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Autore: Valpur    05/02/2017    0 recensioni
Quando, per accontentare una madre apprensiva, Fedra aveva accettato di partecipare a quel dannato Conclave non aveva messo in conto molte cose.
Per esempio di riuscire a evitare il maledetto cugino Frederick.
O di scoprire che le toccava salvare il mondo.
Da imbarazzo dei Trevelyan a Inquisitore il passo è più breve di quanto la goffa, testarda Fedra potesse ipotizzare. E lo percorrerà - non senza qualche bestemmia - con dei compagni inaspettati che le cambieranno la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inquisitore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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L’ennesima notte insonne o quasi, l’ennesimo risveglio in preda a un terrore abbietto e con una nausea brutale che le stringeva la gola. Fedra emerse dalla tenda con le mani grinzose per l’umidità, la testa leggera e tutto il resto del corpo pesante come un macigno.
Erano già tutti pronti. I soldati schierati e in movimento, Cullen in piedi su quella che un tempo doveva essere stata una colonna ormai ingoiata dagli alberi e dalle felci intento a dare ordini; fu Cassandra ad avvicinarla, gli occhi stretti nel sospetto.
“Sei pallida. Non sei in forma, vero?”
“Sai com’è, prima di andare a rischiare la pelle dormo sempre un po’ male”. Si sfregò gli occhi e respirò a fondo, cercando di mandar via l’ondata di malessere. Pian piano la testa le si schiarì e lo stomaco si diede una calmata, pur rimanendo ostinatamente chiuso per la tensione.
“Oggi tu mi stai più vicina del solito. E no, non è una richiesta, è un ordine”.
“Cassandra, nemmeno tu mi sembri stare benissimo, sai?” Si armò e quand’ebbe fissato i foderi alla cintura era tornata se stessa. Lanciò un ultimo sguardo a Cullen che metteva in marcia quell’enormità di uomini e metallo e respirò a fondo.
Pronta non lo era mai stata, eppure non aveva ragione di attendere oltre.
Rimase a guardare l’esercito che si allontanava e rimpianse di non aver avuto neanche il tempo di dire addio a Cullen. Quel pensiero la pungolò come un tafano e la fece agitare nel cuoio della corazza.
Cole le passò di fianco, il viso nascosto sotto al cappello e due lunghi coltelli fissati dietro la schiena.
“Non c’è tempo per gli addii. Ti ha pensata tanto e si è fatto delle promesse, per quelle ci sarà tempo. Oggi potremmo morire, ma domani…”
“Cole… Cole. Grazie, lo so, io… lo so”.
Domani. Un altro domani, ecco tutto ciò che chiedeva: raddrizzò le spalle e si affacciò verso la vallata dove l’esercito scorreva come un fiume di metallo.
Attesero il segnale di Leliana prima di partire. Era ormai giorno fatto e il terrore paralizzante di Fedra si era trasformato in impazienza. Nessuno aveva molta voglia di parlare; Varric se ne stava chino su Bianca, controllando e ricontrollando i meccanismi, e persino Dorian taceva, lo sguardo perso in lontananza verso nord.
Il corvo giunse nell’ora più calda, un incongruo fantasma nero che fece scappare gridando gli onnipresenti pappagalli. Josephine balzò in piedi ma fu Leliana a richiamare il messaggero, che le si posò sul braccio e tese la zampa.
Non ci fu bisogno di leggere il messaggio. L’Usignolo si voltò verso Fedra e annuì secca una volta.
Josephine rimase a guardarli andar via con le mani giunte e un’incessante preghiera muta sulle labbra. Lei, la gentile, elegante diplomatica che si era costretta a imparare le ristrettezze della vita da campo e che ora, sporca d’erba e con i capelli mezzi sciolti sulle spalle, guardava l’Inquisizione marciare verso l’ignoto. Fedra avrebbe voluto abbracciarla, ma non si concesse di esitare.
Il passaggio dell’esercito aveva ridotto la foresta a un tappeto di vegetali schiacciati; non passarono più di un paio d’ore prima che incontrassero altri segni dell’avanzata delle truppe.
Cadaveri. Decine di corpi straziati di maghi e Templari rossi, abomini dagli sfregi scarlatti che giacevano con gli occhi vuoti rivolti al cielo. Fedra sentì la nausea tornare ad azzannarla per l’odore di sangue e la vista di tanti morti – non solo nemici. Avanzando trovarono un accampamento in fiamme e altre vittime.
Corazze con il simbolo dell’Inquisizione.
Qualcosa dentro di lei si indurì. Aveva pianto troppe volte per quell’immensa responsabilità e il senso di colpa ormai era diventato parte di lei; questa volta frugò tra i visi cinerei – gli arti ricomposti da commilitoni impietositi – in una ricerca angosciosa.
Cullen non era lì: poteva andare avanti a combattere.
Oltrepassarono l’accampamento senza dire una parola, senza incontrare resistenza; il passaggio delle truppe aveva richiesto un prezzo alto a Corypheus.
Non abbastanza, comunque: proseguendo lungo il tragitto calpestato e le pile di corpi vennero raggiunti dall’eco di un’altra battaglia.
“Stanno ancora combattendo”, sussurrò Cassandra, rompendo il silenzio che li aveva tenuti avvinti fino a quel punto.
“Andiamo”. Varric era serio e corrucciato, rivoli di sudore che gli scorrevano dal collo e sparivano nella camicia rossa. Fu lui ad aprire la fila, a fermare tutti alzando il pugno quando raggiunsero il margine dell’altura.
Ferro e grida sotto di loro, l’acqua del fiume che scorreva tra la fitta vegetazione che si tingeva di rosso.
Fedra portò senza neanche bisogno di rifletterci le mani ai pugnali e li sguainò.
“L’avanguardia”, disse Cassandra. “Devono aver mandato una pattuglia a eliminare anche questo avamposto”.
Certo, l’avanguardia. Fedra si sporse avanti oltre Varric e strinse gli occhi.
Un generale, il comandante di un esercito, sarebbe dovuto stare nelle retrovie, a dare ordini e pianificare strategie. In questo Cullen era l’antitesi della disciplina.
Immerso nell’acqua fino a metà coscia non gridava comandi ai suoi uomini, impegnati a combattere attorno a lui. Gridava e basta, un fendente dietro l’altro a ingaggiare quello che aveva sempre meno l’aspetto di un Templare e sempre più quello di un demone, immenso e ingobbito, tempestato di schegge di lyrium rosso.
Non stava combattendo solo un avversario: stava combattendo il male dentro di sé.
Bianca emise uno schiocco e il dardo sibilò a un capello dalle orecchie di Fedra.
“Rimani immobile o levati di lì, Carota. Non ci tengo a piantartene uno nel cranio”.
Stava trattenendo il fiato. L’acqua ribolliva di sangue e cadaveri – più del nemico che dell’Inquisizione, ma rinforzi stavano arrivando. Fedra agì prima che la voce di Dorian la raggiungesse, con quell’esclamazione inorridita, prima che la mano di Cassandra si chiudesse sul suo braccio.
Spiccò un balzo oltre Varric e giù per il pendio, calpestando radici e fiori, inciampando e rimettendosi in piedi mille volte.
Da una grande distanza le arrivò il grido rabbioso di Cassandra.
“… pazza scriteriata suicida! Questa me la paghi, Fedra!”
Cullen la sentì. Si voltò di una frazione di grado quando ormai Fedra era in carica, a pochi metri dalla riva, distraendosi dall’abominio morente ai suoi piedi.
Aveva una ferita sullo zigomo e la manica lacerata, appena sotto lo spallaccio, rivelava un taglio slabbrato lungo una spanna. Si accigliò per un istante nel vederla corrergli incontro a pugnali sguainati, e fu un istante fatale.
L’abominio si rialzò, braccia ciondolanti e una chiazza di sangue che si spandeva nell’acqua bassa. Un colpo con il dorso della mano deforme contro il polso di Cullen e la spada gli saltò via di mano.
“No!”
Fedra gridò e si spinse avanti, i piedi che si staccavano dal suolo in un balzo.
Fu fortuna. Caso, forse, oppure qualcosa nel suo sguardo accese l’istinto da soldato di Cullen. Era a mezz’aria quando si accucciò e sollevò lo scudo.
Una comoda piattaforma.
I muscoli si tesero per il colpo quando Fedra atterrò sul metallo dello scudo; Cullen grugnì e stese il braccio, catapultandola in aria.
