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Autore: charly    06/02/2017    0 recensioni
In questo libro conclusivo assisteremo ai primi anni di matrimonio di Deja e Zaron, in cui lei si renderà conto di provare qualcosa per suo marito, qualcosa di profondo, che la spingerà a cercare con insistenza la compagnia di suo marito e la passione che scopre tra le sue braccia. Saranno anni turbolenti: le avances non richieste di un terzo incomodo, la gelosia e due attentati. Riuscirà Deja a conquistare il cuore di Zaron?
Estratto:
Deja aveva atteso con trepidazione l’arrivo del suo quindicesimo compleanno. […] Presto sarebbe stata un’adulta e di sicuro suo marito l’avrebbe vista con occhi diversi. Di sicuro.
-
Avrebbe voluto che le cose tornassero a com’erano prima, a quando lei aveva avuto dodici anni e il loro rapporto era stato semplice, […], quando l’aveva considerata una bambina graziosa e la sua vicinanza tra le lenzuola non l’aveva mai turbato.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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X. IL CUORE DEL DRAGO

 
 
Il giorno dopo Deja non era riuscita a contenere la sua felicità, totalmente inopportuna visto il massacro perpetrato solo il giorno prima. Era rientrata nell’harem al mattino presto con passo leggero, quasi i suoi piedi non toccassero il pavimento di marmo. I numerosi segni rossi lasciati dalla bocca di suo marito erano evidenti e lei li aveva esposti a testa alta, rifiutandosi di sentirsi imbarazzata davanti agli sguardi curiosi delle sue guardie del corpo. Perla stava facendo colazione e, sentendola rientrare, la raggiunse nelle sue stanze, chiedendo a Larissa di lasciarle sole un attimo. Deja si era seduta al tavolino del trucco, con i capelli ancora aggrovigliati, l’abito che indossava la sera prima e un sorriso beato sul viso.
Perla aveva sollevato un sopracciglio, guardandole il collo.
- Oscia mi ha detto che hai voluto sostituirla ieri. Devo dedurne che sia andato tutto bene?
Perla si era allarmata quando l’altra concubina le aveva bussato alla porta la sera prima, informandola del cambio di programma. Zaron non era dell’umore giusto per intrattenersi con sua moglie: era stato ombroso, a corto di pazienza e temeva che il loro incontro risultasse nell’ennesimo litigio. Aveva atteso desta che la regina rientrasse, ma a notte fonda si era arresa, tornando nei suoi appartamenti, preoccupata e confusa. E ora invece la regina sembrava camminare sulle nuvole, contenta e appagata e portava sulla pelle i segni evidenti che quella notte Zaron non aveva usato la bocca per urlarle contro.
- Benissimo.
Confessò la ragazza, arrossendo. Perla si morse il labbro, incerta se farle la domanda o meno, ma poi fu la curiosità a vincere sul suo desiderio di riservatezza.
- Tu e Zaron… voi due avete finalmente… consumato?
Deja scosse il capo ma le brillavano gli occhi.
- No, ma … È stato stupendo… Lui mi ha toccata e baciata ed è stato meraviglioso! Ben oltre quello che credevo. Se è così intenso con i vestiti addosso non oso immaginare come sarà senza.
Perla sospirò, tra il deluso e il sollevato, scuotendo il capo.
- Sono sinceramente contenta per te, vedrai che non dovrai pazientare ancora a lungo.
Ma l’ottimistica previsione della concubina non si avverò. Anche quando il braccio di Zaron guarì e lui ebbe finalmente riacquistato l’uso di entrambe le mani, il matrimonio non fu consumato.
L’imperatore aveva insistito affinché ricominciassero a vedersi una volta al mese ma Deja era riuscita a strappargli la concessione di due visite mensili. Zaron aveva ceduto principalmente perché la sua cara moglie teneva a bada i brutti sogni. Senza di lei, pur abbracciato al corpo caldo di una delle sue concubine, si svegliava madido di sudore, agitando le braccia e urlando, sognando di cadere nel nulla, precipitando dal cielo. La povera Mira ne aveva guadagnato un brutto livido sullo zigomo quando il gomito di Zaron l’aveva colpita in pieno viso, mentre lui si agitava in preda ai terrori notturni. L’idea di mettere nuovamente piede su un’aeronave lo faceva sudare freddo e tremare. Non credeva sarebbe mai più stato in grado di volare.
Durante la cena con Deja nei suoi appartamenti privati aveva ascoltato con nervosismo sua moglie parlare di visitare la propria patria.
- Mio padre mi ha chiesto se abbiamo intenzione di recarci a Issa per festeggiare in ritardo il mio compleanno. Io gli ho detto di no, che quest’anno mancheremo ma che se vuole potrebbe venire lui qui, a Halanda, dato che non l’ha mai visitata. Spero di aver fatto bene.
Lui aveva sospirato di sollievo, ruotando il polso sinistro a cui portava un pesante bracciate con borchie in ferro. Aveva perso tono muscolare e voleva riacquistarlo il prima possibile ma senza sforzare la spalla che ancora gli procurava dolorose fitte ogni qualvolta la muoveva in modo inconsulto. La pelle era guarita ma i muscoli erano stati incisi e danneggiati e ci sarebbero voluti mesi, forse addirittura anni, prima di riavere la mobilità perduta. Questo limitava notevolmente le sue capacità, costringendolo a diminuire le attività, e gli allenamenti con la spada ora prevedevano movimenti lenti e precisi, ripetuti da solo o difronte al manichino. I duelli erano stati totalmente accantonati, con suo grande rammarico.
- Hai fatto benissimo, mia cara,
Non aveva detto a nessuno, neppure a lei, che ora aveva il terrore del vuoto.
- Mi auguro che tuo padre colga il tuo invito. Stranamente ho sentito la mancanza della sua ostile e sarcastica presenza…
Deja aveva sbuffato contrariata, ma poi aveva riso quando aveva compreso che le parole di Zaron erano state dette con ironia.
