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Autore: Fenici_Bianche    04/02/2017    3 recensioni
Noxus invia un barlume di speranza agli Anziani di Ionia: un'offerta che potrebbe, in un futuro, condurre le nazioni alla pace tanto agognata dal popolo di Ionia, stremato dal conflitto per difendere la parte meridionale dell'isola.
L'inaspettata chiave per schiudere le porte alle trattative è Sona, ma non tutti sembrano concordare sulla soluzione: il Principe Jarvan IV non è ben disposto a cedere alle richieste di Jericho Swain e la stessa Maestra delle Corde è dilaniata dai dubbi. Anche se lei accettasse, quale tranello potrebbe celarsi oltre i cancelli dell'oscura nazione? Davvero può esistere bontà e bellezza in un luogo tanto tetro? O alla prima occasione riceverà una pugnalata alla schiena?
Una fanfiction nata per analizzare i rapporti di forza fra alcuni degli Stati più importanti di Runeterra, a seguito della dichiarazione, da parte della Riot, della non esistenza della Lega delle Leggende a Valoran.
Si vis pacem para bellum?
*STORIA IN MOMENTANEO RIASSESTO*
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sona, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi a voi, con immenso ritardo! Mi dispiace di aver fatto aspettare più di un anno questo capitolo (è davvero passato così tanto tempo?!), chiedo scusa a tutti quelli che avessero letto il primo capitolo e si attendessero una prosecuzione più veloce, pensare che dovrei sapere bene cosa si prova da lettori, quando l'autore non aggiorna per molto tempo la mia fanfiction preferita! Per questo motivo non ho neppure iniziato a leggere Martin, fino a quando non concluderà l'opera, spero tanto che non la lasci incompiuta! :'(

Chiedo scusa davvero, ma voglio tranquillizzare in un qualche modo: le idee per la storia non sono mai venute meno, anzi, mentre preparavo gli esami continuavo a pensare a tantissime cose da aggiungere o togliere, fino a quando mi sono sentita soddisfatta di quanto andrò a scrivere, sperando che possa piacere anche a voi! :D

Ringrazio ancora la solerzia con cui Thurin mi supporta sempre, sia in League of Legends sia nella vita, ed i gentili recensori che hanno lasciato un commento a questa storia: Davos e SideshowEMS, grazie ancora per il vostro sostegno e scusate se vi ho fatto attendere! :P

La fanfiction la sto pubblicando anche sul forum di League of Legends, il mio nickname è AngryPh03n1x, se volete andate pure a darci un'occhiata anche lì! :D

Se riuscirò a portare a compimento questa storia, probabilmente inizierò ad indagare con altri racconti le avventure dei Campioni a Valoran, spero che la pigrizia non prenda il sopravvento su di me! :P

Buona lettura!


Capitolo 2 – Sussurri nelle ombre


Le Isole Ombra.


Non vi era nulla che suscitasse in lei più gelido disprezzo di quegli ammassi galleggianti. Dalle spiagge grigie, alle terre crepate e popolate da vermi, alle foreste nere e ripiegate su stesse come insetti moribondi, fino alle costruzioni in rovina che a stento pigolavano l'eco della civiltà di cui piangevano la scomparsa. Tutto aveva perso quel soffio vitale con cui lei amava dilettarsi nei suoi giorni a Noxus.


Rammentava gli anni in cui studiava sui tomi della Biblioteca Centrale un arcipelago baciato dagli Dei, su cui i raggi caldi del sole tramontavano solo per far sorgere quelli gentili di una luna immensa, mai calante, per volere dei maghi del regno che avevano creato un sortilegio che la mostrasse sempre fiorita o crescente. Quel gesto scaramantico non aveva impedito l'ineluttabile destino cercato dalla cupidigia umana: tutto era immobile, sepolto sotto una nebbia soffocante. Molti esseri deformi vegliavano sui morti. I loro assassini erano i custodi più solerti.


