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Autore: Artemisia Nullings    04/02/2017    7 recensioni
[Storia ad OC. Iscrizioni aperte]
Dal primo capitolo.
« Alcol. Lusinghe. Cosa verrà dopo? Mi offrirai il tuo primogenito?» sibilò la preside, scoccando un’occhiata di brace alla mano tesa dell’uomo dinanzi a lei. Valentine la ritrasse subito, ma a Nathan non sfuggì il lampo d’ira nei suoi occhi grigi e ardenti.
« Preferirei che lasciassi Jonathan fuori da questa discussione.»
Nessuno si sarebbe accorto del cambiamento nel tono di suo padre. Sino a quel momento era stato quasi scherzoso, gioviale, pronto a patteggiamento. In quel momento era gelido, metallico, disposto a uccidere.
« Perdonami,» mormorò con gli occhi azzurri e tristi. E per un attimo sembrò così sincera che Valentine sobbalzò, « Ti sto facendo perdere tempo e so quanto lo ripugni perché disprezzo anche io perdere qualcosa che non potrà più tornare.»
« Ilona,» la chiamò mentre con tre falcate arrivava al suo fianco.
Il Rettore afferrò l’impermeabile che aveva elegantemente lasciato sulla poltrona e si circondò le spalle esili come quelle di un uccellino, come per mettere fine alla loro discussione.
« Sappi che sfrutterò ogni mezzo a mia disposizione, ogni pedina nella mia scacchiera, ogni cavillo del Codice per tenerti il più lontano possibile dalla vetta, Valentine.»
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Il Circolo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Valentine Morgenstern
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Humpty Dumpty sat on a wall
Humpty Dumpty had a great fall
all the king's horses and all the king's men
Couldn't put Humpty together again.
Filastrocca inglese


 
Mio carissimo Alec,
ho perso il conto delle lettere che ti ho scritto. Perdonami. Un giorno le leggerai tutte e penserai a me come a un’assassina. Poveri alberi. Quanti sono stati immolati per permettermi di imbrattarli con il sangue del mio cuore dilaniato?
Eppure eccomi qui, fratello mio, anima mia, mia unica consolazione dal dolore di un’esistenza vuota, all’insegna del nulla, a scrivere righe che leggerai soltanto quando sarò già morta. Quando sarò cenere per la città d’Ossa.
La cenere non è bianca, sai? Almeno non esattamente. È tanto sottile da assomigliare alla sabbia della Costa Azzurra, puntellata di verde, azzurro, grigio, dorato. È uno spettacolo meraviglioso. Permette quasi di dimenticare che prima fosse una persona viva, pensante, sofferente, una persona con un passato e senza un più un futuro.
Perdonami per il macabro: so che tale pensiero, tale morboso attaccamento alla morte, sarà la mia rovina e so che il pensiero stesso di perdermi ti distrugge. Meriti una parabatai migliore di quanto io sia mai stata. Sfortunatamente non ne potrai avere un’altra dopo la mia morte. Non mi perdonerò mai per il mio egoismo, per averti legato a me senza possibilità d’uscita. Ho sempre avuto bisogno di te, della tua forza, del tuo buon cuore, del tuo coraggio, dei tuoi sorrisi, dei tuoi occhi azzurri e sinceri.
Alexander.
Sono mai esistiti due parabatai più legati di noi?
Se la mia anima ha mai anelato altro rispetto alla morte, quello sei tu. Il mio cuore è pieno del tuo nome.
Il mio parabatai. L’unica ragione per la quale non ho ancora cercato giustizia per le vite spezzate che mi porto dietro.  Per le nuvole che ammantano il mio cielo di grigio e di veleno.
Non c’erano nuvole nella mia Obar Dheathain[1], sai? O c’erano? Sicuramente sì. È ridicolo pensare ad un cielo terso in Scozia, dove il mare erode gli scogli e il vento sibila tra gli infissi.
Avrei tanto voluto portarti in Scozia, Alec. Ti sarebbe piaciuta, ne sono certa. Lì tutto è genuino e sincero, come sei tu. Promettimi che ci andrai con qualcuno di speciale, con qualcuno che conosca il tuo cuore e lo ami come lo amo io.
Perdonami. È una lettera più sconclusionata delle altre. Sarà perché sono ubriaca. Il whiskey mi aiuta a non pensare, scaccia gli incubi, mi dona notti serene mentre mi uccide il fegato. Bisogna scegliere il male minore in questo mondo, mo cridhe[2]. Il mondo può trasformarsi in un agglomerato informe di stranezze aberranti quando sei un Nephilim e devi avanzare nei rovi della vita con le unghie e con i denti.
Sarà meglio che vada. Detesti quando sono ubriaca.
Ricordami migliore di quello che ero, Alexander.
Tua per sempre,
Nashira
 
