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Autore: TremorChrist    05/02/2017    0 recensioni
"La pioggia mi rallegra: è il pretesto perfetto per essere tristi".
Storia partecipante al contest "Divinità dell'Olimpo" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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NON PIOVEVA DA CINQUANTA GIORNI

- installazione di ragionevole pazzia -

 

«È prevista pioggia»  
 «Ancora niente?» domanda Davide, con apprensione. «Mi dispiace, devi credermi» Ester risponde stanca, mentre l’uomo sospira.
 «Quelli del museo mi stanno col fiato sul collo. Io ti credo, Ester, ma non sono in grado di prendere ancora tempo» si accende nervoso una sigaretta. Ester beve il suo caffè, ed osserva con odio il Sole dietro alle spalle di Davide.
 Non ascolta, iniettando nelle sue preoccupazioni una flebile speranza che la pioggia arrivi a sciogliere l’involucro in cui è imprigionata la Grande Idea.

 A susseguirsi con rapidità:
 Davide che le dà un ultimatum: «Entro una settimana voglio vedere le foto» (“O?” “O sei fuori, mia cara Ester”), problematica numero uno.
 Una muta implorazione: «Non ho ispirazione. Come pretendi che io riesca a creare?! Sono questioni delicate, forse incomprensibili agli occhi di chi sull’arte ci specula: non possono essere imposti limiti, scadenze, concreti termini. Non funziona così. Ti prego, liberami» (“La fama implica questo, Ester. Sfornaci un capolavoro!”), preghiera respinta in modo sottointeso.
Il desiderio incontrollabile di morire in quell’istante; di scappare, volatilizzarsi.

 Davide che la guarda, quasi deluso dalla sua carenza di produttività. E dalla pigrizia, l’inerzia, il rimandare: costanti incorreggibili del suo essere. 
 Ma è tutto giustificato, te lo giuro! 
Una nuvola dietro alle montagne.
 “Precipitazioni intense sono previste per domani in mattinata
Speranza, lieve speranza, assopita, stanca speranza. Sole: calura invernale e inadeguata.
 Ester perde i sensi.

 

***

 

(-7)

A risvegliarla, nel suo letto bolzanino, è il rumore più soddisfacente che potesse udire.
 Tic. Tic. Tic. Non pioveva da cinquanta giorni: ogni singolo secondo contato con rabbia. 
Davide le ha lasciato un biglietto sul comodino: “Aspetto con ansia, e vedi di mangiare un po’ di più, per favore”. Se l’asfissia delle aspettative altrui si combattesse mangiando un po’ di più, Ester avrebbe già risolto da tempo i suoi numerosi problemi.
 Le tapparelle sono alzate. La luce fiacca del Sole dietro alle nuvole, di un bianco quasi accecante, la fa commuovere. Si alza, sorpresa dalla sua voglia di affrontare la giornata. Riesuma ansiosa la sua macchina fotografica. Poi afferra il cellulare e compone in fretta un numero.
«Eva, possiamo uscire questa sera?»
 «Con piacere. Ho appena notato che piove»
«Al Rio, dieci e mezza»

 La pioggia mi rallegra: è il pretesto perfetto per essere tristi.

 

***

 

Un tempo era un’evasione dalle giornate: il dolore, paradossalmente, mi rendeva euforica. Logicamente ragionando, ero giunta ad una conclusione che mi porto ancora sulle spalle, come una pesante pietra: necessito di un brivido, di una scossa, e nella sua disperata ricerca le vie da percorrere sono due.
 O il sentiero più in salita; quello tortuoso e difficile da perseguire.
 O il dolore; l’ebrezza di un taglio profondo quanto un pensiero partorito in una giornata piovosa; il pizzicore dell’ago che penetra nella carne, pungente ed eccitante come un amplesso goduto interamente. La tristezza, ottenibile spolverando memorie londinesi, di giorni in cui non necessitavo di espedienti per sentirmi viva.
Credetti di aver perso il nume della ragione; di essermi ingarbugliata in un intrico di pazzia senza neanche accorgermene. Il confine era già stato superato?
  Più soffrivo più mi lamentavo. Più mi lamentavo più componevo. La malinconia era ispirazione fulminea: scatti illuminanti, poesie ermetiche. “La Chiesa Dei Peccati” fu un successo. Mi arrivarono richieste da musei di cui non conoscevo nemmeno la locazione.
 Ma la gioia della fama, come qualsiasi derivato di un lungo e faticoso processo di costruzione, durò un istante.
 Poi mi ritrovai ad annaspare in cerca di elettricità con cui nutrire il mio corpo; con cui donargli lo spasmo che, ormai, era divenuto una richiesta innegabile.
 Poi la paura: cosa sarei stata senza dolore?
Senza demoni a sussurrarmi cosa scrivere, cosa fotografare. Senza ferite che non si rimarginavano mai, riaperte dalla mia foga di andare su di giri. O incontri furtivi, dietro alle discoteche, per un po’ di amichevole eroina.
Non c’era più alcuna strada da percorrere, o scelte da prendere.

 Ero il risultato immutabile di viaggi attraverso scorciatoie buie.

Tutto divenne assurdamente più complesso. Vertevo sempre all’estremo, cercando ispirazione in elementi surreali. Ma non bastava: nulla mi avrebbe guarita, o redenta. 

