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Autore: Shadow writer    05/02/2017    3 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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10_ Imprevisti


 
Harrison fissò lo schermo davanti a lui, con attenzione, come gli era stato detto.
«Ora, guarda, ma devi stare attento»
Lui ubbidì, senza distogliere lo sguardo dalle immagini che vi scorrevano. Rappresentavano un parco giochi colmo di fiori, come in primavera.
«Guarda» ripeté la voce «Credi che Coniglietto abbia mangiato il gelato di Rosella solo per farle un dispetto?» chiese la voce di Emi, sdraiata sul suo petto. La bimba gli indicò il cartone animato che scorreva sul televisore.
«Sei stato attento?» domandò, ancora.
«Certo, tesoro» replicò lui «Ma non credo che Coniglietto abbia voluto essere dispettoso. Magari non sapeva che quel gelato fosse di Rosetta»
«Oh» replicò Emi «Intendi che è stato un incidente?»
«Esatto» le disse lui sorridendo. Sentì la bambina muoversi sul suo petto e accoccolarsi sotto alla coperta che copriva entrambi.
Si trovavano sul divano del salotto dei genitori di Harrison. Avevano deciso che Emi sarebbe stata dai nonni dato che il lavoro avrebbe impegnato l'uomo a lungo e lui le sarebbe stato vicino il più possibile.
«È ora di andare a nanna, topolina» le disse, circondandola con le braccia.
«Mi hai chiamata come la nonna» replicò lei ridacchiando.
«Non ho ancora trascorso una notte qui e già mi ha contagiato» replicò lui, mettendosi seduto con la bimba tra le braccia.
Si alzò poi in piedi, stringendola a sé come un bozzolo, avvolta dalla coperta.
«Ora ti porto nella tua stanza» le sussurrò.
«Dormi con me, papi?» chiese lei, sbattendo le ciglia sugli occhioni verdi.
Nonostante la penombra della stanza, il colore delle sue iridi pareva rilucere.
«Dovrei dormire sul divano, per non disturbarti» rispose lui.
«Ma il letto è grande» replicò la bimba con una voce che cominciava a diventare assonnata «ti faccio spazio»
Harrison non riuscì a contraddirla e si trovò a condividere con la figlia il letto nella sua vecchia stanza. Emi era così esile che pareva una bambola delicata e quasi temette di schiacciarla dormendo al sua fianco.
Mentre cercava di prendere sonno, nella camera buia, gli tornarono in mente i ricordi di quando condivideva la stanza con la bimba, nella loro casa, e di come aveva faticato a convincersi che lei doveva dormire in una propria camera.
A volte aveva trascorso la notte nel corridoio per poter ascoltare il respiro della figlia e accorrere immediatamente se stava facendo un brutto sogno. Non aveva mai voluto essere oppressivo, ma all'epoca, Emilia era tutto ciò che gli rimaneva.
 
 
 
La mattina successiva Harrison si svegliò prima che suonasse la sveglia e la disattivò mentre usciva dalla stanza, per non disturbare la bambina.
Trovò sua madre in cucina e anche questa immagine lo portò indietro nel tempo, quando ancora frequentava le superiori e la figura di Cassidy di prima mattina era il monito vivente che non aveva scelta e sarebbe dovuto andare a scuola.
«Ciao» la salutò «devo correre subito al lavoro»
Lei sollevò un sopracciglio: «Senza fare colazione?»
«Berrò un caffè in ufficio, ora devo andare»
Prima che potesse fare altro, la donna gli aveva già cacciato in mano una fetta di torta e un toast.
«Come puoi lavorare bene per la tua comunità se non fai neanche colazione?» lo rimbeccò mentre usciva di casa «Devi essere onesto con le persone!»
Lui alzò gli occhi al cielo, ma non poté contraddirla.
Dato che il viaggio da casa dei suoi genitori alla centrale era più lungo del solito, Harrison ne approfittò, oltre che per mangiare torta e toast, per schiarirsi le idee.
Doveva parlare con Elliot Hooper, Nell era stata cristallina: sarebbe stata più temibile la vendetta della donna se non avesse incontrato Hooper, che l'incontro vero e proprio.
Cercando di nutrirsi con questa convinzione, raggiunse la centrale, si assicurò che Gibson e Sadie fossero al lavoro, e si diresse verso l'ufficio pubblicitario di Elliot.