Sopra all’abominio, alle braccia levate per colpire di nuovo.
Pazza scriteriata lo era di sicuro. Non riuscì a formulare un solo pensiero coerente mentre volava letteralmente in aria e raccoglieva le ginocchia al petto, piovendo verso l’abominio come una meteora.
Suicida? No, quello no. Quello mai.
Sotto l’impeto della caduta le lame trovarono senza fatica la strada attraverso la carne pallida della creatura, affondando fino all’elsa tra gli spuntoni di lyrium rosso.
Le gambe le penzolavano a un metro d’altezza, appesa com’era all’impugnatura dei pugnali. Il metallo squarciò la pelle dell’abominio e lei iniziò a scivolare verso il basso, accompagnando l’inevitabile caduta della vittima.
Cullen doveva essere riuscito a recuperare la spada perché prima ancora di essersi schiantata nell’acqua bassa Fedra vide la testa del mostro saltar via dal collo. Crollarono assieme in un’esplosione di acqua e sangue che la lasciò cieca per un istante. Una stretta quasi dolorosa le si serrò sul polso e Cullen la tirò in piedi.
“Se non fossimo in mezzo a una battaglia giuro sul Creatore che ti appoggerei contro il primo albero e…”
Sciaguattare feroce alle sue spalle. Cullen si voltò in un turbine di metallo e sangue e trafisse alla base della gola un arciere, privo di frecce ma armato di coltello. Lo scrollò via dalla lama e fissò Fedra ancora per un istante.
“Sei completamente pazza e non credo di averi mai amata così tanto”.
Le venne da ridere per una bizzarra, folle reazione all’adrenalina che le riempiva il corpo, ma non riuscì a rispondergli. Un altro assalto li divise e Fedra balzò indietro verso la riva, parando alto l’attacco di un cavaliere. Aveva perso l’elmo e i segni del lyrium rosso sul viso si erano portati via tutto ciò che di umano era rimasto sul suo volto.
Fu quasi troppo facile. Fedra scartò di lato e si abbassò sotto la falciata della spada; un mezzo giro sul tallone e gli fu alle spalle. Non un colpo da soldato: gli strinse la faccia con un braccio mentre una delle lame scorreva lungo la gola in un movimento rapido e profondo.
Altro sangue nel fiume. Fedra si scostò per evitare il corpo che le crollò addosso e risalì lungò l’argine. Per un attimo, mentre riprendeva fiato, si concesse di osservare la battaglia.
C’erano quasi, ormai gli avversari stavano cedendo e si ritiravano verso il folto della foresta. Un Templare si prese un dardo di Bianca in mezzo alla fronte, l’elmo e il cranio che si sfondavano sotto l’impatto e un volo di un paio di metri all’indietro prima di ricadere morto nell’acqua. Cassandra si fermò sopra a un cumulo di carne che doveva essere stato un abominio, coperta di sangue non suo, e dall’altura Dorian lanciò un grido.
Fedra non capì cosa stesse dicendo. Non sembrava stesse esultando; una saetta le esplose a due metri dai piedi e prima che riuscisse a voltarsi Cole, immerso fino alla vita nel fiume di fronte a lei, lanciò un coltello.
Fu assurdo, troppo rapido e confuso per riuscire a dargli un senso. Mentre il tempo giocava con lei e rallentava Fedra vide la lama roteare nell’aria dritta verso la sua stessa faccia.
Il tempo di un pensiero folle – Cole mi sta attaccando? – e si scostò di un soffio. Il pugnale le sfiorò i capelli e colpì qualcosa alle sue spalle con un tonfo sordo. L’odore ferroso del sangue riempì l’aria, così vicino da riattizzare la nausea sempre incombente. Lo vide prima con la coda dell’occhio, un uomo in armatura leggera con l’impugnatura di un coltello che gli sbucava dal collo; quando si voltò era già caduto a terra, morto.
“L’avrei preso io se non avessi avuto paura di incenerire anche te! Non ho sbagliato mira!” La voce di Dorian la riscosse dall’attimo di confusione; quando la tensione ebbe un calo – stanchezza e shock che si contendevano la sua testa – si trovò a barcollare. Cole, fradicio e fulmineo, le fu accanto e le prese il braccio.
“Devi stare più attenta, Due Cuori”.
Fedra batté le palpebre più volte e le lunghe dita pallide strinsero più forte la sua mano.
“Come mi hai chiamata?”
Cole inclinò la testa di lato e annuì.
“Promettimi solo che starai più attenta”.
“Io…”
La lasciò andare e sfilò l’arma dal cadavere ai loro piedi, come se niente fosse.
Cullen la raggiunse e abbassò lo scudo. Nell’aria non c’era più rumore di metallo ma solo i gemiti dei morenti.
“L’area è libera, Inquisitore. Potete andare”.
Varric gli passò dietro e gli diede uno spintone che lo mandò addosso a Fedra.
“Baciala, ricciolino. Lo hanno capito anche i sassi che non vedi l’ora di farlo”.
Erano zuppi, insanguinati, entrambi scossi e circondati da cadaveri. Il luogo ideale per ricordarsi cosa significasse essere vivi. Cullen, serio, prese il viso di Fedra in una mano e obbedì al consiglio di Varric.
C’era il sapore dolce e orribile del sangue sulla sua lingua, odore di ferro e sudore addosso a entrambi. Il capogiro di Fedra peggiorò.
“Ti amo”, riuscì a dirgli quando la lasciò andare, strappandogli quel mezzo sorriso sghembo che l’aveva conquistata dal primo istante.
“Anche io. Seguite il fiume, il tempio non è lontano: noi vi guardiamo le spalle”.
Il resto del gruppo l’aveva raggiunta.
Fedra si accigliò nel fare la conta dei compagni: Cassandra e Varric, certo, Dorian che scendeva tra le felci alte quanto lui con le braccia sollevate mormorando una continua litania di imprecazioni in tevene e Cole che non era mai troppo distante da lei. Due cuori? Che strano nome. Sarebbe tornata sull’argomento.
Ma Morrigan da dove saltava fuori? Era quasi sicura di non aver visto la maga sul campo di battaglia, e di certo non era partita con loro. Eppure ora eccola lì, a due passi da dove si era trovato Dorian poco prima, pallida e indifferente con il bastone gettato di traverso sulle spalle.
“E così ci avete davvero aperto una via verso il tempio di Mythal. Spero non fraintenderete il mio stupore, comandante Cullen: sono semplicemente ammirata”. Scese tra la fitta vegetazione senza fatica e in un istante fu lì con loro.
“Andiamo, per cortesia? Non vorrei che…”
“Fedra, solo un attimo”. Cullen distolse lo sguardo da Morrigan e fissò Fedra, serio. “Guarda i corpi qui attorno”.
“Preferirei di no, ma se proprio ci tieni farò un’eccezione alla mia regola di non fissare i cadaveri”.
“Davvero: guardali. Non sono solo Venatori o Templari Rossi. Ci sono degli elfi”.
“Elfi? E da dove saltano fuori?” chiese Varric.
Cullen scosse la testa e li condusse avanti, fino alle rovine franate di un ponte di marmo bianco. Aveva ragione, eccoli gli elfi: sagome esili, pallide, vestite di armature color bronzo dalla foggia esotica, simili a pelli di serpente che aderivano alle membra scomposte.
“Ne abbiamo abbattuti solo due ma erano di più. Hanno attaccato sia noi che le truppe di Corypheus e poi sono scomparsi”. Si passò il pugno sullo zigomo che non aveva ancora smesso di sanguinare. “State attenti”.
“Prometto che non le succederà nulla”. La voce di Cole, di nuovo. Cullen lo guardò stupito, ma sul viso pallido del ragazzo c’era una decisione così austera da non far sorridere nessuno.
“Grazie, Cole. Io… be’, lo apprezzo molto. Davvero”. Cullen gli diede una pacca sulla spalla e annuì, confuso ma serio.
“Tutto molto carino. Ora però mettiamoci in marcia, Inquisizione, perché Corypheus è già più avanti di noi”. Morrigan tagliò corto e li superò. Fedra lanciò un’ultima occhiata a Cullen e sorrise.
Tornerò, te lo giuro.
Nessuno ebbe molta voglia di parlare mentre si facevano strada tra gli arbusti fitti e gli alberi immensi che avevano reclamato le rovine del tempio. Ponti franati, resti di colonne… tutto parlava di un passato glorioso, di architetture armoniose che si fondevano con i rampicanti quasi fossero esse stesse creature viventi. Dorian alzò lo sguardo verso le due statue di halla rampanti alla base di una scalinata e fischiò tra i denti.
