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Autore: imsarah_98    06/02/2017    0 recensioni
Dopo il divorzio dei suoi genitori, Anneka Lockwood viene portata via dalla sua amatissima New York,da sua madre: la sua nuova casa sarà Lostwinter, un piccolo paesino sulle coste dell' Oceano Atlantico. La sua vita cambierà radicalmente quando incontrerà un ragazzo: Nathaniel Miller. Bello, attraente e sopratutto misterioso: i suoi profondi occhi color ghiaccio celano un segreto che lo porterà a compiere gesti orribili e sconsiderati. Ma non è finita qui. Non vi è solo Nathaniel a tormentare la ''normale'' vita della ragazza newyorkese: Alexander Zucosky è sempre lì, pronto a consolarla e a rassicurarla.
Quando tutto sembra andare per il versjo giusto, la povera Anneka si troverà davanti quella che è la realtà: riuscirà ad affrontarla?
PS: I capitoli saranno un pò più lunghi rispetto a qualsiasi altra storia scritta su EFP, perchè è strutturata come un vero e proprio libro. Spero vi piaccia! Buona lettura xx
-imsarah_98
Genere: Drammatico, Erotico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Uno.


‘’Occhi, guardatela un’ultima volta,
braccia, stringetela nell’ultimo abbraccio,
o labbra, voi, porta del respiro,
con un bacio puro suggellate un patto senza tempo
con la morte che porta via ogni cosa’’

-William Shakespeare, Romeo e Giulietta

Gli occhi di tutta la classe erano puntati su di me, compresi anche quelli del mio professore. Era la mia seconda settimana nella nuova scuola di questa piccola città di nome Lostwinter. Mi ero trasferita poco più di un mese, ma a causa di alcune pratiche da sbrigare, avevo perso almeno tre settimane di scuola. Mio padre e mia madre avevano divorziato, distruggendo quella che per anni era stata una famiglia perfetta. Avevo dovuto abbandonare tutto: scuola, amici e i pochi familiari che mi erano rimasti, per questa piccola cittadina che non si trovava nemmeno sulle cartine geografiche. Non avevamo perso tempo a trasferirci nella vecchia casa di nonna Mesy, morta qualche settimana fa per un terribile tumore venutole al cervello. In un niente ero riuscita a perdere le persone più importanti della mia vita. Per superare questi momenti terribili si dice che per i primi tempi si è un pò abbattuti, ma poi bisogna asciugare le lacrime e rimboccarsi le maniche, cercando di superare il tutto con un bel sorriso e più forti di prima.
Di certo questo trasferimento non mi aveva aiutato a superare nulla, se non il confine che mi separava dalla civiltà.
Strinsi la borsa alla mia spalla e, sospirando, mi sedetti al penultimo banco della fila destra.
Il professore alzò lo sguardo e mi sorrise.

«Bene, ragazzi, lei è la nostra nuova compagna, Anneka. Siamo felici di averti tra noi»
Risposi con un flebile accenno del capo e abbassai lo sguardo sul mio libro di letteratura.