Con trepidazione si era recata in camera da letto ma lui le aveva indicato la camicia da notte e la sala da bagno. Si stese al suo fianco sotto le lenzuola in preda a una cocente delusione, ma Zaron le sorrise e l’attirò vicina, stringendosela al petto e cominciando a baciarla. La fece stendere sulla schiena e si mise sul fianco sinistro per poterla liberamente toccare con la mano destra. Deja non lo sapeva, ma reggendo il proprio peso con il gomito sinistro, Zaron non stava comodo e la scelta era stata ponderata. Ogni volta che il desiderio si faceva intollerabile gli bastava sforzare la spalla, facendo guizzare sotto la cicatrice un muscolo non ancora guarito e il dolore provocatosi gli permetteva di riguadagnare facilmente lucidità.
L’espressione delusa di Deja quando aveva capito che non l’avrebbe presa gli aveva fatto comprendere che un semplice bacio non le sarebbe più bastato, non dopo quello che era accaduto l’ultima volta. Al tempo stesso sentiva che non fosse ancora venuto il momento giusto, voleva avvicinarsi ad esso con calma, per gradi. Quindi la toccò attraverso la stoffa leggera della camicia da notte, baciando tutta la pelle nuda che quella lasciava scoperta: le spalle e il petto fino alle sterno, stringendo con struggente desiderio il seno piccolo ma perfetto di lei, sentendone il contorno e la morbidezza. Lei aveva cercato di agganciargli il bacino sollevando una gamba, cominciando a voltarsi verso di lui e Zaron aveva dovuto spingerla nuovamente contro il materasso, stringendole l’anca con una mano.
- Ferma,
Le aveva intimato con voce bassa contro le labbra.
- Lascia fare a me.
Non aveva nessuna intenzione di imbarazzare sé stesso com’era capitato la volta prima: ormai aveva passato l’adolescenza da così tanto tempo che quel periodo della sua vita gli sembrava un lontano ricordo, non come la giovane ragazza che si agitava sotto la sua mano, gemendo e strattonandolo con dita sottili, per cercare di convincerlo a stendersi sopra di lei. La sua mano destra le carezzò la coscia sopra la camicia da notte, facendo trattenere il fiato a sua moglie. Preoccupato Zaron si arrestò, smettendo di baciarla.
- Va bene Deja, o vuoi che mi fermi?
- Non ti fermare!
Esclamò lei con voce soffocata. Lui sorrise prima di baciarla ancora, continuando a toccarla al di sopra della stoffa. Perdendosi negli occhi azzurri di lei, spalancati di meraviglia e stupore.
Poi Zaron si distese sulla schiena, ignorando con decisione il leggero intorpidimento causato dalla spalla sinistra, ridicolo in confronto al fastidio che gli causava un’altra parte del corpo, e attirò Deja sul proprio petto. Lei gli si strinse contro, contenta, strofinando il viso contro il suo collo, dando leggeri, timidi baci e poi un piccolo morso esitante che non avrebbe lasciato nessun segno. Lui le baciò la fronte e poi il naso e infine le labbra rosse.
- Contenta mia cara?
Lei sospirò, chiudendo gli occhi.
- Molto, amore mio.
Si rannicchiò sul suo petto, stringendosi a lui e dopo poco stava dormendo.
 
Deja era raggiante e la sua incontenibile contentezza aveva contagiato anche la corte, o almeno la parte femminile. Dopo lo spettacolo rivoltante che era stata la pubblica esecuzione dei congiurati, si era instaurato un clima cupo e le nobili rakiane si muovevano con circospezione. Sali aveva mancato per più di una settimana da Palazzo, volendo attendere che le ferite fisiche e nell’animo di suo marito cominciassero a guarire. Quello che era stato squarciato nel cortile avrebbe potuto essere il suo Brafit e lei ne era ancora sconvolta. A mancare fu anche Famira, che aveva riaccolto Bors in lacrime, singhiozzando di sollievo e si era aggrappata a lui e non aveva voluto lasciare il suo fianco per giorni, ancora incredula della fortuna che la dea le aveva accordato, di riavere il marito che aveva pensato per sempre perduto. Quando lui fu nuovamente in grado di camminare, seppur con l’ausilio di un bastone, tornò a Palazzo, per condividere con Deja la loro comune gioia e trovò l’amica davvero felice, con la gola decorata di ecchimosi lasciate scoperte dai capelli raccolti sul capo attorno alla corona di platino. Lei se le carezzava ogni tanto, con fare sognante, esibendole con orgoglio. La prese sottobraccio e si portò con lei in testa al gruppo, durante la loro giornaliera passeggiata mattutina, per poterle bisbigliare all’orecchio con impunità e garantire la segretezza della loro conversazione.
- Cosa succede Deja? Ti vedo… diversa. Sei incinta?
La sua amica aveva riso, arrossendo e scuotendo la testa.
- No,
Aveva negato, ma senza dispiacere.
- Tuttavia le cose tra me e l’imperatore sono migliorate, di molto.
Famira l’aveva guardata, aggrottando le sopracciglia confusa. Cosa intendeva l’altra con migliorate? Non era consapevole che prima avessero problemi, poi fece una smorfia dispiaciuta: era stata talmente contenta del proprio matrimonio e della bambina, che se anche la sua giovane amica avesse avuto una difficoltà non sarebbe stata in grado di rendersene conto.
- Sei felice?
Le aveva allora chiesto, sentendosi la peggiore amica del mondo.
- Sì, come potrei non esserlo? Mio marito è tornato da me, quando pensavo di averlo perso per sempre e ha gradito la mia… accoglienza.
Dicendo questo si carezzò il collo e i lividi con espressione trasognata e Famira ebbe un’illuminazione, dandosi della sciocca per non averlo capito prima.
- Tu lo ami.
Le sussurrò con convinzione.
- Sì,
Aveva risposto la regina a voce bassa, guardandola negli occhi con un accenno di sfida nello sguardo.
- Non dovrei?
Se fossero state da sole Famira l’avrebbe abbracciata, con un gridolino di gioia ma sapendo dei numerosi occhi puntati sulle loro schiene dovette limitarsi a infondere la voce con tutta l’emozione che provava.
- Sono tanto, tanto felice per te Deja. E lui? Anche lui ti ama?
La regina aveva distolto lo sguardo, raggelandosi.
- Mi rende felice. Ha importanza se mi ama o meno? Forse sì, a modo suo…
A Famira si era stretto il cuore e si era sentita impotente.
- Lui mi rende felice,
Aveva ribattuto Deja.