“Non avevo mai visto niente del genere, neanche nei testi delle biblioteche di Vyrantium. Ricordatemi di prendere degli appunti se ne usciamo vivi”.
“Ne usciremo vivi. Non azzardarti a essere pessimista”, rispose Fedra. Si stavano avvicinando a un alto portone coronato di foglie verde scuro e fiori dall’odore troppo intenso; ai lati del passaggio due lupi di pietra, coperti di muschio e dagli occhi troppo acuti, li fissavano intenti. Qualcosa in quelle due statue non andava.
“Fen’harel?” disse Morrigan accigliata.
“Cosa?” Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle immense, immobili creature di pietra. Sembravano vive.
“Il Temibile Lupo, il dio degli inganni o il dio ribelle, dipende dalla traduzione. Una leggenda elfica più antica di quanto gli storici riescano a calcolare. Fen’harel ha…”
“… rinchiuso gli dei – gli Evanuri – per dispetto. O qualcosa del genere”, concluse Dorian sotto voce.
“Giusto. Non mi aspettavo che un mago del Tevinter sapesse certe cose”.
“Oh, non badate a me, lady Morrigan, sono semplicemente un uomo dalla cultura sconfinata, oltre che dal fascino impareggiabile”, ma nonostante la solita vanagloria c’era sincera ammirazione negli occhi grigi levati a scrutare le rovine.
Mentre superavano un lungo corridoio buio l’odore della vegetazione e dell’aria umida si tinse di rosso. Fedra strinse le dita attorno ai pugnali, ma quando emersero su un’ampia balconata che si affacciava su un ponte si rese conto che non sarebbe servito.
C’erano corpi ovunque. Templari e Venatori con frecce che fuoriuscivano dal corpo, gole tagliate di netto. Un lavoro pulito, preciso.
Le venne la pelle d’oca nonostante la temperatura. Si guardò intorno – altri lupi, orchidee che sbucavano da ogni fessura tra le rovine – e trasalì quando la mano di Cassandra le si serrò sulla nuca. Si voltò con una domanda sulle labbra ma la Cercatrice le fece cenno di tacere e la tirò già con sé.
Erano tutti accucciati dietro la balaustra e Fedra, scostando un ramo per guardare meglio, capì.
L’ignoranza era stata molto più rassicurante.
Templari e Venatori, maghi, un abominio: tutti schierati alle spalle della figura alta di una donna bionda.
“Calpernia”, sussurrò Morrigan. Il nome attivò la memoria di Fedra e portò con sé l’orrore di Haven, le parole di Leliana.
Il generale di Corypheus.
Fedra si accorse di non riuscire a respirare. Quelli erano i loro nemici, e di fronte a loro, sul ponte festonato di liane e guardato da due statue gemelle, c’era qualcuno che sembrava altrettanto ostile.
Elfi. Cappucci grigi sul capo, visi dai lineamenti affilati e le stesse armature che splendevano di metallo come squame di un rettile.
“Na melana sur, banallen!”
Di scatto Fedra si voltò verso Dorian, che scosse la testa accigliato, e verso Morrigan, che sollevò le mani impotente.
Dovevamo portaci Solas…
“Si prende gioco di voi, mio signore”. Calpernia rideva, un suono aspro e carico di scherno.
Da sotto alla balconata emerse un’ombra deforme e Fedra si strozzò con un grido.
Un cadavere – un elfo, anche se non c’era una testa da cui giudicare la razza – cadde dalle mani di Corypheus. Quello che era stato un Magister e che ora era soltanto il nemico avanzò rapido, sfilando di fianco al suo generale.
Fedra respirava di nuovo – no, ansimava, brevi rantoli da animale braccato. Cassandra, alle sue spalle, le strinse il polso così forte da farle male. Non la lasciò andare.
“Questi patetici avanzi dal passato non ci terranno lontani dal Pozzo del Dolore”. La voce era sempre quella, bassa e così potente da raggiungere ogni angolo del tempio.
“Il cosa?” chiese sottovoce Dorian, ma Morrigan scrollò di nuovo le spalle.
“Non ne ho idea!”
Corypheus superò Calpernia e marciò dritto verso gli elfi sul ponte. Il primo di essi, quello in posizione più avanzata, indietreggiò di un passo mentre le due statue all’imboccatura iniziavano a splendere di luce azzurra.
“Siate onorati di morire per mano di un nuovo dio!” Mentre passava tra le due statue un’esplosione di luce si diramò dalla roccia, due raggi che si incrociarono sul ponte e trattennero Corypheus.
“Io non me ne intendo di magia elfica, ma secondo me è fottuto”, mormorò Varric con una nota di speranza nella voce. Fedra, semplicemente, era paralizzata e non riusciva a distogliere lo sguardo.
Certo, quell’incantesimo – se tale si poteva definire – stava facendo qualcosa. Doveva essere una qualche forma di estrema difesa e forse sarebbe riuscito a fermare un incursore diverso.
Non Corypheus. Strattonò legacci invisibili e superò le saette sfrigolanti, ancora connesse al suo corpo. L’elfo d’avanguardia lasciò cadere il bastone e cercò di allontanarsi, ma la lunga mano adunca di Corypheus lo raggiunse, ridotta a ossa e brandelli bruciati come il resto del suo corpo; l’intera testa gli entrava nel palmo e l’elfo, sollevato da terra, si dibatteva inutilmente.
Le dita affilate si strinsero e il cranio dell’elfo esplose in una bolla di sangue e ossa.
Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’orrore. L’elfo era morto, i suoi compagni in fuga, ma Corypheus…
I due fasci di luce si fecero più intensi, così luminosi da rendere impossibile guardarli. Proprio mentre si copriva il volto col braccio l’esplosione squarciò l’aria. L’onda d’urto fece cadere tutti a terra, persino loro che erano ben lontani dal ponte. Quando si furono rialzati – Cole insolitamente sollecito nel rimetterla in piedi – di Corypheus non rimaneva altro che una chiazza bruciata sulle mattonelle di marmo spezzate.
“D-Dite che possiamo permetterci di festegg…”
Quel che restava delle truppe di Corypheus – Calpernia e una manciata di Venatori, circondati da una carneficina di Templari Rossi e persino da qualche Custode ancora posseduto – superò il ponte e si diresse l’arco all’altra estremità.
Dorian lasciò perdere e sbuffò.
“No, non c’è niente da festeggiare”.
Fedra si alzò lentamente tirandosi dietro Cassandra. In lontananza Calpernia la vide e, ne era certa, le sorrise.
Una sfida.
“Andiamo, non so cosa sia il Pozzo del Dolore ma se Corypheus lo vuole allora non deve poterlo avere”, disse Morrigan. Fu lei a guidarli giù dalla balconata e verso la scena dell’esplosione.
Non c’erano sopravvissuti, il che era un bene. Ma a guardare con attenzione non c’era neanche il corpo di Corypheus.
Un verso gorgogliante li colse di sorpresa. Si voltarono di scatto e Fedra cacciò uno strillo, balzando indietro sul piede di Cole.
Un Custode.
No, non poteva essere vivo, non con il cranio aperto in due da una roccia volante. Eppure era in ginocchio, scosso da sussulti che facevano sobbalzare la mandibola inerte.
“Non mi piace per niente”, disse Cassandra. “Per niente”.
Dalla bocca spalancata del Custode iniziò a schizzare una sostanza nera e densa, quello che Fedra aveva imparato ad associare al sangue dei demoni. Un getto sempre più grosso che si riversava in una pozza ribollente fino ai loro piedi.
“Merda”, sussurrò Varric.
Il corpo del Custode si accasciò in avanti e la schiena si squarciò con un orrendo suono gorgogliante. Dal punto in cui si sarebbero dovute trovare le vertebre si sprigionò una raggiera di liquido nero e la carne si aprì.
“Non… non è possibile”, sussurrò Morrigan, più pallida del solito.
La crisalide umana si lacerò e un lungo braccio ossuto, coronato da una grande mano dalle dita affilate, ne emerse.
La mano di Corypheus.
Cole trattenne rumorosamente il fiato e scosse la testa con gran svolazzare dell’ampia tesa del cappello.
“Merda merda merda!” Questa volta Varric urlò direttamente.