Non mi piaceva essere al centro dell’attenzione, ancor di più essere fissata in quel modo dai miei compagni. Di solito ero sempre stata quella ragazza che preferiva stare in disparte a guardare il mondo che le girava attorno, piuttosto che buttarsi nella mischia e vivere come tutti facevano. Avevo provato a farlo ma i pregiudizi me l’avevano impedito. Fin da quando ero piccola riuscivo ad avere un’immaginazione incredibile: ero stata la prima a riuscire a disegnare qualcosa di sensato nella mia classe, a scrivere un pensiero senza errori grammaticali e riuscire a leggere senza fermarmi a scandire le parole. Le maestre credevano che ero una bambina con un quoziente intellettivo più avanzato rispetto agli altri, così invogliarono i miei genitori ad iscrivermi un anno prima alla scuola elementare. Ma non fu per niente una buona idea: non appena varcai la porta di quella classe, cominciai ad essere etichettata con nomignoli odiosi e picchiata, affinché io non mettessi in atto ciò che sapevo fare veramente. Così, cominciai a perdere quelli che da sempre erano state le mie doti. I miei genitori non furono per niente felici di ciò che stavo facendo ma era l’unico modo per essere accettata e per riuscire a continuare ad andare a scuola senza aver paura di essere picchiata o insultata, solo che loro non riuscivano a capirlo.
Il professore cominciò a parlare di come gli autori inglesi influenzarono le epoche e di come si siano insinuati tra noi, ma io mi eclissai completamente dalla lezione e mi concentrai sul disegno da portare al professore di Arte e immagine.
Era una giovane ragazza con un lungo vestito bianco e leggermente strappato alla fine, i capelli di un biondo cenere, avvolta nell’oscurità mentre tra le dita reggeva una collana sottile con un ciondolo a forma di spirale, color ghiaccio.
Non so il perché, ma mi capitava spesso di disegnare questa collana nell'ultimo periodo; alle volte la sognavo anche. Avevo provato a cercarla in qualche sito di bigiotteria o anche nei pochi negozi che questa città aveva, ma non ero riuscita a trovarla: forse era solo oggetto della mia immaginazione.
Tutto era iniziato il giorno del mio diciassettesimo compleanno quando, in un sogno, un uomo incappucciato mi aveva dato questa collana dicendo che era l’unica cosa a cui dovevo pensare, perché da essa dipendeva il mio destino. Avevo preferito non raccontare nulla a mia madre, per paura che mi portasse da quell’insopportabile e arrogante psicologo che si trova a scuola o negli ospedali, pronti ad ascoltare i tuoi problemi e a trattarti come qualcuno affetto da gravi problemi. Fin dal primo giorno in cui eravamo arrivati a Lostwinter, mia madre, Tessa, continuava a pormi delle domande sul mio stato d'animo, sul fatto che per qualcunque cosa, lei sarebbe stata lì ad ascoltarmi. L'avevo ringraziata per questo, ma l'unica cosa che volevo era iniziare quest'anno scolastico nel modo più decente possibile e conclunderlo, così da iscrivermi in un college e costruire, passo per passo, la mia vita.
La campanella suonò, distraendomi dai miei pensieri, e con estrema lentezza, infilai il blocco da disegno e i vari libri dentro la borsa mettendola in spalla, mi diressi verso la porta ma fui bloccata dalla voce del professore Clayton.

«Anneka!»

Era dietro di me, ancora seduto alla cattedra con il suo sguardo severo e continuava a scrivere qualcosa di incomprensibile nel registro di classe. Aveva un naso aquilino, capelli ricci e neri, lunghi fin sotto l’orecchio, barba folta ma non troppo. Indossava sempre camicie a righe, cravatta e pantalone largo con gli svoltoni alla fine, molto alla moda.

«Mi dica» dissi, schiarendomi la voce.

«Ho notato con stupore che sei molto brava a disegnare… che ne diresti di partecipare al concorso che si terrà sabato prossimo da Snake? Il bar infondo alla strada? Credo che porteresti alta la bandiera della nostra scuola» si alzò e si sistemò la cravatta «e poi è anche un modo per fare amicizia..»

«La ringrazio ma non ci tengo»

«Senti Anneka, non voglio sembrare scortese ma..conosco tua madre e so che lei è molto preoccupata del fatto che tu non abbia ancora fatto amicizia con nessuno»