- Felice…
 
E poi il padre dell’imperatrice aveva per la prima volta messo piede nella capitale.
Aborn aveva accettato con riluttanza l’invito ma, non avendo altra possibilità per vedere la figlia, era salito su una delle aeronavi rakiane e si era recato a Halanda. Essendo quella la sua prima volta in città era stato sfavorevolmente colpito dal caos e dalla sporcizia della zona bassa, non potendo sapere come le innovazioni apportate da Zaron avessero già migliorato di molto le condizioni di vita dei cittadini: adesso avevano delle fogne sotterranee e in ogni quartiere erano state installate delle fontane da cui ogni giorno, a orari precisi, sgorgava acqua proveniente dalle cisterne della Città Vecchia che gli abitanti potevano usare per cucinare e bere senza temere lo scoppiare di malattie; inoltre, lentamente e a partire dai quartieri più ricchi, le strade stavano venendo lastricate con basoli di pietra, secondo lo stile issiano.
Ad accoglierlo aveva trovato il ciambellano e non sua figlia, come aveva sperato. Per vederla aveva dovuto attendere di essere a Palazzo Reale, dove lei lo ricevette tra l’accoglienza calorosa dei suoi connazionali.
Aborn aveva sperato di poterle parlare in privato, ma quando lei lo fece accomodare nel suo studio, due guardie rakiane si misero in posizione all’interno della porta.
- Sono proprio necessarie?
Aveva chiesto lui, sedendosi davanti alla scrivania di Deja.
- Sì, padre. Dopo quello che è successo l’anno scorso mio marito ha insistito perché io avessi le guardie faliq sempre con me quando sono fuori dall’ala femminile, anche quando dò udienza privata.
Suo padre aveva fatto una smorfia di fastidio, ricordando quanto l’incidente con Ostin avesse turbato sua figlia e il pericolo da lei corso.
- Ma io sono tuo padre, piccola mia. Sicuramente…
Lei aveva scosso il capo, decisa.
- Non voglio fare eccezioni per nessuno. Rimarrò sola soltanto con mio marito.
Lui aveva sollevato il sopracciglio.
- E le tue guardie. Non rimani forse sola con loro?
Deja gli aveva sorriso e, invece che sedere dietro la scrivania, aveva preso posto al suo fianco, per stargli vicino.
- Sono faliq padre. I faliq sono attratti solo da altri uomini: le donne non gli interessano.
L’issiano aveva a sbattuto gli occhi, sorpreso, e a stento aveva resistito la tentazione di voltarsi a guardare le due guardie con curiosità morbosa. Aveva sempre immaginato gli uomini di tali inclinazioni come effemminati e delicati ma non vi era nulla di morbido nei due soldati che con aria impassibile si occupavano della difesa di sua figlia: i loro sguardi erano duri, feroci, e i loro muscoli possenti*. Aborn aveva poi guardato il collo di Deja, dove si potevano ancora vedere, sbiaditi e quasi scomparsi, i segni lasciati dai baci di suo marito.
- Deja…
Aveva sussurrato con un filo di voce. Sua figlia era arrossita violentemente, ma poi aveva alzato il mento, orgogliosa.
- Hai qualcosa da ridire, padre? Lui è mio marito, io sono sua moglie e io….
Aveva esitato, per un attimo, la voce tremante.
- Io lo amo.
Aveva concluso con voce bassa ma decisa. Aborn l’aveva guardata a bocca socchiusa, senza parole. Poi aveva deglutito, cercando di ritrovare la voce.
- Lo ami, bambina mia? Sei sicura?
Lei aveva sorriso, timidamente.
- Sì. Ti prego, dì che sei felice per me.
Aborn aveva ricacciato in gola l’astio che provava per l’imperatore.
- Sono felice per te, mia amata, se tu sei felice allora lo sono anche io: come potrei non esserlo?
Lei si era sporta dalla sedia e lo aveva brevemente abbracciato e Aborn aveva acutamente sentito la mancanza dell’intimità di cui avrebbero goduto a Issa. Con gli occhi che gli pizzicavano strinse forte la sua bambina per l’ultima volta e lasciò andare la donna sorridente che ne aveva preso il posto. Parlarono ancora, delle cose terribili che erano successe a Rakon negli ultimi mesi, della guerra e conclusero con una nota più leggera, discutendo di come l’Accademia delle Scienze di Issa avesse deciso di aprire una sede anche a Halanda dopo quella di Mabdiba. Quando Aborn si congedò per ritirarsi al palazzo dei dignitari stranieri, preparato per lui e la sua scorta, era calata la sera e avevano passato tutto il pomeriggio insieme a conversare.
Riposò poco quella notte, in un letto che non era il suo, in un palazzo straniero in cui ogni rumore e odore che proveniva dalla finestra spalancata era diverso da quello cui era abituato. Passò il tempo a guardare il soffitto, senza vederlo, pensando a Deja e a come era cambiata negli anni. La bambina spaventata ma coraggiosa che aveva lasciato andare una notte di tanti anni prima era mutata in una giovane decisa e sicura di sé e lui non aveva potuto assistere al cambiamento, non aveva avuto mano in esso. Deja era stata plasmata, o si era plasmata da sola, attorno a Zaron. Non era una cosa negativa, cercò di convincersi Aborn: il fatto che sua figlia fosse così autonoma e sana, fisicamente e mentalmente, erano un punto d’onore che andava a favore della buona indole dell’imperatore. L’uomo sapeva, aveva temuto nel profondo del suo cuore, che sposandosi così giovane il carattere di Deja avrebbe potuto non avere modo di emergere, finendo schiacciato da quello forte e già adulto di Zaron. Lui invece si era dimostrato in grado di nutrire sua figlia senza soffocarla, e lo sviluppo era stato prodigioso e spettacolare. Deja era cresciuta nella donna, nella regina che Aborn aveva sempre saputo che poteva diventare e ne era orgoglioso, orgoglioso della sua Deja e sconfortato dall’idea di non essere stato lui quello che l’aveva aiutata nei primi passi nel suo nuovo ruolo, ma Zaron. E ora lei diceva di essere innamorata di suo marito, ma era vero? Era un sentimento sincero, puro, che nasceva dal profondo oppure era qualcosa di inevitabile, generato dalla vicinanza, dall’abitudine, dal fatto che lui era tutto quello cui Deja poteva aspirare, l’unico uomo che poteva avere al suo fianco? E Zaron stesso? Lui era l’incognita più grande. Dai baci che sua figlia aveva esibito senza vergogna era evidente che godesse i frutti del sentimento che Deja nutriva nei suoi confronti, ma era in grado di amare sua moglie nel modo in cui lei lo amava? Tormentato da quelle domande aveva preso sonno solo a poche ore dall’alba.