“Via di qui, subito!” Dorian dovette prendere Fedra di peso e sradicarla da terra, dove era rimasta impietrita a osservare l’orrendo spettacolo. Dopo pochi passi la mise giù e la trascinò con sé tenendola per il braccio. “Muoviti!”
Fedra si voltò solo una volta a guardare. Corypheus stava emergendo dalle spoglie del Custode, ombra nera dagli occhi di brace e volto deforme levato al cielo in un grido inumano.
L’arco sotto cui era passata Calpernia con il suo seguito si rivelò essere un portone. Erano quasi arrivati quando la foresta deflagrò in un delirio di foglie, rami spezzati e pappagalli impazziti per il terrore. L’ombra del drago accarezzò il ponte e il vento delle immense ali spazzò via i cadaveri.
Merdissima!”
Varric stava rimanendo indietro. Cassandra si fermò e lasciò che tutti la superassero, restando di guardia fino a che anche il nano non le sfrecciò davanti.
“Il portone! Chiudete il portone!” ruggì. Non ce ne sarebbe stato bisogno; Dorian lasciò Fedra e si appoggiò con tutto il suo peso a uno dei battenti e Morrigan lo imitò. Appena Varric li ebbe raggiunti si fiondò a spingere l’altro e Fedra, ancora inebetita, trovò la prontezza per fare altrettanto, insieme a Cole.
Erano pesanti. Erano immensi e lottavano strenuamente, ma alla fine si mossero. Cassandra per un istante rimase incorniciata dall’apertura verticale, poi si voltò con il drago che le incombeva alle spalle e si lanciò verso di loro. L’armatura mandò scintille quando, con un’ultima scivolata, superò il portone appena prima che i due pesanti battenti si chiudessero con un tonfo.
Appena prima che il drago vomitasse fuoco contro di loro.
Tutti finirono scagliati all’indietro e, per un motivo a lei sconosciuto, Fedra si trovò tra le braccia di Cole, che quasi la prese al volo.
“Ti ho detto che devi stare attenta”, le disse, ma Fedra non riuscì a prestargli troppa attenzione. Il portone davanti a loro si illuminò in ampi cerchi e ronzò per un istante, per poi lasciarli nel silenzio totale di un tempio buio e semidistrutto.
Se le era sembrato che le rovine esterne fossero state predate dalla natura, qui era evidente che la foresta avesse vinto sulla mano dell’uomo. O dell’elfo, per l’esattezza.
Gli alberi erano diventati le colonne del tempio, archi di liane a chiudersi sulle loro teste in volte lussureggianti. Più avanti, sotto di loro, uno spiazzo circondato da scalinate.
“Il cuore del tempio di Mythal”, sussurrò Morrigan. Fedra si scrollò e cercò di recuperare il controllo, cosa non semplice dopo gli shock dell’ultima ora.
“Possiamo ancora battere Corypheus sul tempo. Andiamo!” Era più facile mettersi a correre che ragionare, ma mentre scendevano la prima scalinata la voce di Dorian salì alle sue spalle.
“Scusate se puntualizzo l’ovvio, ma perché Corypheus dice di volere questo Pozzo del Dolore quando ci risulta che fosse interessato a uno specchio?”
“Non… non sono sicura di cosa intendesse”, rispose Morrigan a malincuore. Oltrepassarono un ennesimo lupo di pietra – e Fedra provò quel consueto brivido lungo la schiena – e Cassandra ringhiò dal profondo della gola.
“Fantastico”, brontolò.
Proseguirono lungo una scalinata franata per metà e Fedra inchiodò di fronte a un portone chiuso. Si voltò verso Morrigan e la guardò, cercando di ingoiare la rabbia rovente che le risaliva dalla gola.
“Ferma, ferma. Fammi capire. Tutte le tue teorie, l’Eluvian che hai messo a Skyhold a rischio di tutti i suoi abitanti, un intero esercito spostato fin qui… era tutta una supposizione?”
L’incantatrice schioccò la lingua e distolse lo sguardo. Fedra la incalzò e le si fece più vicina, pugni stretti e denti digrignati.
“Hai… hai trascinato qui centinaia di persone a rischiare la vita sulla base di… di un sospetto. Senza prove”.
“Avevo ragione! Siamo nel posto giusto, ma non so cosa sia questo Pozzo che Corypheus cerca, d’accordo? Questo ti soddisfa?”
“Non mi soddisfa per un cazzo!” Fedra stava alzando la voce, indifferente ai cenni di Varric per tenerla bassa.
Morrigan si scostò il ciuffo corvino dagli occhi e scosse la testa.
“Senti, in questa storia c’è un tassello più del previsto. Il Pozzo mi è ignoto, ma se Corypheus lo vuole noi dobbiamo portarglielo via. Almeno su questo sei d’accordo?”
“Morrigan, io non posso credere che…”
“Erano mesi che volevo farlo. Smettetela di litigare”, si fece avanti Cassandra. “Su questo Morrigan ha ragione, Fedra, e d’altro canto tu hai tutti i diritti di innervosirti. Ora, se permettete, abbiamo un arcidemone da fermare”. Annuì secca una volta e le superò.
Zittita Fedra preferì seguirla che continuare la discussione, ma aveva lo stomaco annodato. Si era fidata di Morrigan e della sua conoscenza; scoprirla incerta peggiorò la sensazione di ansia e precarietà.
“Aspettate… qui c’è scritto qualcosa”. Dorian si era fermato nei pressi della statua di lupo, chino in avanti e intento a strappare erbacce da un’iscrizione sulla base di pietra. Morrigan lo raggiunse, ancora pallida, e quando parlò Fedra fu certa di sentire una nota di sollievo nel tono. Come se fosse lieta di potersi dimostrare indispensabile.
“Ah, certo! Il mio elfico è arrugginito, ma qui… Abe… Abelasan? ‘Luogo del dolore’. Deve riferirsi al pozzo, stiamo andando nel posto giusto!” Seguì con lo sguardo il muso del lupo, puntato verso un altro immenso portone.
“Shiven… Shivennen… vuol dire conoscenza? Qualcosa del genere. Conoscenza pura. Credo”.
“Non pensavo l’avrei mai detto, ma avremmo dovuto portarci l’elfo”, disse Dorian, dando voce allo stesso pensiero di Fedra.
“Bah, per quel che riesco a capirne il pozzo è da quella parte. Tanto vale andare a controllare”.
Ripartirono in fretta verso un’altra serie infinita di corridoi verdeggianti e pavimenti coperti di muschio, fino a una sala interna, priva di soffitto ma anche troppo ricca di figure inquietanti.
Sul ciglio di una spaccatura al centro della sala Calpernia era in piedi, a braccia conserte e circondata da Venatori. Non era più vecchia di Fedra, ora che la vedeva da vicino, anche lei con le orecchie un po’ sporgenti e un’esplosione di lentiggini sul viso.
Il sogghigno che le schiuse le labbra, però, era spaventoso.
“Non lasciateli passare”, ordinò. Al comando di quella singola donna minuta e slavata una mezza dozzina di soldati corazzati si mise in posizione.
“Ho già detto merda?” disse Varric caricando Bianca.
“Sì, lo hai già detto quattro volte, prima. E una volta merdissima”. Cole si passò il pugno armato sotto al naso.
“Giusto, grazie, ragazzino. Una volta in più non farà male, vero?”
Calpernia fece un passo indietro e si lasciò cadere nella spaccatura proprio mentre i Venatori attaccarono.
“Con permesso”, disse Dorian parandosi davanti a Fedra. Conosceva quella barriera simile al vetro che si schiuse davanti a lei. “Cole ha insistito molto”.
“Ma che…”
Erano meno numerosi ma più pericolosi dei Venatori. Il bastone di Morrigan roteò nell’aria e produsse una frusta di fuoco che ne colpì due, mandandoli a schiantarsi in fondo al baratro dove era sparita Calpernia. Un terzo, colpito alla coscia da Bianca, trovò la morte per mano di Cole e Cassandra ne eliminò un altro.
Finì tutto troppo in fretta e Fedra, di fianco a Dorian, non riuscì a sferrare un singolo colpo.
“Mi spieghi cos’è questa follia? Non possiamo permetterci di risparmiare forze!”
“Te l’ho detto, Cole dice che bisogna tenerti al sicuro e io lo faccio. Oh, guarda, quello è ancora vivo”, e, abbassata la barriera, lo fulminò con un ampio gesto della mano.
Varric inclinò la testa da un lato e dall’altro e la raggiunse, un gran sorriso sanguinario sul volto.