Appose la ceralacca con estrema cura, ignorando il debole tremolio delle dita, e si scostò un’onda bionda, gettando il capo all’indietro. Persino quel semplice gesto le diede la nausea. Aveva bevuto troppo la sera prima e cinque bottiglie potevano testimoniarlo mentre l’occhieggiavano accusatrici dal pavimento, accanto al letto.
Nashira scosse il capo per quel pensiero balordo e afferrò nuovamente la penna per scrivere il destinatario di quel testamento infinito.
Il tanfo del whiskey permeava ancora l’aria viziata della sua stanzetta minuscola. Quattro pareti piene di vestiti stropicciati gettati alla rinfusa sul pavimento, di libri e cartacce, di involucri di cibo e bottiglie d’alcol delle peggiori annate.
Era una discarica, una che nessuno si sarebbe mai premurato di svuotare. Nessuno la sgridava per la sua malagrazia perché gli orfani della Guardia erano gli invisibili, i non voluti, quelli che non avevano più nessuno al mondo, né parente né amico. Gli sfortunati e i maledetti.
Nashira, che era sia sfortunata che maledetta, si era ritrovata ad amare e ad odiare insieme quell’angolo di pace e noncuranza.
La Guardia era una gabbia, certamente, una prigione dorata, una cella di marmo e sussurri, ma Shira Stormblood aveva sempre amato le trappole mortali essendo la sua stessa vista uno spettacolo di terrore e prostrazione.
Traballando instabile e ignorando i gemiti tormentati del suo stomaco vuoto, avanzò verso la finestra e la spalancò. Respirò l’aria fresca dell’Autunno ad occhi chiusi, sentendosi subito meglio. Era il potere e il dono di Alicante, la città benedetta dall’Angelo.
I ritmi di Idris ricordavano la flemma dei pomeriggi estivi, il tempo che si dilatava sino a diventare denso come la melassa, in un’Estate quasi perenne che rendeva tutto rigoglioso e felice, come l’anticamera del Paradiso.
Marmo levigato, strade ciottolate, profumo di pane e dolci, il leggero ticchettio dell’acqua che zampillava nei fiumi e nelle fontane, e poi verde a perdita d’occhio, ville estive, boschi misteriosi. Casa sua. La sua nuova casa. L’Accademia. Quanto le era mancata in quei tre mesi.
Quando si sentì abbastanza stabile da non rimettere sul pavimento, chiuse la finestra e osservò il disastro in cui versava la sua cella, con una smorfia di disgusto nei confronti di se stessa. A Will sarebbe venuto un colpo se avesse notato quel disordine imperante, lui che era ordinato e meticoloso come un monaco benedettino. Persino Izzy le avrebbe fatto i complimenti.
Alec, invece, si sarebbe limitato a prendere le bottiglie e a gettarle nella spazzatura, gli occhi blu oltremare che la osservavano con preoccupazione crescente, facendole precipitare lo stomaco in una prigione di piombo.
Fu la prima cosa che fece. Dava già troppe preoccupazioni al suo parabatai senza che scoprisse il suo amore crescente per l’alcol. Quando afferrò la bottiglia di vodka sul comodino, la fotografia cadde in avanti e il cuore le salì in gola. Fu lesta a risollevarla e sospirò dal sollievo nel vedere che non si era scheggiata.
Suo padre sorrideva un po’ distratto dietro il vetro protettivo, mentre si appuntava gli occhiali perennemente storti sul naso aquilino, osservando sua madre con i suoi occhi tanto verdi da sembrare di cristallo. I suoi stessi occhi. Di un verde menta slavato. Suo padre era sempre assente nelle poche fotografie che era riuscita a racimolare dal suo Istituto prima che la portassero via. Alphard Stormblood amava il canto del cielo stellato e non desiderava mai allontanarsi troppo dal suo telescopio e dalle sue mappe delle costellazioni.
Era qualcosa che le aveva insegnato quand’era poco più di un’infante: Non allontanarti mai troppo dal cielo, mia piccola stella fortunata[3].
Per quanto Nashira avesse tentato di rispettare l’ultimo desiderio di suo padre, le sue ultime volontà, si ritrovava sempre di più con lo sguardo rivolto verso terra, verso il basso, verso le tenebre.