Leblanc scese dall'imbarcazione e levitò sopra la terra ed i boschi dell'isola più grande di tutte. I suoi occhi cercavano una creatura maledetta, ma ben presto s'accorsero di una presenza straordinaria: qualcosa di pulsante ed ansimante si muoveva sotto fronde di rami rugosi come mani di streghe. Una persona in fuga. La donna s'insinuò fra le fitte maglie della foresta per ammirare quello spettacolo: un mantello bianco ed una lunga gonna si dibattevano fra cespugli di rovi a cui erano rimasti impigliati. Dai lembi strappati si scorgevano gambe pallide di ragazza, il cui volto s'intravedeva appena nella penombra del cappuccio, ma l'espressione era sufficiente a capire molte cose: disperazione e terrore. Scendeva un rigagnolo dall'occhio pesto che scivolava sulla guancia paonazza e precipitava dal mento rotondo, i suoi singhiozzi increspavano le labbra piene come avrebbero fatto con il visetto paffuto di un bambino. Non doveva avere più di sedici anni e già lottava per la propria vita. Le camminò vicino, ma la giovane era ancora concentrata sulle vesti: i ramoscelli strattonavano il tessuto, l'Ingannatrice non dubitava che dietro a quella tenacia vi fosse l'opera di qualche spettro.


«Guarda un po' cosa c'è qui» Sobbalzò lontano da lei. Un grido strozzato sparì nell'aria densa, quasi fosse provenuto da una distanza lunghissima.


«Statemi lontano!» Rise di gusto.


«Avete così tanto desiderio di morire?» La ragazzina si fermò, paralizzata dalla sorpresa. Smise perfino di respirare.


«Ma chi siete?!» Vide all'orizzonte addensarsi un mare di foschia che trangugiava ogni cosa nella sua avanzata. Il silenzio innaturale del bosco si riempì di sibili. Non c'era più tempo a disposizione.


«Volete vivere?» Le porse una mano mentre il banco inondava un altro pezzo di foresta, a pochi passi da loro. Anche la ragazza sentiva il terrore lambirle la schiena, con la coda dell'occhio dovette notare alcuni fiotti candidi trasformarsi in braccia scheletriche. Tentavano di afferrarle le vesti improvvisamente libere dalla morsa delle spine, afflosciate sul terreno come paglia secca.


«Sì!» Eruppe afferrandole la mano in uno slancio che la spinse fra le braccia dell'Ingannatrice. Ella non cedette al peso, mentre la nebbia le circondò in un mulinello di scheletri, levò il bastone sopra il capo. La gemma viola sulla sommità rifulse di luce.


«Sparite» La sentenza echeggiò sull'orda di spiriti insieme ad un vento feroce, si sollevava dalla gemma e spaziava attorno alla sua padrona ed alla ragazzina. Le avviluppò in una stretta sorda, s'avvertiva solo il rimbombare degli ululati con cui la magia stava spazzando via le tenebre bianche. Quel poco che restò, si dissolse nella polvere del terreno. Tutto tornò muto ed immobile.


Il fagotto nascosto fra le pieghe del suo mantello ebbe un fremito: dall'incavo della spalla finalmente sbucarono gli occhi e la bocca spalancati della fanciulla. Il cuore scalpitante si era placato accanto al battito calmo della donna, il viso umido era l'ultima traccia di singhiozzi e ansimi. Si guardava attorno rapita dal panorama che tanto l'aveva spaventata, con circospezione, tastò i rovi che erano stati spessi come pietra, piegarsi docili al suo tocco. Respirò a fondo l'aria alleggerita dalla presenza degli spettri, quel nuovo fiato accese una luce vivida negli occhi rivolti verso Leblanc, rivelavano persino un barlume di speranza. Supplicava con le labbra tese:


«Vi prego mia Signora, aiutatemi! Vi scongiuro seguitemi!»


«Perché dovrei?» La ragazza sussultò, ma non perse vigore nella voce.


«Vi prego dobbiamo salvare mio padre! Vi supplico... aiutatemi!» La donna restò ferma per alcuni istanti. Ascoltava quella voce chiara raggiungere vette di angoscia e franare violenta su di lei, con mani piccole ed affusolate ad artigliarle le braccia in un disperato tentativo di piegarla al suo volere. Leblanc era assorta nei suoi pensieri, stava scorgendo una verità oltre un'altra nebbia, come una figura che emergesse dall'oscurità, dai lineamenti ancora celati.