“Stiamo diventando troppo bravi, quasi non c’è più gusto”.
“Sbrighiamoci, quella Calpernia arriverà prima di noi!” Cassandra puntò dritta verso il cratere, ma Morrigan rimase indietro.
“No, fermi, cosa stiamo facendo? Qui attorno potrebbero esserci tracce di una sapienza antica di millenni, non possiamo permetterci che vada persa così!”
“Morrigan, là fuori c’è un esercito che sta combattendo per noi, ogni minuto che perdiamo è un uomo in più che muore!” La voce di Cassandra era dura, Morrigan però non era da meno.
“Come possiamo sapere che quella presa da Calperni asia la via più rapida?”Indicò le svariate porte che si aprivano sulla sala. “Potremmo trovare qualcosa che ci aiuterà nella ricerca dell’Eluvian, potremmo…”
“No”. Fedra avanzò a testa bassa e pugni stretti. “Non intendo mettere a repentaglio così la vita dei nostri soldati”.
“Ma Fedra, tesoro, se Morrigan ha ragione…” Dorian si fece avanti, l’eccitazione da studioso che gli accendeva lo sguardo. “Se davvero qui intorno potesse…”
“Ho detto di no”. Implacabile Fedra raggiunse Cassandra. Odiava essere in disaccordo con Dorian, ma ci sarebbe stato il tempo per appianare la questione, se fossero sopravvissuti. Lo vide stringere le labbra e stritolare il bastone, ma quando Varric scosse la testa lasciò perdere.
In fondo alla spaccatura i cadaveri di due Venatori erano ancora caldi, scomposti dalla caduta e ustionati dall’incantesimo di Morrigan. Era un salto di almeno cinque metri e Fedra non se la sentiva di lanciarsi così, nel vuoto, ma sotto di lei si stendeva un intrico di radici che, a un tentativo con il piede, si rivelò abbastanza robusto per reggere il suo peso. Scese fino al fondo del cratere saltando gli ultimi due metri e subito Cole la raggiunse, rimbalzando una sola volta a metà della discesa.
Morrigan fu l’ultima a scendere, con Dorian, e lo sguardo giallo che rivolse a Fedra era carico di rancore.
“Hai commesso uno sbaglio, Inquisitore. Spero non dovremo pentircene tutti”.
“Ti prego, ho una voglia matta di litigare ma non qui e non ora. Possiamo comportarci da bravi bambini fino a che non avremo stabilito di non essere sul punto di morire in maniera cruenta?” le rispose, più stanca che altro.
L’incantatrice sbuffò e levò il bastone, mandando una sfera di luce a brillare davanti a loro. Un utile stratagemma quando, dopo aver percorso i primi metri tra le macerie, oltrepassarono un arco e si riversarono in quelle che avevano tutto l’aspetto di cripte.
Era impossibile camminare in silenzio sul pavimento di pietra coperto d’acqua; le pareti non grondavano più di vegetazione ma di muschio pallido tra i rivoli d’acqua che scavavano i mattoni.
Sembrò volerci un’eternità fatta di buio dall’odore stantio e da dozzine di sale vuote che si spalancavano ai lati del percorso ritorto.
In quanti stavano morendo, là fuori?
Fedra strinse i denti e accelerò, costretta a tener dietro alla luce di Morrigan.
“Continuo a credere che avremmo dovuto cercare un’altra via”, iniziò Dorian prima di affrettarsi a proseguire: “No, non cambierò idea, Fedra, puoi guardarmi male quanto vuoi. Se avessimo…”
“Con i se non si va lontano, Dorian. Possiamo non parlarne più?”
Le rispose uno sbuffo, ma Cole intervenne.
“Di là”. Stava indicando un vicolo che si diramava sulla sinistra, concentrato e serio.
“Perché?” Morrigan non sembrava convinta ma mandò la luce a indagare.
“Vecchie voci, echi di ere estinte da troppo tempo perché qualcuno ne abbia ricordo… ci chiamano. Da questa parte”.
Cassandra deglutì a vuoto.
“Mi terrorizza ma non abbiamo altre idee. Da questa parte”, e seguì l’indicazione di Cole.
Pochi gradini, una svolta a gomito e si ritrovarono in una sala inondata di sole.
Peccato che non ci fossero finestre.
Fedra fu l’ultima a entrare e indugiò sulla soglia, abbracciando con lo sguardo l’alto soffitto con il residuo di un mosaico dorato e gli archi snelli lungo le pareti. Di fronte a loro un alto pulpito privo di scale sporgeva verso la sala, ma quando Fedra si voltò per controllare alle proprie spalle di non essere seguita i due battenti, fiancheggiati dalle statue di due arcieri, si chiusero con un tonfo.
“Ma cosa…”
Ai quattro angoli della sala bracieri si incendiarono e dal nulla, in un lampo pallido, una fila di elfi comparve dietro di lei. Tutti uguali, cappuccio grigio e corazza di scaglie, archi tesi e puntati verso di loro.
“Varric, posso dire ‘merda’?” Chiese Cole.
“Sarebbe molto appropriato, ragazzino”.
Cassandra si voltò di scatto, scudo sollevato e guardia alta.
“Ci stavano seguendo!”
“No”, disse Morrigan. Era l’unica a non essersi voltata, lo sguardo fisso in alto, davanti a sé. “Ci stavano aspettando”.
Sull’alta predella, a braccia incrociate, un elfo avanzò dall’ombra. Sotto al cappuccio grigio il viso era cinereo, un tatuaggio verde ramificato sulla fronte e occhi a mandorla, dallo sguardo remoto.
“Venavis”. Una voce profonda che rimbombò in tutta la sala. “Voi… non siete come gli altri invasori”.
“Nel senso che non siamo dei fanatici o dei mostri infestati? Gentilissimo”, borbottò Dorian. Cassandra gli tirò una gomitata.
Gli occhi antichi si posarono su Fedra, la scrutarono e la fecero sentire quasi più in pericolo della dozzina di frecce puntate alla schiena.
“Tu”, le disse, avanzando fino al bordo dell’altura. “Tu rechi il marchio di una magia che mi è… familiare”.
L’ancora brillò sul palmo di Fedra e mando scosse lungo il braccio.
“Com’è potuto accadere? Qual è il vostro legame con i primi che hanno disturbato il nostro sonno?”
Fedra si riscosse e mosse un passo avanti con le braccia allargate.
“Senti, elfo, mi dispiace se vi abbiamo svegliato, è una cosa che fa incazzare di brutto anche me. Comunque tu chi saresti?”
Le sopracciglia incolori dell’elfo si corrugarono e le mani, avvolte in guanti di metallo dorato, si giunsero davanti al volto.
“Il mio nome è Abelas. Siamo sentinelle, investite del sacro dovere di difendere questo luogo dai profanatori. Ci destiamo dal nostro sonno solo per combattere, per fermare gli invasori… ma ogni volta siamo meno numerosi”.
“E io che mi lamento del mio lavoro”, bofonchiò Varric. Era di spalle dietro Fedra, Bianca puntata contro gli arcieri.
Abelas iniziò a camminare avanti e indietro.
“So cosa cercate, voi come tutti coloro che vi hanno preceduti. Volete bere dal Vir’Abelasan”.
“Il Pozzo del Dolore”. Morrigan era rapita, gli occhi da falco sgranati e la bocca socchiusa. L’immagine stessa dell’avidità di sapere.
L’elfo si fermò e guardò Fedra con odio lampante, i denti scoperti in un ringhio.
“Non è per voi. Per nessuno di voi!”
Fedra gli si avvicinò ancora, schivando la mano di Cole che cercava di trattenerla.
“Parliamone, Abelas. Io sono Fedra e sono finita in tutto questo per puro caso, quindi non credere che sia qui per profanare chissà cosa. Io neanche lo so cos’è il Vir Coso, il Pozzo del Dolore…”
“Questo secondo me conta come profanazione”, mormorò Dorian.
“Vir’Abelasan è un cammino riservato a coloro che si impegnano per ottenere il favore di Mythal. Questo è tutto ciò che vi occorre sapere”.
“Roba da sacerdoti, quindi”, tagliò corto Fedra. “Abelas, credimi, veniamo in pace: il Pozzo sembra essere una fonte di potere che ci permetterebbe di salvare il mondo qui fuori da un tizio che vorrebbe distruggerlo, di sicuro voi non vorrete che…”
“Il mondo è più aberrante e sbagliato a ogni nostro risveglio. Non è una ragione sufficiente per permettervi di profanare quanto abbiamo di più sacro, per attingere a un potere che comunque non potreste utilizzare”.