Un tonfo sordo e gentile contro la porta la riportò alla realtà. Carezzò il vetro con affetto e si avvicinò alla porta, scansando libri su libri, attenta a non colpire i suoi migliori amici di carta e inchiostro.
V’era soltanto una persona al mondo che avrebbe potuto bussare con così tanta delicatezza alla sua porta: Alexander Gideon Lightwood. Occhi azzurri, capelli scuri, pelle alabastrina e il cuore più grande e meraviglioso, più onesto e puro che Nashira avesse mai avuto l’onore di conoscere e adorare. Ringraziava la sua buona stella tutti i giorni per aver posto Alec sul suo cammino.
« Alec,» esclamò felice prima di gettargli le braccia al collo e scoccargli un sonoro, ebete e trasognato bacio sullo zigomo destro.  Il suo parabatai la strinse a sé per un attimo più del necessario. Era il loro segnale.
Mi sei mancata, sembrava volesse dirle, mi sei mancata da morire.
Nashira assaporò il suo odore di sapone al sandalo e il vago retrogusto dei biscotti al cioccolato con cui doveva aver fatto colazione e sfregò il naso contro la maglietta di un nero scolorito e apatico, piena di buchi per i continui lavaggi.
Quell’Estate era stata più dura di quanto immaginasse. I genitori di Alec gestivano l’Istituto di New York e avevano richiamato i loro figli maggiori nella metropoli per buona parte del trimestre. Si erano scritti per tutto il tempo e Nashira aveva pregato il Console Nightshade di concederle di usare il telefono molto più di quanto fosse consentito, ma la diciassettenne aveva percepito la sua assenza come un coltello che le scavava nel cuore.
« Pensavo che le coperte ti avessero rapito,» la rimbeccò scherzoso prima di scompigliare i capelli biondi, districando i nodi ribelli di chi non usava una spazzola neanche sotto tortura. Se Isabelle avesse potuto vederla in quel momento, non l’avrebbe mai perdonata per il suo aspetto trasandato. Il pensiero la fece sorridere e allontanò le nuvole dal suo cuore. Alec era lì, a Idris, con lei, per lei. Tutto sarebbe andato per il meglio.  
« Volevano soffocarmi, quelle traditrici. Salvami, mio eroe,» sogghignò melodrammatica portandosi il palmo della mancina sulla fronte nella sua migliore interpretazione di una primadonna. Poteva quasi immaginare lo sguardo di approvazione di Will.   
Alec ridacchiò imbarazzato e le carezzò le guance piene, come se non potesse allontanarsi da lei. Shira gli soffiò un bacio sui polpastrelli e si fece da parte per permettergli di entrare. Gli occhi curiosi del suo parabatai sondarono la stanzetta, soffermandosi sulle pile di libri sparsi senza un particolare ordine per tutto il pavimento: manuali di storia accanto a tomi di poesie che si perdevano nelle preziose antologie sull’Antico Egitto che custodiva gelosamente. Nel poco tempo che aveva avuto s’era preoccupata di ficcare la maggior parte degli abiti in un borsone scuro che aveva visto tempi migliori, così lo sguardo azzurrino di Alec si posò attento sulla pattumiera per poi tornare a lei.
« Nathan ci starà aspettando,» affermò gioiosa, come se non avesse notato la sua occhiata preoccupata e indagatrice.
« E mai far aspettare Jonathan Christopher Morgenstern,» borbottò Alec tra l’esasperato e il divertito, gli occhi pieni d’affetto per il loro comune amico.
Shira si esibì in uno svolazzo noncurante e si volse verso la pila di libri più vicina, grata che Alec non potesse notare il rossore che le colorava le gote.
Era mai esistito un ragazzo più affascinante di Jonathan Christopher Morgenstern? Il guerriero migliore della loro generazione, il ragazzo gentile e accorto che faceva sempre sentire tutti a proprio agio, che aiutava le matricole e dispensava consigli sulla postura. Era una manna dal cielo per l’Accademia. Era solito prendere sotto la sua ala protettrice tutti coloro che ne avevano disperato bisogno senza chiedere nulla in cambio.
Ovviamente era irraggiungibile come un miraggio nel deserto, fidanzato com’era con la ragazza più affascinante, divertente e splendente di tutta l’Accademia.
