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Autore: SarcasticColdDade    06/02/2017    1 recensioni
Yuki Yoshimura è un medico, dedita alle sue routine e ad una vita tranquilla. Il suo unico scopo nella vita è sempre stato quello di aiutare gli altri, per non sentirsi mai un peso. Dentro di sé però sa di essere diversa dagli altri: non sa perché, come non sa se lo scoprirà mai. Almeno fino all'incontro con uno strano uomo.
O meglio, un demone.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non ho più parole per scusarmi dei miei continui ritardi, ma purtroppo una delle parti negative del lavoro è decisamente il poco tempo a disposizione per scrivere! Spero comunque che anche questo capitolo vi piaccia, e spero di migliorare i miei tempi di pubblicazione in futuro (si spera).
Buona lettura!

Avevo pronunciato il nome di mia sorella quasi senza pensarci, nonostante i dubbi che ancora mi attanagliavano.
A quelle mie parole lei aveva subito voltato lo sguardo, rivolgendomi poi una lunga occhiata prima di alzarsi dalla sedia. - Yuki – mormora allora e, in un gesto totalmente inaspettato, si getta tra le mie braccia, stringendosi a me prima che possa anche solo parlare.
Resto per un momento interdetta da quel suo gesto: allora non ha paura di me...ma come? Dopo quello che è successo l’ultima volta dovrebbe averne.
O almeno così pensavo.
Prima che sia troppo tardi, ricambio allora quella stretta, ignorando il dolore improvviso alle costole. - Ciao, sorellina – dico, cercando di mettere da parte quel brutto ricordo – E’ bello rivederti – ammetto poi, dal momento che non ho fatto che pensare a lei fino a quel momento. In fondo, l’ho abbandonata completamente da sola.
- E’ bello rivedere te – risponde allora lei, abbandonando poi quella stretta per tornare a guardarmi – Pensavo che questo tuo trasferimento improvviso sarebbe durato solo qualche giorno, invece sono passate settimane! - aggiunge subito dopo, quasi urlandomi in faccia. Non che non abbia ragione.
- Lo so… - è tutto quello che riesco a dire all’inizio – E’ una situazione complicata – aggiungo subito dopo, cercando di calmare le acque. Prima che cambi idea, le indico il suo posto, invitandola a mettersi comoda. - Sediamoci, ci sono un paio di cose di cui dobbiamo parlare – ammetto, anche se non so nemmeno io da dove partire. Le mie ultime vicende sono state talmente assurde che raccontarle sarebbe come darmi della pazza da sola, almeno alle orecchie di Eliza.
Dopo essersi abbandonata al suo posto, io faccio lo stesso, versandomi un po’ di thè per cercare di calmarmi. - Non so neanche da dove cominciare.. - ammetto istintivamente, portandomi la tazzina alle labbra per prendere un sorso.
- Comincia dall’inizio – suggerisce lei, facendomi sentire stupida per un momento.
Beh certo...dall’inizio.
- Beh, a farla breve.. - mormoro, in un sussurro appena udibile – Ho una malattia – è la prima cosa che mi viene in mente di dire. Devo costruire una bugia che regga, in questo esatto momento però.
Quelle parole ovviamente la fanno ammutolire, poco prima che impallidisca tutto insieme. - M-malattia? - balbetta allora.
L’ho appena turbata, e anche parecchio. - Sta tranquilla – mormoro così, riservandole un piccolo sorriso – Non è nulla di grave – la rincuoro – Ma purtroppo è una condizione che mi rende..pericolosa – aggiungo, sperando di riuscire a convincerla di quelle parole.
- In che senso..pericolosa? - mi chiede lei allora, cominciando visibilmente a tremare.
- Non sono in grado di mantenere il controllo – le rispondo – Immagino ricorderai...il nostro ultimo incontro – mormoro subito dopo, anche se quel ricordo mi fa ancora male.
Ovviamente si ricorda, lo vedo dal suo sguardo, e questo la porta a non rispondere neanche: tutto quello che fa è annuire, chinando poi appena il mento.
- E’ per colpa di questa...di questa malattia che nell’ultimo periodo ti comportavi in modo strano? - chiede quindi, confusa.