La sua immaginazione divenne improvvisamente realtà: da un gruppo di alberi velati da una normale foschia, affiorò una persona ansimante avvolta in un ampio mantello nero. La bambina si avvinghiò nuovamente a lei ed altrettanto rapidamente corse contro il nuovo arrivato, il suo respiro a lei riconoscibile.


«Padre! Oh Dei vi ringrazio!» Leblanc sorrise mentre li vedeva prima abbracciarsi e poi raggiungerla. L'uomo zoppicava e si cingeva con le mani il fianco sinistro, dove la camicia era macchiata di sangue fresco. Una ferita inferta da un potente attacco velenoso, la maga dovette usare un incantesimo di difficile esecuzione per rimarginare il taglio profondo. Si prese cura anche delle altre escoriazioni disseminate sul petto scoperto dal tessuto strappato e ben visibili sul volto sbarbato dell'uomo, tuttavia non erano così gravi da suscitare preoccupazioni. Mano a mano che la magia dissipava il dolore, l'uomo riprendeva colore ed il respiro si acquietava, persino i suoi occhi si riempivano di vita; tuttavia Leblanc non poteva alcunché contro i segni di una stregoneria più potente di qualsiasi ella potesse apprendere: una persona amata che aveva condotto Sieur Dupont e Yolande, questi erano i nomi dei due parenti, verso l'arcipelago.


Leblanc aveva chiesto una spiegazione come pagamento. Nella pelle esangue dell'uomo balenavano le forme di muscoli ormai privi di allenamento, mentre narrava la sua storia: dopo la morte della madre di Yolande, aveva incontrato una fanciulla di una bellezza straordinaria e se n'era innamorato perdutamente, ancora nel suo sguardo s'intravedeva un lampo di passione mentre descriveva l'incarnato perlaceo e gli occhi scuri sotto ciglia lunghissime. Diceva d'essere la sacerdotessa di un ordine dedicato ad un Dio dimenticato, tale Vilemaw, e lui l'aveva seguita in quei luoghi per ottenere l'agognata benedizione della divinità e convolare a nozze.


«Elise era tremenda padre! Una donna orribile!»


«Perché dici questo tesoro?!» L'uomo scrutava stupito la figlia mentre replicava particolari che giungevano da un'altra storia, di cui lui e la sua intrepida passione non facevano parte e perciò i suoi pensieri capitolavano precipitosamente nella realtà, nel volto e nei suoi movimenti, da aperta meraviglia a dolore stritolante.


«Ti chiedeva sempre soldi e regali, girava per casa con decine di gioielli mentre licenziavi tutta la servitù! Hai mandato via anche Tata Marie, piangevo in continuazione! Quando presi il coraggio per parlarti, quella donna orribile ti portò via dalla villa e tornaste dopo due giorni, mi lasciaste da sola come se fossi un animale!» I suoi occhi s'inumidivano su quegli sprazzi di memoria, le parole scorrevano veloci sulla lingua mai stanca e sempre pronta a rincarare con altri spiacevoli dettagli: le velate minacce di Elise, i rimproveri del padre per la sua mancanza di rispetto e la dimora di famiglia giacente nell'incuria.


Quel fiume in piena frenò solo contro l'abbraccio ed i baci sulla chioma bionda con cui Sieur Dupont parve risvegliarla da quell'incubo, insieme a sussurri di perdono e rabbia per la sua cecità. Le loro sofferenze si unirono: piangevano, ma questa volta era lei a rasserenare il padre, a chiedergli perdono per la sua durezza, l'espressione stanca era illuminata da una gioia ritrovata. A quel punto anche le preoccupazioni dell'uomo caddero e semplicemente prese a cullare Yolande fra le sue braccia, fino a quando la stanchezza prese il sopravvento sulla giovane e, sorridendo, si addormentò.


«Povera la mia bambina! Quanta fatica ha dovuto sopportare!»


«Sì, sono cose che capitano» Fino a quell'istante, Leblanc era rimasta ad ascoltare in silenzio, quasi volesse lasciare un briciolo d'intimità ai due, poi si era riavvicinata.


«Forza, dobbiamo andare» Alle sue spalle, tra i cespugli, giunse un rumore e si girò di scatto, ma non vide nulla.


