Capitolo 5
Destini incrociati
N |
onostante fossero passati pochi secondi da
quando aveva spezzato le catene della prigionia, la piccola Evelyn aveva già
vissuto una miriade di emozioni diverse. Adesso grande dubbio e timore
s’imponevano con veemenza, ma questi non furono sufficienti a far demordere la
giovane nell’andare fino in fondo alla sua decisione. Schiuse la porta di legno
con qualche difficoltà, poiché strisciava sull’asfalto per via dei cardini
ormai logori, ma non entrò subito. Rimase qualche centimetro davanti l’uscio,
non volendo rischiare di essere attaccata da qualche strano individuo. La
minuscola casa diroccata aveva una sola stanza, al centro della quale si
ammassava una gran quantità di assi di legno, rocce e polvere. Dalla sua
posizione, Evelyn riusciva a esaminarne gran parte, aiutata dalla forte luce
della notte. Sul momento non capì cosa avesse causato un tale frastuono, ma se
ne sarebbe resa conto entro pochi minuti.
“Sam?” azzardò lei, sperando in qualche
modo che il fratello fosse lì. Ma nessuno rispose. Evelyn sospirò, poi fece
qualche passo indietro finché non si voltò nella direzione opposta. Tornò a
osservare l’alta collina, pensando che sarebbe dovuta passare per il bosco a
essa sottostante per rintracciare il fratello. Non aveva altra scelta, anche se
l’idea la terrorizzava. Dopotutto era ancora poco più di una bambina, quando
una prova del genere sarebbe risultata ardua anche per il più forte degli
adulti. Poi però ecco che la sua attenzione fu nuovamente richiamata
all’interno della casa, poiché catturata da quello che sembrava un lamento di
dolore, una richiesta d’aiuto. Notò che qualcosa, o più probabilmente qualcuno,
cercasse di uscire da quel gran cumulo di detriti. Evelyn allora pensò di
seguire l’istinto, come sempre, e cercare di dare una mano a chiunque fosse
stato là sotto in difficoltà. Entrò in casa senza pensarci due volte e iniziò a
spostare tutti i legni più leggeri per poi procedere con le pietre e i sassi
più pesanti. Dopo poco, la giovane iniziò a vedere una mano e pochi secondi più
tardi anche altre parti del corpo di quella che sembrava una ragazza di qualche
anno più grande di lei. Quest’ultima riuscì a togliere la trave che le
schiacciava la testa, potendo finalmente tossire e liberarsi di tutte le
polveri inalate.
“Come stai?” chiese preoccupata Evelyn
alla misteriosa ragazza. Quest’ultima tossì nuovamente, poi si toccò la testa
dalla quale fuoriusciva un po’ di sangue.
“Per favore, aiutami a togliere
quest’ultima roccia” disse lei senza nemmeno rispondere alla domanda. Evelyn
perciò provò a sollevare la grande pietra che le era stata indicata dalla
ragazza, ma senza il minimo successo.
“È troppo pesante!”
“Okay, non importa. Devi usare una leva”
suggerì perciò la sconosciuta.
“Una leva?”
“Sì. Prendi la pietra più grossa che
riesci a spostare e portala vicino al masso che mi blocca il piede” spiegò la
più grande. La più piccola ascoltò il consiglio, facendo esattamente come
richiesto.
“Bravissima. Adesso prendi la trave più
lunga e resistente che trovi e inserisci una delle due estremità sotto la
roccia, mentre fai appoggiare l’asse sulla pietra che hai spostato. A quel
punto tira verso il basso il secondo estremo” Evelyn seguì alla lettera le
indicazioni e con sua grande sorpresa alzare quel macigno le sembrò
incredibilmente facile.
“Grazie” sussurrò la ragazza una volta
liberatasi, mentre si massaggiava il piede che per fortuna era solo
indolenzito.
“Di niente… Io sono Evelyn comunque”
“Piacere di conoscerti Evelyn… Io mi
chiamo Jenny” si presentò lei sorridendo fugacemente. “Dovremmo fare qualcosa
per le tue ferite. Sarà meglio medicarle” disse poi l’altra preoccupata.