Si vergognava di se stessa quando pensavo a Nathan, ai suoi occhi più azzurri dell’Oceano Pacifico, alle sue labbra rosse, ai muscoli scattanti e forti, alle mani sottili, da musicista. Nathan era di Isabelle e lo sarebbe sempre stato.
« Shira, stai bene? » domandò Alec, facendola sobbalzare. Si girò di scatto e bofonchiò un’imprecazione in gaelico, come se pensasse che lui avesse capito su quali lidi si erano arenati i suoi sciocchi pensieri.
Ma la situazione era ben diversa.
Alec aveva sistemato tutte le bottiglie sulla scrivania. La giovane non ebbe bisogno neanche di contarle. Cinque. Vodka, rum, whiskey, bourbon e una bottiglia di Merlot. La guardava con le braccia muscolose incrociate contro il petto e quegli occhi azzurri che le ricordavano quelli di un Angelo. Invincibili, implacabili, immortali.
Si mordicchiò il labbro inferiore e abbassò lo sguardo verso i suoi piedi nudi. Indossava ancora la camicia da notte. Alle dieci del mattino. Dovevano essere in Accademia prima di mezzogiorno se non volevano che Ravenscar li annegasse nel fango e nell’icore demoniaco. E lei aveva i postumi di una sbronza colossale.
« Sogni,» sussurrò a voce così bassa che pensò che Alec non l’avesse neanche udita. Pochi secondi dopo si dovette ricredere perché sentì le braccia del suo parabatai stringerla con affetto, carezzarle la schiena con ampi e rassicuranti movimenti circolari, e baci caldi contro i ricci biondi.
L’Angelo solo sapeva quanto le era mancato. Alec la sentiva sempre, la trovava sempre, l’amava sempre.
Alec sapeva di non dover nominare la sua famiglia dopo un incubo. Nei suoi giorni buoni riusciva persino a disegnare i suoi genitori e suo fratello e a scherzare in gaelico sulle mappe del cielo che per suo padre erano più interessanti delle armi, ma quello non era un giorno buono. E non poteva permettersi di pensare a loro.
« Ho chiesto alla Nightshade di metterci in camera insieme,» mormorò contro i suoi capelli, continuando ad accarezzarle la schiena. Shira si allontanò di poco dal suo petto, per poterlo guardare negli occhi, « Pensavo che saresti stata felice,» aggiunse più imbarazzato, come se pensasse di aver fatto uno sbaglio.
« Io sono felice, Alec. Sono sempre felice quando sono con te. Cosa ti ha risposto?» chiese con la voce calma e rassicurante, tentando di tenere a bada le lacrime di gioia che minacciavano di sgorgarle dagli occhi chiari.
« Che non le importa affatto di chi dorma con chi. L’importante è che il numero degli studenti non aumenti improvvisamente,» esclamò scrollando le spalle in una perfetta imitazione del Rettore. Per un attimo si figurò la bella e giovane preside dell’Accademia che guardava il suo parabatai con quegli occhi azzurri e intelligenti dietro due lenti trasparenti, trattenendo a stento un sorrisetto caustico, e dovette reprimere una risatina. Ilona Nightshade ci sapeva fare.
Spalancò gli occhi verdemare, sbattendo le palpebre come un pesce rosso, prima di esibirsi in una forte risata liberatoria alla quale seguì quella più pacata di Alec.
« Per Raziel, certo che no. Abbiamo già i simpatici demoni delle tubature a farci compagnia,» scherzò lei, carezzandogli la guancia destra con affetto, ringraziandolo in silenzio per quelle piccole attenzioni che le dedicava con semplicità. Per un attimo si dispiacque di non condividere più la stanca con Clary Graymark, quella furia rossa dagli occhi di giada, un gallone di guai in un corpo da una pinta, ma Clary avrebbe compreso.
« I demoni delle tubature non esistono, Nashira,» replicò esasperato, lo stesso tono che usava con i suoi fratelli minori quando erano in torto o sparavano sciocchezze.
« Io non ne sarei tanto sicura. Sono sempre in agguato pronti infilarsi nelle narici di incauti Nephilim.»
« Che schifo, Shira,» esclamò vagamente disgustato, scuotendo il capo e arricciando il naso in un gesto che la ragazza trovò assolutamente adorabile.
Nashira rise di cuore e posò le labbra sulle sue, un bacio leggero come il tocco di una farfalla. Aveva il suo parabatai. Sarebbe andato tutto bene.  
 
