Nell’alto
soffitto sopra di sé Bucky aveva ormai sciolto il suo sguardo. Fissava i
pannelli bianchi perfettamente allineati da minuti interi, la luce tenue,
chiara, a far risplendere tutto. Era disteso su un lettino, un occhio di bue
sopra la sua testa e una luce più intensa a sinistra, calata in modo da
permettere ai quattro uomini – due medici e due tecnici – di lavorare con cura,
concentrandosi esclusivamente su quell’unico punto. Erano chini sul suo corpo,
molteplici strumenti intorno, e un solo, impeccabile, arto metallico fra le
mani, che con precisione e abilità stava preparandosi a incontrare il nuovo
proprietario. Bucky non se lo sarebbe
aspettato e, forse, una parte di sé avrebbe preferito che qualcosa di così
forte non gli venisse più restituito. Tuttavia quando T'Challa gli aveva detto
che, terminate le cure, era giusto che riavesse pieno uso del suo corpo, gli
era stato impossibile dire di no. Meno di due settimane gli erano bastate per
capire che se mai avesse dovuto avere bisogno di difendersi o scappare da
qualcuno o qualcosa, senza quel braccio metallico con cui aveva imparato a
convivere e sopravvivere non sarebbe mai andato lontano. Così aveva accettato,
ringraziando l’omaggio che il sovrano gli aveva porto.
Fermo
su quel lettino, consapevole, cominciò lentamente a sentirsi irrequieto. La
prima volta che un braccio meccanico gli era stato impiantato era privo di
sensi e i ricordi vaghi che aveva di quel momento lo riconducevano solo al suo
offuscato risveglio, quando il Soldato d’Inverno era pronto a impossessarsi di
lui. Ora invece era sveglio; poteva vedere il soffitto chiaro, sentire i medici
e i tecnici che parlavano fra loro, i ferri a incastrare, spostare e saldare le
numerose placche metalliche di quello che sarebbe diventato il suo braccio. Di
nuovo un arto metallico, di nuovo una protesi avvinghiata al proprio corpo più
resistente e forte della normale carne.
D’improvviso
li sentì arrivare, numerosi e opprimenti: i fantasmi del proprio passato. I
volti, le grida, le preghiere sue come quelle di tanti altri. Iniziò a sudare
freddo, il cuore che martellava nel petto, i muscoli improvvisamente tesi,
nervosi e irrequieti. Doveva andarsene da lì, allontanarsi da quelle persone
prima di rischiare di far loro del male.
La
porta scattò e la cosa parve spaventare i fantasmi che lo stavano
asserragliando, che silenziosi e temibili come erano giunti, scivolarono di
dosso all’uomo, lasciandogli un profondo senso di turbamento. Sollevando appena
la testa Bucky fu in grado di capire chi era entrato. La figura di T'Challa,
vestito con sobria eleganza come sempre, si fece strada intorno al lettino su
cui era steso.
«Come
procede?» chiese ai quattro uomini, i quali salutarono il sovrano e gli fecero
un veloce riassunto dell’operazione, parlando però nella lingua del loro paese.
Probabilmente la risposta che T'Challa ricevette gli fece molto piacere perché
quando si rivolse a Bucky e quest’ultimo riuscì a vederlo bene in volto, stava
sorridendo.
«Come
ti senti, James?»
Il
Soldato soppesò la risposta da poter dare. Si sentiva intirizzito, ancora
scosso da quel breve e opprimente ripresentarsi del proprio passato. Sentiva la
parte sinistra del corpo formicolare, i nervi pulsare intorno al collo e alla
spalla. Non poteva certo dire che ciò che gli stava accadendo fosse piacevole.
«Intorpidito»
rispose infine.
T'Challa
rise lievemente. «Hanno quasi terminato, manca poco.»
Bucky
fu rincuorato da quelle cinque parole. Non gli piaceva quella situazione, lo
faceva tornare troppo indietro, a momenti ben peggiori.
Improvvisamente
una leggera scarica lo attraversò. Scattò prima ancora che potesse rendersene
conto. Si mosse sul lettino, sollevando il busto, puntellandosi sul gomito
destro, gli occhi vigili in cerca di qualcosa. Accanto a lui medici e tecnici
si ritrassero, spaventati, alcuni ferri caddero in terra e il suono riverberò
nel silenzio per svariati secondi. Con sua grande sorpresa Bucky si accorse che
il braccio metallico era perfettamente ancorato al suo corpo, scintillante,
reattivo.
«Va
tutto bene» disse T'Challa; lo fece per rassicurare l’uomo, ma anche gli altri
quattro che continuavano a fissare il Soldato preoccupati e nervosi.