“Non sono molto gravi, ma non ti do torto…
Non vorrei che si infettassero. Ma dimmi una cosa invece, come mai sei venuta
solo tu in mio soccorso? Non ci sono altri orfani con te?”
“Orfani? Ehm… No, io e mio fratello siamo
i più piccoli di qui” rispose Evelyn perplessa per la bizzarra domanda.
“Dici sul serio? Ma allora dove sono
finita?” si domandò confusa, mentre tentava di rimettersi in piedi.
“A cosa serve questa struttura? È stato
sfruttato nuovamente come ospedale?” chiese pochi istanti dopo.
“Struttura? Ospedale? Di che stai
parlando?”
“Sono arrivata qua intrufolandomi nel
controsoffitto dell’orfanotrofio in cui vivo, poi però sono caduta qui, da
lassù…” svelò Jenny indicando sopra. Ma quello che vide la lasciò attonita. Non
vedeva più lo stesso soffitto a cui era abituata, l’intera stanza era
completamente diversa. Era tutta in pietra e legno, come se non fosse un’opera
architettonica moderna. Inoltre, tutte le macerie che erano crollate non
potevano essere soltanto del controsoffitto. Era infatti venuta giù una
porzione di tetto. Nulla sembrava avere senso. Anche se durante il percorso
nell’intercapedine non riusciva a vedere nulla, era stata comunque in grado di
percepire il reticolato portante in ferro e i pannelli di cartongesso sotto le
sue mani. Ora invece, sopra la sua testa, c’era solo un tetto, costruito con
dei materiali molto più rudimentali, venuto giù e che apriva una finestra nel
cielo che illuminava la camera.
“Dove diavolo sono finita? E come ci sono
arrivata?” domandò confusa più a se stessa che alla ragazzina. Intanto l’altra
giovane che si trovava nella stanza non poteva evitare di domandarsi la stessa
cosa che si chiedeva ogni volta che osservava qualcuno, finché non si sentì
costretta a esporre il suo dubbio.
“Scusa se mi permetto, ma potresti dirmi
che pillola hai assunto? Non riesco proprio a capirlo”
“Pillola? Di cosa stai parlando? Vi
drogano qua dentro?” chiese quindi Jenny indietreggiando.
“Hanno drogato anche me?” continuò poi,
sempre più preoccupata che qualcuno potesse spuntare all’improvviso per
obbligarla ad assumere qualche strano farmaco.
“Ti hanno cosa?” enfatizzò Evelyn, non
conoscendo nemmeno il significato di quella strana parola.
“Ma certo! Hai ingerito la pasticca della
pazzia!” pensò dunque, non essendoci altra spiegazione al suo strano
comportamento. Jenny a quel punto la guardò esterrefatta, incredula di ciò che
aveva sentito.
“Tranquilla, non voglio farti del male.
Sai dirmi però quanto ti resta prima che le sue conseguenze finiscono?” domandò
a quel punto, sperando che sulla ragazza gli effetti non fossero troppo
evidenti come in tutti gli uomini incontrati negli ultimi giorni.
“Pazzia? Non capisco di che parli! E poi…”
ma Jenny si bloccò non appena si rese conto di cosa ci fosse fuori la porta.
Subito si diresse verso l’esterno, scoprendo la verità. Si guardò intorno,
realizzando di essere in un luogo che non solo non c’entrava nulla con
l’orfanotrofio, ma che con grandi possibilità non aveva niente a che fare
neanche con la sua città, sebbene non la conoscesse per niente. Avvertiva però
delle differenze nell’aria, lo sentiva chiaramente. Qualcuno certamente l’aveva
portata fino a lì dopo essere svenuta, ma non ne conosceva il motivo.
“Come ti senti?” domandò Evelyn un po’
intimorita.
“Confusa… Sai dirmi dove ci troviamo? In
che città quanto meno?”
“Ci… Ci troviamo a Distòpia.
Dunque vuoi dirmi che non sei di queste parti?”
“No, non credo almeno… Non ho mai lasciato
l’edificio in cui vivo, ma ne dubito fortemente” “Capisco… La tua storia è
sicuramente molto strana, e da come hai reagito poco fa credo di capire che tu
non hai bisogno delle pillole per vivere… Dico bene?” azzardò lei, seppur lo
ritenesse praticamente impossibile.