''Da quando conosci mia madre?!''
«Professore, la ringrazio ma faccio tardi a lezione. Se le fa piacere terrò in considerazione la proposta, le farò sapere entro domani. Arrivederci»
Uscii dalla classe prima che potesse fare altre domande e mi mischiai ai pochi studenti presenti in corridoio. Non c’erano molti ragazzi che frequentavano il liceo perché la maggior parte preferiva andare in delle scuole che, nel giro di tre anni, li avrebbero fatti uscire con il massimo dei voti. Io, però, avevo preferito rompermi la schiena per ben quattro anni in una scuola dove i ragazzi sembravano essere dei burattini nelle mani dei professori. Mi diressi verso l’aula di matematica dove, forse, avevo fatto amicizia con una ragazza di un anno più grande di me. Mi aveva raccontato di essersi trasferita dall’Inghilterra e quindi aveva perso un anno di scuola.
Il suo nome era Hope, classica ragazza inglese con capelli lisci e castani, occhi scuri e corporatura non troppo esile. Il suo accento britannico non era fastidioso e, inoltre, era anche una ragazza molto divertente e dolce. Avevamo gli stessi interessi: leggere libri, guardare film, ascoltare musica classica. L’unica cosa su cui non andavamo d’accordo era il fumo. Ogni momento della giornata era buono per fumarsi ‘’una sana sigaretta’’ come diceva lei. ‘’Ti rilassa, dovresti provare Annie’’ continuava a dire. Dal primo momento in cui cominciammo a parlare capii che saremmo diventate ottime amiche, anche perché con lei non si ci annoiava mai, anzi era un continuo divertimento con le sue battute in momenti inappropriati.
Entrai in classe e fortunatamente la professoressa non era ancora arrivata. Mi sedetti al mio banco e uscii il libro di algebra dalla zaino. Molti ragazzi avevano deciso di non frequentare il corso avanzato di matematica per immettersi nei corsi di letteratura straniera, solo perché l’insegnate era il professore Clayton.

«Sempre pronta e attrezzata Annie»

«Beh io ci tengo a superare l’anno Hope...» le risposi, drizzando la schiena e sfogliando alcune pagine a caso.

Scoppiò a ridere e mi baciò la guancia, sedendosi accanto a me. Estrasse il suo Nokia, abbastanza malandato, dalla tasca dei jeans e andò su Facebook, cominciando a curiosare la bacheca di alcune ragazze che avevano condiviso un evento.

«Allora, ci vieni alla festa al lago stasera?» disse, voltandosi verso di me. Dal suo sguardo riuscii a capire che pretendeva una risposta affermativa.

«Non lo so...»

«Dai, potremmo divertirci e passare una serata diversa» si bloccò sbattendo il suo Nokia sul banco «maledetto affare!»

«Ci penserò» dissi spospirando e guardando fuori dalla finestra, trattenendo una risata.

Da quello che avevo potuto capire in questo piccolo arco di tempo, Hope era una ragazza che non perdeva facilmente la pazienza, che ragionava razionalmente e che prima di agire, rimurginava sulle sue idee milioni e milioni di volte: ma quando si ritrovava a tenere tra le mani quel telefonino, tutta la sua calma e il suo auto controllo sfumavano, facendola diventare un'altra persona.

Il tempo sembrava rispecchiare il mio stato d’animo: era cupo e freddo e una tempesta sembrava coprire le montagne. Adoravo la pioggia, mi faceva sentire libera ed era come se i miei pensieri scivolassero via dalla mia mente, come le gocce di pioggia quando scivolano velocemente sul vetro di una finestra. Ad attirare la mia attenzione fu un movimento, una figura nera, ferma accanto le macchine degli studenti. Alzò lo sguardo e due occhi rossi mi fissarono, mentre alcune vene di colore grigio e viola, pulsavano lungo il collo.

‘’E’ giunta l’ora Anneka. Ormai non hai più scampo.’’

Aveva mimato con le labbra, con una voce quasi graffiata. Rimasi quasi ipnotizzata dai suoi occhi, sembrava come se al loro interno ci fossero delle vere e proprie fiamme. Successivamente scomparve.
Un aria gelida mi colpì la schiena e per un attimo ebbi la sensazione che fosse proprio dietro di me, ma quando mi voltai, un ragazzo aveva aperto semplicemente la finestra per far cambiare l'aria.
Come avevo fatto a capire le sue parole a quella distanza?
Forse è uno degli effetti collaterali delle pillole che continuo a prendere a causa di mancanza di ferro..
''Forse'' ribadì la mia vocina interiore. Come sempre era pronta a farmi sentire una matta per qualsiasi cosa la mia immaginazione tirava fuori dal suo cassetto. Forse devo smetterla di leggere tutti quei libri fantasy e concentrarmi più sulla realtà.
''Ecco così ti voglio Annie!'' battè le mani per poi farmi un sorriso.
Rivolsi la mia attenzione a Hope, cercando di allacciarmi al discorso che aveva iniziato poco pirma che mi perdessi: suo fratello aveva vinto una gara di moto la scorsa settimana e molto probabilmente aveva intenzione di portarmi con lei, per farmi vedere quanti bei ragazzi gareggiassero tutte le domeniche.