L’ancora brillò più intensa per l’improvvisa ondata di rabbia. Abelas rivolse un rapido sguardo alla luce verde e Fedra abbassò la testa e scoprì i denti.
“Perdete tempo a fare la predica a noi ma i seguaci di Corypheus li avete lasciati passare!”
“Essi riceveranno il vostro stesso trattamento. Come loro, voi siete usurpatori e non permetterò che il Vir’Abelasan venga corrotto… se anche dovessi distruggerlo io stesso. Masal din’an!”
“No!”
Il grido di Morrigan accompagnò lo scatto dell’elfo che si voltò e sparì nell’ombra.
E poi, di tutte le cose che Fedra si sarebbe aspettata, accadde la meno probabile. Morrigan mosse due passi di corsa e svanì in un lampo viola e nero; al suo posto un corvo si levò in volo dietro Abelas.
“Può fare quella cosa? Anche io voglio farla! Magari non un corvo, ma comunque…” Dorian era ammirato, ma il sibilo della prima freccia e il tonfo con cui si infisse nello scudo di Cassandra lo riportò al presente.
“Grazie, Cercatrice. Penso tu mi abbia appena salvato la…”
“Ma qualche volta ti capita mai di stare zitto?”
Cassandra lo superò e caricò gli arcieri con l oscudo a ripararle la testa.
Dorian fece spallucce e alzò una barriera davanti a sé.
“Il fatto è che amo il suono della mia voce…”
Fedra era rimasta indietro, la mano che pulsava in modo sempre più doloroso.
La stanchezza si stava trasformando in odio, in furia cieca. Vide Varric abbattere due elfi e parare una freccia con Bianca.
“Non mi piace tutto questo, non mi piace!”
Cole emise un verso strozzato e cadde in ginocchio, una freccia che gli sporgeva dalla coscia.
Colpito. Atterrato. Sembrava più meravigliato che spaventato, le mani che lasciavano cadere le armi e si stringevano sull’asta che fuoriusciva dai calzoni di cuoio.
“Fa… male”, disse piano.
E Fedra perse ogni controllo. La scossa dal marchio le risalì lungo la spalla e fino alla gola, una gabbia di saette che le incendiava gli occhi e l’urlo che le saliva dal petto.
Non i suoi amici. Non dovevano permettersi.
Alzò la mano e l’ancora brillò così intensa da trasformare la sala in un’unica sfera di luce. Tensione nei muscoli, quella sensazione di essere trascinata e tesa verso l’alto e poi un’improvvisa debolezza che la fece barcollare e cadere in ginocchio.
La spada di Cassandra colpì il pavimento, sopra ai resti che svanivano di uno degli arcieri.
Fedra oscillò avanti e indietro e batté le palpebre: lo aveva fatto di nuovo.
“E questo cosa sarebbe?” Varric la fissava ammiccando, sconvolto.
“Sono così felice che tu abbia imparato questo trucchetto, Fedra, tu non ne hai idea”. Dorian strappò una freccia dall’asta del bastone e il sorriso gli si spense sotto ai baffi quando si accorse di Cole. Era seduto a terra con il sangue che gli colava lento dalla gamba.
Cassandra rimise in piedi Fedra e la tenne contro di sé.
“Tutto bene?”
“Io s-sì, ma Cole…”
Varric mise Bianca a tracolla e corse da lui, inginocchiandosi al suo fianco.
“Ragazzino, quanto pensi sia grave?”
“Fa male, Varric. Non pensavo facesse così male. Non sono abituato”.
Le grosse mani del nano gli presero il volto e lo tastarono.
“Pallido lo sei sempre, non riesco a capire… Dorian, un incantesimo di cura?”
Il mago si morse il labbro.
“Temo non… non siano la mia specialità. Però vale la pena fare un tentativo. Senza quella freccia, grazie”.
“Posso farcela, sapete? Insomma, è scomodo. Brucia e pulsa e cola ma non è così…”
“Taci, ragazzino. Ora dovrò farti male, ti chiedo scusa in anticipo…”
“Tu non mi faresti mai male apposta, Varric. Sei mio amico”.
Qualosa luccicò negli occhi azzurri del nano. Con un mezzo sorriso afferrò la freccia e strinse forte.
“Mi fai sentire ancora peggio, così. Pronto?”
“A cosa?”
Strappò. La freccia uscì con un suono umido ma Cole non emise un grido. Si limitò a sgranare gli occhi e ad artigliare il pavimento. Fedra rimase attonita a guardarlo esalare un lungo respiro tremulo.
“Te l’ho detto che avrebbe fatto male. Perdonami, Cole”. E quando Varric non usava i suoi soliti soprannomi era davvero scosso.
Dorian gli si accucciò di fianco e sfregò le mani tra di loro; Fedra, ancora appoggiata a Cassandra, non riuscì a guardare.
Fa’ che funzioni. Fa’ che non gli succeda niente di male.
“Dovremmo andare”, disse la Cercatrice con scarsa convinzione. Fedra si scostò da lei brusca e strinse le labbra.
“Non lo lascio qui. Non vi lascio qui, e se pensi che potrei farlo non hai capito niente di me, Cercatrice”.
Gli occhi obliqui di Cassandra erano imperscrutabili, fissi in quelli di Fedra.
“Forse ho capito anche troppo, Inquisitore. Il mondo ha ancora bisogno di essere salvato, sai?”
“Fatto!”
L’esclamazione entusiasta di Dorian ruppe la tensione. Entrambe si voltarono verso Cole e lo videro intento a piegare più volte la gamba.
“Pizzica, non pulsa”. Tese la mano e Varric lo rimise in piedi, un gesto così umano e spontaneo che Fedra per un attimo si dimenticò che fino a poco tempo prima era stato solo spirito. Cole si accucciò un paio di volte e raddrizzò le spalle. “Grazie, Dorian, non fa quasi più male!”
“Non dirlo con quel tono stupito, è ben poco lusinghiero”, ma gli diede una pacca sulla schiena e si rilassò visibilmente.
“Andiamo allora. Cole, stai dietro di noi, non voglio che tu ti faccia male”, disse Fedra. Cassandra scosse la testa ma con un sogghigno.
Non fu una passeggiata attraversare quel tempio. Era un labirinto di scale e porte nascoste, di leve da tirare per aprire passaggi segreti e lupi, lupi di pietra che li accoglievano a ogni passaggio e che mettevano Fedra terribilmente a disagio.
Correvano per le sale invase dal muschio, guidati dalla luce del bastone di Dorian e dal vago bagliore dorato che emanava dalle pareti. Sembrarono passare ore ma quando finalmente Cassandra spalancò a spallate l’ennesima porta che dava su un cortile interno il sole li accecò.

In fondo a una scalinata sorgeva uno spicchio di foresta fitta di alberi immensi e infestata da farfalle e uccelli di ogni colore, con una cascata che scendeva per chissà quanti metri oltre il terreno. Una piattaforma sorgeva a una dozzina di metri d'altezza, circondata dai rami ritorti di un albero morto; tra le radici Calpernia guardava verso l'alto, rapita, mentre un manipolo di Venatori massacrava pochi elfi superstiti.
Fedra si fermò all'imboccatura del cortile.
“Così vicina...” La voce di Calpernia era sommessa ma lì, in quel luogo di magia, riecheggiava sotto alle fronde. Mosse il braccio di lato e i Venatori sollevarono la testa all'istante, come un branco di cani richiamati dalla padrona. La raggiunsero – l'ultimo elfo venne lasciato ad annegare a faccia in giù in un rigagnolo – e le si schierarono attorno.
“Il Pozzo riconoscere il suo recipiente... e anche coloro che vorrebbero profanarlo. Allontanati, Inquisitore”.
Si voltò verso di loro e fissò Fedra senza quel ghigno che aveva avuto in precedenza. Era seria, più giovane di quanto fosse sembrato poco prima.
“Non ci penso nemmeno ad andarmene, se permetti. Ci è voluto parecchio per arrivare fin qui”, le rispose avvicinandosi di un passo.
“Presto diventerò un tutt'uno con il Pozzo, Inquisitore. Te lo ripeto, vattene: questo non è il tuo momento”.