“Ancora con questa storia? Mi potresti
spiegare meglio? Perché non ho idea di cosa tu stia parlando” “Quindi è vero?”
“Che cosa?”
“Che non usi le pillole!”
“Ti ho già detto che non ne so nulla!”
esclamò con il solo volto interrogativo, e stavolta le risposte non tardarono
ad arrivare. Le raccontò tutto, dalle condizioni in cui viveva la sua gente
alla sua particolare esperienza.
“Non dire assurdità, è una cosa
impossibile!” esclamò la diciassettenne con fare scontroso, percependo falsità
in quelle parole fin troppo fantasiose.
“Per me è assurdo il contrario invece. Se
da dove vieni tu ci sono altre persone libere da ogni vincolo come te, vuol
dire che siete molto fortunati… Noi tutti invece siamo destinati a una perpetua
prigionia” Jenny sorrise.
“Non credere che quella in cui hai vissuto
tu, ipotizzando che sia la realtà, sia l’unica forma di schiavitù… Neanche io
sono mai stata libera e non so nemmeno se riuscirò mai a esserlo. Almeno tu
adesso ce l’hai fatta, secondo quanto mi hai detto” disse lei, mantenendo una
costante nota di scetticismo.
“Sarà anche vero, ma in un mondo di
prigionieri cosa importa non esserlo? Ho sognato tanto la libertà, ma se non
posso condividerla che me ne faccio?”
“Sai, la tua storia non è così diversa dalla
mia. Ti è stata data una grande opportunità, hai ricevuto un dono che nessun
altro qui in città possiede. Purtroppo però c’è un prezzo da pagare per questa
tua fortuna. Esattamente com’è successo a me, rischi che questa tua diversità
ti possa isolare. Io ho studiato molto negli ultimi anni, ma così facendo mi
sono costruita barriere inviolabili. Potevo tenere le conoscenze che acquisivo
solo per me e l’impossibilità di condividerle mi distruggeva. Ma poi ho capito
una cosa importante. Chi possiede un grande dono, possiede anche una grande
responsabilità. Io sono l’unica che possa salvare quei bambini e ritengo che
adesso tu sia l’unica che possa fare lo stesso con i tuoi concittadini” spiegò
la maggiore, cominciando pian piano a convincersi.
“Sì ma… Io non so come fare! E poi non so
nemmeno se esistono altre pillole della libertà” ammise Evelyn. Jenny allora
abbassò il capo e iniziò a riflettere.
“Se le tue storie sono vere vuol dire che
conosco davvero molto poco la realtà. Non ho mai visto il mondo, quindi non
posso avanzare ipotesi premature. Tutta la mia conoscenza si basa sui libri che
ho letto, ma certamente non possono avermi dato ogni tipo di nozione che
esista. Perciò ti voglio credere Evelyn, voglio essere tua amica… E soprattutto
voglio aiutarti”
“Dici sul serio?” esclamò entusiasta
l’altra, avendo trovato qualcuno con cui condividere la sua libertà. Jenny
annuì sorridendole. Non ne era del tutto convinta, ma avrebbe verificato la
realtà dei fatti il prima possibile.
“Devo trovare però anche un modo per
tornare a casa, non conosci qualcuno di affidabile con cui parlare?”
“No, qui sono tutti vittime come lo ero io
fino a pochi minuti fa. Ma onestamente non credo esista qualcuno
sufficientemente lucido e pacato da poterci dare una mano”
“Capisco…” fece l’orfana iniziando a
camminare e a riflettere sulle informazioni di cui era in possesso. Toccò la
spessa parete che divideva i due lati della città di cui le aveva parlato poco
prima la nuova amica. “Hai detto che forse tuo fratello si trova oltre il
Confine giusto? Propongo di dirigerci là per prima cosa” “Ne sei sicura? Ti ho
già detto che dovremmo affrontare una foresta incredibilmente ostile… Tutti qui
ne parlano come se fosse impossibile sopravvivere là dentro. E poi… La mia è
soltanto una disperata ipotesi, effettivamente non avrebbe avuto molto senso
scappare nel lato ovest”
“Io credo invece l’esatto opposto” ammise
Jenny.
