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Autore: Ormhaxan    07/02/2017    2 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Hrafnhildr giunge con il mutare della marea nell'isola di Fyn, regno danese sotto il dominio di Guthrum, spietato comandante vichingo al quale offre i suoi servigi di donna guerriera e di veggente. Guthrum non si fida di lei, così come non si fida Einarr, temuto jarl al suo servizio, eppure ben presto le profezie di Hrafnhildr si dimostreranno vere: quando giungerà il momento di salpare verso le terre a ovest degli angli e dei sassoni, di conquistare i loro fragili regni, entrambi gli uomini si ritroveranno ad avere disperato bisogno del suo consiglio e dei suoi divini presagi, affascinati da quella giovane donna tanto bella quanto misteriosa.
I corvi sono pronti a spiccare il volo, ad affondare i loro artigli nella carne di sovrani deboli e corrotti, far conoscere al mondo la forza e la grandezza dei Figli del Nord.
[Secondo capitolo (indipendente) della serie dedicata ai condottieri norreni che, nel tardo IX secolo, conquistarono con la loro Grande Armata i regni dell'allora Inghilterra.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
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Hrafnhildr chiuse gli occhi e si riempì i polmoni di aria salmastra. Il mare, vasta distesa blu all’orizzonte, circondava la possente drakkar da ogni parte, rivelando la sua presenza e il suo soave canto infrangendosi sulla chiglia, sulla lignea prua sulla quale era stata posizionata una testa di drago intagliata appositamente per quell’occasione.
Alle sue spalle, anche l’ultimo pezzo di terra era scomparso, inghiottito dal blu cobalto e dal turchese che paravano fondersi in una sola cosa.
Riaprì gli occhi, osservando incantata il mare divenuto schiuma a contatto con la drakkar, le piccole gocce che, inondati di luce, le ricordarono le lucciole che popolavano il bosco adiacente alla sua dimora d’infanzia.
Senza proferire parola, ritornò a mirare la linea infinita dell’orizzonte, filo della vita sospeso tra cielo e terra a cui tutti loro, come burattini, erano legati.
Il suo destino era legato a quello della nave, a quello degli uomini e delle donne guerriere che condividevano con lei l’acqua e il cibo; la sua vita era legata a Guthrum, il sovrano dall’aspetto minaccioso e cupo, e a Einarr, lo jarl silenzioso che costudiva nel suo animo tristi segreti.
Tornò indietro con la mente di una settimana, al giorno in cui era arrivata, insieme allo jarl e agli uomini che egli aveva reclutato personalmente, a Odense: la dimora in cui Guthrum viveva era una delle più grandi e maestose che avesse mai visto, seconda solo a quella abitata da Knut, il sovrano dello Jutland, della terra in cui era nata quasi vent’anni prima.
Qui, impaziente, il sovrano dell’isola di Fyn gli stava attendendo con notizie giunte dalle terre a Ovest, da quel regno chiamato Northumbria che Hrafnhildr aveva conosciuto soltanto attraverso le avventurose storie degli uomini che, decenni prima, avevano combattuto ferocemente contro quel popolo adorante di un unico dio e di suo figlio morto su una croce.

Ælle di Northumbria è stato sconfitto — aveva detto non appena Einarr era giunto alla sua presenza e aveva porto i propri omaggi — Presto vendetta sarà fatta, ma il Senz’Ossa non si limiterà a questo: la sua mente è acuta, la sua brama non conosce fini ed è sua intenzione mettere in ginocchio tutti i regni dell’isola chiamata Inghilterra.
Hrafnhildr aveva fatto fatica a nascondere un sorriso soddisfatto nell’ascoltare quelle parole, le stesse che, mesi prima, Odino le aveva preannunciato in sogno: la vittoria dei figli di Ragnar si era finalmente compiuta, primo tassello che avrebbe portato tutti loro a raggiungere l’immortalità, il Valhalla tanto desiderato, dato alla loro vita una sfumatura nuova ed emozionante.
Le tue parole si sono dimostrate veritiere, Veggente — le aveva detto, quasi a leggerle nella mente — La Mercia sarà la prossima a cadere, proprio come voi mi avevate detto, ma Ivar Ragnarsson avrà bisogno di noi per conquistarla. Io, invece, avrò bisogno di voi al mio fianco.
Gli occhi di Hrafnhildr si sgranarono, mentre Einarr puntò i suoi su di lei: lo jarl non aveva mai preso seriamente in considerazione le possibilità di affrontare il viaggio verso la Northumbria insieme a lei, insieme a quella veggente che, nello stesso modo, l’attirava e lo repelleva; neanche per un istante aveva creduto di poter sentire tali parole, eppure Guthum aveva dichiarato con forza la sua volontà, una volontà che nessuno di loro, neanche la stessa Hrafnhildr, avrebbe messo in discussione.
Voi mi onorate, Signore. — gli aveva detto Hrafnhildr, compiaciuta — Già durante il nostro primo incontro ho espresso il mio profondo desiderio di servirvi e adesso che ho la vostra fiducia non mi tirerò certo indietro: verrò con voi, vi servirò come meritate, e combatterò i nemici senza risparmiarmi.
Una veggente e anche una skjaldmær! – esclamò il danese ridendo – Odino mi sorride, questo è certo. Ebbene così sia, Veggente: raccogli il tuo scudo e la tua ascia e preparati a partire. Ma prima, tutti voi preparatevi a banchettare, perché questa sera, in questa stessa sala, verranno servite le pietanze più pregiate e molti saranno i brindisi in onore degli Æsir e dei Vanir.


