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Autore: Aching heart    07/02/2017    2 recensioni
Non posso dire di aver fatto del mio meglio per dimenticarti. Non ho fatto nulla per dimenticarti. Perché non voglio, anche se dovrei. Quello che voglio sei tu. Sono stanca di dover lasciare alle mie spalle amori infelici o impossibili: io voglio te, non dovermi più nascondere e non dovermi vergognare di quello che voglio. Io voglio te. [...] E il pensiero che forse tu provavi quel che provavo io, che forse avremmo potuto avere una possibilità mi rende folle e straziata, mi inonda gli occhi di lacrime, mi spezza il respiro e mi fa serrare i pugni così forte da lasciare incise le impronte delle unghie sulla morbida carne. C’erano gli anni a separarci, ma non m’importava. C’era una cattedra di mezzo, ma non m’importava.
M’importava di te.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Thoughts of mine - Frammenti di una favola triste'
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    Mi manchi. E per questo torno a scrivere di te, a riempire pagine d’inchiostro sporcandomi le mani, a stendere su carta pensieri stanchi che non mi danno pace, a piangere lacrime già versate. Mi manchi, come al lupo in gabbia mancano le sue foreste, come ad un cuore espiantato manca il proprio corpo, come ad un mare in tempesta manca la pace.1 
 È da anni che mi manchi, da quando mi sono innamorata di te, perché non ti ho mai potuto avere. Mi sei mancato anche quando eravamo vicini (ma non lo siamo mai stati davvero), o quando per mesi, tre interminabili, grigi mesi ogni anno, vicini non lo eravamo. Mi sei mancato ogni volta che ti avevo a pochi passi da me e non riuscivo a stabilire un contatto (la frustrazione mescolata alla tristezza), e mi manchi ora che non ti vedo da metà anno, né ti rivedrò a breve. Forse… forse non ti rivedrò più.
 Da quando ho capito cosa provavo per te ho atteso questo momento con terrore e angoscia: il momento in cui la separazione sarebbe stata definitiva. Il momento in cui sarei andata a letto la notte sapendo che il mattino dopo non avrei più riascoltato la tua voce, e nemmeno il mattino seguente, e nemmeno quello dopo ancora. Mai più.
 E ho pianto questo momento prima ancora che arrivasse. Ho immaginato come sarebbe stato (non così). Mi chiedevo, mi sono sempre chiesta, se ti sarei mancata. Me lo chiedo ora: ti manco? 
 Rimani sveglio la notte, pensando a me? Ti colpisce mai un ricordo di me in un momento che non ti aspetti, togliendoti il fiato, stringendoti il cuore? Ti chiedi mai dove sono ora, cosa sto facendo, con chi sono? Se ho incontrato qualcuno, qualcuno da amare?
 E me la davo, una risposta. Speravo che ti sarei mancata, ma sapevo di no. Ero solo una delle tante, in fondo (non è vero, non sembrava così, io ero diversa). Sembrava, a volte… (ma ricordare fa male).
 In queste vacanze sarei voluta venire a trovarti. Desideravo, no, bruciavo dal desiderio di riascoltare la tua voce, di rivederti e di rivedere il tuo sorriso per me. Cosa avresti detto, saresti stato felice? Ti avrei trovato cambiato?
 No, questa certezza avevo: tu non saresti mai cambiato. Io me ne sarei andata, avrei stravolto la mia vita dalle fondamenta, ma tornando indietro ti avrei trovato come nei miei ricordi: allegro e luminoso e virile e bello. Ti avrei trovato, come sempre, a scherzare con tutti, a rallegrare le giornate di chi ti sta vicino; a rompere le scatole, a volte, ma sempre a dare una mano a chi ne ha bisogno. Ti avrei osservato, da lontano, ridere come allora, stavolta con altri (non con me). Avrei sorriso a mia volta, e sentito la stilettata della malinconia e della gelosia, ma avrei conservato le lacrime per dopo, non avrei permesso loro di guastare quel momento. Avrei sorriso e poi ti avrei abbracciato, e tu avresti abbracciato me.  
 Ma non potevo, non ho potuto, e non posso ora. Non ora che sono lontana di nuovo, lontana chilometri da te – ma lontani lo siamo sempre stati, separati dagli anni e da una cattedra. (Non potevo, non posso. Lo avrei fatto.)
 Non posso dire di aver fatto del mio meglio per dimenticarti. Non ho fatto nulla per dimenticarti. Perché non voglio, anche se dovrei. Quello che voglio sei tu. Sono stanca di dover lasciare alle mie spalle amori infelici o impossibili: io voglio te, non dovermi più nascondere e non dovermi vergognare di quello che voglio. Io voglio te.