Annuisco sommessamente. - E’ esatto – rispondo comunque – Per questo sono dovuta andare via – spiego quindi – Qui possono aiutarmi, qui mi stanno aiutando – aggiungo poco dopo, sorridendole prima di prendere un sorso di thè. La mia gola è talmente secca che fa quasi male.
- E’..è incurabile? - è la sua successiva domanda.
- Sì – mento, perché in fondo la mia non è affatto una malattia. Questo è semplicemente il modo migliore per spiegare la mia situazione senza farle sapere la verità. Non oso neanche immaginare quanto sarebbe pericolo il mondo in cui ultimamente sto vivendo per lei.
- E non è genetica, se lo stai domandando – aggiungo prima che possa dire qualcosa – In realtà...non potresti averla neanche se lo fosse – mormoro, pronta -forse- a dirle l’unica verità in mezzo a quel mare di bugie.
Di nuovo, la prendo alla sprovvista, costringendola a sollevare di scatto lo sguardo. - Cosa vuoi dire? - mi chiede, dandomi così tempo di pensare a come dirle quello che le devo dire.
- Voglio dire.. - mormoro allora, prendendo un profondo respiro prima di parlare di nuovo - ..che noi due non siamo..imparentate – aggiungo, balbettando quelle parole come meglio posso. Una parte di me non riesce a credere che davvero ho avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, e nel farlo una stretta allo stomaco si impossessa subito di me.
In realtà mi viene da piangere, ma non posso farlo, perché so che in questo momento devo essere forte per entrambe. Eliza non ce la farebbe mai da sola.
Con coraggio, torno così a guardarla ancora una volta, costretta a sostenere il suo sguardo incredulo, e al limite della lacrime. - Cosa? - sussurra, corrugando immediatamente la fronte – Cosa dici, Yuki? - sbotta subito dopo, incredula.
Di fronte a quella reazione non so bene cosa fare, so solo che le mie sono le ultime parole che si aspettava di udire.
- Dovevi saperlo, Eliza – mormoro allora – I nostri genitori mi hanno adottata prima che nascessi...neanche io ne ero a conoscenza, fino a poco tempo fa – cerco di spiegarle, meglio che posso e nel modo più delicato possibile. Non che essere delicata sia mai stato il mio forte, tuttavia.
A quelle parole segue un suo lungo silenzio, prima che si alzi dal suo posto: per un momento sono convinta che stia per andarsene, ma invece tutto quello che fa è fermarsi esattamente dalla parte opposta alla mia del gazebo, stringendo fortemente l’estremità di legno di quest’ultimo.
- Non...non siamo sorelle? - mi domanda allora, quando ormai anche io ho abbandonato il mio posto. A quelle parole ho di nuovo una stretta allo stomaco, ma di nuovo mi costringo a non piangere. Non posso crollare ora.
- Saremo sempre sorelle… - dico di getto, anche se mi rendo conto da subito che il mio è solo un modo per tentare di addolcire la pillola – Però no..dal punto di vista biologico, non lo siamo.. - decido infatti di ammettere, perché in fondo non è più una bambina. E quella purtroppo è la dura verità.
Decido alla fine di avvicinarmi di nuovo a lei, arrivando alle sue spalle. - Sai che ci sarò sempre per te – aggiungo poi – Sarai sempre la mia sorellina – continuo subito dopo, allo stremo delle lacrime.
Quando finalmente si volta verso di me, noto che siamo nella stessa condizione e l’abbraccio che ne consegue è quasi d’obbligo. Chiudo per un momento gli occhi, godendomi quel momento.
- Me lo prometti? - mi chiede poi – Anche se non dovessi più tornare a casa, mi prometti che ci sarai sempre? - continua poi, quasi in tono di supplica.
- Te lo prometto – mormoro allora, ritrovando un po’ di pace e riaprendo gli occhi. Solo in quel momento noto Sebastian in piedi accanto alla Residenza, intento a godersi quel nostro momento.
Con le labbra mimo un semplice “grazie” -perché avevo bisogno di tutto questo, semplicemente non avevo il coraggio per ammetterlo a me stessa- guardandolo poi rispondere con un semplice cenno della testa.