Ô douleur! ô douleur! Le Temps mange la vie,
Et l'obscur Ennemi qui nous ronge le coeur
Du sang que nous perdons croît et se fortifie!

Charles Baudelaire, l’Ennemi.
 
Nathan Morgenstern incominciava a domandarsi se non avesse un tacito desiderio di morire giovane, schiacciato com’era contro la porta segreta della biblioteca, l’occhio destro puntato sulle due figure vicino al camino, attento a non perdersi nulla del loro scambio di insulti velati. E neanche troppo. L’ultimo commento del Rettore era stato davvero tagliente e Nathan s’era dovuto portare il pugno contro le labbra per non lasciarsi sfuggire una risata. Suo padre non sarebbe stato affatto contento di trovarlo lì, ad origliare, ma il ragazzo era sin troppo stanco di tirargli informazioni stentate con le pinze del buonsenso e della cortesia.
Voleva sapere la verità.
Ilona Nightshade sembrava una regina accomodata su un trono scomodo, ma allo stesso tempo piacevole. Sembrava che si stesse godendo quella chiacchierata mentre saggiava il vino rosso nel suo calice di cristallo. Le lunghe gambe alabastrine erano accavallate in una posa che a chiunque sarebbe parsa indisponente. Indossava un abito di alta sartoria francese, un modello che le donava molto, di un nero vivido come se fosse stato posto dinanzi a un vetro.
Lo sguardo d’ardesia di suo padre si posò per un attimo sulla sua pelle candida, interrotta qua e là da rune nuove e nere come l’inchiostro appena versato, per poi tornare a bagnarsi le labbra con il vino.
Valentine la desiderava. Era evidente.
Nathan sentì un’ondata di disagio attraversargli il corpo come una delle fruste di Izzy. Non poteva immaginare che suo padre, il granitico e inamovibile Valentine Morgenstern, potesse provare qualcosa simile al desiderio sessuale. Non aveva mai avuto una donna, non s’era mai sposato. Se non fosse assomigliato così tanto a lui, Nathan si sarebbe chiesto se non l’avesse adottato. Valentine era assolutamente disinteressato nei confronti dell’amore e di gran parte del genere femminile. Non v’era donna per quanto affascinante o avvenente, intelligente e creativa, che aveva mai catturato il suo sguardo, con somma costernazione della nonna Seraphina.
Nessuna tranne Ilona Nightshade, a quanto sembrava.
Nathan la osservava incuriosito. Non esistevano molte persone capaci e disposte ad opporsi apertamente a suo padre. Forse era per quello che la desiderava. Il brivido del rischio, di un coltello alla giugulare. Era qualcosa che Nathan, essendo fidanzato con Isabelle Lightwood da quasi due anni, conosceva abbastanza bene.
E Ilona Nightshade era bellissima, senza ombra di dubbio. Aveva un’aura che ispirava rispetto e fiducia, come una statua dell’Antica Grecia con la saggezza di un Platone o di un Aristotele e la bellezza di Elena di Troia. Nathan l’aveva sempre stimata.
Valentine appariva minaccioso come un dio irato. Suo padre era possente e, fasciato com’era dalla robusta tenuta dei cacciatori, cuoio e cinture che si rincorrevano lungo il corpo tonico, sembrava un gigante tra gli uomini. In quel momento aveva i capelli umidi come se fosse appena uscito dalla doccia e probabilmente era davvero così. Valentine credeva nell’allenamento giornaliero, attitudine che le era stata inculcata sin dalla più tenera età. Chiunque altro si sarebbe prostrato al suo cospetto per offrirgli doni e rispetto, ma non il Rettore.
« Credi che appoggerei la tua candidatura se fossi ubriaca?» scherzò l’insegnante, attorcigliandosi un riccio nero come le piume di corvo con l’indice, in un gesto casuale che non sfuggì a suo padre.
« Non sono così meschino,» replicò Valentine, mantenendo la facciata cordiale che rivolgeva a tutti gli ospiti importanti.
Il Rettore sbuffò e posò il calice sul tavolino, con uno svolazzo cortese ed elegante. Sembrava una ballerina classica, con la grazia assassina di una civetta.