Bucky
si rese conto di cosa aveva fatto e ne fu rammaricato; con tutta probabilità la
scossa che aveva sentito era dovuta alla definitiva e perfetta unione fra sé e
il nuovo arto. Guardò i medici e si calmò, tornando a sdraiarsi sul lettino e
porgendo loro il braccio sinistro affinché potessero concludere correttamente
il lavoro. T'Challa lo guardò di sottecchi. Capì che anche se il farmaco aveva
funzionato sarebbe stato impossibile per Bucky ignorare il passato. Era
evidente che la preoccupazione di essere sfruttato per fare del male fosse
ancora radicata in lui.
Il
Soldato parve chetarsi, infine. Rimase a fissare sopra di sé con sguardo vago,
ignorando le continue, deboli e veloci, scariche che continuavano a irrigidire
il lato sinistro del suo corpo. Poteva muovere le dita se solo avesse voluto;
sentiva quell’arto fare perfettamente parte di sé, ora. Tuttavia lo tenne
immobile fino a che uno dei tecnici parlò, rivolgendosi a T'Challa: «Abbiamo
concluso.»
Bucky
li sentì ritrarsi, li vide allontanarsi da lui e fermarsi in piedi, in attesa.
«Puoi
alzarti, James» lo esortò T'Challa poco dopo.
Il
Soldato si mise a sedere sul bordo del lettino, tirandosi su con entrambe le
mani. Rimase sorpreso dalla leggerezza e dalla compiutezza di quel braccio
metallico, leggero e reattivo forse addirittura di più di quello che aveva
perduto. I suoi occhi scorsero avidi lungo tutta l’area argentata una, due, tre
e più volte ancora. Guardò l’arto in ogni sua angolazione, scorse lungo i
contorni delle placche, negli incavi delle giunzioni. Fendeva l’aria con
inconsistenza, liberando a ogni gesto una delicata e piacevole vibrazione. Ne sfiorò
la superficie con la mano destra, il metallo era freddo, cosa che non si
sarebbe aspettato diversamente. Il suo nuovo braccio metallico, così simile
eppure così diverso rispetto a quello che aveva avuto per settant’anni, era
pronto.
«Cosa
te ne pare?» chiese T'Challa dopo aver dato tempo a Bucky di osservare il nuovo
arto in ogni sua parte. Quest’ultimo lo guardò senza dire nulla.
«È
in vibranio, più leggero e molto, molto più resistente di quello che avevi
prima. È studiato sulla base dell’altro e abbiamo lavorato per renderlo
reattivo e funzionale. Ci sono oltre 17.000 unità tattili, tutte direttamente
collegate al tuo sistema nervoso, esattamente come un braccio umano.»
Bucky
tornò a guardare la protesi, mentre si accorgeva della nota di pura
soddisfazione che arricchiva la voce di T'Challa. Era combattuto; quel braccio metallico
era l’emblema del suo passato, lo rimandava a chi glielo aveva impiantato la
prima volta, a ciò che poi lo avevano costretto a fare. Eppure la
consapevolezza che quel braccio, di
preciso, era collegato al suo nuovo inizio parve dargli un briciolo di
speranza.
«Avete
fatto un ottimo lavoro» disse infine. Poi si rivolse esclusivamente ai medici e
ai tecnici: «Vi ringrazio.»
I
quattro risposero con un rapido cenno, dopodiché fu nuovamente T'Challa a
parlare: «Mi fa piacere sapere che tutto sia andato bene. Non era un intervento
semplice, significa che i miei uomini hanno lavorato al pieno delle loro
capacità. Vi sono riconoscente.»
Rivolse
un inchino in direzione dei quattro uomini, infine tornò a concentrarsi su
Bucky. «Ora, se non ti dispiace, avrei bisogno di parlare con te. Se prima vuoi
rilassarti un po’, riprenderti da queste ore di operazione, posso capire e sei
libero di prenderti tutto il tempo che desideri. Poi, però, avrei davvero bisogno
di parlarti.»
Il
Soldato lo guardò, lievemente confuso, poi rispose: «Possiamo parlare anche
ora.»
«Ne
sei sicuro? non voglio metterti fretta.»
Bucky
scosse la testa e T'Challa prese quel gesto come la risposta che attendeva.
«Molto bene. Andiamo mio ufficio. Seguimi.»
Diede
un ultimo saluto ai suoi medici e si avviò fuori dalla stanza, facendo strada a
Bucky fino al suo ufficio. Una volta dentro, il sovrano indicò all’uomo una
sedia su cui potersi accomodare.