«Aspettate un attimo lasciatemi dire una cosa!» Con urgenza, Sieur Dupont affidò Yolande fra le braccia di Leblanc: non pesava granché, riusciva a tenerla senza difficoltà.


«Sono stato un pessimo padre per Yolande, dopo la morte di Maia ero distrutto e l'ho ignorata per mesi... Il suo viso me la ricordava costantemente...» Un vento improvviso tirò in alto il mantello dell'uomo, sembrava dovesse esserne inghiottito. I rumori tornarono dietro di lei, si volse ancora ma non scorse nessuno.


«La mia bambina ha sofferto troppo, abbiate pietà di lei!» Questa volta udì chiaramente dei passi, ma davanti a loro. Un ticchettio inconfondibile, non solo per le sue orecchie. Sieur Dupont aveva gli occhi lucidi mentre all'orizzonte appariva una sottile figura nera. Il suo corpo si alzò col vento e quando Elise li raggiunse, si dissolse nell'aria insieme al mantello.


«Uno dei vostri incantesimi Ingannatrice? Mi sorprendete» Gambe di ragno ed artigli sanguinolenti su mani pece. Questo era Elise e nulla più.


Un tempo, Leblanc aveva immaginato un futuro diverso per quella donna: gli occhi neri avevano covato ambizione, persino la trasformazione non avevano cancellato il suo sorriso lezioso e l'elegante andatura con la quale scivolava come acqua su tela. Con interesse l'aveva scrutata al loro primo incontro, saggiando quell'apparenza di bellezza ed avarizia, fino a sentire l'inquieto battito del desiderio: “la forza sopra ogni cosa”, il motto supremo a Noxus.


Una delle tante scommesse che aveva perso.


«Quindi hai seguito il mio consiglio» Il sorriso di Elise mostrò affilate zanne bianche e s'inchinò dinnanzi a Leblanc, gli arti inferiori come spilli puntati sul terreno.


«Tutto è andato secondo i vostri piani: la donna uccisa da Vladimir ha lasciato l'uomo completamente in mio potere... La sua vita ha soddisfatto Vilemaw!» La risata vibrò lenta, gli occhi scuri iniettati di rosso sangue.


«Grazie per aver catturato la bambina, la sua magia rinvigorirà molto il mio Signore!» La nuova natura di Elise le aveva donato uno scatto animale, ma la maga conosceva bene le sue capacità. L'aria sfrecciò fredda su di lei mentre si librava lontano dalla presa della creatura che si stringeva nel vuoto. Brividi percorsero la sua pelle nuda ed il cuore le batteva all'impazzata per via dell'adrenalina. Ora la fissava dall'alto di un albero con gli occhi ricolmi d'eccitazione: avrebbe testato volentieri la sua magia contro la mutaforma, tuttavia non tutti i suoi desideri potevano essere esauditi.


Dal basso, Elise era piegata in una posa che lasciava presagire un altro movimento repentino, ma la figura si tendeva ansimante, senza dare segni di slancio. Lo stupore nei suoi occhi rossastri era smorzato dalla bocca digrignata.


«Cosa state facendo?!» Per tutta risposta, Leblanc si sedette su un ramo robusto, appoggiò Yolande sulle gambe, mantenendo alta la staffa brillante di luce con la mano sinistra.


«Oh? Ti sei dimenticata l'accordo?» La voce era volutamente stucchevole, talmente tanto che l'aria gelò di colpo. Elise la fissava ridendo, sebbene tutto in lei fosse rigido ed avesse smesso di ondeggiare al ritmo del respiro.


«Certo ricordo, ma ho bisogno di lei» indicò la fanciulla fra le sue braccia «per portare a compimento il tutto».


«Avevi bisogno di un'ultima vittima» Leblanc afferrò un lembo rimasto fra le mani chiuse di Yolande: era nero e macchiato di sangue rappreso «l'hai avuta». Lasciò che il tessuto galleggiasse, fino a quando si sbriciolò nel nulla.


«Sono stata anche troppo paziente».


«Lo so Ingannatrice, vi ho fatto attendere mesi, ma lasciate che prenda la bambina...» Tremava sebbene il freddo non potesse scalfirla, come se qualcosa dentro di lei le impedisse un pieno controllo di sé.