E così, come aveva annunciato Guthrum, quella sera avevano banchettato abbondantemente, bevuto la birra più buona che la giovane avesse mai assaporato, non prima però di aver sacrificato robuste bestie a Odino e Thor: sette capre e sette maiali erano stati sacrificati, come da tradizione, al padre degli déi ed era stata la giovane veggente a prendersi le loro vite e marchiare la terra e i volti degli uomini con il loro sangue.
Le loro teste, secondo tradizione, erano state impalate ed esposte agli elementi naturali mentre i tamburi ancora rimbombavano nell'aria fresca della sera; i loro occhi, divenuti vitree ombre proiettate sull'orizzonte infinito, sarebbero stati gli occhi degli Aesir e dei Vanir e avrebbero protetto la dimora in assenza del suo legittimo padrone.
Solo e soltanto dopo i riti il banchetto era iniziato, dando così inizio a festeggiamenti che si erano conclusi solo due giorni dopo.
In verità, quei festeggiamenti erano stati per Hrafnhildr i più fastosi a cui avesse preso parte, di gran lunga superiori anche a quelli del suo stesso matrimonio non solo per la qualità del cibo, ma anche per la musica suonata magistralmente da cantori provetti e per l’atmosfera imperiosa e grandiosa che si respirava; Guthrum stava dimostrando ai suoi uomini il suo potere, aveva persino concesso ad alcuni di loro le sue schiave, così che i commensali saziassero non solo l’appetito della gola, ma anche quello della lussuria.
Hrafnildr aveva preso posto tra i commensali più illustri, in un’ampia sedia di legno sormontata da calde pellicce situata sulla pedana riservata al signore e ai suoi più stretti parenti e amici: era stato un modo, quello, di mostrarle la sua più completa fiducia e rispetto. Lo stesso rispetto che, da quel giorno in avanti, ogni norreno le avrebbe dimostrato.