 E se anche volessi dimenticarti, non potrei, perché non c’è cosa che non mi ricordi te. Poesie, frasi, episodi, film, persone: tutto in qualche modo riconduce sempre a te, stella polare. La stella polare è fissa ed è la sola. (La stella polare, tu. La stella sicura, tu. Al centro del mio cuore ci sei solo tu.)2
 Perciò pensavo che sarei andata avanti con la mia vita, ma con un pezzo di me ancora intrappolato nel passato con te. (Cosa darei per rivivere quei giorni, per far tornare indietro il tempo… a volte questo pensiero sembra portarmi alla pazzia) Mentre tu saresti andato avanti e basta.
 Ma qualcuno mi ha parlato di te – il mio regalo di Natale. Qualcuno mi ha detto che non sei più lo stesso da quando me ne sono andata – il mio regalo di Natale, che mi ha riempita di tristezza per te.3 Perché ti ho amato per la tua allegria, il tuo ardore e la tua inarrestabilità. E mi hanno detto che ora ti sei arreso. Che i corridoi non riecheggiano più della tua voce come un tempo. Che il tuo sole si è spento, che non scherzi più come prima, che sei sempre arrabbiato, ma che non protesti più. E mi ha distrutta saperlo – mi hai distrutta
 E ancora di più avrei voluto vederti, ma ancora di più non potevo. Ci sono passata anche io, lo sai? Un tempo mi sono spenta, senza di te. Ma io ti amavo, tu no. Così credevo, così pensavo. Ora non so più nulla. Sembrava, a volte... 
 È così stupido pensare che questo cambiamento sia dovuto a me. Mi sento così ridicola, così sciocca anche solo a considerare l’idea, eppure non riesco ad evitare il pensiero. Si affaccia nella mia mente, intriso di speranza, mi pungola di continuo, con le beffarde parole: “e se...?”. Ma questo “e se” presuppone solo l’irrealtà. Sicuramente è altro il motivo del tuo comportamento. Magari il lavoro, che è sempre stato la causa maggiore dei tuoi problemi, una fonte inesauribile di stress. O la tua famiglia; potrebbe essere successo qualcosa. O lei, di cui sei innamoratissimo (mi uccidesti con quelle parole, una pugnalata diritta al cuore). Potrebbe essere successo di tutto. 
 Eppure, e se…? È che non riesco a smettere di sperare.
 A volte sembravi non importartene un accidente di me. A volte sembrava che preferissi parlare con altri, altre (del resto, poi, nessuno avrebbe mai preferito parlare con me), e sembravi ignorarmi – perché ero insignificante, o di proposito?
 Eppure. Sembrava, a volte… sembrava, che io fossi importante per te. Da come trovavo sempre ad attendermi i tuoi occhi, quando alzavo i miei. Da come tornavi spesso a guardarmi, a volte quasi in un riflesso naturale, come se stessi cercando il mio appoggio, la mia approvazione. Soprattutto quando scherzavi, e controllavi sempre che io stessi ridendo. E quando scambiavi una battuta con qualcuno ridevi, e poi guardavi me, malizioso, come a volermi includere, instaurando quella complicità… Mi era sembrato che tu fossi geloso, una volta. Spesso sembrava che tu volessi ascoltare la mia voce, e che addirittura una volta ne avessi bisogno, per chiudere gli occhi e calmare la tua rabbia, quasi come io ogni giorno avevo bisogno della tua, per riemergere dall’abisso4. Sembrava, a volte, che tu cercassi il modo di ridarmi il sorriso quando ero giù. O che io fossi l’unica che tu ascoltassi realmente, fra tutti gli altri, l’unica ad avere il potere di farti cambiare idea. Sembrava che tu non volessi più lasciarmi andare, quella volta in cui ti abbracciai; che tu fossi rimasto per me, quella volta in cui tutti gli altri erano andati via; che tu mi ammirassi, mi trovassi (possibile?) bella; che ci fosse un feeling fra noi, un rapporto speciale che ci legava a doppio filo. 
  A volte mi dicevo di sì. A volte invece mi dicevo che sicuramente non ero l’unica, che ci dovevano essere state altre come me, prima, e che ce ne sarebbero state altre dopo, che questo non mi rendeva speciale. Mi dicevo che avresti trovato qualcun’altra con cui stringere quel legame una volta che me ne fossi andata, e di me non avresti sentito la mancanza. 
 Ma tu non sei più lo stesso. Ma tu non scherzi più. Ma tu ti sei spento. 
 Ero io, l’unica? È per me che sei così?
E il pensiero che forse tu provavi quel che provavo io, che forse avremmo potuto avere una possibilità mi rende folle e straziata, mi inonda gli occhi di lacrime, mi spezza il respiro e mi fa serrare i pugni così forte da lasciare incise le impronte delle unghie sulla morbida carne. C’erano gli anni a separarci, ma non m’importava. C’era una cattedra di mezzo, ma non m’importava.
 M’importava di te