Era stato in quel posto mesi prima, quando aveva incontrato Tess per la prima volta. La donna era stata glaciale con lui, chiusa ermeticamente nel suo cappotto e per nulla intenzionata a lasciarsi travolgere da quel detective che aveva solo incrociato, ma che già le dava sui nervi.
Harrison sorrise al pensiero, ma realizzò subito dopo che Tess era scomparsa e che tutto quello che sapeva su di lei, poteva essere contraddetto da segreti celati.
Lasciò l'auto nel parcheggio, entrò nell'edificio e si infilò nell'ascensore schivando la vista delle segretarie all'ingresso.
Ricordava perfettamente dove fosse l'ufficio di Hooper e si diresse con passo spedito in quella direzione. Nessuno sembrò fare caso a lui, così che poté muoversi indisturbato.
Si fermò davanti alla porta della sua meta, batté due colpi e senza aspettare risposta, entrò.
Rimase deluso dal trovare Elliot al lavoro come un normale dipendente, perché sperava di sorprenderlo all'improvviso in atteggiamenti più...compromettenti.
Elliot guardò l'uomo per un istante, prima di realizzare che si trattava innanzitutto di un intruso e poi di metabolizzare dove avesse già visto quel volto.
«Mi dispiace, ma oggi ricevo solo su appuntamento» gli disse, in tono forzatamente gentile.
Harrison gli mostrò il distintivo come se fosse un'arma: «Se questo non ti intimorisce abbastanza, sappi che ho anche una pistola»
Elliot lo guardò di sottecchi: «Credo che minacciare un innocente sia un reato da parte della polizia»
«"Innocente" è un termine relativo» replicò l'altro prendendo comodamente posto su una delle due sedie davanti alla scrivania «Posso trovare una condanna qualsiasi, Elliot Hooper, e affidarla a te. Ho abbastanza conoscenze per metterti nei guai anche se chiami papino, sai?»
Elliot gli rivolse un sorriso forzato, a denti stretti.
«Che cosa vuoi da me?»
Harrison fece roteare gli occhi: «Credimi, la mia presenza qui è spiacevole per te quanto per me, e non vedo l'ora di andarmene. Ma potrò farlo solo quando avrai risposto ad alcune delle mie domande»
«Di cosa sono sospettato questa volta?» domandò l'altro, stringendo gli occhi.
«Nulla» replicò il detective «Ma voglio chiederti alcune cose. Hai mai visto questo uomo?»
Gli tese una fotografia di Calvin, a cui lui diede una rapida occhiata.
«Perché?» ribatté poi.
«Questa non è una risposta» puntualizzò il detective «Stai solo prolungando la mia permanenza»
«Voglio sapere perché, ne ho il diritto?»
«No» Harrison incrociò le braccia al petto «questa è un'indagine riservata della polizia»
Elliot imitò la sua posizione, appoggiandosi allo schienale della poltrona.
«Temo che siano riservate anche le mie informazioni» replicò, con un sorrisetto arrogante sulle labbra.
Harrison lo trapassò con gli occhi, poi esclamò: «Bene, dato che insisti e io non ho tempo da perdere...Tess è scomparsa, insieme a questo uomo»
Il sorrisetto dell'altro si allargò: «Ora sai cosa si prova, ad essere lasciati da lei»
«Mettiamo le cose in chiaro» replicò il detective «Tu sei una testa di cazzo che ha messo incinta un'altra mentre stava con Tess. Lei se n'è andata perché la facevi soffrire»
«E tu, detective?» fece Elliot, in tono dispregiativo «Non credi che se se ne è andata, è perché anche tu, in un qualche modo, l'hai messa alle strette?»
Harrison si sforzò di ignorare la frecciatina e ripeté: «Hai mai visto quest'uomo? Dal tuo atteggiamento deduco di sì, ma voglio sapere dove, come, quando e perché»
La mascella di Elliot ebbe un guizzo, come serrata con troppa forza, ma l'uomo rispose: «In una fotografia, di Tess. Diceva che si trattava di un suo vecchio amico»
«Non l'hai mai incontrato?»
L'uomo scosse il capo: «Non so neanche il suo nome. Lei è sempre stata molto vaga»
«Ti ha mai parlato di qualcosa che la legasse a quest'uomo?»