“Sarei più incline a credere alla tua buona fede se non ti accompagnassi a delle brutte, brutte compagnie”. Fedra indicò i Venatori assiepati alle spalle di Calpernia, che scosse la testa.
“Ti sto dando una possibilità di salvare la tua gente, Inquisitore. Voi avete bisogno di Corypheus, dovete solo rendervene conto! Il Pozzo trabocca di una conoscenza incredibile, di un potere abbandonato da coloro che gli elfi veneravano come dei”. Per un attimo si voltò a guardare verso l'alto e Fedra seppe dove si trovasse il Pozzo, quindi riportò lo sguardo su Fedra. “Grazie a esso Corypheus potrà entrare nell'Oblio anche senza l'Ancora”.
“Ah, ecco a cosa serviva!” esclamò Dorian battendosi la mano sulla coscia.
Fedra inclinò la testa.
“Avete un sacco di cose in comune tu e il tuo amichetto brutto. Per esempio vi divertite un sacco a spiattellarmi i vostri piani malefici. Ora, Calpernia, ti consiglierei di farti da parte e lasciar perdere”.
La donna gettò iondietro la testa e scoppiò in una breve risata acida.
“Altrimenti?”
Il primo dei Venatori cadde di schiena con le mani strette attorno al dardo di balestra che gli sbucava dalla gola.
“Questa vale come risposta? Ne ho parecchie altre!” Varric ricaricò e puntò un secondo bersaglio.
Partirono in carica, Venatori contro Inquisizione, ma non Calpernia. Sparì in un lampo di luce e ricomparve di fronte a Fedra, scagliandole contro una sfera di energia che la sollevò da terra e la mandò a schiantarsi contro una radice.
L'ansa di legno le impattò contro il fianco e la fece rotolare via, senza fiato e con lampi di sofferenza che le raggiungevano il cuore e la testa; riuscì a mantenere la stretta solo su uno dei pugnali e l'altro andò a perdersi nella boscaglia. Fedra lottò per rimettersi in piedi ma prima che ci riuscisse Calpernia era di nuovo davanti a lei, la testa china per guardarla meglio.
“Non era necessario che andasse così, Inquisitore, lo sai?”
“Oh, ma s-stai zitta!” sibilò. Riuscì a rotolare via da una seconda bordata di magia che lasciò un cratere bruciato tra le foglie dove un istante prima si era trovato il suo torace e a strisciare in ginocchio.
Troppo vicina per sguainare i pugnali, troppo pericolosa per aspettare che qualcuno intervenisse a salvarla. Fedra aprì le dita e lasciò cadere l'unica arma rimasta.
Calpernia annuì una volta.
“Ti stai mostrando ragionevole, vedo. Non temere, farò in modo che il mio signore ti...”
Un montante la prese dritta sotto alla mandibola e le fece ribaltare la testa all'indietro. Calpernia barcollò e Fedra non si fermò: un pugno alla base dello stomaco, un altro in bocca. Sentì i denti scalfirle le nocche, avvertì l'euilibrio che abbandonava l'avversaria e continuò.
Calpernia cadde di schiena e Fedra le montò a cavalcioni, una mano stretta sulla gola, l'altra – la sinistra, con il marchio che brillava nel pugno – che calava e fracassava denti e naso e ossa. Anche le sue, ma non le importava.
Era senza fiato, ogni muscolo del corpo che le doleva per i giorni di viaggio e le lunghe battaglie, ma non riusciva a fermarsi. Calpernia smise di lottare e di scalciare e attorno a lei i suoni della battaglia si fecero più attutiti.
Ansante, con i capelli sciolti e sporchi incollati al collo e alla fronte, Fedra si interruppe con il pugno grondante ancora sollevato.
Gli occhi di Calpernia erano fessure tra le palpebre gonfie, il sorriso una mostruosità di sangue e denti spezzati.
“N-non mi ucciderai...” rantolò.
“Non ne sarei così sicura”, fu la furiosa risposta, ma mentre caricava un nuovo colpo Calpernia svanì da sotto di lei. Fedra urtò il suolo con le ginocchia e seguì il grido di Dorian.
“Lassù!”
Si voltarono tutti – Cassandra sanguinava profusamente dal naso ma non sembrava preoccuparsene, Cole zoppicava e Varric si affrettò ad andar a sorreggerlo – verso l'altura. Calpernia oscillava tremendamente sul ciglio del baratro.
“Se devo morire... non sarà per mano tua”, disse con un residuo di voce. Allargò le braccia e si lasciò cadere nel vuoto.
Fedra chiuse gli occhi e strinse i denti, ma il rumore del corpo che si schiantava contro le rocce sottostanti si perse nel fragore dell’acqua che scorreva. Quando li riaprì vide qualcosa che avrebbe tanto preferito non fosse lì.
Abelas emerse da una chiazza di luce e li guardò per un istante prima di mettersi a correre verso la base della piattaforma.
“Di nuovo quell'elfo...” Cassandra sputò e si preparò a caricare, ma Abelas la prevenne. Agitò le mani e una serie di gradini bordati di luce sbocciò dalle radici ritorte. Più li risaliva e più che sorgevano, creando una rampa verso il Pozzo.
“Andiamo!” Fedra recuperò da chissà dove un residuo di energie per rimettersi a correre dietro all'elfo. Sbucò in cima all'altura reggendosi il fianco e vi trovò Abelas parato davanti a quello che doveva essere il Pozzo del Dolore, uno specchio d'acqua circolare e immobile di fronte a quello che aveva tutto l'aspetto di un Eluvian rovinato, coperto di muschio.
Fece giusto in tempo a tirare un paio di bestemmie per la fatica prima che un'ombra nera le sfrecciasse sopra alla testa. Il corvo gridò e planò tra lei e l'elfo, ma prima di toccar terra esplose di luce viola. Morrigan si alzò da terra e puntò il dito contro Abelas.
“Hai sentito cos'ha detto, prima: intende distruggere il Pozzo!”
La voce dell'elfo era un grido spezzato, frustrazione vecchia di millenni che veniva a galla.
“Certo! Qualsiasi cosa pur di tenerlo lontano dalle vostre mani! Che vada perduto piuttosto che servire gli indegni!”
Morrigan strinse i pugni e incalzò l'elfo, i denti scoperti come un animale selvatico.
“Avete lasciato l'eredità del vostro popolo a far la muffa per secoli!”
“Abelas... Abelas, ti scongiuro. Potrebbe essere essenziale per sconfiggere Corypheus!”
“Non mi importa nulla dei vostri patetici conflitti, Shemlen!”
Gli altri si affaciarono in cima alle scale.
“Non conosco l'elfico ma secondo me vuol dire 'pezzenti' o qualcosa del genere”, commentò Varric.
“Ti importerà quando Corypheus verrà per il Pozzo!” gridò Fedra.
L’elfo scosse la testa e sul viso pallido scese un’infinita, straziata stanchezza.
“Voi non sapete cosa chiedete. Quando un servitore di Mythal raggiunge la fine dei suoi anni la sua conoscenza viene trasmessa alle generazioni future… attraverso questo”. Si voltò verso il Pozzo. “Tutto ciò che siamo stati, tutto ciò che abbiamo conosciuto andrà perduto per sempre”.
Fedra lo vide stringere i pugni e chinare il capo. Dopo un lungo silenzio Abelas alzò la testa senza voltarsi.
“Il nostro dovere è tutto ciò che ci rimane. Coloro che hanno bevuto dal Vir’Abelasan hanno pagato un grande prezzo, legandosi per l’eternità al volere di Mythal. E forse questo è l’unico modo per…”
Fedra non capì cosa fosse successo. Abelas era di fronte a lei e un istante dopo si ritrovò a terra, abbagliata da un lampo di luce e circondata da una nuvola di fumo scuro.
“Ma che cosa…”
Morrigan balzò in piedi al suo fianco, una sagoma snella nel fumo. Tossendo Fedra scorse le braccia di Abelas agitarsi sul pozzo in ampi cerchi e, nella penombra, scintille blu brillargli negli occhi.
Qualcosa stava accadendo, qualcosa di magico e arcano che non sarebbe mai stata in grado di comprendere.
Non fece neanche in tempo ad alzarsi. Le acque del Pozzo sobbollivano e si levavano in archi seguendo il movimento delle braccia di Abelas, e poi ricaddero schizzando tutt’attorno. Luce e fumo si dissiparono, le stelle negli occhi dell’elfo si spensero mentre Morrigan, in piedi alle sue spalle, estraeva il pugnale che gli aveva piantato nella schiena.
