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Autore: _BlueLady_    07/02/2017    4 recensioni
[ Dal Prologo]
Tutti lo chiamavano Eclipse, perché proprio come un’eclissi era in grado di nascondersi alla luce del sole, per poi fare la sua ricomparsa di notte, nelle vie buie delle città più conosciute, alla ricerca di non si sa quali preziosi tesori.
Le prime pagine dei giornali erano piene delle sue immagini, i gendarmi di ogni città gli davano la caccia, nella speranza di catturarlo e finalmente infliggergli la punizione che meritava per tutti i furti commessi in passato.
Non c’era traccia di scovarlo, tuttavia.
Così come appariva, altrettanto misteriosamente scompariva, lasciando dietro di sé solo un cumulo di mormorii perplessi ed impauriti.
Attenzione: leggermente OOC, la lettura potrebbe risultare un pò pesante.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ CAPITOLO 29 ~
 
Mentre i due amanti consumavano il loro amore tra le lenzuola del letto di Rein, un’altra oscura figura riuscì ad introdursi in casa Sunrise, quella notte, forzando la serratura della porta del piano inferiore, e sgusciando dentro con ammirevole maestria.
Celato soltanto da un oscuro mantello e da una maschera color pece a coprirgli il volto, lo scaltro individuo si mise a perlustrare ogni angolo della casa in cerca di ciò per cui si era introdotto lì.
Nonostante la cautela con cui compiva ogni singolo movimento, le sue membra erano percorse da un’insolita agitazione: era ben cosciente del fatto che, se fosse stato scoperto, non gli sarebbe stato perdonato il fatto di tornarsene a casa a mani vuote.
Esplorò con precisione meticolosa ogni angolo del salotto, rovistando tra i cassetti e le mensole delle credenze e dei comodini: non poteva lasciare nulla al caso, perché sapeva bene che se si fosse lasciato sfuggire anche il più minimo dettaglio, la sua inefficienza sarebbe stata punita.
Rovistò per diversi minuti l’intero salotto e la sala da pranzo: una volta appurato che ciò che cercava non fosse neanche lì, decise di passare alla cucina.
Pensò che con ogni probabilità quell’ultima stanza fosse un luogo decisamente insolito per nascondere un oggetto tanto prezioso, ma l’esperienza gli aveva insegnato ad aspettarsi di tutto dalle persone.
Aprì sportelli, spostò sedie, esplorò sotto i mobili, ma nulla.
Ciò che cercava non era nemmeno lì.
Terminato di rovistare anche nel bagno al piano inferiore e nella biblioteca – aveva controllato maniacalmente qualsiasi libro, pensando che la sua preda potesse addirittura essere stata nascosta tra le pagine di qualche manoscritto, spacciandola per segnalibro – giunse all’inevitabile conclusione che il suo obiettivo dovesse trovarsi per forza al piano superiore.
Orientandosi nel buio, e cercando di essere il più silenzioso possibile, si preparò a salire al piano di sopra, in direzione delle camere da letto.
 