Elliot tirò le labbra in una sorta di ghigno: «Mi stai chiedendo di riferirti ciò che Tess mi ha sussurrato dolcemente, nel buio della notte, coperto dalle lenzuola...»
«Non mi servono i dettagli» tagliò corto Harrison, sentendosi surriscaldare al solo pensiero che Tess aveva vissuto con Hooper proprio come ora viveva con lui.
Elliot capì di aver colto nel segno, perché il suo sorriso si allargò soddisfatto.
«Sto solo dicendo la verità» commentò infatti «Tess può anche essere la tua donna ora, ma è stata mia molto più a lungo»
«Non parlarne come se fosse un oggetto, perché ha dimostrato ad entrambi come sappia farsi valere» replicò Harrison, sempre più seccato.
Elliot parve intuire di dover tornare a parlare di cose serie, così proseguì: «Come ti ho già detto, non si è mai dilungata troppo riguardo il suo amico. Se anche condividevano qualcosa, di certo non lo ha detto a me»
«Considerando la tua empatia, la cosa non mi stupisce» ribatté il detective, non riuscendo a trattenersi.
«Considerando la tua ultima avventura con una donna scomparsa» replicò l'altro facendogli il verso «credo sia il caso che ritorni sulle tracce di Tess, prima che anche lei trovi un ponte da cui gettarsi»
Prima ancora che potesse finire di parlare, Elliot si sentì sollevare dalla sua poltrona e sbattere contro il muro, mentre il braccio dell'altro uomo premeva sulla sua gola.
Il volto di Harrison, distorto dalla rabbia, lo fece deglutire e spense sulle sue labbra il sorriso falso che vi era dipinto.
«La mia pazienza ha superato da un pezzo il limite» ringhiò il detective «ma se continui a metterla alla prova, ti mostrerò di cosa sono capace e non mi farò alcun riguardo per te. Ti ho studiato Elliot Hooper, so cosa pensi, so cosa fai, so cosa sei. Se provi a metterti sulla mia strada, non ci penso due volte a premere l'acceleratore. Sono stato chiaro?»
L'altro uomo annuì, livido per l'impossibilità di parlare.
Harrison lo lasciò e si allontanò di scatto da lui, come se all'improvviso ritornasse in sé.
Quella mattina si era svegliato come padre di una meravigliosa piccola creatura e ora era diventato un uomo violento e minaccioso. 
Lanciò uno sguardo ardente a Elliot, poi si voltò e lasciò a grandi passi l'ufficio, cercando di scrollarsi di dosso la sgradevole sensazione di qualcosa che non andava. Qualcosa che non andava in lui. 
Mentre attraversava il parcheggio diretto verso la propria auto, sentì il cellulare suonare.
«Pronto?» rispose, cercando di togliersi il tono cupo dalla voce.
«Abbiamo ricevuto la segnalazione di un avvistamento» replicò la voce di Sadie «di Tess e Calvin»
Harrison percepì il battito cardiaco accelerare improvvisamente: «Mandami l'indirizzo. Vi raggiungo subito»
Due minuti più tardi era già in viaggio, con gli occhi fissi sulla strada e le mani salde sul volante. Non aveva avuto tempo di fare domande a Sadie e la necessità di sapere lo stava logorando.
Impiegò meno tempo del previsto e avvistò subito i colleghi fermi accanto all'auto di Gibson, in compagnia di una terza persona. Si trattava di una donna non molto alta, in carne, con abiti casual e i capelli tirati in una coda di cavallo.
Dopo aver parcheggiato, Harrison li raggiunse rapidamente.
Sadie presentò il detective alla donna, poi viceversa: «Questa è Lauren Carey, e si occupa come volontaria di portare assistenza ai senzatetto. Lauren, puoi raccontare anche al detective?»
La donna annuì e rivolse un'occhiata ad Harrison: «Spero di aiutarvi con il poco che so. Questa notte, tra l'una e le due circa, sono stata chiamata a causa di alcuni disordini che stavano avvenendo al centro aperto in cui si trovano i senzatetto. Dato che sono la responsabile, mi sono dovuta recare sul luogo e ho scoperto che il caos era dovuto a due nuovi arrivati. Credo che qualcuno dei miei ragazzi, anche se loro non l'hanno ammesso, li abbia infastiditi e che i due abbiano replicato»
«"Replicato" in che modo?» domandò Harrison, scrutando la donna.