«Devo
chiamare una persona» lo informò. Si avvicinò al telefono, compose un numero e
dopo pochi secondi disse: «Anisa, puoi venire nel mio ufficio?»
Posò
il ricevitore, infine lanciò un rapido sorriso in direzione di Bucky. Il
Soldato avrebbe voluto dire qualcosa; il silenzio che si era creato era strano,
teso e gli stava provocando una spiacevole sensazione. Capì che T'Challa
avrebbe prima atteso l’arrivo della sua assistente e Bucky sperò che Anisa
arrivasse in fretta. Andò esattamente così; poco dopo un paio di colpi alla
porta ruppero il silenzio, introducendo la donna nella stanza. Lei entrò, indossava
un completo color panna, i capelli sciolti le ricadevano sopra le spalle.
«Eccomi»
disse. Si accorse solo in quel momento della presenza di Bucky, seduto alla sua
destra. Voltò il viso verso di lui, gli occhi scivolarono veloci lungo il
braccio metallico, scintillante e perfettamente visibile, infine tornò a
rivolgersi al sovrano. T'Challa le sorrise, affabile.
«Cosa
ne dici?» chiese, alludendo con un gesto in direzione di Bucky. Anisa tornò a
guardare il Soldato.
«Direi
che hanno fatto un ottimo lavoro.»
Non
aggiunse altro. Si avvicinò alla scrivania e lì si fermò, in attesa. T'Challa
la guardò, facendosi improvvisamente serio. Poi i suoi occhi scuri puntarono in
quelli chiari di Bucky, che vi vide dentro una determinazione quasi spaventosa.
«Allora,
James, come ti ho detto avevo bisogno di parlare con te.»
Spostò
un momento lo sguardo su Anisa, per poi tornare a concentrarsi sull’uomo.
«Voglio essere sincero con te, assolutamente sincero.»
Respirò
a fondo, un gesto che contribuì ad accrescere la spiacevole sensazione nata
all’interno di Bucky.
«Il
tuo scongelamento è stata una scelta affrettata e, in un certo senso,
azzardata. Tuttavia non sapevo che altro poter fare.»
La
concentrazione di Bucky, a quelle parole, aumentò, una leggera linea orizzontale
gli solcò la fronte.
«Qualcuno
sta minacciando il mio popolo e, purtroppo, ho avuto modo di scoprire che la
sola Pantera Nera non è in grado di fronteggiarlo. Ti ho fatto risvegliare
perché se la terapia fosse andata a buon fine avrei potuto chiedere il tuo
aiuto ed è ciò che sto facendo ora. Ti sto chiedendo di aiutarmi a proteggere
il mio regno.»
Nella
stanza calò un silenzio palpabile. Anisa e T'Challa stavano guardando entrambi
Bucky mentre lui, sbigottito, spostava il suo sguardo in ogni direzione. La
richiesta del sovrano gli sembrava assurda, soprattutto per il fatto che per
anni lui era sempre stato una minaccia – e mai un aiuto – per la vita degli
uomini. Prima che fosse in grado anche solo di formulare una risposta, T'Challa
riprese a parlare: «So che non ho il diritto di chiederti questo. Come Anisa mi
ha fatto notare hai passato la vita a combattere battaglie che non ti
appartenevano. Ma non so a chi altro potermi rivolgere che sia in grado di
aiutarmi mantenendo fuori da questa storia persone indesiderate.
«Non
devi sentirti obbligato, James. Il mio desiderio di redimermi dagli sbagli
compiuti con te ha fatto sì che io volessi
liberarti dal dominio dell’HYDRA e farti ricostruire il braccio. Non hai debiti
nei miei confronti. Qualunque sia la tua scelta sarà mia premura assecondarla.
Sarai sempre il benvenuto nel mio Regno.»
Bucky
rimase a guardare T'Challa, senza dire nulla. Nella sua mente si stavano
accalcando così tante cose che per lunghi momenti non fu in grado di pensare
con lucidità. La voce del sovrano era seria, quasi addolorata mentre parlava e
per lui fu chiaro che la minaccia di cui aveva parlato lo preoccupava
terribilmente. Se perfino Pantera Nera, un combattente senza paura, temeva per
quello che poteva accadere se non fosse riuscito a trovare aiuto in tempo, era
chiaro che chiunque fosse a minacciare il Wakanda doveva essere davvero
pericoloso.
Il
Soldato riuscì a fare chiarezza nella propria testa. Era stanco di combattere?