«Allora che ne pensi?»

La guardai con fare stranito, cercando di capire a cosa si riferisse.

«Di questo libro Anneka, ma cos'hai oggi? Sembri molto nel tuo mondo...» disse leggermente dispiaciuta.

«Scusami non volevo mancarti di rispetto, è solo che è stata una giornata piuttosto pensate e vorrei solamente tornare a casa»

«Ti capisco..questa scuola è così mia cara, non potevi sceglierne una migliore?» mi rimproverò amichevolmente.

«Bene ragazzi oggi si va avanti con il programma e cominciamo a spiegare le equazioni di secondo grado..» pronunciò Mrs Whiterness.

Presi il mio quanderno e cominciai a scrivere l'esercizio che era riportato sul libro.
La classe inizialmente silenziosa, prese a parlare e a ridere, mi sporsi leggermente per capire il motivo per cui, anche la professoressa era rimasta interdetta e con una mano sospesa sulla lavagna: un ragazzo, alto, magro e con i capelli corvini stava aspettando una qualsiasi risposta dalla professoressa. Si mordeva continuamente il labbro inferiore e giocherellava con l’anello che portava al pollice destro.

«Oh non preoccuparti, entra pure, tu devi essere il nuovo alunno» disse con voce stridula la Whiterness.

«Si professoressa»

«Accomodati qui davanti. Bene ragazzi lui è il vostro nuovo compagno, il suo nome è Nathaniel Wallace e si spera stia con noi tutto l'anno» sorrise educatamente verso il nuovo ragazzo e tornò a scrivere.

Nathaniel si scambiò alcuni saluti con dei ragazzi che facevano parte della squadra di basket, e poi ricambiò dei saluti ad alcune cheerleaders. Senza rendermene conto mi ritrovai a fissarlo: i suoi occhi color ghiaccio erano come incatenati ai miei, color cioccolato. Dentro di me sentii una strana sensazione, quasi come quando si ha la sensazione di conoscere una persona ma non si ricorda il luogo o il momento in cui la si è vista. I suoi tratti, il suo sgaurdo sensuale e misterioso e quel sorriso enigmatico, portarono alla luce, immagini, fatti a me sconosciuti.
Londra, 1805
Rumore di zoccoli e carrozze, popolava le strade di Londra. La giornata era soleggiata per essere ai primi giorni d’autunno. Dame, con i loro vestiti colorati e fatti su misura e i loro ventagli, arricchivano i patri con un'esplosione di colore e i mariti si divertivano a giocare a polo. L’unica però a non godere di quell’arietta leggera e soave era lei, la giovane ragazza seduta in una poltrona di paglia, su una veranda. Preferiva sorseggiare un thé e leggere un buon libro, probabilmente di Jane Austen, piuttosto che ‘’mescolarsi’’, com’era solita dire sua madre, con la falsa gente ricca. Ma lei non era lì perché voleva difendere il buon nome della sua famiglia. Lei era lì per lui, sapeva che sarebbe arrivato da un momento all’altro, lo sperava con tutto il cuore. Dopo la lettera ricevuta, era andata su di giri: aveva ingaggiato una sarta affinché gli confezionasse il vestito più bello di tutta Londra; aveva anche fatto preparare una squisita anatra alle arance per pranzo e il suo dolce preferito: torta al cioccolato con panna e fragole.
«Miss Evie, il principe William la sta aspettando nella sala da thé»
«Grazie Sigmund, arriverò tra un secondo..» disse, posando la tazza, con un motivo floreale, sul tavolino, accanto alla poltrona.
Si alzò, con la schiena dritta e si sistemanò il suo vestito color pesca. Sorrise proprio come una bambina il giorno di Natale. Era giunto il momento, il suo principe azzurro era arrivato.