«So solo che si è scatenata una rissa» rispose semplicemente lei.
L'uomo trattenne il fiato. La sua gracile Tess in una rissa tra barboni?
«Dove sono i due ora?» chiese allarmato.
Lauren scosse il capo: «Se ne sono andati, ma non so altro. Posso portarvi al centro, dove troverete chi è più informato di me»
Harrison fece un cenno di assenso: «Andiamo»
Il centro di cui parlava la donna era un edificio scarno e simile ad uno scheletro pallido. Sarebbe parso disabitato se non fosse che quando si furono avvicinati alla porta, cominciarono ad udire un borbottio confuso provenire dall'interno.
Entrarono in una stanza ampia, dalle pareti bianche e spoglia da ogni tipo di arredamento, ad eccezioni dei sacchi a pelo e delle coperte degli uomini presenti. Quando fecero il loro ingresso, Lauren si allontanò per tornare poco dopo con un uomo ben piantato dalla testa pelata e una barba arruffata.
«Alan era presente ieri sera» spiegò la donna.
Gibson gli mostrò la fotografia di Calvin e Tess: «Hai visto questi due?»
Il volto di Alan si contrasse in una smorfia: «Certo. Mi hanno impedito di dormire per tutta la notte»
Intervenne Harrison: «Puoi dirci esattamente come è andata?»
L'uomo spostò lo sguardo su di lui: «Quando sono arrivati, era già notte, ma tutti hanno subito capito che quei due avrebbero portato problemi»
«Perché?» domandò il detective.
«Perché cercavano di passare inosservati, ma non lo erano. Non erano dei senzatetto come noi, ma si stavano nascondendo»
«Cosa te lo fa dire?» chiese ancora Harrison.
Alan gli rivolse un'occhiata scettica: «Tante persone vengono qui per scappare, detective. Ma noi non vogliamo guai. Così, ieri sera, qualcuno ha detto loro che dovevano andarsene, ma non hanno ascoltato. Keith, che è un coglione, ha cominciato ad infastidirli. Ha insultato il biondo, ma lui li ha ignorato, allora si è avvicinato alla ragazza»
Harrison strinse i pugni e serrò la mascella.
Alan proseguì: «Le ha stretto un braccio e l'ha tirata verso di sé. La ragazza ha cercato di liberarsi, allora Keith l'ha schiaffeggiata» 
Harrison sentì la mano di Sadie posarsi sulla sua spalla, come per frenarlo.
«Il biondino si è messo in mezzo e allora è cominciata la rissa»
«Le hanno fatto del male?» chiese il detective, incapace di trattenersi.
«A chi?» chiese confuso Alan.
Harrison sollevò la fotografia: «A lei, questa donna»
Il petto dell'altro uomo tremò, come scosso dall'interno, e i tre colleghi dovettero fissarlo per qualche istante prima di capire che stava ridendo.
«Aspettate» fece Alan, notando le loro espressioni: «Voi non state scherzando!»
Harrison aprì la bocca per replicare, ma Sadie lo precedette: «Può spiegarci cosa trova divertente?»
L'uomo indicò la fotografia: «Mi avete chiesto se quella è stata ferita, ma la vera domanda è se gli altri si sono fatti del male. La ragazza li ha stessi tutti, come un ninja»
Harrison sgranò gli occhi e sollevò ancora a fotografia: «Sei sicuro che fosse questa donna?»
«Sì, ha preso Keith e l'ha sbattuto contro il muro, poi ha evitato i colpi di un altro...»
«Questa donna?» ripeté il detective.
«Sì, ha steso anche l'altro avversario, senza farsi un graffio e ha aiutato il biondino...»
«Questa donna?»
«Che c'è, parlo arabo, detective?» replicò Alan seccato.
Harrison scosse il capo e si voltò verso Sadie.
«Stiamo parlando di Tess?» le chiese «La mia Tess?»
La donna strinse le labbra, per la prima volta priva delle cose giuste da dire.
Prese la parola Gibson, facendosi avanti.
«Sai altro dei due? Come è finita la rissa?» chiese.
«Quando gli altri hanno capito che era meglio stare alla larga, nessuno ha più dato loro fastidio. Credo siano partiti questa mattina presto, forse quando il sole non era ancora sorto»
Dopo che Alan ebbe finito di parlare, fu congedato insieme a Lauren e i tre uscirono dall'edificio per confrontarsi su ciò che avevano appena sentito. Harrison cercò di riprendersi, cacciando fuori tutte le emozioni che gli impedivano di ragionare lucidamente.