Il pomeriggio seguente ebbe modo di incontrarsi privatamente con l’imperatore in persona. L’udienza era stata decisa da Zaron che aveva voluto conversare con Aborn da solo.
Suo genero lo attendeva nel suo studio privato, una sala grande e dall’aria poco vissuta, riccamente decorata con stucchi dorati e marmi e con le pareti ricoperte di armi e stendardi sporchi e strappati che erano appartenuti ai regni conquistati dal khan. Dietro la scrivania, in una posizione d’onore, c’era una bandiera issiana, quella che Aborn aveva abbassato nella polvere davanti al khan il giorno in cui si era arreso.
Zaron lo attendeva in piedi, appoggiato alla scrivania, le braccia incrociate. Aborn fece un inchino e non si sedette, rimanendo ritto davanti al rakiano.
- Sono felice che tu abbia accolto l’invito di Deja, Aborn.
Esordì Zaron. Sembrava stanco e invecchiato, notò l’uomo più anziano con un certo allarme; ora che erano vicini poteva vedere che le rughe il lati dei suoi occhi erano più pronunciate rispetto a quelle che aveva notato con cupa soddisfazione l’anno prima. Ora, alla luce della rivelazione di sua figlia, quei segni dell’età parevano un fosco presagio: Aborn si era sempre addolorato all’idea che probabilmente non avrebbe mai visto crescere i suoi nipoti se un giorno Deja avesse avuto figli, data la forte differenza di anni che c’era tra lui e la sua unica figlia, e adesso contemplava con tristezza i segni del tempo che passava implacabile anche nell’uomo che lei aveva scelto d’amare. Fu costretto ad abbassare lo sguardo per timore che l’altro vi leggesse la pietà che provava e ne fosse offeso.
- Lo sono anche io, sire.
Zaron si passò una mano tremante sugli occhi, sembrava fare fatica a trovare le parole che desiderava dirgli e per cui aveva richiesto la sua presenza, e Aborn si ricordò dell’incoronazione di Deja, tanti anni prima, quando quello nervoso era stato lui e Zaron era stato arrogante e gelido.
- Io ti devo le mie scuse, Aborn.
Venne il sussurro roco dell’imperatore e Aborn ne rimase sconcertato.
- Non te lo ripeterò un’altra volta,
Continuò a denti stretti l’uomo più giovane.
- Ma lo sono. Mi dispiace per averti strappato Deja quando era così giovane, anzi, mi dispiace di avervi ricattato e di averla costretta a sposarmi.
- Cosa vi spinge a dire una cosa simile?
Chiese con voce incredula Aborn. Zaron strinse le mani sulle braccia, chiudendole in pugni.
- Fatti recenti. Io…
Si interruppe, guardando fisso il bracciale di ferro che portava al polso sinistro.
- Io ho tre figlie. La più grande, Kirsis, compirà dodici anni tra pochi mesi. Il capo della congiura contro di me, lui voleva fare a lei quello che io ho fatto a Deja, solo che nel suo caso non ci sarebbe stata nessuna attesa, nessun rispetto, solo violenza.
Le parole dell’imperatore divennero lente, come se gli si bloccassero in gola, e Aborn si sentì riempire d’orrore.
- Io ho provato un odio implacabile, un’ira senza fine verso quel verme, quel lurido cane. Le cose che ha detto contro Deja sotto tortura, le indecenze, gli orrori di quello che voleva farle, a lei e alle mie figlie, solo perché era mie. Lo avrei giustiziato comunque, ma per quello che aveva in mente per loro io l’ho fatto trucidare in modo orribile e doloroso. E mi sono ripromesso che ti avrei chiesto perdono Aborn, per essermi comportato in modo simile con te e tua figlia.
Aborn guardò fissamente lo stendardo azzurro impolverato, simbolo del suo più grande fallimento. Non avrebbe detto che accettava quelle scuse perché non era solito mentire. Non avrebbe mai perdonato Zaron per quello che aveva fatto, ma lo aveva accettato. Con gli anni si era rassegnato a quello che era successo e aveva imparato a conviverci, a convivere con la lontananza da chi aveva la fetta più grande del suo cuore.
- Deja ti ama,
Replicò invece con voce priva di tono ed espressione piatta.
- Mia figlia è innamorata di te,
Per quel discorso, per il tono minaccioso che si permetteva di acquisire, parlando da padre e non da suddito, non avrebbe usato nessun onorifico.
- Le scuse te le puoi anche tenere. Tutto quello che pretendo da te è che tu ti prenda cura del mio più grande tesoro e che custodisca bene e protegga il cuore che lei ti ha dato.
Guardò Zaron che sembrava scosso dalle sue parole.
- Tu l’ami?
Gli chiese con voce grave. Zaron rimase in silenzio, un silenzio che si protrasse a lungo.
- Trattala come se l’amassi più della tua stessa carne e saremo pari.
Disse Aborn con rabbia, poi diede la schiena all’imperatore di Zabad e lasciò la stanza senza aspettare di essere congedato.
- Lei mi è già più cara della mia stessa carne…
Sussurrò l’uomo, in piedi e immobile.
- Questo vuol dire che la amo?
 
La visita di Aborn durò solo due settimane e poi ripartì. I giorni di Deja scorrevano felici e pieni d’amore e le notti che passava con suo marito erano diamanti preziosi il cui ricordo lei custodiva gelosamente, pensandoci spesso mentre giaceva da sola nel suo letto nell’harem e si consumava di desiderio e gelosia sapendo che lui riposava nell’abbraccio di un'altra, da cui aveva preso ciò che ancora non aveva voluto da lei. La ragazza aveva pensato che si sarebbe accontentata del ritmo lento stabilito da Zaron ma non era così: una volta abituatasi alle sue carezze e al piacere che lui le dava, aveva cominciato a desiderare di più. Alla fine ne aveva parlato con Tallia, che era divenuta la sua confidente riguardo ai dubbi e alle incertezze che aveva quando giaceva con suo marito. La franchezza di Tallia era imbarazzante e le sue parole crude, ma proprio per questo Deja la cercava, preferendola alle allusioni delicate di Perla.