«Lui è impaziente di averla...» Gli occhi di Leblanc si aprirono maligni.


«Rispetta la tua parte dell'accordo ed avrai altro sangue nobile per il tuo Dio» La furia di Elise fece posto ad un'espressione assorta. Sembrava catturata da un richiamo lontano, della cui natura Leblanc non dubitava: il legame che la univa a Vilemaw era molto potente soprattutto sulle Isole Ombra, sapeva che la vicinanza all'essere si manifestava tramite una sorta di collegamento nei pensieri, come dei sussurri all'orecchio. La maga immaginò che stessero discutendo se ucciderla o meno ed il solo pensiero la fece sorridere divertita.


La giovane fra le sue braccia ebbe un sussulto, mormorava il nome del padre. Leblanc scese con lo sguardo ad osservare quell'espressione beata: occhi chiusi, incorniciati da ciglia luminose per via delle lacrime; la guancia ora chiara si mosse appoggiandosi al suo petto, calda e morbida, così come il resto del suo corpo ancora pulsante di vita. Emilia volse lo sguardo più in basso, verso il terreno dove prima stava l'immagine di Sieur Dupont, creata con i ricordi che aveva estrapolato dalla mente di Yolande e dalla sua magia. Ripensò alle suppliche, a quegli occhi ricolmi di amore, un sentimento da lei non artefatto, ma vero e disperato. Senza realmente vederla, fissò alla sua destra la vastità del bosco, oltre quel nero orizzonte vi era la barca con cui era giunta all'arcipelago: una modesta scialuppa, abbastanza grande per accogliere due persone.


«Avrete quanto vi spetta e dopo mi darete la ragazzina».


«Va bene».


Elise teneva fra le braccia Yolande mentre Leblanc aveva appena riposto il sacchetto affidatole dall'altra nella borsa attaccata alla cintola. Lo scambio era avvenuto senza intoppi, l'Ingannatrice la lasciò ricordandole che l'avrebbe contattata per la prossima riunione della Rosa Nera, poi si sollevò in volo. La nebbia che aveva scacciato cominciava a ritornare nella foresta, imprigionandola sotto il suo manto di spettri agonizzanti, sebbene non potessero competere con la potenza della voce del suo Signore: riempiva la sua mente di un canto profondo ed antico, catturava ogni membra del suo corpo al suo volere, anche se una parte di lei rimaneva vigile e pensierosa.


Camminava tranquilla verso la tana del suo Dio, la nebbia si dipanava al suo passaggio riconoscendola come una comune abitante di quelle terre e lei aveva imparato ad apprezzare quel mondo e quegli esseri che vagavano perennemente nell'oscurità. Era un ponte fra due mondi separati da un confine impalpabile, di cui lei confondeva spesso e volentieri il tracciato, portando la vita alla sua condanna eterna, saziando per un po' i fantasmi nell'attesa della prossima Mietitura e porgendo al suo Signore le vittime sacrificali più appetitose per la sua magia.


Liberò la manica della bambina impigliatasi in un rovo e per un istante si soffermò su quel volto su cui sbocciava un sorriso; l'Ingannatrice l'aveva illusa facendo apparire il padre, poi l'aveva addormentata poco prima del suo arrivo, nello spiazzo di rovi in cui si trovavano. Quel pensiero la martellava mentre percorreva il sentiero fra alberi sempre più radi: una premura di cui non capiva la necessità.


Si volse di scatto indietro, scrutando la foresta, muta ed immobile: la nebbia non poteva nascondere nulla ai suoi occhi corrotti, eppure non scorse niente di particolare. Ritornò sui suoi passi, i nervi a fior di pelle: giurava di aver udito un rovo calpestato da qualcuno.


***


La spiaggia grigia era deserta, non che fosse solitamente popolata da spettri desiderosi di rivederlo, ma qualcosa guastava l'atmosfera al punto tale che Lucian trattenne un sospiro nervoso. Scese dalla barca annusando l'aria umida ma libera da quella sensazione di oppressione a lui familiare, per le lunghe frequentazioni che lui e la sua signora avevano avviato decine d'anni prima, quando si erano decisi che intraprendere la carriera dei genitori fosse una brillante idea. Non c'era nebbia, non c'erano tracce di non-morti sul terreno, né di animali maledetti. Nessun comitato di benvenuto.