«Se sono partiti prima dell'alba, hanno già un largo anticipo su di noi» cominciò Sadie guardando i due uomini.
«Non è detto» replicò Harrison pensieroso.
«Cosa intendi?»
«Il bancomat da cui hanno prelevato si trova più lontano da casa rispetto a dove ci troviamo ora»
«Significa che non si stanno allontanando» aggiunse Gibson «ma si stanno nascondendo»
«E da chi?» domandò Sadie «da noi?»
Gibson scosse il capo: «No, da qualcuno, o forse da qualcosa»
Harrison aveva lo sguardo perso, assorto. Troppe informazioni, troppe piste si stavano delineando davanti a loro ed era difficile riuscire a seguirle tutte. Sarebbe stato dispersivo e inconcludente. Sapeva di non poter continuare così, non era il suo modo di lavorare. Doveva tornare indietro, tornare in sé, a ciò che era.
«"Contra ad Amor pur fur perdente colui che vinse tutte l'altre cose"» mormorò.
«Cosa?» domandò Sadie.
Harrison alzò di scatto il capo e guardò i colleghi negli occhi.
«Devo andare» annunciò.
«Dove?» chiese Gibson, corrugando la fronte.
«A capire cosa sta succedendo. Occupatevi voi di...» fece un gesto vago con le mani «...questo»
Poi si voltò e cominciò ad allontanarsi. 
Gibson fece un passo avanti per richiamarlo, ma Sadie lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla.
«Lascialo andare» gli disse «Ne ha bisogno»
 
 
Harrison guidò senza una meta, mentre la sua mente scorreva scandagliando pensieri, indizi, immagini e istinti. Prendeva le informazioni, le sezionava, le scartava, le rielaborava, tutto all'interno della sua scatola cranica, mandando impulsi nervosi al resto del corpo di conseguenza a ciò che riusciva ad ottenere. Poi cominciò a cambiare direzione, attingendo ai suoi ricordi. Aveva percorso quella stessa strada con Tess, prima di Natale, alla ricerca di un regalo per suo padre.
Parcheggiò davanti ad una vetrina, poi scese dall'auto ed entrò nel negozio. Si trovò in una stanza uguale a come la ricordava, distribuita di scaffali e armadi zeppi di stoffe e abiti. 
Harrison si guardò attorno nella penombra e scorse una figura dietro alla cassa.
Il proprietario del negozio indossava un completo maschile interamente decorato di paiettes dorate che catturavano la luce secondo i movimenti dell'uomo e la riflettevano. 
Harrison gli rivolse un cenno del capo come saluto e si parò davanti a lui. 
L'altro uomo lo scrutò: «Sei il fidanzato di Tess, giusto?»
Lui annuì: «Sì, sono venuto per parlarti, Oscar»
Oscar parve intuire l'importanza di ciò che stava per sentire, così gli fece cenno di accomodarsi sullo sgabello di fronte al bancone.
«Dimmi pure» lo esortò poi.
Harrison lo guardò negli occhi e con franchezza esordì: «Tess è scomparsa»
L'altro sgranò gli occhi e ascoltò attentamente il breve resoconto del detective. 
«Calvin Ward» fece Harrison allungando sul bancone una fotografia dell'uomo «Lo hai mai visto?»
Oscar annuì: «Una volta. Durante delle prove in teatro, è stato per tutto il tempo seduto in platea»
«Quando?» chiese Harrison.
«Credo circa...otto anni fa. Lui e Tess avevano diciotto anni»
«È stato quando si sono allontanati» commentò l'altro.
Oscar fece un cenno di assenso: «Ricordo che quel ragazzo era venuto per dire addio a Tess. È rimasto seduto per ore, al buio, come se non volesse perdersi neanche un istante»
«Tess ti ha mai detto altro di lui?»
L'uomo scosse subito il capo, poi il suo sguardo si fece pensieroso.
«In realtà, una volta, lei mi ha parlato del motivo per cui si è rivolta al teatro»
Harrison si raddrizzò, attento.