- Lui non mi tocca mai sotto i vestiti!
Aveva cominciato a lamentarsi con la concubina.
- Mi bacia e mi tocca solo attraverso la stoffa. Sei sicura che non sia perché non gli piaccio?
Tallia aveva riso fragorosamente.
- Non temere passerotto: se lo senti duro vuol dire che ti vuole, eccome!
Deja era arrossita violentemente.
- Un uomo può mentirti a parole ma la sua anatomia non racconta bugie!
- E allora perché?
Aveva ripetuto con tono lamentoso Deja, lasciandosi cadere sul letto della concubina.
- Magari ha bisogno di un incentivo…
Aveva suggerito lei maliziosamente.
- Potresti cominciare smettendo di indossare il blouse quando sei nell’harem. Sono sicura che questo attirerebbe la sua attenzione!
Deja si era coperta il viso con un gemito di vergogna.
- Ci avevo pensato anche io ma mi vergogno troppo. Non ci riesco proprio!
Tallia si era seduta sul bordo del letto.
- Prova a stare senza mentre sei nei tuoi appartamenti, per prendere familiarità con la sensazione di essere nuda e poi, quando ti senti pronta, buttati. Magari una sera in cui ci siamo solo noi e Zaron non viene a cena…
E così Deja aveva fatto, facendo quasi venire un colpo alla sua cameriera. La sensazione di stare a seno scoperto era strana e imbarazzante. Era in ogni istante conscia di essere esposta, ma c’erano solo donne nell’ala femminile e le sue servitrici rakiane, a differenza di Larissa, non avevano battuto ciglio. Dopo qualche settimana si era sentita abbastanza preparata ed era emersa dai suoi appartamenti con solo la stola a coprirle metà del petto, per assistere dopo cena allo spettacolo dato da Mira.
La concubina aveva stonato con forza la nota quando l’aveva vista e anche le altre tre si erano voltate a guardarla, Perla e Oscia a bocca aperta, Tallia con un sorriso soddisfatto.
- C’è qualcosa che non va nel mio abbigliamento?
Aveva chiesto con voce leggera e ironica, arrossendo fino alla radice dei capelli e su tutto il petto.
- Il viola ti dona.
Aveva risposto sghignazzando Tallia. Mira aveva ripreso a suonare e Perla aveva nascosto un sorriso tra i capelli.
Le ci erano volute ben più di due settimane e un’altra frustrante notte negli appartamenti di suo marito prima che trovasse il coraggio di farsi vedere così anche da lui.
Aveva già messo un semplice abito issiano in seta rosa quando era stata colta da un’inaspettata frenesia.
- Ho cambiato idea, Larissa.
Aveva detto mentre lei le spazzolava i capelli.
- Tira fuori il mio abito rakiano viola. Mi hanno detto che mi dona.
La sua cameriera si era quasi strozzata dalla sorpresa quando aveva rifiutato il blouse. Aveva indossato varie collane del tesoro reale rakiano, monili in oro che riposavano freddi sulla sua pelle e che conducevano lo sguardo proprio dove Deja voleva che cadesse quello di Zaron. Si fece raccogliere i capelli in modo che le scendessero sulla schiena e non oscurassero la vista e poi, tintinnante di collane e bracciali, si era recata a tavola.
Sapendo, dal calore che irradiava il suo viso e dalle orecchie in fiamme, che stava arrossendo con inusitata violenza, evitò di guardare Zaron, non lasciandosi però sfuggire il suo verso soffocato e il rumore della coppa che lui rovesciò con un movimento improvviso del braccio. Kirsis che sedeva accanto a lui protestò a gran voce perché le aveva buttato del succo nel piatto, poi vide Deja e si rivolse verso il genitore con voce piccata.
- Perché zia Deja può stare senza blouse e io no? Non sono più una bambina!
- Tu non starai senza blouse e basta. L’argomento è chiuso!
Replicò il padre, senza staccare gli occhi da sua moglie e più precisamente da una parte esposta di lei su cui i suoi occhi non si erano mai posati prima. Diede un buffetto conciliatorio al capo bruno della figlia, senza guardarla: se c’era qualcosa che non voleva, in nessun caso, era vedere il seno nudo di una delle sue bambine.
Zaron passò la cena senza riuscire quasi a mangiare, anzi a un certo punto mise il gomito nel piatto, pensando di poggiarlo sulla tavola**. Guardava come intontito i seni pallidi e rosei di Deja, come se i propri occhi fossero una bussola e il petto di lei il nord. Ogni tanto riusciva a distogliere lo sguardo per spostarlo sul viso perennemente arrossato di lei e così la colse a guardarlo. Gli occhi azzurri di lei ardevano di desiderio, le guance erano infuocate e le labbra rosse socchiuse, poi, mentre lui la guardava, si morse il labbro. Quando gli incisivi bianchi affondarono nella carne morbida lui non ce la fece più. Si alzò di scatto e allungò la mano verso Deja in un chiaro invito. Anche lei si alzò lasciando perdere il pasto consumato a metà, e mise una mano tremante sul suo palmo. Zaron quasi la trascinò verso l’uscita per poi bloccarsi con un verso frustrato davanti ai battenti: lei non poteva attraversare il corridoio fino le sue stanze così svestita.
- I tuoi appartamenti.
Le intimò con voce roca e bassa.
- Cosa?
Chiese lei stordita.
- Possiamo andare nei tuoi appartamenti?
Deja annuì freneticamente, aggrappandosi al suo braccio, premendo il seno contro la stoffa della sua casacca. Entrarono baciandosi, Deja si staccò da lui solo per ordinare alle sue servitrici di uscire, che non avrebbe avuto più bisogno di loro fino al mattino. Poi proseguirono fino alla camera da letto.