“È la prima volta che vi allontanate così tanto da casa, vero?”
Una voce la colse alla spalle: Einarr si piazzò accanto a lei, braccia conserte strette contro il petto, e mirò il mare mentre il vento gli scompigliava i biondi capelli.
“Non ho più una casa da tempo…” rispose ed era la verità: erano passati molti anni dall’ultima volta che si era sentita a casa, benché anche là non fosse completamente la benvenuta.
Per tutta la vita, Hrafnhildr si era sempre sentita fuori luogo, di troppo: i suoi fratellastri non l’avevano mai accolta in famiglia, lei che era figlia di una donna da sempre accusata di aver sedotto, attraverso la magia, il signore di quelle terre; nessuno, in quel villaggio pieno di lingue velenose, aveva pianto per lei quando, alla soglia dei quindici anni, aveva abbandonato la materna dimora per sposare un uomo più grande, un uomo che, sperava, l’avrebbe fatta sentire a casa.
Le cose, però, non erano andate secondo il suo volere, poiché gli Æsir avevano ordinato altro per lei, anni di solitudine e infelicità, trascorsi ad allenarsi senza sosta in un villaggio di sole donne guerriere che le avevano insegnato l’arte della spada, perfezionato il suo dono della divinazione.
“E voi, nobile Einarr, vi siete mai allontanato così tanto da casa?”
“Ho razziato in passato, certo, ma mai a Ovest. – rispose con altrettanta sincerità – Guthrum, come suo padre prima di lui, ha sempre preferito le gelide steppe dell’Est, le vaste lande desolate abitate da popoli costretti spesso allo stremo per la fame e per il freddo.”
“Che razza di popolo pensate saranno questi inglesi?” chiese curiosa.
“Sicuramente non degli sprovveduti. È un popolo fiero, legato alla propria fede, con un esercito ben preparato e mura cinte di pietra. I loro uomini non sono stolti, ma soldati ben addestrati e per questo motivo temo che sarà molto il sangue versato. – la guardò con la coda dell’occhio, inaspettatamente preoccupato per l’incolumità della giovane – Avete già ucciso in passato, vero?”
Hrafnhildr trattenne il fiato nell’udire quella domanda, ma non si scompose. Certo che aveva già ucciso, aveva ucciso molti uomini e anche due donne guerriere, ma era stata la sua prima vittima quella che le aveva cambiato per sempre la vita: aveva per la prima volta privato qualcuno della vita lo stesso giorno in cui era scappata – scappata o lasciata andare? – dalle grinfie di Canut, l’uomo che l’aveva privata di un futuro felice e della sua innocenza; era accaduto poco lontano in cui la morte, sotto forma di veleno e patricidio, si era insidiata nella sua vita ed era stato proprio uno degli uomini fedeli a Canut, un fetido omuncolo dai denti marci e l’alito pesante, a saggiare per la prima volta la rabbia e la forza della giovane veggente.
Hrafnhildr ricordava di come, non visto, l’uomo dal nome a lei ignaro l’aveva seguita nel bosco e di come, di sorpresa, le era saltato addosso e aveva cercato di abusare di lei come il suo signore aveva fatto per una notte e un giorno.
Ricordava il suo fiato su di lei, si come l’olezzo del suo corpo ancora sporco di sangue le avesse provocato un conato e di come, improvvisamente, al centro del suo petto la paura aveva lasciato il posto alla rabbia e alla sete di sangue: raccolta una forza che neanche lei pensava di avere, Hrafnhildr era riuscita a divincolarsi e, afferrata una pieta abbastanza appuntita, aveva colpito con questa la testa dell’uomo, il quale era caduto all’indietro, stordito e ferito. Con la stessa forza, una forza che si andò a mescolare a una rabbia cieca, quella che era stata una pura fanciulla aveva continuato ad infierire sull’uomo, colpendolo più e più volte sul capo, urlando a pieni polmoni il suo odio, continuandolo a colpire fino a quando il suo cranio non diventò una poltiglia informe di ossa, sangue e qualcosa che assomigliava ad un cervello umano. Solo allora, sporca sul viso e sulle braccia del sangue della sua prima vittima, Hrafnhildr si fermò, lasciò cadere la pietra con cui aveva strappato alla vita l’uomo e, imperturbabile, si rimise in piedi e riprese il suo cammino verso una destinazione ancora ignota.
“Certo che ho ucciso degli uomini, - rispose piccata – ne ho uccisi più di quanti voi crediate. Il primo, che cercò di violarmi, l’ho ucciso a mani nude, con una pietra appuntita che gli ha aperto la testa come una mela troppo matura.”
Einarr sorrise, non con l’intenzione di schernirla, tuttalpiù ammirato: poche volte aveva incontrato una fanciulla come quella, una giovane donna che continuava sempre a stupirlo e a riservargli piacevoli sorprese.
“Freya avrà sicuramente apprezzato quella morte, il sangue dell’uomo che ha nutrito la sua terra e l’ha resa fertile. – le disse, guardandola negli occhi – Uomini del genere non sono degni della vita che gli dei hanno donato loro, meritano una morte atroce, essere privati dell’onore del Valhalla.”
“Lo credete davvero?” chiese, piacevolmente sorpresa.
“Certo, io non scherzo mai quando si parla del Valhalla. – rispose con sicurezza – Ora, però, è tempo di metterci al lavoro: il viaggio è appena iniziato e non si può mai sapere cosa il mare riserva per coloro che navigano le sue misteriose e impietose acque. Inoltre, questa drakkar non arriverà in Northumbria senza questo equipaggio. Grandi avventure ci aspettano nella terra degli angli, di questo oramai ne sono certo, ma prima di tutto il mio compito è assicurarmi che tutti i miei uomini arrivino sani e salvi.”
Einarr si zittì per un istante, tentennando, ma poi gentile aggiunse: “I miei uomini, certo, e anche ogni maledettissimo indovino."
La giovane donna dello Jutland aggrottò la fronte, solo falsamente offesa, in realtà divertita da quella strana complicità che si stava creando tra loro due, dai loro sguardi dai colori opposti - chiaro quello del conte, scuro il suo - che si studiavano affascinati.
“In questo caso, pregherò Odino affinché il viaggio sia tranquillo, per chiedere la sua clemenza.”
“Siete una strana donna, indovino, una di quelle che poche volte si incontra sulla strada della vita e, dopo tutto, credo fermamente che gli Æsir vi abbiano in simpatia. – confessò, rivelando un pensiero che, da giorni, gli ronzava fastidioso nella mente – Pregate anche per me, dunque, poiché io non ho ancora trovato il coraggio per farlo.”
Hrafnhildr annuì, nascondendo l’ombra di un sorriso: quelle parole, tanto inaspettate quanto ben gradite, erano giunte inaspettate alle sue orecchie. Forse, pensò mentre osservava Einarr affiancare uno di suoi uomini e dargli degli ordini ben precisi, c’era molto di più dietro quell’aria impassibile e quello sguardo cupo in apparenza impenetrabile, ancora speranza per loro due; forse, con il tempo e con il favore del destino, il conte sarebbe potuto persino diventare un prezioso alleato, un buon amico, qualcuno su cui fare affidamento. Forse…


 


*


Angolo Autrice: Hello, folks! Lo so, questo capitolo è breve, di passaggio e arriva anche dopo tanto tempo. Purtroppo, questo è un periodo incasinato per me, e non avendo molto tempo libero mi è difficile stare dietro a delle storie così accurate e che necessitano di ricerche come questa. Spero, tuttavia, che questo settimo capitolo via sia piaciuto e di leggere qualche opinione.

Alla prossima,
V.
  
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