Forse, ma dopo quello che l’HYDRA lo aveva fatto diventare che altro gli
restava da fare? Lui una vita degna di essere chiamata normale non l’avrebbe
mai potuta avere, lo aveva capito da tempo, ma delle scelte poteva finalmente
prenderle. Aveva passato settant’anni a fare del male alle persone, poteva iniziare
a usare le sue capacità per aiutare finalmente qualcuno e, questa volta, niente
avrebbe potuto peggiorare solo per via della sua presenza.
«Chi
sarebbe questo qualcuno?» domandò. Inclinò appena la testa di lato, con
curiosità. Notò un leggero bagliore accendersi negli occhi scuri di T'Challa.
«Si
chiama Ulysses Klaw. È un uomo senza scrupoli, un mercenario e un bracconiere.»
Quel
nome fece scattare qualcosa nella mente del Soldato. Nel suo addestramento da
assassino gli era stato insegnato a memorizzare in fretta; nomi, volti, suoni,
la sua mente registrava ogni cosa con impressionante rapidità e le
immagazzinava tutte, come se vi venissero incise. Istintivamente guardò in
direzione di Anisa, consapevole che il nome di Klaw era riconducibile a lei, al
suo passato. Tuttavia la donna non rispose al suo sguardo; continuava a tenere
gli occhi fissi sul sovrano, una maschera indecifrabile calata sul volto.
Qualcosa
dentro Bucky si animò: il desiderio di essere d’aiuto.
«Vi
aiuterò» disse infine. Lo affermò in modo chiaro, pacato, con la consapevolezza
di chi aveva volutamente preso una scelta. Vide il sovrano rilassare le spalle,
il suo volto si distese.
«Ne
sei sicuro? non devi sentirti obbligato.»
Bucky
non diede peso a quelle parole. Osservò per l’ennesima volta il braccio in
vibranio.
«Avete
fatto molto per me e ve ne sono riconoscente. Se posso aiutarvi, voglio farlo.»
I
due si guardarono negli occhi. T'Challa capì così che quella del Soldato era
una scelta avvenuta con spontaneità – forse addirittura per motivi che a lui
sfuggivano – e che nulla aveva a che fare con il fatto di sentirsi in debito
per un arto metallico o una cura sperimentale.
Il
sovrano fece un rapido inchino. «Te ne sono grato.»
Bucky
si limitò a guardarlo.
«Hai
scoperto qualcosa?»
Anisa
si sentì libera di parlare ora che sapeva che Bucky era disposto a collaborare.
T'Challa si rivolse a lei, un flebile sorriso in volto: «Ho una pista» rispose.
La
donna si sentì improvvisamente fremere al desiderio di sapere cosa avesse per
le mani il sovrano. Quest’ultimo aprì uno dei cassetti della scrivania ed
estrasse un unico foglio.
«Ricordi
che ti avevo detto di essere in attesa di alcuni responsi?»
Lei
annuì.
«Benissimo.
Sono arrivati e sono quello che cercavo. Si tratta di un vecchissimo deposito
militare abbandonato da tempo, sulle coste keniote del lago Turkana. Sono
pronto a scommettere qualsiasi cosa che si tratta di Klaw.»
Anisa
non rispose. Bucky poté vedere la determinazione fondersi con l’odio nei suoi
occhi nocciola. La guardò con insistenza, finché lei non parlò di nuovo:
«Quando vuoi agire?»
T'Challa
la guardò attentamente, poi osservò il Soldato che rispose al suo sguardo.
«Questa notte.»
La
sua affermazione celava una piccola nota interrogativa. Voleva che fosse Bucky
a dargli conferma. Gli occhi degli altri due si puntarono tutti su di lui, che
si strinse impercettibilmente nelle spalle.
«Ci
sto.»
«E
sia, allora. Sarà stanotte» confermò il sovrano.
«È
bene che tu sappia chi andiamo a incontrare, però» riprese, rivolgendosi a
Bucky. «Anisa, gliene parli tu?»
All’uomo
parve che la scelta di T'Challa mancasse di tatto. Tuttavia si rese anche conto
che il legame che univa i due non gli era ancora chiaro. Sapevano entrambi fin
dove potevano spingersi con l’altro e T'Challa, indubbiamente, conosceva la
forza interiore di Anisa meglio di quanto lui potesse sospettare. La donna gli
era parsa fin da subito sicura di sé e delle proprie capacità, ma probabilmente
c’era molto di più.
Anisa
annuì con la testa, compostamente. Si avvicinò a Bucky e respirò a fondo. Gli
aveva già raccontato cosa univa lei e Klaw, quello che le rimaneva da
raccontare al Soldato erano le molteplici – passate, ma anche recenti –
depredazioni che quell’uomo, senza ritegno né cuore, continuamente faceva alle
loro terre.