Quando ormai io e Eliza abbiamo slacciato il nostro abbraccio, lui comincia ad avvicinarsi, raggiungendoci in poco tempo. - Posso disturbarvi un momento? - mormora allora, catturando così subito la nostra attenzione.
- Il pranzo sarà servito a breve, se volete seguirmi – ci comunica, usando il suo solito tono formale. Quello che per fortuna non rivolge più a me.
- Pranzo? - chiede allora Eliza, in un improvviso momento di panico e imbarazzo – Oh no, non vorrei assolutamente disturbare! - esclama infatti il secondo dopo, rivolgendomi una veloce occhiata di scuse.
Le sue buone maniere si fanno sempre sentire, del resto.
- Il padroncino mi ha assicurato che non ci sono problemi, la riaccompagnerò a casa più tardi senza problemi – risponde allora lui, irremovibile.
Riesco solamente ad immaginare la reazione di Ciel a quella situazione: probabilmente è molto scocciato dalla cosa.
- Oh.. - mormora lei – Oh, in questo caso, vi ringrazio per la vostra ospitalità – aggiunge, chinando appena il capo in segno di riconoscenza.
- Il padroncino ne è contento – dice lui, anche se so che è una bugia – E anzi, fa i complimenti per il suo abito, mi ha chiesto di dirle che le sta veramente bene – aggiunge, uscendosene con un’altra bugia. A completare il tutto c’è lo sguardo che mi lanci, breve ma intenso.
La frecciatina però non raggiunge Eliza, la quale probabilmente si sente solo lusingata da quelle parole.
- Ringrazierò molto il suo padroncino allora – è poi la sua risposta, rivolgendo un sorriso di cortesia a Sebastian.
- Su, andiamo dentro – la incito io non appena posso, dandole un colpetto dietro alla schiena per camminare.

***

Subito dopo il pranzo, avevo preso con me Eliza per farle fare un giro della Residenza; dopo averle fatto vedere tutte le principali stanze, eravamo finite di nuovo nel grande giardino, in particolare in quello delle rose. I miei ultimi ricordi in quel luogo non erano dei migliori, ma restava comunque una delle parti più belle dell’intero complesso.
Una volta arrivate ci eravamo sedute entrambe su una panchina, godendoci il venticello che tirava, anche se entrambe eravamo coperte fino al collo.
- Quindi… - comincia lei all’improvviso, dopo un momento di silenzio – Da quanto lo sai? - mi chiede alla fine, andando dritta al punto.
Sospiro, non contenta di dover ritornare su quei dettagli. - Da un po’ - rispondo alla fine – La cosa è uscita fuori quando Sebastian e Ciel hanno cominciato a fare delle ricerche sul mio...passato – mormoro, cercando di far sembrare la cosa il più vera possibile. Beh, un fondo di verità comunque c’è: peccato che implichi demoni, relazioni scomode e nascite fuori dal comune.
- Capisco – è la sua unica risposta, prima che crolli in un altro momento di silenzio.
- E’ stato un shock anche per me – ammetto allora – Non avevo mai pensato ad una cosa del genere, non concretamente almeno – continuo, scuotendo impercettibilmente il capo.
- In effetti...non ci siamo mai somigliate in niente – ammette.
- Ne tanto meno somigliavo a mamma o papà – ammetto a mia volta, questa volta portando entrambe a ridere, come quando eravamo bambine.
- Ma non importa – esordisco alla fine – Perché la famiglia non si ferma necessariamente al sangue – mormoro, pensando concretamente alla cosa solo in quel momento – La famiglia è dove senti di essere a casa, dove c’è gente che ti capisce – aggiungo alla fine, guardando un punto indefinito del giardino. In quello stesso momento mi rendo conto che per me “famiglia” è anche un po’ la Residenza Phantomhive. Dal mio trasferimento molte cose, forse addirittura troppe, sono cambiate...per non parlare della nascita dei miei sentimenti per Sebastian.
La ragazza determinata e indipendente aveva finito per innamorarsi di un demone.
“Innamorarsi? Perché ho pensato una cosa del genere? No, io...”