“E perché mai?”
“Beh, è semplice… Mi hai detto che avevi
consegnato a tuo fratello la pillola della sfiducia, quindi probabilmente avrà
creduto che con la pastiglia della felicità in tuo possesso saresti scappata da
lui e avresti cercato di costruirti una nuova vita in un luogo migliore. Avendo
perso fiducia nei tuoi confronti è normale pensare una cosa del genere… E poi magari
lì potresti riuscire a ottenere delle pasticche migliori di quelle che
circolano qui a Distòpia”
La ragazza aveva proprio ragione, ma
questa possibile verità preoccupava l’amorevole sorella. Stavolta non si
trattava di una banale ipotesi, ma di un logico ragionamento. Sapere che molto
probabilmente il piccolo Sam si era recato nel bosco la turbava enormemente,
così come il pensiero di poter condividere con i suoi concittadini emozioni
positive la rincuorava.
“Non abbiamo altra scelta. L’unico mezzo
per raggiungere i nostri obiettivi è la conoscenza. Più sappiamo, più siamo
forti. In questa zona della città la gente è annebbiata dalle emozioni
negative, se riuscissimo invece a raggiungere la parte migliore di questo
strano posto, potremo parlare con persone che ci daranno retta e che non
avranno timore di noi” spiegò saggiamente la ragazza, sperando di convincerla
davvero a seguire il suo piano.
“Molto probabilmente hai ragione tu, ma
pensa un momento cosa accadrebbe se Sam non se ne fosse andato… Il viaggio non
sarà breve, quindi starà da solo per molto tempo. Oh Jenny… Non so come
comportarmi!”
“Lo so, non è sempre facile prendere una
decisione. Se ti può fare stare meglio, magari potremmo lasciare un biglietto a
casa tua, dopotutto è il vostro unico punto di riferimento e certamente vi
ritornerà”
“Sì, sarebbe fantastico! Mi farebbe stare
certamente più tranquilla!”
“Bene, allora non c’è problema! Prima di
andare però vorrei sapere come raggiungere l’altro lato della città, se non ti
dispiace”
“Certo che no! Dunque… Il cancello che
porta alla foresta si trova molto vicino ai piedi di quell’alta collina, in
posizione perfettamente apposta a quello del lato ovest. Dovremo seguire le
mura di Distòpia puntando verso nord e poi scendere a
sud, lungo le mura dell’altra città”
“Ma non sarebbe molto più veloce passare
sotto le pendici del colle?”
“Questo è vero, ma la zona sottostante la
collina è molto più pericolosa. Conviene fare più strada che attraversare quel
breve tratto”
“Dici sul serio?”
“Sì. Questo è quello che ho sentito dire,
almeno…”
“Meglio evitare il rischio allora. Vorrà
dire che seguiremo il percorso più sicuro… O sarebbe meglio dire meno
pericoloso. Sono però convinta che insieme ce la faremo!” disse Jenny
fiduciosa. Anche Evelyn adesso credeva che avrebbero realmente potuto farcela
perché finalmente aveva un’amica su cui fare affidamento, ma soprattutto era
felice di poter godersi pienamente questo rapporto grazie alla libertà
acquisita.
“Sai una cosa?” continuò sempre la
maggiore.
“Dimmi!”
“Nella mia vita ho sempre avuto a che fare
con gente più piccola di me… Mi sono sempre sentita un po’ sola, ma in te vedo
qualcosa di diverso rispetto a tutti gli altri orfani con cui sono cresciuta”
“Anche tu sei molto diversa da chiunque
altro io abbia incontrato. Sarà bello affrontare quest’avventura insieme, e una
volta aver ritrovato mio fratello, ti prometto che farò di tutto per aiutarti
con l’orfanotrofio!”
E dopo quest’ultimo scambio di battute le
due nuove compagne partirono, pronte ad affrontare un viaggio a cui la
solitudine non avrebbe mai partecipato.
… Nota Autore …
Questo
è l’ultimo capitolo che posto, ma non appena uscirà il libro caricherò il link
sulla mia pagina EFP. Spero vi sia piaciuto fin qua!