«Qualcuno mi avrà rubato il lavoro» La battuta lo rese ancor più teso, indeciso se ritenerla un segno positivo. Proseguì al limitare della gigantesca foresta davanti a lui, seguì il confine degli alberi per una dozzina di metri, aspettandosi di scorgere, da un momento all'altro, qualche creatura demoniaca intenta a sussurrare maledizioni contro di lui. Nulla di tutto questo.


Stava iniziando a spaventarsi, quando un urlo lontanissimo, di donna, riportò tutto alla normalità.


«Detesto le sorprese» Sbuffò cominciando a correre.


Il vento freddo schiaffeggiava il suo viso e congelava i suoi polmoni, i piedi percorrevano un sentiero aperto da uno degli amuleti appesi al collo, che aveva il potere di districare il fitto nugolo di rami e rovi davanti al suo passaggio. Cercava di ricordare la provenienza del grido, angolava la corsa verso quella direzione, ma più credeva di avvicinarsi, più il bosco si ribellava e si apriva su vicoli ciechi, come se il suono fosse stato la trappola architettata da qualcuno. Lucian sapeva che non poteva essere così, la mancanza dei non-morti sulle coste poteva significare solo una cosa: una preda più succulenta della sua pellaccia dura a morire.


Si fermò di scatto in mezzo ad uno spiazzo brullo. Si diresse piano verso una serie di alberi con le gambe appesantite da fitte di stanchezza, il respiro evaporava davanti al suo sguardo concentrato. Giurava di aver visto qualcosa al di là dei rami...


Una botta allo stomaco lo travolse improvvisamente in una girandola di eventi: una donna si scontrò con lui, ebbe giusto il tempo d'intravedere un bozzolo bianco fra le sue braccia, prima di cadere sulla terra dura. Annaspò, un dolore lancinante gli attraversò la schiena. Con molta fatica, i suoi occhi misero a fuoco il volto affilato sopra: i suoi lunghi capelli neri gli solleticavano il mento ed il naso.


«Ma cosa...» Alcune ciocche gli finirono in bocca e sputò incapace di proseguire. La donna si mordeva le labbra, sospettò che dietro gli occhiali da sole ci fossero due occhi stretti dal dolore. Gemette muovendosi ed inavvertitamente pungolò lo sterno con il suo gomito, togliendogli per l'ennesima volta il fiato.


Ad un certo punto, capì che avesse riaperto gli occhi.


«Oh cazzo!» Si alzò in fretta, però la forza l'abbandonò quasi subito e cadde in ginocchio. Sangue fresco macchiava il bozzolo che teneva abbracciato, ma non fu questo a preoccuparlo.


«Lucian!»


«Shauna?!» Non poteva essere. Non poteva essere!


Si alzò in piedi anche lui, stava per dire qualcos'altro, tuttavia non ne ebbe il tempo: un brivido spiacevole gravò ancora di più sulla sua schiena e la sensazione di un pericolo dietro di sé lo spinse a girarsi, scattando vicino a Shauna. Dove c'erano le sue gambe, ora due tenaglie attaccate al muso di un ragno mostruoso fendevano il vuoto.


«Merda!» Era enorme, un disgustoso animale nero con il dorso attraversato da grandi linee rosse, le estremità delle fauci vibravano provocando un suono stridulo. Assottigliò gli occhi in preda al fastidio ed estrasse dalle fondine le pistole, che s'illuminarono sulle canne.


«Detesto davvero le sorprese».


«Attento sputa veleno!» L'aveva intuito, ma non era diretto contro di lui. Fece appena in tempo ad afferrare Shauna e correre, prima che il balzo del ragno giungesse su di loro. Il sangue gli martellava nelle tempie, frenò solo quando arrivarono dietro un albero dal tronco largo, ad una ventina di metri di distanza. Espirò rumorosamente, lasciando la donna a terra, la fronte bagnata di sudore.


«Presto dimmi qualcos'altro!»


«E' una mutaforma, può lanciare magie da umana!»


«Fantastico!» Lucian staccò un amuleto dal polso mentre osservava la creatura: stava zampettando verso di loro molto velocemente, troppo velocemente!


