Anime & Manga > Yahari ore no seishun rabukome wa machigatteiru
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Autore: apeirmon    05/02/2017    5 recensioni
Per Hayato, quella collaborazione per far integrare una bambina nella sua classe era stata una delle esperienze scolastiche in cui si era sentito meno disinvolto. E tutto a causa di una persona abituata a risolvere i problemi in modo molto diverso dal suo.
Tratto dal settimo capitolo del quarto volume del romanzo leggero "Yahari ore no seishun rabukome wa machigatteiru" ("Prevedibilmente la mia commedia romantica giovanile è sbagliata").
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un anno di punti di vista'
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- Bene, Hikitani. Noi iniziamo ad andare, quindi lascio a te il resto. – avevo avvertito la mente organizzatrice dell’incarico più insicuro che abbia mai ricevuto fino ad allora.
- Ricevuto.
Avevo trovato la sua breve risposta impressionante: l’organizzazione del piano che avevamo discusso nei dettagli era stata l’occasione per poter di nuovo riflettere sulle sue parole. Eppure, le sue frasi erano sempre così pragmatiche da ridursi all’essenziale. Per quanto io volessi dare un’interpretazione delle sue intenzioni spontanee, riusciva sempre a dare informazioni che lasciano la scelta di cosa credere. Non riuscivo neppure a capire se lui avesse una scelta o meno, nell’agire in questo modo. Speravo di no. Che fosse uguale a me.
Mentre io, Yumiko e Kakeru ci dirigevamo verso il sentiero in cui l’ultimo gruppo di studentesse elementari avrebbe percorso, deviato dalla strada per il tempio ad opera di quell’incredibile persona, finivo di scrivere per messaggio il copione preparato, in modo che anche loro potessero procedere credibilmente.
Yumiko si voltò leggermente verso di me mentre arricciava adorabilmente le sue ciocche luminose con le dita delicate. Avrei voluto che restasse con Hina per non farle vivere questa recita. Dopotutto, era una mia scelta.
- Ehi, Hayato. Perché vuoi seguire gli ordini di Hikio? Tutto questo è davvero irritante! Voglio dire: quelle dolci bambine si spaventeranno e staranno male per colpa di quel… di quel…
- Se non ce la fai, credo sia meglio che torni indietro. Io e Tobe ci riusciremo comunque anche da soli.
Lo sapevo. Non voglio che la sua sensibilità subisca anche solo un minimo danno. Lei aveva abbassato quegli occhi di un verde intenso e diretto.
- Non è questo! Voglio sapere perché tu stai al suo gioco.
Avevo sorriso spontaneamente prima di rispondere, non so se perché si interessava alle mie motivazioni o perché non volevo peggiorare la sua opinione di lui. Yumiko era l’unica con cui non mi accorgevo di sorridere.
- Mi interessa la reazione che avrà Hikitani quando vedrà che le compagne di Rumi si preoccuperanno per tutto il gruppo; non solo per sé stesse. Spero che così impari ad avere più fiducia negli altri.
Nonostante la sua ammirevole profondità nell’interessarsi agli altri, non sapeva cosa volesse dire sentirsi un gruppo, equivalere aggiungendo la propria personalità… difendersi a vicenda.
- Già, già: Hikitani non è per niente gentile! Assolutamente il contrario tuo, Hayato.
Vorrei che fosse così, Kakeru. In realtà è lui ad essere maledettamente gentile in cuor suo. Ma quella gentilezza è sprecata se si pensa che le persone non possano apprezzarla. Yui voleva provare a farlo sentire importante per lei. Io non potevo farlo: se si fosse accorto di quanto lo ammirassi, non sarei più riuscito a stare nella sua stessa classe. Inoltre, probabilmente non avrebbe neanche iniziato a sentirsi stimato, e questo sarebbe stato un fastidio insopportabile.
Ma potevo cercare di fargli credere che lo considerassi al mio stesso livello. Desideravo riuscire a renderlo felice con la gentilezza e fargli provare gratitudine; in questo modo avrebbe potuto iniziare a mostrare il meglio di sé. E mi sarebbe stato più semplice confrontarmi.
Avevo chiuso gli occhi sospirando. – Tobe, ti ricordo che è per merito suo se i messaggi diffamatori su te, Oouka e Yamato hanno smesso di circolare.
- Lo so, lo so, ma non ci hai ancora detto come ha fatto. Hai detto che ti ha fatto uscire dal gruppo che avevamo formato, ma non capisco cosa c’entri.
Yumiko mi aveva guardato con occhi spalancati e aveva aperto la bocca, ma io avevo scosso leggermente il capo e lei l’aveva immediatamente richiusa. Kakeru non doveva sapere chi era stato a diffondere quei messaggi.
- Non pensarci. L’importante è che abbia funzionato. Ecco, il posto è questo.
Alcuni coni colorati separavano il sentiero diretto alla montagna da quello su cui ci trovavamo. Appena il penultimo gruppo di bambini si sarebbe diretto al tempio, lui avrebbe spostato gli ostacoli sull’altro sentiero, e il gruppo che ci interessava si sarebbe avvicinato alla montagna.