- Sorellona? - mi chiama allora Eliza, forse addirittura già per la seconda volta – A cosa stai pensando? - mi chiede subito dopo, attirando definitivamente la mia attenzione.
- Cosa? - esclamo, presa alla sprovvista – Ah, niente...niente di importante – riesco ad ammettere, dopo aver fatto finalmente mente locale, agitando le mani in preda all’imbarazzo.
A causa di quella mia reazione, lo sguardo di Eliza non è per niente convinto e anzi, mi guarda con sospetto.
- C’entra per caso quello strano maggiordomo? - mi chiede poi, peggiorando la situazione.
- Che vuoi dire? - le domando di getto, facendo la finta tonta per un momento. Me la sento di parlargliene…o la cosa mi imbarazza ancora troppo?
L’epoca in cui viviamo, del resto, impone alle donne di sposarsi prima di fare certe cose...mentre io ho totalmente saltato la parte burocratica.
- Mi sembrava di aver avvertito una certa sintonia tra di voi – ammette semplicemente, facendo spallucce – Mi sbaglio? - chiede poi, inclinando appena il viso con aria curiosa.
Io faccio la stessa cosa, un po’ per imitarla volutamente, e un po’ per smorzare l’imbarazzo di quella situazione. - Potresti avere ragione.. - biascico alla fine.
La sua reazione è improvvisa quanto divertente. - Quindi hai uno spasimante? - esclama, afferrando entrambe le mie mani – E come si sta comportando? - chiede subito dopo.
- Si, qualcosa del genere.. - mormoro, rispondendo alla prima domanda – E...beh, bene.. - mormoro, indecisa su cosa dirle – E’ molto gentile con me – ammetto alla fine, sorridendo di quelle mie stesse parole.
- Oddio, quindi la mia sorellona potrebbe addirittura sposarsi? - esclama all’improvviso, guardandomi dritta negli occhi, in preda alle più totali fantasie sul mio incerto futuro.
- Calma Eliza, non saltare subito a conclusioni del genere – mormoro, cercando di smorzare quel suo entusiasmo – Ci conosciamo da poco, in fondo.. - le ricordo.
“Allora perché pensi di essere innamorata di lui?”, pensa una parte di me, quella ancora ferme su quel mio precedente pensiero.
- Da cosa nasce cosa – ammette lei, lasciando le mie mani all’improvviso – Non puoi sapere come andrà – aggiunge, ricominciando in quello stesso istante a fantasticare. E’ come se una parte di me riuscisse a leggere i suoi pensieri, ormai la conosco troppo bene.
- In quel caso, sarai la prima a saperlo – le prometto – Ti scriverò più spesso, d’accordo? -.
- Stavo per chiedertelo, infatti – ammette, rivolgendomi poi un sorriso divertito – Ma qualche volta tornerai a casa? - mi chiede comunque, con aria triste.
- Ci proverò, verrò a farti visita di sicuro – ammetto – In ogni caso, tu fammi sapere sempre se hai bisogno di qualcosa: io mi precipiterò – le ricordo – D’accordo? -.
- D’accordo – risponde, annuendo poi subito dopo.
- Bene – mormoro, prima di abbracciarla di nuovo e restare in quella posizione a lungo.
Si fanno le 18:00 prima che la carrozza per riportare Eliza a casa sia pronta e, poco prima della sua partenza, la stringo di nuovo in un forte abbraccio.
Ho deciso di non riaccompagnarla perché il dolore alle costole è tornato a farsi sentire, questa volta più forte di prima: a malapena riesco a tenermi in piedi, anche se cerco di farmi forza, restando sulla porta finché la carrozza non imbocca il vialetto. Sebastian è con lei, e la cosa mi rende tranquilla: so che con lui è decisamente al sicuro.
Riesco ad arrivare in camera mia grazie all’aiuto di Bard, crollando sul letto dopo essermi infilata qualcosa di più comodo: dovrei controllare la situazione del mio corpo, ma davvero non ce la faccio.
In realtà non ho neanche tanta voglia di mangiare, voglio solo dormire: in preda a quel pensiero, decido giusto qualche secondo più tardi, crollo in un profondo sonno privo di sogni, durante il quale riesco a dimenticare il dolore.

