalle facciate rosso scuro e un aspetto moderno. Freddie tirò fuori dalla tasca un bigliettino con l’indirizzo: era l’ultimo recapito che aveva, e sperava vivamente che fosse ancora lì. Trasse un lungo respiro, come per infondersi coraggio, ed entrò.

All’inizio sembrò perdersi con lo sguardo, in mezzo all’infinità di corridoi e scaffali pieni di libri.

Beck era impegnato a sistemare alcuni testi di un letterato britannico, quando Freddie lo scorse in quell’ampio labirinto.

- Buongiorno. – gli si avvicinò alle spalle camuffando la voce. – Sto cercando “La settima arte di Beck Oliver”, può aiutarmi? –

- Come ha… - il resto della frase gli rimase in gola quando, voltandosi, si ritrovò davanti al sorriso dell’altro. – Freddie. –

Non era una domanda, e per la verità non sembrava nemmeno così sorpreso della sua presenza. Come se in cuor suo avesse sempre saputo che, un giorno o l’altro, Freddie avrebbe ceduto al richiamo di Los Angeles.

- Dovrei chiederti perché sei qui, ma non lo farò. In fondo, so quale sarebbe la risposta. – Non c’erano giudizi nelle sue parole, soltanto una vecchia storia che riaffiorava.

Beck era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto, portava i capelli più lunghi, il pizzetto e un paio d’occhiali da lettura. - Ne sei sicuro? –

Il sorriso di Freddie si allargò ulteriormente. – Stavolta sì. –

Il canadese posò velocemente sullo scaffale un paio di tomi e guardò l’orologio al polso. – Allora ecco cosa faremo: tra poco stacco per la pausa pranzo, dammi dieci minuti e aspettami là, poi ti accompagno. C’è una cosa che devo farti vedere, prima che tu faccia… quello che devi fare. –

Freddie accettò l’invito e andò a sedersi sulle poltroncine accanto alla porta principale. Afferrò una rivista da un raccoglitore e iniziò a sfogliarla, senza però mostrare minimamente attenzione a quello che scorreva. Continuava ad accigliarsi, chiedendosi a cosa l’amico si stesse riferendo.

Intorno a mezzogiorno, dopo aver parlato col direttore ed essersi cambiato la camicia, Beck lo raggiunse. – Andiamo. –

Freddie lo fermò sulla soglia e gli si accostò. – Mi dici come sei finito a lavorare qui? – gli chiese abbassando la voce, chiaramente sarcastico.

- Te lo racconterò un’altra volta. –

- Perché non adesso? –

Beck rise. - Perché ho solo cinquanta minuti di pausa pranzo, e perché non sono io quello che si è fatto 900 miglia per venire qua. –

Andarono al parcheggio e salirono sulla Pontiac gialla del canadese. Era ancora una bellissima macchina, con la carrozzeria tirata a lucido, ma iniziava a sentire il peso degli anni.

Appena Beck ebbe messo in moto, Freddie ripartì. - Allora, com’è che lavori qui? -

- Non vuoi proprio lasciar perdere, eh? –

Freddie scosse il capo. – No. –

- Conosci la mia passione per il teatro, e in questo posto c’è… beh, tutto. Un mondo intero che voglio scoprire. Mi piace qui. –

- Se non ricordo male, però, l’ultima volta mi hai detto che questo doveva essere soltanto un impiego temporaneo, per poterti concentrare sulla tua carriera. –

Vide Beck stringere la presa sul volante, con gli occhi sempre fissi sulla strada. – Diciamo che non è andata come immaginavo. –

- Cos’è successo? –

Beck svoltò a destra, girando il volante con una certa tensione. – Dopo. –

Freddie si appoggiò al poggiatesta. – Vuoi svelarmi almeno dove stiamo andando? –

- Te l’ho detto, devo mostrarti una cosa. –

- Mi devo preoccupare? –

- E’ giusto che tu lo sappia. -

A un paio di isolati di distanza, Beck iniziò a rallentare e a guardarsi intorno. Fermò l’auto dietro ad una Volkswagen già parcheggiata, come se non volesse farsi vedere.

- Di solito veniamo qua a mangiare. – esordì indicando un bar a una quarantina di metri da loro. – E’ abbastanza vicino a dove lavoriamo, così possiamo ritrovarci tutti i giorni. –

Il gruppetto di amici era seduto intorno a un tavolino. – Credo tu li conosca già, Cat, Tori e gli altri. – fece una pausa. - Soprattutto lei. –

Fu lì che Freddie la vide, per la prima volta dopo quattro anni. Eccola, la sua occasione di essere felice.

- Sai, Beck, da quando sei ripartito da Seattle, non hai idea di quante volte mi sia pentito di non aver seguito il tuo consiglio. –

Sentiva di non aver fatto il viaggio a vuoto. Buffo, quanto fosse nel torto.

Si voltò verso l’amico, ma Beck continuava a guardare distante.

Quell’atteggiamento lo stava insospettendo. - Cosa volevi… -

- Aspetta. -

Come nelle migliori sceneggiature, Beck sembrava aver lasciato il colpo di scena, il plot twist, per ultimo. Successe tutto in fretta davanti agli occhi di Freddie, che assisteva da invisibile spettatore.

Un ragazzo sconosciuto che si avvicinava al tavolino, che prendeva una sedia e si metteva a ridere e scherzare con gli altri. Uno sconosciuto che posava le labbra su quelle di Sam, in un bacio lontano ma appassionato.

- Andiamo a mangiare qualcosa, magari da un’altra parte. – mormorò Beck, prima di rimettere in moto e partire a razzo tra le strade assolate di Hollywood.

 

 
   
 
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