«C'è stato un periodo, mi ha raccontato, in cui aveva bisogno di uno sfogo. Aveva circa sedici anni quando decise di iscriversi ad un corso di arti marziali. La teoria base di quelle arti è la disciplina ferrea entro cui mantenere i propri istinti e credo fosse questo che Tess cercava: qualcosa che le desse un binario stretto da non lasciare mai, insieme a Calvin. Ma, a quanto pare, contenersi non era la soluzione migliore e per questo ha deciso di spostarsi nel teatro»
Harrison annuì. Lo schema si stava facendo più chiaro rivelando una donna non diversa da quella che conosceva, ma solo più ricca di sfaccettature. 
Sperava solo che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea.
 
 
La luce colpiva le piastrelle lattiginose del bagno, riflettendosi per tutta la stanza e inondandola di chiarore.
Davanti al lavandino, Harrison si riempì le mani di acqua gelida e si sciacquò il viso. Quando sollevò il volto, incrociò il suo sguardo nel riflesso. Le iridi verdi parevano più cupe, più offuscate. Lasciò che le gocce gli rigassero il viso, prima di affondarlo nell'asciugamano soffice.
«Papi» lo chiamò una voce dalla porta.
Lui si voltò e scorse Emi sulla soglia della stanza.
«Ehi» la salutò «Perché sei già sveglia?»
Non erano neanche le sette di mattina e dato che la bambina non sarebbe andata all'asilo, poteva dormire fino a tardi.
«Mi manca Tess, papi»
Harrison aprì la bocca, ma non emise alcun suono. Non sapeva cosa dire.
«Avevi detto che non l'avresti fatta andare via» continuò lei con gli occhi pieni di lacrime.
Harrison si avvicinò e si accucciò davanti a lei.
«Lo so, piccola, lo so. Tess manca a me. Ma la riporterò a casa, te lo prometto Emi, te lo prometto» le sussurrò stringendola a sé.
Sentì la bambina piangere sulla sua spalla, mentre gli circondava il collo con le braccia sottili.
«Te lo prometto»
La sollevò, stringendola al petto e ritornò nella camera da letto. Adagiò la bimba sul materasso e la coprì con la coperta.
«Ci vediamo quando torno a casa» mormorò accucciato accanto al cuscino. Lei lo guardò, con il volto rigato di lacrime.
Harrison le accarezzò la guancia.
«Perché non posso avere una mamma?» singhiozzò lei.
L'uomo sentì un nodo in gola e, per la prima volta, si trovò senza una replica pronta. Le lasciò un'altra carezza sulla guancia, poi se ne andò, senza parlare. 
Gli sembrava di avere un macigno ad opprimergli petto, mentre guidava verso la centrale. Non riusciva a togliersi dalla testa la voce tremante di Emi e l'immagine di Tess, davanti a lui, che lo guardava con occhi sinceri. Avrebbe dovuto smettere di cercarla come se fosse scomparsa e invece catalogarla come criminale in fuga. Ma sapeva che non ci sarebbe riuscito, che non era giusto così. Tess gli aveva mentito, lo aveva abbandonato, eppure aveva smesso di sentirsi tradito, da molto tempo. Perché si fidava di lei, perché era sincera.
"Contra ad Amor pur fur perdente colui che vinse tutte l'altre cose"
Aveva ragione, chiunque avesse scritto quelle righe. Harrison avrebbe potuto essere l'uomo più potente del mondo, ma si sarebbe sempre chinato per cercare e proteggere chi amava.
Non appena mise piede nella centrale, ebbe la sensazione di essere osservato.
Incrociò lo sguardo di alcuni colleghi, che immediatamente, come colti sul fatto, abbassavano colpevolmente il capo ritornando al loro lavoro. Non scorse né Sadie né Gibson, così proseguì verso il suo ufficio, percependo ancora gli occhi degli altri su di sé.
Entrò nella sua stanza, la numero 5 e sussultò quando si accorse della presenza di altre persone all'interno.
Si trattava di due uomini in completi di giacca e cravatta scuri, dall'aspetto distinto.
«Detective Graham?» domandò uno dei due, facendo un passo avanti. Era di media altezza, con i capelli scuri tagliati corti e il volto ben rasato.
«Sì. Posso aiutarvi?» rispose lui rivolgendo loro uno sguardo penetrante.
«Siamo l'agente Donovan e l'agente Carson» replicò l'altro, mentre estraeva dalla giacca un distintivo e lo mostrava al detective: «FBI»
   
 
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