Superata la fila di coni, mi stavo concentrando sul fresco piacevole dell’aria mentre completavo i messaggi e li inviavo.
- Adesso potete leggere le vostre battute man mano che il piano si svolge. Aspettiamo un po’ più avanti che venga a darci il segnale. – avevo disposto accennando a un piccolo masso oltre una curva.
Non erano trascorsi più di tre minuti, prima che il nostro momentaneo capo arrivasse correndo dalla zona in cui Yukino aspettava di spaventare il gruppo di turno. Il suo costume le donava un’eleganza ancora maggiore del solito, ma questa apparenza avrebbe reso il suo sguardo ancora più impressionante a degli estranei. Naturalmente, io sapevo che quello sguardo era una difesa della sua incomparabile disponibilità, che ancora in quel periodo rivolgeva a chiunque la richiedesse. Al contrario, il mio era solo un modo per espiare la mia vigliaccheria, che mi rendeva assolutamente indegno di considerarmi tra le sue amicizie.
La professoressa Hiratsuka è semplicemente un genio. Era riuscita a trovare un club che si adattasse perfettamente alle necessità di Yukino, permettendole di esprimere la sua bellissima personalità senza essere esposta a ulteriori crudeltà: il Club di Volontariato.
Ma esisteva anche una parte delle sue scelte che non sopportavo. Essa comprendeva l’aver inserito in quel club anche Hikigaya Hachiman, un nome a cui riesco a pensare solo se lo considero come l’appellativo che identifica uno studente. Non come persona. Quando, il giorno prima, aveva imitato il suo modo di schiacciare l’autostima delle conoscenze che ritiene possano cambiarla, non aveva idea che quella serie di insulti fosse una reliquia dei metodi tipici della persona che aveva quasi completamente impedito a Yukino di costruire delle relazioni. Oltre a me, si intende.
L’ira espressa da Yukino mi aveva confermato che anche lei è rimasta affascinata dalla sua personalità. Rivedere il comportamento di sua sorella, da cui non riesce a distogliere l’attenzione, essere ricalcato da lui doveva essere stato insopportabile, per quanto sapesse che per lui si trattava di uno scherzo.
Ero in prima media una delle tante mattine in cui i genitori di entrambi erano a lavoro e Haruno si impegnava a farci rispettare le dure regole di casa Yukinoshita. Yukino aveva riportato da pochi mesi i suoi oggetti dalla scuola elementare privata negli Stati Uniti che entrambi frequentammo.
Haruno leggeva sulla scrivania del soggiorno posteriore, mentre io e Yukino eravamo seduti sui canapè attorno al tavolo principale, intenti rispettivamente a scrivere una ricerca estiva e a leggere un libro di Pan il panda.
A un certo punto, Haruno si era voltata verso di noi.
- Ma che bravo bambino, Hayato! Stai già finendo i tuoi primi compiti delle vacanze alle medie. Yukino, perché non prendi esempio da lui e non lasci perdere quelle storielle per poppanti? Pensavo che in tutto questo tempo fossi cresciuta.
Smisi di scrivere e guardai la mia coetanea con la coda dell’occhio. Yukino aveva afferrato il libro voltandosi leggermente dalla parte opposta rispetto a sua sorella.
- Scelgo io i miei interessi. E posso fare i compiti più tardi.
- Ma come?! Hai dimenticato che il divertimento non viene mai prima degli impegni? Su, su: come sorella maggiore devo sequestrarti il libro. Non vorrai che dica alla mamma che stai diventando viziata. Lo sai che non possiamo permetterci di trascurare i nostri doveri. – Haruno bevette un sorso del succo di mango nel bicchiere accanto al proprio libro.
Stavolta guardai direttamente Yukino, pur continuando a percepire di Haruno solo la voce melliflua. La sorella più piccola aveva le labbra serrate e fissava gli occhi su un’immagine in cui un panda più grande teneva un cucciolo per la zampa e lo aiutava a salire su un albero.
- Haruno, adesso si sta solo riposando. Sono sicuro che dopo, anche lei…
- Non è molto gentile da parte tua: se scriveste assieme, le renderesti tutto più semplice. – La voce di Haruno divenne immediatamente gelida, mentre si alzava. - E poi è più piacevole condividere il lavoro.
Le mani di Yukino tremavano, ma restavano strette sulle pagine. - Non ti darò il mio libro. Voglio prima finire questo capitolo.
Haruno le si avvicinò con calma. – E va bene, puoi tenere il libro. Ma devi accorgerti che non ti serve a nulla.
E accadde. Con noncuranza, Haruno versò il succo tropicale sul libro preferito di Yukino, che tentò inutilmente di spostarlo in tempo. Le pagine si inzupparono, prendendo gradualmente una tonalità arancione sotto i nostri occhi, mentre Haruno mostrava un ampio sorriso.