Al mattino dopo Zaron fece ritorno nei propri appartamenti a testa alta, seguito da cinque paia di occhi curiosi. Occhi che avevano analizzato con attenzione i suoi abiti sgualciti, come se ci avesse dormito dentro e che, una volta che fu uscito, si misero in paziente attesa della regina.
Deja emerse un’ora dopo, con espressione soddisfatta e guance rosse di contentezza.
- Allora?
Chiese a bruciapelo Cara, circondata dalle altre. Deja guardò quelle cinque donne che la fissavano in paziente attesa.
- Allora cosa?
Chiese con aria di sufficienza, cercando di non arrossire troppo.
- Allora lo avete fatto sì o no?
Domandò con malizia Tallia.
- No, abbiamo dormito vestiti.
Fu la risposta secca della regina, seguita da un coro di gemiti. A dire il vero Zaron a un certo punto si era tolto la casacca e Deja aveva accolto con esaltazione la sensazione della pelle nuda del marito contro la propria, le cose avevano cominciato a farsi infuocate, ma lui si era limitato a toccarla attraverso i vestiti, anche se aveva infilato la mano sotto la gonna, e dopo si era rivestito.
- Si può sapere perché vi interessa tanto la natura dei miei rapporti intimi con Zaron?
Aveva replicato con voce soffocata e imbarazzata.
- La tua mancanza di vita s…
Aveva cominciato a replicare Tallia, stizzita.
- Siamo ansiose, Deja. Vogliamo vedervi felici e, come tutti nel regno, attendiamo la nascita di un erede.
Si era affrettata a dire Perla, parlando sopra l’altra donna.
- La prossima volta prendi tu l’iniziativa e prova a spogliarti nuda, forse sortirai qualche effetto.
Aveva concluso Tallia, fulminando Perla con lo sguardo. Questa volta era stato il turno di Deja di gemere esasperata. Forse l’altra donna non aveva tutti i torti, dopotutto il suo consiglio sul blouse aveva funzionato.
Deja aveva cominciato a restare senza il blouse nell’harem e ogni volta che Zaron cenava con loro invece che nelle sue stanze con la concubina di turno, finiva sempre con il passare la notte in camera di sua moglie. L’imperatore era diventato bravo a resistere fino alla fine del pasto, ma al momento di alzarsi e selezionare la donna con cui appartarsi la sua mano si tendeva sempre verso Deja. Lei però non era riuscita a seguire il suggerimento di Tallia e a spogliarsi nuda di sua iniziativa, la timidezza vinceva sempre sulla passione e il desiderio. Alla fine Tallia si presentò una sera in camera sua.
- Questa notte è il mio turno.
Aveva esordito senza neppure salutarla. Deja era già in camicia da notte e si stava apprestando a coricarsi.
- Vuoi tuo marito sì o no?
La ragazza aveva annuito a occhi sgranati, perché non capiva. La concubina aveva buttato il velo su una sedia.
- Bene, guarda attentamente: si fa così.
E con un gesto veloce aveva afferrato con entrambe le mani il bordo della gonna e dei pantaloni e li aveva abbassati, rimanendo davanti a lei completamente nuda. Deja aveva gorgogliato, stupefatta, e poi aveva distorto lo sguardo.
- Visto? Facile: un gesto solo e non ci pensi più.
Le aveva gettato addosso gli indumenti che si era tolta.
- Mettiteli, indossa il mio velo e va’ da lui.
Lei l’aveva fissata, incredula e a bocca aperta.
- Forza!
L’aveva pungolata la donna. Deja era scattata in piedi e si era sfilata la camicia da notte, in imbarazzo per il fatto di cambiarsi davanti a Tallia e ancor di più per il fatto di indossare gli abiti della donna, o per essere più precisi i pochi indumenti che lei aveva avuto addosso. Intanto Tallia si era coperta con una delle vestaglie di Deja.
- Sei più alta di me, ma di poco. Se tieni le braccia incrociate in vita in modo che non sporgano dal velo, nessuno se ne accorgerà.
Tremante Deja aveva percorso il breve tratto che divideva le porte dell’harem da quelle di Zaron, terribilmente conscia di essere praticamente nuda sotto lo spesso velo. Entrò nell’anticamera di suo marito e poi proseguì fino alla camera da letto. Zaron l’attendeva a petto nudo. La guardò, distratto, riconoscendo i vestiti.
- Tallia…
Poi si bloccò, irrigidendosi, notando che la donna era troppo alta per essere la sua concubina. Deja si tolse in fretta il velo.
- Deja! Cosa…?
Prima di perdere il coraggio, lei chiuse gli occhi e con mani impacciate fece quello che le aveva mostrato Tallia. Rimase completamente nuda davanti a lui, i bracciali e le cavigliere della concubina le uniche cose sulla sua persona.  Respirava affannosamente e quando guardò Zaron notò che era lo stesso per lui.
- Deja.
Ripeté e il suo sguardo era come una carezza lungo tutto il suo corpo. Con il cuore in gola gli si fece innanzi e incontrò le sue labbra, che la cercavano. Lui l’afferrò in vita e la fece ricadere sul letto, con un verso roco di disperato desiderio. Non ci furono parole, per molto tempo.
Lui rimase vestito e non prese nulla, mentre alla fine Deja aveva il fiato corto ed era tutta sudata. Quasi non riusciva a mettere a fuoco il soffitto ma doveva, doveva sapere.
- Perché Zaron?
Lui la baciò, languidamente, facendo correre le mani sulle sue forme.
- Perché cosa, mia cara?
- Perché non mi prendi? Mi sono offerta ormai in tutti i modi in cui sono riuscita a pensare e… mi piace quello che fai, mi piace da morire e questa sera non sono poi così sicura che tu non mi abbia uccisa davvero… un bel modo per morire, ci tengo a sottolineare…
Lui sorrise soddisfatto contro il suo seno, dando un piccolo morso che riuscì a distrarla per un attimo.
- Ma… perché non mi prendi del tutto? Perché non finisci mai quello che iniziamo? Tu non derivi nessun piacere a giacere con me, non come ne dai a me…
Zaron aveva sospirato e poggiato il capo sul petto della moglie, senza incrociarne lo sguardo.
- Ci sto arrivando Deja,
Aveva sussurrato, solleticandole la pelle umida con il fiato.
- Abbi pazienza e fidati di me.