« Certo che lo sei, Valentine Morgenstern. Non si diventa tanto potenti senza tramutarsi in esseri abietti. Mio padre è stato un ottimo insegnante in questo senso,» esclamò scattando in piedi e dirigendosi verso il caminetto, sfiorando con l’indice una vecchia suppellettile che la nonna Seraphina aveva insistito per donare loro. Era un cigno di cristallo, anche alquanto brutto. Nathan l’aveva sempre detestato e una volta aveva mirato per colpirlo prima che suo padre lo scoprisse e usasse la cinghia. Il ricordo gli offuscò lo sguardo chiaro per un solo istante, « Il Consiglio ti stima. Hai conquistato i loro favori. Bravo,» concluse in italiano, applaudendo caustica. Will avrebbe sorriso di approvazione dinanzi a quel commento. Aveva una sorta di venerazione per l’italiano e per Dante Alighieri.
« Ma non i tuoi e quelli di chi ti supporta,» soggiunge suo padre, ignorando il sarcasmo evidente dell’insegnante, alzandosi a sua volta e dirigendosi verso la libreria, dandole le spalle. Jonathan imprecò sottovoce. Mai una volta che riuscisse a farla franca. Restò nell’ombra e rivolse un sorrisetto complice a suo padre che l’aveva già individuato e fulminato con un’occhiata raggelante.
Guai in vista.
« Non desidero diventare Console,» annunciò il Rettore, carezzando distratta le ali del cigno. Il tono si era abbassato di un’ottava, come se stesse ponderando sulla prossima mossa. Afferrò la statuina e per un attimo Nathan pensò che stesse per gettarla nel fuoco, poi la preside si riebbe e la lasciò andare sul cornicione del camino.
« Questo è chiaro. Mi chiedo perché. Sei una donna molto influente e autorevole, dopotutto,» asserì Valentine che non si era perso nulla della reazione della Nephilim. Sembrava guardarla quasi con approvazione, come se avesse fatto qualcosa che meritava il suo rispetto e la sua attenzione.
Nathan era solito comprendere le persone con un solo sguardo, ma proprio non capiva come non lasciar sopravvivere suppellettili inutili e brutte potesse favorire l’ascesa di suo padre.  
« Amo la mia Accademia. Amo i miei studenti. Sono come figli per me,» mormorò la Nightshade con affetto, il tono di una carezza materna. Non che Nathan le conoscesse, le carezze materne. Non aveva mai conosciuto sua madre. Morta prima che potesse ricordarla, gli aveva detto una volta Valentine.
« Posso comprenderlo. E posso rispettarlo,» sussurrò suo padre in un tono che lo fece sembrare quasi umano.
« Alcol. Lusinghe. Cosa verrà dopo? Mi offrirai il tuo primogenito?» sibilò la preside, scoccando un’occhiata di brace alla mano tesa dell’uomo dinanzi a lei. Valentine la ritrasse subito, ma a Nathan non sfuggì il lampo d’ira nei suoi occhi grigi e ardenti.
« Preferirei che lasciassi Jonathan fuori da questa discussione.»
Nessuno si sarebbe accorto del cambiamento nel tono di suo padre. Sino a quel momento era stato quasi scherzoso, gioviale, pronto a patteggiamento. In quel momento era gelido, metallico, disposto a uccidere.
« Perdonami,» mormorò con gli occhi azzurri e tristi. E per un attimo sembrò così sincera che Valentine sobbalzò, « Ti sto facendo perdere tempo e so quanto lo ripugni perché disprezzo anche io perdere qualcosa che non potrà più tornare.»
« Ilona,» la chiamò mentre con tre falcate arrivava al suo fianco.
Il Rettore afferrò l’impermeabile che aveva elegantemente lasciato sulla poltrona e si circondò le spalle esili come quelle di un uccellino, come per mettere fine alla loro discussione.
« Sappi che sfrutterò ogni mezzo a mia disposizione, ogni pedina nella mia scacchiera, ogni cavillo del Codice per tenerti il più lontano possibile dalla vetta, Valentine.»
« È questa una minaccia?»
« Oh sì. Sì, lo è. Lieta che abbia colto l’antifona. A presto, Jonathan,» esclamò il Rettore prima di scoccare uno sguardo in sua direzione, con tono neutro e distaccato.
Nathan iniziò a chiedersi come mai lo definissero il Nephilim migliore della sua generazione se si lasciava scoprire così facilmente.
« Jonathan, gradirei non venire spiato in casa mia.»
Adesso incominciavano i guai seri.
Thou couldst desire no earthly thing,
but still thou hadst it readily.
Thy music still to play and sing;
And yet thou wouldst not love me.
Greensleeves
 