«Signorina Lockwood, ha capito quello che ho detto?!»mi richiamò alterata Mrs. Whiterness.
«Si..mi scusi..»mi giustificai, sbattendo velocemente le palpebre.
Cos’era quello che avevo visto? E chi erano Evie e William?
Scossi la testa e cominciai a scrivere il nuovo esercizio sul quaderno, cercando di concentrarmi esclusivamente su quello, naturalmente con falsi tentativi. Da quando mi ero trasferita a Lostwinter non facevo altro che avere strane allucinazioni. Questo posto era strano, nascondeva qualcosa di misterioso e di oscuro; di notte le strade erano insolitamente silenziose e di giorno non erano mai del tutto popolate.
Lanciai uno sguardo verso Nathaniel e notai che mi stava ancora guardando, quasi come stesse studiando la mia reazione: anche lui aveva visto ciò che avevo visto io?
Le sue labbra si piegarono in uno strano sorriso e i suoi occhi diventarono di un colore tendente al blu notte. Ricambiai timidamente il sorriso, con un pensiero che mi balenava nella mente: ero ben sicura di aver preso la strada giusta per la pazzia.



*****



«Allora vieni a casa mia oggi pomeriggio?» mi propose Hope non appena uscimmo fuori dalla classe.

«Certo, mi farebbe molto piacere!» dissi, provocandole un sorriso.
Le avevo vietato fin troppe cose oggi, non volevo che pensasse che non avevo voglia di stare con lei, perchè in realtà era tutto il contrario.
Ci dividemmo per andare ognuno a raccogliere le proprie cose. Ripensai a tutto ciò che mi era successo nelle ultime quattro ore: non avevo fatto altro che avere strane visioni, o sogni, che mi catapultavano in prima persona, in mondi, epoce anteriori alle mie. Forse stavo diventando matta, o ero troppo stressata dal nuovo corso di letteratura inglese, dal teatro e dal trasloco. Molto probabilmente avevo bisogno di staccare un pò, di vivere i miei diciassette anni come facevano tutti i miei coetanei, piuttosto che stare rinchiusa a casa a leggere, studiare e guardare film strappalacrime.
Arrivai davanti il mio armadietto e aprii l'anda, prendendo tutti i libri che avevo portato durante la settimana: era venerdì, inoltre il Lunedì avremmo avuto una partita in onore di un professore deceduto in un incidente, quindi non avrei rivisto il mio armadietto per un bel pò.
Quando mi voltai, vidi Nathaniel proprio davanti a me, appoggiato al muro. Le sue mani erano dentro i pantaloni e un'espressione cupa in volto.

«Ciao»

Rimasi un attimo interdetta, stringendo a me la mia borsa con alcune spille.

«Ciao...posso fare qualcosa per te?» dissi, cercando di tenere la voce più libera da qualsiasi sensazione stessi provando dentro.

«Volevo solamente restituirti questo, ti è caduto quando sei uscita dalla classe»

Mi passò un braccialetto color argento: il bracciale che mi aveva regalato mio padre il giorno del mio compleanno!

«Ti ringrazio davvero!» lo afferrai, cercando di contenere il sollievo.

«Figurati» si allontanò e poi mi salutò con un semplice gesto della mano, camminando verso la portafinestra e giocando con il mazzo di chiavi.
Rimasi a fissarlo finquando non uscì senza voltarsi. Quel ragazzo mi trasmetteva tanta paura quanta voglia di conoscerlo. Non so il motivo ma provavo attrazione, una forte attrazione che sembrava conservarsi da anni.

«Andiamo?»

Urlai per lo spavento, facendo ridere Hope. Le diedi un buffetto sulla spalla e lei mi prese sottobraccio, portandomi verso l'uscita della scuola. Dopotutto, che male c'era andare a una semplice festa per divertirsi?