*
La
giungla li aveva inghiottiti da un paio di chilometri, ormai. Sopra le loro
teste le fronde si erano chiuse, impedendo al blu scuro del cielo di essere
visto. Bucky seguiva T'Challa e Anisa, fianco a fianco davanti a lui, cercando
di non inciampare nella vegetazione bassa che, puntualmente, pareva
intenzionata a intralciarlo. Il costume della Pantera – così come la tuta nera
indossata dalla donna – quasi scompariva nel buio della foresta, se non fosse
stato per le flebili iridescenze argentate che sembravano essere in grado di
riflettere anche la poca luce che giungeva fin laggiù. Alle spalle di Bucky
c’erano altre otto persone che T'Challa aveva voluto esclusivamente per
sorvegliare il perimetro esterno dell’edificio. Dai dati che aveva raccolto – e
che sapeva interpretare fin troppo bene – aveva dedotto che nell’edificio
avrebbero dovuto esserci fra le otto e le dodici persone; dopo la prima,
rovinosa, spedizione, aveva anche capito che quelle veramente pericolose erano
tre, nonostante non escludesse che potessero essercene altre. Il sovrano e
Anisa avevano raccontato tutto ciò che era accaduto, mettendo in guardia Bucky
che, mentre ripensava a quello che gli era stato detto, strinse la presa sul
fucile che aveva fra le mani. T'Challa aveva fornito il Soldato di tutto ciò
che aveva a disposizione: una tuta in materiale simile al Tyvek,
ma più robusta e resistente, giubbotto antiproiettile, un fucile d’assalto, un
paio di pistole e alcuni coltelli. A Bucky pareva di essere tornato indietro
nel tempo, a quando quell’armamentario gli veniva fornito dalle persone
sbagliate. Solo la consapevolezza che davanti a sé, sotto la maschera della
Pantera e a un elmetto nero molto simile a quello di Steve, si trovavano
T'Challa e Anisa lo faceva stare calmo, sentendosi nel giusto ancora una volta.
A
un tratto la Pantera sollevò una mano, intimando agli altri di fermarsi.
Eseguirono tutti, abbassandosi fra le fronde proprio come stava facendo lui. Si
tolse la maschera e guardò gli altri. «È quello» disse.
Bucky
guardò oltre la sua spalla, riconoscendo un cumulo di terra, rami e alberi,
sorti in posizioni curiose, addirittura sbagliate. Ne aveva visti a sufficienza
per sapere che si trattava di un edificio interrato, probabilmente anche
abbastanza profondo.
«Voi
sapete cosa fare» riprese T'Challa, rivolgendosi ai suoi uomini. «Dividetevi e
sorvegliate il perimetro. Non voglio che passi nessuno. In quanto a noi» e si
voltò verso Anisa, «vediamo di trovare una via d’accesso. James, tu aspetta qui
un nostro segnale.»
Il
Soldato annuì con il capo e guardò Pantera Nera e Anisa che si facevano strada
verso il deposito, scomparendo.
Bucky
rimase in attesa per lunghi minuti, solo. Il silenzio che regnava intorno era
snervante, al punto che temeva potesse dargli alla testa. Abbassò lo sguardo
sul fucile che teneva in mano, i suoi occhi si erano abituati all’oscurità al
punto da riuscire a decifrarne con esattezza i contorni, mentre i capelli scuri
gli ricadevano stancamente sul viso. Si chiese se avesse fatto bene ad
accettare questa battaglia, se, almeno questa volta, nessuno avrebbe corso dei
rischi per lui. Gli fu inevitabile pensare a Steve e a ciò per cui si era
condannato – lui, ma anche altri insieme al Capitano – solo per aver preso le
sue difese, per avergli creduto, cercando di spiegare ad altri che qualcosa di
umano, nel Soldato d’Inverno, c’era ancora.
Prima
che quei pensieri potessero prendere pieno controllo della sua mente sentì uno strepito
in corrispondenza del deposito interrato. Si concentrò sul punto in cui aveva sentito
quel rumore, stringendo gli occhi per riuscire a identificare qualcosa. Una
debole luce si stagliò in una porzione indecifrabile dell’edificio e la sagoma
di un uomo sorse esattamente davanti a essa. Subito, però, quella stessa sagoma
si accasciò debolmente, il suono che fece cadendo venne totalmente assorbito
dalla vegetazione. Un’altra figura prese il posto della prima, a sovrastarla
due nere orecchie da pantera. Quello era il segnale.