***

Sono coperta fino al collo, immersa in un calore in grado di rilassarmi completamente: letteralmente, sono un bozzolo di felicità, anche se ormai mi sono svegliata.
Non vorrei assolutamente abbandonare quella posizione, ma Sebastian non la pensa allo stesso modo.
- Se continui così, stanotte non chiuderai occhio – sono le sue uniche parole, mentre è in piedi davanti al mio letto.
Di tutta risposta, riprendo la coperta che lui stesso ha tirato via, questa volta coprendomici il viso, cadendo di nuovo nell’oscurità.
- Ho visto bambini comportarsi meglio – mi rimprovera allora, facendomi uscire di nuovo dal mio bozzolo improvvisato – E non hai neanche cenato – aggiunge, neanche fossero capi d’accusa.
- Perché avevo sonno – mormoro, guardandolo poi sedersi sul bordo del letto, esattamente accanto a me – E ne ho ancora in realtà -.
- Ti lascerò dormire – ammette allora, con mia grande sorpresa – Ma prima voglio controllare le tue condizioni – aggiunge, lanciando poi un veloce sguardo alla mia camicia, dalla quale si intravedono le bende che ho applicato per le mie povere costole.
- D’accordo – decido di ammettere alla fine, dandogliela vinta: in fondo, volevo fare lo stesso io solo qualche ora prima, prima di crollare a dormire si intende. - Tanto l’avrei fatto io stessa ammetto alla fine, cominciando la mia manovra per tornare seduta soffrendo il meno possibile.
Solo in quel momento si alza dal letto, lasciandomi così spazio per scendere; una volta in piedi, faccio per togliermi la maglia, prima di bloccarmi all’improvviso.
- Potresti girarti? - gli chiedo, prendendolo alla sprovvista. In fondo la mia richiesta non ha molto senso, visto che anche lui dovrà controllare le mie condizioni, ma la cosa mi mette comunque in imbarazzo.
Nonostante questo, non fa domande, voltandosi piuttosto senza tante storie: solo in quel momento faccio per sfilare la mia maglia, posandola poi sul bordo del letto.
Rimango così con indosso solamente il mio reggiseno, e le bende ovviamente.
- Okay, puoi girarti – mormoro, cominciando in quello stesso momento a tentare di sciogliere il nodo che tiene insieme le bende, un po’ anche per evitare il suo sguardo in quel momento.
Prima che possa anche solo lontanamente slacciare il nodo che io stessa ho fatto, la sua mano mi raggiunge, priva del solito guanto bianco. E’ la prima volta che presto davvero attenzione al simbolo che ha sul dorso, quello che lo lega indissolubilmente a Ciel.
Prima ancora che me ne renda conto il nodo è sciolto, e con la stessa semplicità di poco prima comincia a rimuovere le bende, fino a scoprire completamente la parte dolorante del mio corpo.
Come avevo immaginato, i primi lividi non solo sono comparsi, ma hanno anche già raggiunto il classico colore viola. Sono orribili, a dir poco orribili.
- Grell non merita di respirare ancora dopo questo – è il suo primo commento, sfiorando poi uno dei lividi con il dito – L’ho detto ai suoi superiori che è troppo instabile, ma si rifiutano di ascoltare le parole di un demone – aggiunge, mostrando tutto il suo sdegno per quella situazione.
- Nessuno sano di mente ascolterebbe le parole di un demone – gli faccio notare allora.
- Tu mi ascolti, però – risponde.
- Questo non è necessariamente vero – gli faccio notare, e so che capirà subito quelle mie parole.
In fondo, quando si era trattato della famiglia Norton non gli avevo assolutamente dato retta, all’inizio almeno.
- E comunque non penso che la mia mente si possa proprio classificare come “sana” - aggiungo.
- Su questo devo darti retta – ammette, poco prima di allontanarsi – Prendo delle bende nuove – mormora poi, andando dritto verso la mia cassetta.
Nel giro di 5 minuti tutti i lividi sono di nuovo coperti, mentre spero silenziosamente che spariscano presto, insieme al dolore ovviamente.