La musica calda del vinile le infiammava le viscere, come fosse ambrosia divina. Alatariel aveva sempre amato la musica, le note pigre che si rincorrevano in uno strumento che avrebbe potuto continuare all’infinito, un dispositivo meraviglioso, congeniato alla perfezione dal migliore degli artisti. Avrebbe volentieri danzato sulle note mortifere di quella melodia secolare sulle ossa spezzate di mondani sciocchi e patetici.
« Vino, oppio e un amore maledetto?» esclamò una voce divertita, distogliendola da quelle fantasie, mentre inspirava una generosa dose di fumo.
« Una fanciulla non può domandare di meglio,» replicò la fata, sollevando come una gatta gli occhi languidi e lucidi, quasi famelici, verso quelli verde-dorati del suo interlocutore, sorridendo con aspettativa crescente. Quella noiosa serata incominciava a rivelarsi abbastanza interessante. Con la compagnia giusta anche il Paradiso poteva essere un posto pericoloso e stimolante.
Magnus Bane, sommo Stregone di Brooklyn, assolutamente l’unico figlio di Lilith che Ariel fosse mai riuscita a sopportare senza avere il desiderio malsano di sfidare suo padre in un duello mortale, era dinanzi a lei, gli occhi intelligenti che la scrutavano con affettuoso divertimento, come se fosse un gatto troppo smilzo e pigro che si crogiolava nel caldo raggio di un Sole morente. Indossava un completo singolare, un panciotto ottocentesco ricamato con fili d’oro su una trama d’ametista, pantaloni di velluto che mettevano in evidenza il fisico scattante. Era essenzialmente l’unica ragione per la quale aveva deciso di insegnare in quel posto troppo benvoluto da Dio. A parte la questione che suo padre non l’avrebbe presa affatto bene.
« Non solo una fanciulla,» replicò lo stregone, accettando di buon grado il vino elfico che gli stava porgendo.
« Magnus Bane, tu mi stupisci. Non credevo che avresti accettato,» commentò la fata, sistemandosi una vestaglia ricamata con rose Black Magic sulle spalle candide. Magnus Bane aveva portato con sé il freddo della notte e un brivido le attraversò la schiena, come la carezza di un amante.
« Di insegnare a boriosi ragazzini che si credono migliori del resto del mondo? Sono stupito anche io, credimi. Sto facendo un favore a Catarina. Dovrebbe esserci Ragnor qui, ma lui è fuggito con una iena messicana di nostra conoscenza. E Ilona Nightshade è una conoscenza piacevole da ricordare,» spiegò prima di assaggiare il vino, abbandonandosi contro lo schiena di una Luigi XVI.
Ariel scosse il capo e si abbandonò contro il divanetto, i lunghi capelli neri che celavano il volto pallido come una coperta profumata.
« Mio carissimo amico, dimentica la tua vecchia vita di ozi e vizi. In quest’Accademia l’unico divertimento è l’alcol e a volte il Rettore nega anche questa effimera gioia,» miagolò lei prima di alzarsi e cambiare disco, sistemando il grammofono per fargli intonare una melodia jazz, adatta alla danza. Ma Magnus Bane non sembrava disposto ad accettare quel silenzioso invito, accomodato com’era a gustarsi il suo vino. Piegò le labbra rosse e tumide in un broncio infantile e carezzò la puntina, ferendosi appena.
« Detesto già questo posto,» annunciò lo stregone prima di sollevare il calice come brindare a quell’assurda, ridicola situazione. Sino a pochi anni prima i Nephilim li avrebbero ammazzati se avessero osato deturpare le sacre sale ove formavano la loro gioventù di guerrieri con i loro icori di demone. Ilona Nightshade sembrava voler giocare un’altra partita, con regole tutte sue. La principessa di Unseelie si ritrovò a domandarsi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che quel gioco pericoloso le si rivoltasse contro.
« Benvenuto in Paradiso.»
 