- Quando? Quando succederà?
Aveva chiesto lei con tono pieno di desiderio struggente.
- A Issa.
Aveva risposto lui cogliendola totalmente di sorpresa.
- Cosa?
Aveva replicato lei con tono stridulo, ripensando al letto che avevano condiviso tante volte, il letto in cui lei era stata concepita e sua madre era spirata.
- Pensaci,
Aveva ribattuto Zaron, serio, alzando il viso e guardandola negli occhi.
- Sarà la tua prima volta. Se sanguinerai sarà impossibile da nascondere e qui a Halanda impossibile da spiegare a meno che tu non mi voglia far passare per un marito violento e brutale. A Issa sarà più facile, anche se egualmente ingiustificabile. Là ci stiamo solo pochi giorni ogni anno.
Poi l’aveva baciata, soffocando sul nascere ogni sua protesta.
Al suo ritorno nell’harem la mattina seguente Tallia l’aveva trascinata nei propri appartamenti.
- Allora?
Le aveva chiesto piena d’aspettativa. Deja aveva scosso il capo, ma con espressione di trionfo.
- Non questa volta, ma per il mio compleanno non sarò più una fanciulla.
Aveva decretato con sicurezza, strappando un sorriso complice alla concubina.
La regina aveva quindi pazientato, ma adesso che sapeva cosa si provava a giacere nuda sotto suo marito non aveva voluto tornare indietro, spogliandosi per lui ogni volta che passavano la notte insieme, fino all’avvicinarsi del suo compleanno.
Zaron le aveva detto senza mezzi termini che non avrebbero viaggiato con l’aeronave, ma avrebbero fatto il tragitto via terra e via mare, accompagnati da una scorta armata che ricordava più un piccolo esercito che una guardia reale. Deja non era riuscita a fargli cambiare idea e si era rassegnata alla prospettiva di passare quasi quindici giorni in viaggio, dormendo in tenda perché lui voleva essere veloce e muoversi in modo imprevedibile.
Non che la tenda reale fosse scomoda, constatò la regina una volta che fu montata: era enorme e c’erano cinque stanze con pareti di seta. La servitù aveva persino assemblato un letto su cui erano stati srotolati numerosi materassi e su cui lei dormì, stretta al marito. Lui le aveva intimato di essere il più silenziosa possibile e aveva soffocato i suoi gemiti con baci profondi.
All’arrivo nella sua città natale era stata nervosa e sulle spine e suo padre, preoccupato, le aveva chiesto se c’era qualcosa che non andava e lei era stata sovrappensiero ed elusiva, la sua mente e il suo cuore erano già negli appartamenti reali e nel letto in cui avrebbe finalmente perduto la verginità.
Lo aveva confidato a Anka, troppo agitata e felice per tenerselo per sé e la sua amica era impallidita e poi arrossita, guardandola con un misto di orrore e invidia. Ancora non aveva trovato un uomo che le piacesse e continuava a rifiutare tutti i pretendenti anche se agognava a vivere quell’amore che poteva vedere brillare negli occhi della regina.
Quella sera a cena fece fatica a mangiare, non riusciva a staccare gli occhi da Zaron, neanche per guardare il proprio piatto e le posate le tremavano nella mano. Era nervosa e sentiva un groppo allo stomaco. Lui se ne era accorto e con voce gentile le aveva detto che potevano aspettare ancora, che non c’era nessuna fretta.
- Non osare,
Gli aveva quasi ringhiato contro lei.
- Questa notte tu sarai mio e io sarò tua. Non provare neppure a tirarti indietro proprio ora.
Zaron non le aveva sorriso, come si era aspettata, ma la sua espressione si era riempita di desiderio e aveva lasciato le posate e la cena a metà, porgendole la mano e invitandola ad accompagnarlo in camera. Deja gli aveva poggiato le dita tremanti sul palmo e aveva notato che anche la mano di Zaron tremava.
L’aveva baciata a lungo, mentre la spogliava con lentezza, senza la fretta che invece Deja sentiva montarle dentro.
- Calma, mia cara, goditi il momento…
Le aveva sussurrato con calore, lasciandole una scia di baci sulla spalla. Poi si era tolto la casacca, rimanendo a petto nudo e l’aveva invitata a toccarlo. Lei aveva fatto per la prima volta scivolare le mani ovunque su quel petto muscoloso, solleticando la leggera peluria scura e Zaron con un gemito aveva poggiato la propria fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Le aveva preso le mani e gliele aveva guidate verso la cinta dei pantaloni.
- A te la scelta mia cara. Non resterò deluso se vorrai attendere ancora e ricorda,
Pronunciò l’ultima parola con enfasi.
- In qualsiasi momento, se vuoi che mi fermi, per un qualsiasi motivo, dimmelo e io lo farò. Non lo prenderò come un rifiuto.
Deja non aveva mai dovuto spogliare nessuno prima d’allora e le sue dita faticarono con lacci che tenevano chiusi i pantaloni di Zaron, tanto che suo marito dovette aiutarla. Con curiosità mista a nervosismo spinse l’indumento a terra, riamando paralizzata dalla vista del corpo nudo di lui. Rimase a guardarlo a bocca aperta, senza parole, spaventata e poi eccitata: tutto di lui era così… bello. Forte e gentile allo stesso tempo.
All’ultimo momento ebbe improvvisamente timore, un istinto atavico, irrazionale e animale che la spinse a emettere un piccolo verso di panico e cercare di sottrarsi al suo abbraccio.
Zaron si raggelò.
- Deja… Deja guardami.
Lei lo fece, perdendosi nei suoi occhi scuri.
- Vuoi che mi fermi, mia dolce cara? Lo farò se vuoi, non devi avere paura…
Lei scosse il capo, incapace di parlare. Era nervosa, ma non voleva fermarsi, non quando era finalmente così vicina ad avere quello che per anni aveva desiderato.
Deja si era immaginata che sarebbe stato tutto più difficile, invece quello che seguì fu sorprendentemente naturale e molto meno doloroso di quello che si era aspettata. La meraviglia di essere una cosa sola con lui le fece sfuggire delle lacrime che nascevano dal cuore, che cantava di gioia e d’amore, un sentimento incontenibile che doveva trovare sfogo.