- Le hai messe addirittura meglio di me – ammetto in quel momento, guardando il mio riflesso nello specchio della camera.
- Detto da qualcuno che lo fa per mestiere, è un enorme complimento – risponde, andando poi a rimettere a posto le bende avanzate.
Sono momentaneamente bloccata davanti allo specchio, intenta a fissare unicamente il mio riflesso, quando Sebastian mi raggiunge: in quello stesso momento lascia scivolare entrambe le braccia intorno alla mia vita, stringendo successivamente le uniche parti poco doloranti.
- Com’è andata con Eliza? - mi domanda allora, dopo un momento di silenzio.
E’ più alto di me, al punto che il suo mento di poco non sfiora la mia testa.
- Bene – rispondo, dopo un piccolo sospiro – Le ho detto che sono stata adottata – aggiungo, prima di perdere il coraggio di pronunciare quelle parole.
- Sono sicuro che la cosa non cambierà il vostro rapporto – mormora lui. Guardo per un momento fuori dalla finestra dopo quelle sue parole, rendendomi conto solo in quel momento che non ho idea di che ora sia.
- Non lo farà – rispondo – Saremo sempre sorelle, nonostante tutto.. - aggiungo, questa volta in un sussurro.
- In effetti mi ha minacciato come solo una sorella sa fare ammette, lasciando in quello stesso momento la presa dalla mia vita. Ne approfitto quindi per voltarmi a guardarlo, cercando il significato di quelle parole nel suo sguardo.
- Eliza non è il tipo da minacce – ammetto, incredula di fronte a quelle parole.
- Deve aver fatto uno strappo alla regola allora – mormora – In poche parole sono morto se mai soffrissi a causa mia – mi spiega velocemente, come se quell’argomento lo mettesse in imbarazzo.
Un demone in imbarazzo.
- Non le rovinerò la festa dicendole che sei duro a morire, allora.. - mormoro di tutta risposta, avvicinandomi poi di nuovo al mio letto.
Nonostante sia stata in piedi per un tempo relativamente breve, desidero solamente tornare comodamente sdraiata, e al caldo soprattutto.
Sono già seduto da qualche secondo sul letto, quando noto che ha iniziato a togliersi la sua divisa, a partire dalla giacca.
- Che cosa fai? - gli chiedo allora d’istinto, sentendo le guance improvvisamente rosse.
Lui solleva quindi lo sguardo verso di me, guardandomi in maniera confusa per qualche secondo. - Pensavo di restare un po’ qui – ammette – Sempre che la cosa non ti imbarazzi troppo – aggiunge, toccando un tasto dolente.
Senza degnarlo di una risposta, torno a coprirmi fino al collo con il piumone, sistemandomi poi sul fianco sano.
Ho gli occhi chiusi quando lo sento raggiungermi, mentre il materasso cede sotto il suo peso. Torno a guardarlo solamente quando sento la sua mano sfiorare il mio fianco, rendendomi improvvisamente conto che si è avvicinato più di quello che avevo immaginato: ha tenuto indosso solamente i pantaloni, decidendo piuttosto di abbandonare giacca e camicia sulla sedia della mia toletta.
E io non posso che apprezzare quella scelta.
- Quindi.. - mormora, destandomi dai miei pensieri, già decisamente alla deriva – Ti sei liberata subito del mio vestito – aggiunge, con aria di rimprovero.
A quelle parole faccio una smorfia: sapevo che quella sua frecciatina non si sarebbe limitata ad un solo momento. - All’inizio volevo bruciarlo – ammetto, dal momento che è la verità – Ho desistito solamente perché piaceva ad Eliza – aggiungo subito dopo, mirando semplicemente ad irritarlo.
- Mi domando da dove nasca questo tuo odio per i vestiti – esordisce allora, dando voce ai pensieri di parecchie delle persone che conoscevo.
- Sono scomodi e nel complesso mi irritano – ammetto, forse per la milionesima volta nella mia vita – E nel mestiere che mi sono scelta sarebbero solamente d’intralcio – gli ricordo.