- I nostri genitori sapranno che ti è caduto il bicchiere mentre bevevi, altrimenti dirò loro che mi vuoi incolpare per aver cercato di farti studiare. E sono sicura che Hayato fosse troppo occupato con la sua ricerca per sapere com’è andata. Non è vero, Hayato?
Tutti e tre sapevamo che se avessi raccontato la verità, i miei genitori avrebbero sentito di qualche mia azione che mi avrebbe impedito di continuare con il calcio e mio padre avrebbe avuto una scusa per farmi continuare il baseball. Ma Yukino mi aveva comunque guardato con occhi lacrimanti.
Io mi vergogno molto di essermi fatto impressionare dall’esibizionismo di Haruno. Ovviamente la capivo: quello era il risultato di essere sottoposti a delle aspettative rigide e non potersi esprimere genuinamente quando si vuole, una situazione che ho conosciuto in ogni dannata giornata della mia pubertà e della mia adolescenza. Ma la delusione che ho ricevuto quando ha distrutto la psiche di Yukino è stata un trauma anche per me. E allora, rischiare di essere deluso nello stesso modo da un ragazzo con un carattere essenzialmente opposto al suo mi spaventava.
Mi spaventavano i suoi piani, la sua sfiducia e il pessimismo in tutto, ma mi terrorizza particolarmente la sua violenza verso sé stesso. Questo emblema di coraggio e codardia insieme, non può che ricordarmi il momento in cui sia Yukino che io abbiamo perso la fiducia. In Haruno e in me.
Quando il penultimo gruppo di studenti elementari aveva imboccato la strada che costeggiava la foresta fino al traguardo della prova di coraggio, la fonte di tutta quell’angoscia aveva spostato i coni dietro di loro per indirizzare il gruppo a cui era stata assegnata Tsurumi Rumi nella nostra direzione.
Subito dopo si era avvicinato in quest’ultima per confermare che fossimo pronti. Io mi ero avvicinato alla roccia per sedermi e non far trapelare le emozioni che quel sotterfugio mi stava togliendo in parte dall’autocontrollo potenziato in anni.
- È il momento. Lascio fare a voi.
- Ricevuto.
Avevo ripreso la sua risposta concisa per entrare nel suo significato di collaborazione. Per quanto le sue soluzioni ai problemi mi spaventino, riuscire a gestirle e a portarle avanti era una sensazione di potere inestimabile. Ero soddisfatto della sua scelta di far fare a noi il capro espiatorio questa volta. La risposta che avevo dato a Yumiko era solo una mezza verità: in realtà speravo di abituarmi a quel tipo di pensiero, poter lavorare ancora insieme a lui e rendergli il mio modo di vedere la vita speciale quanto il suo lo era nella mia concezione. Speravo che avremmo potuto unire le rispettive capacità di analisi psicologica per formarne una che riuscisse a risolvere i problemi di chiunque. Speravo che mi cambiasse.
Mentre tornava a nascondersi tra gli alberi, Kakeru e Yumiko si erano avvicinati leggendo le loro battute.
- Hayato, non fa. Come posso spaventarle così? È ingiusto…
- Tobe ha ragione: non possiamo guardarle soffrire e continuare senza bloccarci.
In quel momento mi ero promesso che gli avrei fatto pagare di aver messo i miei amici in quella situazione. Un giorno o l’altro avrei usato il suo stesso metodo per aiutarlo. Se ci fossi riuscito, non solo lo avrei messo nei panni della persona che riceve il suo aiuto, facendogli accorgere del disagio che provoca, ma mi sarei anche dimostrato che ero ancora in grado di scegliere come essere e di poter agire come agisce lui, senza preoccuparmi delle apparenze.
- Mentre state recitando, pensate al motivo per cui lo farete: migliorare la vita di Rumi. Siamo stati chiamati dalla professoressa Hiratsuka per facilitare le interazioni tra i bambini, e questa è la soluzione su cui ci siamo accordati. Stiamo proteggendo quella bambina a qualunque costo dall’atteggiamento delle sue compagne e dando loro un’occasione per dimostrare la loro solidarietà.
- Ma perché attaccare delle bambine solo perché hanno una perfettina arrogante nella loro classe? Continuo a pensare che non ne abbiano alcuna colpa.
Quella volta il mio sorriso a Yumiko era forzato. – Se si è abituata ad agire così ci sono dei motivi. Giudicare una persona dovrebbe sempre venire dopo il conoscerla.
Ci credevo davvero. Ma con quell’essere meraviglioso non ci riuscivo sempre. Avrei voluto disprezzarlo e vederlo con superficialità come facevano Yumiko e Kakeru, ma non posso permettermi di illudermi anche su questo punto. Dovevo credere che, come me, non riuscisse a chiedere aiuto per sé stesso, quindi cercasse di aiutare gli altri per ricevere in cambio gentilezza che potesse ritenere autentica.
Se fossi riuscito a trovare delle caratteristiche che abbiamo in comune, cambiarlo o essere cambiato da lui, forse avremmo potuto diventare amici, completare le nostre esperienze tra di loro e creare un nostro mondo in cui esistesse la felicità per tutti.
   
 
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