- Ti amo, Zaron. Ti amo…
Lui non rispose con similari parole di tenerezza, ma la guardò negli occhi e Deja credette di vedervi riflesso lo stesso sentimento che provava lei. Il dolore per l’omissione di quell’espressione che lui non le avrebbe mai rivolto l’attraversò in un attimo, piantandosi nel profondo della sua anima, prima che lui la baciasse, con una dolcezza tale da farle dimenticare ogni altra cosa.
Dopo, avvinghiata a lui con braccia e gambe, i loro corpi nudi finalmente vicini, aveva respirato il suo odore e carezzato la sua pelle umida di sudore.
– Ti amo…
Gli aveva ripetuto, tra i baci, cercando di comunicare quel sentimento che le stringeva il petto, sperando che l’amore che lei recava per lui fosse sufficiente a sostenere entrambi. Aveva ottenuto ciò che a lungo aveva bramato: suo marito, anche se solo il suo corpo e non il suo cuore. Era una vittoria dolceamara.
Si addormentò sul suo petto, stringendosi a lui, cullata dal suo respiro e accarezzata dolcemente dalla sua mano che le sfiorava il viso e i lunghi capelli aggrovigliati.
Zaron invece era rimasto sveglio, con occhi turbati, depositandole leggeri baci sulla fronte ogni tanto.
Non riusciva a capacitarsi di quanto diverso fosse stato con Deja, più intenso e appagante rispetto a quando giaceva con le sue concubine. Forse era stata la fiducia incondizionata di lei, forse l’amore di cui era intriso ogni suo gesto, ma Zaron era stato profondamente colpito dall’esperienza, qualcosa nel suo profondo si era mosso e si era ritrovato quasi a versare lacrime con lei quando i loro corpi si erano uniti.
La sua regina, sua moglie, la sua piccola cara. La stringeva tra le braccia e si stupiva di come lei fosse finita proprio lì, di quanto lontano fossero giunti assieme, di dove l’amore di lei li avesse portati. Quanto diverso avrebbe potuto essere il loro matrimonio! Se lei fosse stata meno bendisposta, meno aperta e pronta a dargli un’opportunità.
La bambina graziosa che aveva strappato via in lacrime dalle braccia del padre con un gesto di violenza era cresciuta, divenendo una ragazzina decisa e sicura di sé e di quello che voleva, e infine una donna che con cocciutaggine e accanimento aveva ancora e ancora ribadito il suo amore per lui, spingendolo ad affrontare le sue paure e i suoi sentimenti. Pungolato da Deja era stato costretto a guardare nel fondo della sua anima e quello che aveva visto non gli era piaciuto; aveva cercato di dissuaderla, ponendola difronte a quello che era veramente, alla parte meno cortese e più sanguinaria di sé, ma lei non aveva desistito: guardando negli occhi la bestia ruggente l’aveva accolta a braccia aperte e occhi colmi d’amore. E il drago si era quietato, permettendo alla fanciulla di carezzargli la schiena squamosa come un cane fedele.
Deja era il suo tesoro più prezioso, gli era più cara della vita, non riusciva a concepire più un’esistenza senza di lei al suo fianco, e da quella notte in poi, nel suo letto. Ora che l’aveva avuta non riusciva a immaginarsi di tornare dalle sue concubine, non dopo l’abbraccio appassionato di sua moglie. Da tempo ormai pensava solo a Deja quando era con loro e ora che sapeva cosa si provava l’illusione non sarebbe più bastata. Aveva fame solo di lei, dei suoi occhi, delle sue labbra sorridenti, quelle efelidi che aveva contato innumerevoli volte con dozzine di baci e che avrebbe saputo mappare a memoria, il suo profumo, i suoi capelli, i suoi gemiti e il calore del suo corpo. La sua ironia, le sue idee semplicemente rivoluzionarie, tutto di lei lo incantava e lo incatenava e, di lei, lui era il felice prigioniero.
Si era a lungo considerato un drago geloso che stava a guardia del suo tesoro, ma ora si rese conto che lei aveva messo una catena d’oro attorno al suo cuore e che reggeva saldamente il guinzaglio. La catena si chiamava amore e la mano di lei era leggera, perché con un sorriso gli aveva porto a sua volta il proprio cuore in pegno.
Al mattino Deja era stata svegliata dalle labbra di suo marito e da quelle parole che aveva vanamente sognato di sentirsi dire da lui. Lo aveva abbracciato stretto, piangendo di gioia e a ogni ti amo di Zaron aveva risposto con un bacio.




* Faliq dagli sguardi duri e muscoli possenti: Mi fa ancora ridere una battuta di un film, o un telefilm non ricordo, in cui uno dei personaggi, terribilmente gay ed effemminato, si veste da generale dei marines, e recita la parte in maniera perfetta e convincente, per tirare fuori di prigione i protagonisti. Non ricordo NULLA della trama ma mi rimarrà per sempre impressa lo scambio di battute: “Non sapevo che fossi stato un marines” al che il tipo gay risponde “Loro cercavano uomini veri. Anche io!”.
** Zaron mette il gomito nel piatto perché è troppo impegnato a fissare il seno di sua moglie. Non ho resistito a copiare Harry Potter. La seconda volta che Ginny vede Harry è a colazione, alla Tana, e lei mette il gomito nel piatto del burro (se non ricordo male).
 
 
NOTE DELL’AUTRICE: Riguardo ai brutti pensieri di Aborn, se Deja ama davvero Zaron o i suoi sentimenti sono frutto della frequentazione e dell’abitudine. Personalmente credo che, a meno che non si parli di colpo di fulmine, ogni volta che ti innamori è frutto della frequentazione e dell’abitudine. Dopo tutto cosa succede? Conosci qualcuno, ci esci assieme: può rivelarsi un colossale s***zo oppure una persona con cui ti trovi a tuo agio, lo vuoi rivedere e vedendolo spesso ti nasce dentro un sentimento che magari va ad affiancarsi a un’attrazione che già provi ma che si raffredda con il tempo se non è accompagnata da qualcosa di profondo. Almeno questa è stata la mia esperienza. Poi non so con voi. (io sono una di quelle che ha sposato il fidanzatino che aveva alle superiori dopo 12 anni di fidanzamento, quindi…).
  
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