[1] Aberdeen in gaelico scozzese
[2] Cuore mio
[3] Il nome Nashira deriva dall’arabo Al Sa'd al Nashirah che significa "la portatrice di buone notizie" o "la fortunata".
 




Angolo dell’autrice
Benvenuti in Paradiso… o per meglio dire, all’Accademia degli Shadowhunters a Idris. Grazie mille per essere giunti sin qui. Questa storia è vagamente ispirata a Night School per chi conoscesse la saga, ma molto, molto vagamente.
 
Regolamento:
  • Potete inviarmi schede soltanto per MP. Vi rimando al regolamento di EFP circa le recensioni. Mi piacerebbe che commentaste il capitolo e i personaggi.
  • Non accetto personaggi imparentati con i canon, con l’unica eccezione degli Herondale.
  • Massimo 3 OC a testa.
  • Non accetto Mary Sue e Gary Stu. Vi prego, non fateli.
  • Questa è un’interattiva quindi potrei farvi delle domande circa i vostri personaggi. Non sparite. Per favore.
 
Scheda.
Nome completo:
Soprannome:
Età (dai 15 ai 18 anni):
Aspetto fisico:
Prestavolto:
Carattere e personalità:
Famiglia e rapporti con essa:
Cosa ama:
Cosa odia/di cosa ha paura:
Orientamento sessuale:
Amicizie:
Inimicizie:
Amore:
Parabatai:
Cosa pensa dei Nascosti:
Cosa pensa dei Mondani:
 
E questi sono i canon con i miei OC.
 
 
Jonathan Christopher Morgenstern, 18 anni. Parabatai di William M. Herondale. Eterosessuale. Impegnato al momento con Isabelle Lightwood.
 
Che importa se il campo è perduto? Non tutto è perduto; la volontà indomabile, il disegno della vendetta, l'odio immortale e il coraggio di non sottomettersi mai, di non cedere: che altro significa non essere sconfitti?
John Milton, Paradiso Perduto.
 
William Marcus Herondale, 17 anni, parabatai di Jonathan C. Morgenstern. Eterosessuale. Libero
Noi del mestiere siam tutti pazzi. Alcuni sono affetti da gaiezza, altri da melanconia, ma tutti siamo più o meno toccati.
Lord George Byron
 
Nashira Amanda Stormblood, 17 anni, parabatai di Alexander G. Lightwood. Bisessuale. Libera.
Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo, non importa. Giù nell'Ignoto per trovarvi del nuovo.
Charles Baudelaire, il Viaggio.

 
 
Alexander Gideon Lightwood, 18 anni, parabatai di Nashira A. Stormblood. Omosessuale. Impegnato.

Ci sono infiniti modi di essere migliore — disse Jace. — Lo sapevo anche allora. Sarò più forte fisicamente, ma tu hai il cuore più puro di chiunque abbia mai conosciuto, e la fede più forte nel prossimo, e in questo senso sarai sempre migliore di quanto io possa mai sperare di essere.
Cassandra Clare. Città del fuoco celeste.
 
Isabelle Sophie Lightwood, 16 anni. Eterosessuale. Impegnata al momento con Jonathan Morgenstern.

Ora guardo i miei fratelli che spalancano le porte dei loro cuori e penso: Ma siete pazzi? I cuori si infrangono. E penso che, anche quando si ricompongono, non si torna più gli stessi di prima.
Cassandra Clare, Città degli angeli caduti.
 
Clarissa Adele Graymark, 15 anni. Eterosessuale. Libera.


Gli eroi non sempre sono quelli che vincono. Sono quelli che perdono, a volte. Però continuano a combattere, continuano a provarci. Non si arrendono. Ed è questo che fa di loro degli eroi.
Cassandra Clare, Città del Fuoco Celeste.
 
Simon David Graymark, 15 anni. Eterosessuale. Libero.


– Io per te farei quasi tutto – rispose piano lui. – Per te morirei. E lo sai. Ma uccidere un'altra persona, un innocente? E se fossero molte vite innocenti? O magari il mondo intero? È davvero amore dire a qualcuno che, se dovessi scegliere tra lui e qualsiasi altra vita sul pianeta, sceglieresti lui? È che... non so. Ma esiste poi un tipo di amore che si possa definire morale?
– L'amore non è morale o immorale – disse Clary. – È amore e basta.
– Lo so. Ma i gesti che compiamo in nome dell'amore, quelli sì, sono morali o immorali.
Cassandra Clare, Città delle anime perdute.
 
Ilona Nightshade, 35 anni, Rettore della Shadowhunters Academy.


Le stelle ruotano, il tempo corre, l'orologio suonerà,
verrà il demonio e Faust sarà dannato.
Salirò fino a Dio! Chi mi trascina in basso?
Guarda, guarda, il sangue di Cristo allaga il firmamento!
Una sola goccia mi salverebbe, metà d'una goccia.
Christopher Marlowe, La tragica storia del Dottor Faust.
 
 
Aloysius  Ravenscar, 40 anni, Istruttore.


Sii veloce come il vento; lento come una pianta; aggressivo come il fuoco; immobile come una montagna; inconoscibile come lo yin; irruento come il tuono.
Sunzi, L’arte della Guerra.
 
 
Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, insegnante di Runologia e Demonologia. Impegnato.


Siamo legati a questo mondo con una catena d'oro, e non la spezziamo per paura di quello che c'è oltre il baratro.
Cassandra Clare, il Principe.
 
Alatariel, Principessa della Corte di Unseelie, insegnante di Storia


Le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.
Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine
   
 
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