«Finalmente a casa!» annunciò Hope platealmente, non appena suo padre aprì la porta di casa.
Robin Zucosky era un vigile del fuoco alla caserma di Vinswood, una cittadina non lontano da qui. Era un uomo alto e muscoloso, con capelli castani e occhi di un nero pece. I suoi lineamenti erano duri e marcati ma con un buon cuore, almeno così mi aveva spiegato Hope. Era il secondo marito di sua madre, da cui erano nata la sua piccola sorellina Ashley, di quattro anni e mezzo. Aveva preso il cognome Zucosky perché era piccola quando suo padre biologico aveva abbandonato sua madre e i due gemelli e, come diceva lei, non voleva avere nulla a che fare con quell’animale che aveva osato lasciare una giovane ragazza incinta.
La casa di Hope era abbastanza grande: due piani e quasi più di cinque stanze in ogni piano, molto più grande della mia. La sua stanza era al piano di sopra, nella mansarda mentre al piano di sotto c’era quella di suo fratello, Alexander, che non avevo avuto modo di conoscere. La casa era circondata da un enorme giardino con piscina all'esterno e alcuni alberi a fare da ombra. Sembrava di essere in una reggia.
«Mamma, abbiamo un ospite a pranzo!» disse Hope, entrando in cucina.
Sua madre, una donna abbastanza formosa e sulla quarantina, abbracciò la figlia e le baciò la fronte chiedendole il resoconto della giornata. Io rimasi in disparte mentre Hope, molto vaga, raccontava le sue estenuanti sei ore di scuola.

«Mamma, lei è Anneka Lockwood, è da poco in città. Studieremo insieme oggi pomeriggio» disse sorridendo e prendendomi sotto braccio.

«Oh cara, conoscevo tua nonna, una donna fantastica! Ricordo che ogni giorno andavo a comprare dei girasoli proprio da lei! Le assomigli tanto sai?»

«La ringrazio Mrs Zucosky» le risposi, sorridendole cordialmente.

«Chiamami pure Kate!» si avvicinò e mi baciò una guancia, per poi tornare ai fornelli «aspetteremo Alex per pranzo, spero non ti dispiaccia Anneka»

«Assolutamente no Mrs..Kate» dissi sorridendo.

Ricambiò il sorriso e venni trascinata su per le scale da Hope. Aprì la porta della sua stanza e mi fece entrare, per poi chiuderla a chiave.
La stanza era piuttosto grande: aveva una cabina armadio, un letto a una pizza e mezza e varie foto di famiglia e disegni che decoravano le pareti. Un’enorme libreria era poggiata alla parete di fronte alla porta e una piccola scrivania era posta tra il letto e il comò. Forse era leggermente confusionaria ma abbastanza accogliente, soprattutto perché il tutto era abbellito con un tetto spiovente, decorato con poster di cantanti e attori, naturalmente a me sconosciuti.

«Ho bisogno di fumare» annunciò, aprendo un pacchetto di Malboro Gold e portandone una tra le labbra. Si diresse verso la piccola finestra sopra un divanetto color lavanda e accese la sigaretta. La vista era spettacolare. Sotto la sua finestra si estendeva un bellissimo bosco, alle pendici di due montagne altissime e innevate proprio sulla punta. Il sole era tra di loro, dando così l’impressione di essere dentro un quadro.
Posai la borsa accanto alla scrivania e il giubbotto sulla sedia, e mi diressi verso la libreria accanto all’armadio. La maggior parte erano libri fantasy di cui non avevo mai sentito il nome. La cosa più divertente era che in quella libreria non vi erano libri scolastici, di sicuro preferiva tenerli in uno scantinato piuttosto che in stanza.

«Se ti piace qualche libro, prendilo pure, io li ho letti tante volte» disse, prima di buttare via il fumo fuori dalla finestra.

«Grazie ma, preferisco libri che non parlano di cacciatori di demoni e..altre cose..»

«Cosa non ti piace?»

«Nulla di che è solo che non è il genere che mi piace»

«Eppure sembri proprio una persona di quel genere!- sorrise e buttò la sigaretta, chiudendo la finestra «sai il tuo stile mi dava la sensazione di..cacciatore di demoni ecco!»