M-Mythal sulevin”, sussurrò Abelas con un filo di voce. Un rivolo di sangue gli colò dal labbro e fin sul mento prima che si accasciasse a terra. Morto.
“Sei un’assassina!” La voce di Cassandra squassò l’aria; passò di fianco a Fedra, la scavalcò e raggiunse Morrigan, la spada alta.
La maga schioccò le labbra e la guardò dal basso, con uno sguardo gelido negli occhi gialli.
“E lui uno sciocco che è morto per niente. L’ultimo della sua stirpe e guardalo…”
Fedra si aggrappò alla gamba di Cassandra e si alzò, scossa.
“Non… non dovevi ucciderlo. Credo. Non così almeno…”
“Fedra, avrebbe sprecato la nostra ultima possibilità di sconfiggere Corypheus! Guarda”, e indicò il pozzo con il pugnale ancora insanguinato. L’Eluvian era opaco, coperto di muschio. “Avevo ragione: l’altro Eluvian era qui e… e…”
“Hai pugnalato quell’elfo alle spalle!” Cassandra non abbassò il tono né la spada.
“Lo rifarei! L’Eluvian è ancora una minaccia, Corypheus potrebbe ancora usarlo per i suoi piani. Se Abelas avesse bevuto dal pozzo ne avrebbe annullato il potere, ma se lo facessi io…”
“Chissà perché mi aspettavo saremmo arrivati a tanto”, brontolò Dorian. Fedra si voltò a guardarlo ma il mago alzò le mani. “Non guardare me, non ci tengo particolarmente. Tevinter, ricordi? Per una volta non sono io quello assetato di conoscenza, vi lascio volentieri la roba degli elfi”.
Gli occhi gialli di Morrigan si spsotarono su Fedra.
“Se lo facessi io avremmo la chiave per l’Eluvian. Io sarei la chiave, e Corypheus non potrebbe mai usarlo contro di noi”.
“Tu. Perché non lei?” Cassandra indicò Fedra con lo scudo.
“No no, io proprio no”, si affrettò a risponderle. “Senti, Abelas ha parlato di un prezzo da pagare, di legarsi per sempre al volere di Mythal… mi ci vedi a passare le ere a braccetto con una divinità di qualche tipo?”
“Meglio tu che lei!”
“Io non voglio! Cosa intendi fare, costringermi?”
“Ma lei…”
Fedra si scostò dal cadavere di Abelas e indicò il resto del gruppo. Dorian scosse piano la testa, mentre Varric e Cole si limiarono a sguardi parimenti perplessi.
“Fattene una ragione, Cercatrice. Tu sei troppo una fervida credente per macchiarti con una cosa del genere, Fedra ha il diritto di non volerne sapere nulla e noi siamo inadatti. Chi rimane?”
Cassandra emise un verso particolarmente disgustato e rinfoderò la spada.
“Non mi piace, neanche un po’”.
“Nemmeno a me fa impazzire, ma è la soluzione meno peggiore che abbiamo”. Fedra sostenne il suo sguardo fino a che non la vide cedere, quindi si voltò verso Morrigan.
“Non so cosa comporterà tutto questo, Morrigan, ma potrebbe essere un sacrificio e non un onore quello che ti tocca”.
L’incantatrice sorrise, quell’espressione selvatica e inquietante che la faceva sembrare molto pericolosa. Probabilmente un’impressione corretta.
“Probabilmente se ti ringraziassi la Cercatrice mi appenderebbe al muro. Sto solo facendo ciò che va fatto”. Abbandonò il bastone e il pugnale, fece un mezzo inchino e raggiunse il pozzo.
Fedra indietreggiò con gli altri.
“Potrebbe essere una buona idea o una tragedia”, sussurrò Dorian.
“Prega che sia la prima”.
Morrigan camminò fino al centro dello specchio d’acqua, dove si chinò e bevve dalle mani a coppa. Non potevano vederla in viso, tutto ciò che scorgevano era la sua schiena mentre si inginocchiava in fondo al Pozzo.
Abelas ci era andato vicino. Un alone di luce circondò Morrigan e divenne sempre più intenso, fino a trasformarsi in una colonna abbagliante che salì fino al cielo. Fedra si coprì gli occhi con il braccio e si ritrovò chissà come tra le braccia di Dorian; l’aria era piena dell’urlo disumano della maga e per un attimo Fedra fu molto felice di non aver scelto di bere.
L’acqua si levò attorno a Morrigan in un’ondata che li investì in pieno; Varric dovette prendere Cole al volo prima che finisse spazzato via verso la scalinata e Fedra si piantò a terra, stretta contro Dorian.
“Va bene, a conti fatti forse sono felice che tu non abbia scelto il Pozzo”, ammise Cassandra quando l’ondata si fu placata, rialzandosi fradicia. Fu lei ad accorrere verso il bacino vuoto, a chinarsi sulla forma distesa di Morrigan. Fedra la raggiunse subito e prese la maga per la spalla, scrollandola.
“Morrigan! Stai bene? Cos’è successo?”
Era pallida ma rispose subito al richiamo. Spalancò gli occhi e si alzò a sedere, ansante.
“Ellasin selah! Vissan… Vissanalla…”
“Straparla?” chiese Dorian.
Morrigan si tastò la faccia, si prese la testa tra le mani e alzò lo sguardo sul gruppo.
“No io… sto bene. Devo solo… accettare molte cose, immagino”. Cassandra, sebbene ancora corrucciata, le diede la mano per alzarsi e la maga accettò. “Dobbiamo…”
Scintille azzurre si dipanarono dai suoi piedi e lungo le gambe, contagiando Fedra e tutti gli altri.
“Cosa sta succedendo?” chiese Dorian guardando in basso.
“Lui… è qui”. La voce di Cole tremava mentre si voltava verso il tempio.
Lui.
Corypheus, alto e nero sulla balconata da cui l’Inquisizione si era affacciata al suo arrivo.
Non riusciva a vederlo in faccia, Fedra, ma per quel lungo istante in cui si fissarono ne percepì la rabbia impotente, subito trasformata in un grido furibondo.
“No!” ruggì mentre si levava nell’aria e fluttuava verso di loro.
“Sa anche volare? Questo è troppo!” gemette Fedra. Morrigan indietreggiò fino all’Eluvian e lo fissò per un istante; qualcosa di azzurro le sbocciò dai palmi e si fuse con la superficie opaca.
Il cambiamento fu istantaneo: non più vetro rovinato e mangiato dalle ere ma quelle stesse spire scintillanti che Fedra aveva già visto a Skyhold.
“Andate! Subito!”
“Cosa… cosa…” Cassandra riusciva solo a balbettare, scudo alto e spada sguainata.
Toccava a Fedra guidarli, ora.
“Dentro all’ELuvian, subito! Conosco la strada!” gridò. Con ampi gesti convinse Varric e Cole a correrle davanti, seguiti da Dorian che esitò solo un attimo nell’entrare, intento a guardarsi in giro.
“Bizzarro…”
Fedra gli diede uno spintone e lo fece cadere oltre lo specchio.
“Cassandra! Muoviti!”
“Non possiamo lasciarla qui!”
Muoviti!”
Qualcosa nel tono di Fedra ruppe la barriera di onore e testardaggine della Cercatrice. Cassandra raddrizzò le spalle e si voltò, correndo attraverso la superficie splendente a occhi chiusi.
Fedra restò da sola.
“Morrigan, io… oh!”
Corypheus era vicino. Troppo. E da quel che rimaneva del Pozzo del Dolore, proprio di fianco a Morrigan, emerse una figura dello stesso colore dell’Eluvian. Una donna, luminosa e carica di potere, che salì nell’aria e stese le braccia.
“Mythal…” la voce della maga era un sussurro.
“Morrigan, va’ da Cullen, avvisalo di ritirarsi! Ti prego, ti prego fallo!”
Per un attimo non ottenne risposta. Poi, proprio mentre Corypheus si schiantava contro la figura di luce, senza nemmeno voltarsi a guardarla Morrigan si trasformò in corvo.
Doveva fidarsi di nuovo. Fedra prese un profondo respiro e indietreggiò nello specchio.



Nuova domenica, nuovo capitolo :)
Siamo quasi alla fine, giusto un altro po' di dolore in arrivo. Quanto mi è costato far soffrire Cole T__T il mio bimbo strano...
Come sempre grazie e alla prossima!

Val

   
 
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