«Prendilo e dì: Occultus!»


«Occultus!» La donna sparì nel nulla e Lucian scattò contro il ragno, pregando che Shauna fuggisse.


«A noi due bestione!» Unì le pistole davanti a lui scaricando un fascio di luce contro l'essere. Colpì in pieno la creatura: dal dorso schizzò un fiotto di sangue nerastro. Il verso stridulo che seguì lo assordò, ma riuscì lo stesso a scansare un altro getto di veleno.


«Maledizione!» La corteccia colpita al suo posto sfrigolava e la testa gli girava. Il ragno scattò indietro, come se non si aspettasse una potenza del genere dalle sue armi. Lucian sparò una serie di proiettili verso l'animale muovendosi più rapidamente che poteva, ma stava perdendo l'equilibrio per via dello stridio. Nel frattempo, il mostro si era levato in aria con un filo e guizzava via da ogni dardo di luce, girava intorno a lui di ramo in ramo, il mal di testa stava peggiorando.


«Per l'amor del cielo stai fermo!» Esclamò, un moto di nausea gli ghermiva lo stomaco, ma la creatura continuava a saltare da una parte all'altra, sembrava quasi ridere di lui. Molti rami precipitavano mentre cercava di bersagliarla, pezzi di corteccia schizzavano alti insieme ai rumori del legno spezzato. Con orrore, udì dei sibili ovattati aggiungersi al frastuono dei colpi e gli occhi notarono la nebbia che via via imbiancava l'orizzonte della foresta.


Si stava prendendo gioco di lui nell'attesa degli spettri.


S'accorse in ritardo dello sputo, ma lo evitò: vide con precisione il liquido vischioso ed arancione a pochi centimetri dal suo volto, poi come prima, una botta improvvisa lo sbalzò via, questa volta contro un albero.


«Merda Lucian! Non distrarti!»


«Cosa ci fai ancora qui?!» La spalla gli doleva, ma non era per questo che sentiva la furia crescergli all'altezza della gola. Ebbe il tempo di scorgere il ragno fermo contro un albero, impalato da una freccia sull'addome, prima di sentire l'aria fredda percuoterlo e la foresta correre accanto a lui.


«Ti salvo la vita imbecille!» Shauna lo teneva per un braccio, anche se non poteva vederla per via dell'amuleto. Il medaglione al collo dell'uomo brillava spalancando loro la strada. Il sudore gli scivolava via dalla fronte in aria, il fischio alle orecchie stava sparendo come la nausea.


«Ti ho dato l'amuleto per scappare, non per farti ammazzare!»


«Allora sei davvero imbecille! Se volevi suicidarti bastava che lo dicessi!»


«Non capisci!» Lo sguardo di Lucian era infuocato. Le grida dei fantasmi erano alle loro spalle, tuttavia fiotti di foschia stavano cominciando a raggiungerli pericolosamente.


«Volevo trattenerlo, devi assolutamente prendere un antidoto o morirai!»


«Io non ti lascio in balia di quel mostro!» Avrebbe voluto urlargli che allora sarebbero morti entrambi.


Un fulmine di dolore lo fece urlare. Una zampa nera e pelosa trapassava la schiena e perforava la pancia. Il calore del sangue gli annebbiò la vista. Inciampò ed il polso sgusciò via dalla presa di Shauna.


«Lucian!» Lo strillo arrivò debole e confuso. Sentiva l'oscurità salirgli alla testa, quasi non vide le mani nere che gli arpionarono le spalle e lo sbatterono supino. Gemette, sentiva la schiena a pezzi, la nausea ritornare notando la ferita e le vesti nere scurite dal sangue. Non voleva soffermarsi sulla faccia che lo fissava dall'alto: vide come macchie gli occhi e la bocca rossi sul viso di un bianco cadaverico, lei spalancò le labbra mostrando una fila di zanne grondanti veleno. Avrebbe vomitato se il dolore dei suoi artigli rossi sul collo non lo avesse strozzato. Riconosceva l'eccitazione negli ansimi che rimpicciolivano gli occhi iniettati.


«Preparati a morire!» La bocca scese a mordere la gola.



To be continued

Next: Capitolo 3 - Quiete



  
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