 

Di tutte le parole scritte o pronunciate 
queste sono le più tristi: “Avrebbe potuto essere”.

[John Greenleaf Whittier]




Note: 
- 
Queste righe sono state poi riprese quasi identiche nella mia raccolta This is me in pieces, sotto forma di poesia, in Mancanza.
Queste righe in corsivo non sono farina del mio sacco. A dire la verità sono delle frasi di un canto parrocchiale che ho sempre amato, fin da bambina, e anche se di tempo ne è passato e non credo più, mi sono rimaste dentro. Sono delle frasi che mi sono sempre venute in mente legate a questa persona a cui la storia è dedicata, e perciò le ho volute mettere anche qui, anche se sono una citazione un po' decontestualizzata ^^".
- Non so quanto si capisca questa frase. Il "regalo di Natale" è l'aver ricevuto notizie di questa persona, di cui altrimenti non avrei potuto sapere nulla, e queste notizie le ho ricevute proprio il 25 Dicembre. Solo che, come vedete dal testo, non sono state notizie particolarmente felici.
L'abisso a cui faccio riferimento è una sorta di "vecchia conoscenza" per chi segue questa raccolta. Non è qualcosa di cui posso dare una definizione precisa o una spiegazione razionale, ma se volete saperne di più, ne ho scritto 
qui.
 

Angolo Autrice: Io ho un esame da dare fra meno di una settimana, ma sono qui a pubblicare roba (che nessuno leggerà, ma vabbè).
Dopo le note chilometriche che ho messo non ho molto altro da dire, solo volevo scusarmi se la storia vi sarà sembrata un po' strana, confusionaria e sconclusionata. Molto dipende dall'argomento: mettere nero su bianco ricordi, pensieri e sentimenti non è facile, considerando che non sempre sono collegati da un filo logico. Io ho scritto quello che mi passava per la mente e poi ho cercato di dare un minimo di ordine e di correggere, ma senza stravolgere quello che avevo già fatto (senza contare che quando ho scritto e quando ho corretto era molto tardi ed io ero un po' provata psicologicamente). E qualcosa dipende anche dallo stile che ho "scelto" di usare. Dico scelto fra virgolette perché mi è venuto naturale scrivere così, mettendo fra parentesi e in corsivo ulteriori pensieri, a volte contraddittori rispetto a quanto detto prima, come se fossero grida della parte più remota di me, non mediate, non tenute a freno da quello che in psicanalisi sarebbe l'Io. Quindi sono consapevole che il risultato è che a volte le frasi e i periodi risultano troppo inframmezzati, appesantiti, ma non ho cuore di cambiarli perché è così che sono nati.
Sono riuscita a rendere chilometrico anche questo angolino. Bene. Vi ringrazio per la pazienza che avete avuto di leggere, e ringrazio quanti metteranno questa storia fra le ricordate o le preferite, e naturalmente se qualcuno di voi vorrà lasciare una recensione sarà il benvenuto.
Un bacio!


 
   
 
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