- D’accordo, e se ti dicessi che a breve dovrai indossarne uno? - mi domanda, ricevendo immediatamente un lungo sospiro come risposta.
- A che scopo? - gli chiedo, nonostante il solo pensiero mi faccia venire i brividi.
Non risponde subito a quella domanda, preferendo piuttosto distogliere lo sguardo dal mio per cominciare a fissare il soffitto: a guardarlo meglio, è come se fosse indeciso se parlare o meno.
- Ci sarà un ballo tra una settimana – ammette alla fine, dopo una lunga pausa – Organizzato dalla famiglia Norton – aggiunge, quasi a forza.
Con quelle semplici parole, torno a sedermi sul letto. - Non eri tu quello che voleva che non avessi niente a che fare con la famiglia Norton? - gli domando prima di tutto, confusa.
- E lo voglio ancora – mette in chiaro, sedendosi a sua volta sul letto – Ma ti avevo promesso che ti avrei inclusa se mai avessimo avuto bisogno di te, e due occhi in più ci faranno comodo – spiega, anche se mormora quelle parole come se avesse una pistola puntata alla nuca – Per non parlare del fatto che non mi fido a lasciarti indietro con Grell costantemente in giro, preferisco scegliere il minore dei mali – conclude alla fine, poco prima di tornare a stendersi sul letto.
- Allora indosserò un vestito – ammetto alla fine, entusiasmata all’idea di vedere dal vivo la famosa famiglia Norton.
A giudicare dalle successive parole di Sebastian, i miei occhi devono stare brillando per la gioia. - Non ho mai conosciuto una persona così vogliosa di cacciarsi nei guai – ammette infatti, guardandomi senza speranza.
- Ti avevo detto che non c’era modo di placare al mia curiosità – gli ricordo, tornando poi a stendermi a mia volta, di nuovo al caldo. Questa volta però mi sistemo più vicina a lui, finendo per posare il viso sulla sua spalla.
Il suo corpo è più caldo di quello che avevo pensato.
- Ma eviterò di cacciarmi nei guai – prometto ugualmente.
- Per qualche motivo ci credo poco – risponde ugualmente, e non so se dargli ragione o meno.
Nel dubbio rimango in silenzio, contemplando per qualche secondo solamente i lineamenti del suo viso. - Farò del mio meglio – ammetto dopo qualche secondo, allungandomi alla fine per posare un bacio sulla sua guancia.
Sono ormai vicinissima al suo viso, quando lui decide di voltarsi: finisco così per posare quel bacio sulle sue labbra, allontanandomi poi di scatto come se la cosa non fosse mai successa prima d’ora.
A quel gesto per niente calcolato, lui sorride, guardandomi subito dopo con aria divertita. - Posso fare qualcosa per te, Yuki? - mi domanda allora.
- Oh, sta zitto – replico, di nuovo rossa in viso, sollevando la mano pronta a dargli un colpetto in pieno viso.
Quella stessa mano, tuttavia, non raggiunge mai la sua destinazione: al contrario, lui l’afferra al volo prima che possa colpire, posizionandola poi al lato della mia testa e sistemandosi repentinamente sopra di me. Non ho idea di come faccia, ma non sta facendo pressione su nessuna delle parti ancora doloranti.
Sto per parlare di nuovo, ma lui mi sorprende iniziando a baciare il mio collo, seguendo la curva di quest’ultimo: in questo momento, persino le sue labbra sono calde, avvolgendomi in quella sensazione che avevo imparato a conoscere da poco.
Usando l’unica mano libera, intreccio in quello stesso momento le dita tra i suoi capelli, spingendolo verso di me e incitandolo a non fermarsi.
Si ferma di colpo quando ormai è arrivato nei pressi della mia clavicola, così che possa sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle. - E’ così che si sentiva Tobias quindi? - mormora improvvisamente, restando immobile per qualche altro secondo.
Quelle semplici parole mi danno un brivido per un momento, poco prima che assecondi ogni suo successivo movimento.
Parlava di mio padre ovviamente, del mio vero padre, e di quello che lo aveva portato ad innamorarsi di mia madre.
Che anche a lui stesse succedendo lo stesso?

  
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