 

***

 

«Ho visto Davide» Eva sta fumando una sigaretta, mentre Ester guida. «Sì?» domanda, entrando nel parcheggio del Rio. «Non hai ancora nulla di pronto, vero?» Ester sospira.
 «Sento che sono sul punto di creare qualcosa di straordinario, ti fidi?»
 «È quasi un anno che lo ripeti»
«Tu e Davide, invece che rapportarvi come una coppia normale, passate le giornate a parlare del mio blocco: è logico che ti sembra che io l’abbia ripetuto mille volte.»
«Insinui che la mia sia un’iperbole?»
«Ne sono assolutamente sicura. Lo sai che non ne parlo spesso»
«Allora sarà una mia fantasia»
«Sì»

 Il locale è gremito di persone. Adamo se ne sta seduto al bancone.
«Ah, eccole qui!» Esulta Davide, appena le due ragazze entrano nella discoteca. Eva bacia candidamente il manager.
«Ester» Davide fa una pausa, sorride, «questo è Adamo».
In primo luogo, la ragazza pensa che la faccenda in cui è stata catapultata sia penosa. Patetica. Vorrebbe girarsi ed andarsene: si sente quasi insultata; un cane che viene ricompensato col cibo quando ubbidisce.
 Poi Adamo allunga la mano, la guarda negli occhi: le pupille dilatate.

 È come la pioggia che da quella mattina non smette di cadere. Come il Sole oscurato dalle nuvole. I tratti severi del viso, la stretta possente della mano. Un animale acquattato dietro ad un cespuglio, pronto ad attaccare, mordere, dilaniare, distruggere, nutrirsi.
 Adamo è Ester: arte controversa ed esageratamente sperimentale, ispirata da luoghi senza luce e divertimenti bui. 

 

***

(-5)

 

«Non dobbiamo pagare?» domanda l’uomo, osservando Ester che lo supera e che si dirige verso l’ascensore. Lei gli fa cenno di seguirla.
 Il museo è interamente di vetro. Si sviluppa su quattro livelli: le uniche anime vive sono quelle delle mostre, non c’è altro.
Le porte dell’ascensore si chiudono.
«Sei fatta?» le chiede, incuriosito dalla sua vivacità.
«E tu?»
 «Ho preferito affrontare questo viaggio lucidamente»

Le porte di aprono.
 Immediatamente i due vengono travolti da nudi artistici dalla forza visiva potentissima.
 I corridoi sono larghi, e gli scatti esposti sono di artisti variopinti, multietnici, dalle sfumature moralistiche, in parte filosofiche. 

Cosa volete insegnarci voi artisti?”

Nella stanza centrale, 45 foto. Ester e Adamo si posizionano al centro dell’ambiente. 
“Squarcio rosso su tela carne
 La ferita gli osserva: sempre la stessa, quarantacinque volte diversa. Pare sorridergli.
Percorrono piano lo spazio della mostra, e in fine arrivano agli scatti della guarigione.
Punti di sutura.
Attesa.
Cicatrice.

 «Stai piangendo?»
«È il bello di essere vivi»

 

***

Sconvolti dall’incessante alternarsi di chiaro e scuro, ci siamo abbracciati. Poi mi ha detto: “Fotografami”.
 

***

 

Adamo: dalla creazione alla rinascita

Parte prima:
 Il corpo nudo è dipinto a macchie. Ora è un essere primordiale: un uomo dalle sembianze animali. Ritratto tra fronde verdi d’erba, senza parlare: solamente ruggiti. Non conosce ancora l’amore, l’odio, la felicità, il dolore. Non può diventare pazzo perché deve ancora scoprire la logica.
 È solamente libero istinto. 

Parte seconda:
 Non uccide la gazzella. Si erge su due zampe. La osserva e non sente la necessita di mangiarla. Vorrebbe dirle qualcosa ma si trattiene. Muta, pensa.

Parte terza:
 Con la schiena perfettamente eretta cammina su una strada asfaltata. Il cielo è coperto da nuvole grigie. Spalanca le braccia, osserva in alto e, per la prima volta, domanda aiuto. Senza la certezza di un reale ascolto si fida.
 Poi piove, e la tintura scivola via, lasciandolo nudo e schiavo.

 

Parte quarta:
 Conosce l’interazione, i vestiti, le parole. Arriva distruttiva la noia, la monotonia: la ricerca mai soddisfatta di un qualcosa di fumoso ed indefinito. Il flash lo cattura mentre si scalda una dose, appoggiato alle piastrelle fredde di un appartamento bolzanino. 

 

Parte quinta:
Lo scatto è mosso, impreciso. Si scorge appena una figura magra e  muscolosa che si tuffa in acqua.

 

Parte sesta:
 Adamo riemerge. Afferrato nella sua nudità moderna, lo si vede rinvigorito dalla coscienza di non poter essere libero.

 

***

 

 L’accettazione della condizione dolorosa di noi umani: non una novità per il mondo, ma una grande ed inaspettata consapevolezza per me. L’abbraccio della mia parte estrosa, sfrenata: il connubio tra quello che volevo essere e quello che cercavo di diventare. Pazzia fusa con logiche e rassicuranti intuizioni. 

 

 

***

(+2)

«Non c’è più il puro dolore, l’incanto del proibito, gli scatti peccaminosi: non piacerà perché questa non sei tu»
 «È la mia espressione, la mia vittoria. Il prodotto dei giorni passati a morire mentre cercavo disperatamente di vivere. Non m’interessa cosa ne pensa la critica, come vuole interpretarmi e leggermi. La piccola illuminazione nel mio mondo privato, la scintilla geniale che ho avuto hanno un valore incommensurabile. Non esiste giornale o ammiratore cui critica possa smuovermi dalla felicità di questo traguardo»
Pausa. Silenzio. Accettazione.


  «Ti sei liberata»


 

   
 
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