«Si vede che non mi conosci abbastanza» dissi, sorridendo e sedendomi sul letto.
‘’E mi sembra che neanche io ti conosco abbastanza bene’’ pensai.
In quel preciso istante ebbi la sensazione di essermi cacciata dentro un grandissimo guaio da cui non ne sarei uscita tanto facilmente. Ma repressi immediatamente quel pensiero. Ma che cosa stavo dicendo? Hope era l’unica ragazza che non aveva dato segni di squilibri mentali, era una ragazza a cui porre tutta la fiducia di questo mondo inoltre si trovava nella mia stessa situazione per quando riguarda il trasferimento. Era una ragazza dolcissima e divertente e inoltre non aveva la mente contaminata da pregiudizi, anzi mi dava molto una sensazione di hippie.
«A tavola!» sentimmo la voce di Kate urlare dalle scale.
Hope si levò il giubbotto di pelle e con esso anche la camicia a quadri. Mi cadde l’occhio su una cicatrice poco più sotto della scapola, tra il collo e il cuore. Aveva una forma strana, quasi fosse un marchio. Come se l'era fatta?

«Ce l’ho da quando avevo cinque anni, sono caduta dall’altalena su un pezzo di legno» disse rispondendo alla mia domanda non esplicitata. Infilò una maglietta scolorita dei Nirvana e sospirado aprì la porta, scendendo di corsa le scale e buttandosi alle spalle di un ragazzo.
Scesi lentamente le scale per poterlo osservare meglio: lineamenti severi e marcati, labbra carnose, capelli biondo cenere e occhi nocciola. Aveva il tipico atteggiamento da ragazzo dolce misto a un motociclista barbuto.
Indossava una maglietta con un teschio bianco e verde, un paio di jeans scuri e scarpe scolorite, il tutto completato da un giubbotto nero di pelle, tipico dei motociclisti.
''Ma in questa famiglia aveva tutti un debole per il giubotto di pelle per caso?''
Le sue spalle erano larghe e si poteva già fantasticare sul fatto che sotto quei vestiti si nascondeva un corpo da dio greco. I suoi occhi si posarono su di me e io mi sentii mancare l’aria nei polmoni.

«Hope non mi presenti la tua amica?» disse, con quella voce roca. Si spostò verso l'appendi abiti e levò il giubotto, rivelando due bicipidi muscolosi.

«Si, lei è Anneka, Anneka lui è Alexander, il mio fratellino!» gli scompigliò i capelli, facendolo ridere.

«Piacere di conoscerti» disse, tenendo fermo con una mano la sorella, e l'altra era rivolta verso di me, in attensa che la stringessi.

«Il piacere è mio» afferrai la mano con la consapevolezza di essere sembrata un’adolescente con gli ormoni fino al cervello, che non sa nemmeno pronunciare due parole perché è attratta da un ragazzo con un semplice giubotto da pelle, due occhi dolci e un corpo da far invidia al David di Michelangelo.

Sorrise nuovamente, facendomi arrossire. Abbassai lo sguardo sulle mie mani cercando di ritrovare il controllo su me stessa.
Cosa mi stava capitando oggi? Non ero mai stata così tanto a disagio con i ragazzi, perchè allora il mio corpo e la mia mente avevano reagito così?
''Probabilmente perchè oggi hai incontrato i due ragazzi più belli della tua vita?'' sottolineò la mia vocina, alzando gli occhi dal libro che stava leggendo. Questa volta dovevo proprio darle ragione.

«Allora» spuntò Robin dalla cucina «finite le presentazioni, tutti a tavola!» sbatté le mani più volte e quel gesto fu una sorta di flashback.




SPAZIO AUTRICE!
Bene questo è il primo capitolo! Si lo so, questa storia l'ho scritta già in precedenza e l'ho cancellata, ma adesso sono pronta a cominciare!
Se la storia vi è piaciuta potete anche lasciare un commento, sennò continuerò a pubblicare un capitolo al giorno!
Detto questo vado a nanna che ho sonno! Buona notte! xoxoxoxo

-imsarah_98
   
 
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