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Ai piedi del letto, Shade la ammirò crogiolarsi tra le lenzuola in tutta la sua bellezza.
Rein giaceva distesa su un fianco, gli occhi chiusi assopita in un placido sonno, nuda, con il lenzuolo ad accarezzarle il ventre, maestosa come una dea greca, meravigliosa nella sua fragilità.
Sulle labbra del giovane si accese l’ombra di un sorriso fugace. Si chinò su di lei, ancora divorato dall’amore, e prese a percorrere con le labbra ogni centimetro di pelle, quasi a voler scolpire sulla sua bocca l’impronta di quel corpo prefetto: cominciò dalle caviglie, per poi passare alle cosce, e pian piano salire al torace, raggiungendo i seni morbidi e pieni. Esplorò ogni parte di lei, perdendosi in quelle dune sinuose che erano le sue curve femminili, ancora affamato di desiderio, col cuore gonfio in procinto di esplodere.
Nel sentire quel tocco delicato come le ali di una farfalla, Rein rabbrividì di piacere, socchiudendo gli occhi nel limbo del risveglio. Ad accoglierla quando prese definitivamente coscienza di sé, fu la sagoma asciutta e scolpita di quel corpo da atleta che l’aveva posseduta poco prima, accarezzato dal pallore lunare.
Shade arrivò a baciarle il collo candido da cigno, e Rein si ritrovò a sospirare estasiata.
Giunto ai lobi dell’orecchio, e baciati anche questi ultimi, piantò le sue iridi buie in quelle cristalline di lei, che sembravano pregarlo ancora di soggiogarla al piacere di quel tocco passionale.
Sorrise pensando a quanto fosse bella Rein in quel momento, abbandonata sul letto e baciata da raggi lunari, così tremendamente perfetta, così terribilmente e inconsapevolmente sensuale, la pelle di candida porcellana pronta ad assaporare ancora il sapore di quei baci che parevano imprimerle un marchio indelebile sul corpo.
Sorrise Shade nel trovarla semplicemente meravigliosa.
Sentì di amarla davvero.
-Ti amo – si lasciò sfuggire a fior di labbra, lo sguardo ancora fuso in quello di lei, che subito vacillò non appena ebbe udito quelle parole uscirgli di bocca. Dirle ciò era come strapparsi il cuore dal petto, e porgerglielo sul palmo della mano ancora caldo e pulsante.
Rein impiegò qualche secondo a recepire il significato di ciò che lui le aveva appena detto, ma quando ne comprese il senso quelle parole le scivolarono dentro al petto come un fiume in piena, delicate ma impetuose, e lei non poté fare a meno di incamerarle dentro al suo cuore, farle sue, sentirle scorrere nelle vene e raggiungere ogni singola parte del suo corpo, fino a farle bruciare gli occhi di contentezza.
Lo guardò ancora un istante, per imprimere ancora di più a fondo nella memoria la bellezza di quella notte.
In quel momento, nonostante le menzogne che le aveva raccontato fino ad allora, fu consapevole che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Shade Moonville le stava dicendo la verità.
Si chinò a baciarla di nuovo, e lei gli cinse il collo con le braccia.
Nell’attimo in cui le loro bocche si sfiorarono nuovamente l’una con l’altra, entrambi realizzarono la meraviglia di ciò che stavano vivendo, e desiderarono che il tempo potesse fermarsi, imprigionandoli nella perfezione di quel momento per sempre.
Da quel bacio, entrambi sentirono di stare toccando con mano tutto l’amore del mondo.
Si adagiarono di nuovo insieme tra le lenzuola, assaporando nuovamente l’una la pelle dell’altro nel buio di quella notte infinita.
 
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Aveva giusto adagiato il piede sul primo scalino, quando un bagliore inaspettato ed improvviso lo costrinse a retrocedere sui suoi passi, disorientandolo.
Appiattendosi contro la ringhiera, protetto soltanto dall’angolo del muro dietro cui si era nascosto, riuscì a scorgere la sagoma di un uomo munito di candela scendere le scale, assonnato ma abbastanza vigile da poterlo notare, attirato al piano di sotto da insoliti scricchiolii.
Sussultò, il cuore in gola: evidentemente non era stato silenzioso quanto aveva creduto di essere, e se non voleva rischiare di mandare tutto a monte doveva tagliare la corda il prima possibile, senza dare nell’occhio.
Avvantaggiato dall’ombra del buio non ancora illuminato dalla candela, sgusciò silenziosamente in direzione della prima via d’uscita raggiungibile: la finestra della sala da pranzo, che dava direttamente sul giardino. Si vide costretto a rivedere i suoi piani, tornando a casa a mani vuote, almeno per quella notte.
Nello sgattaiolare via, tuttavia, non prestò abbastanza attenzione: a Toulouse non sfuggì l’ombra del mantello sventolargli sotto la coda dell’occhio, e subito puntò la candela nella sua direzione.
- Chi c’è?- domandò allarmato, mentre la fioca luce della fiammella rivelava la sagoma di un uomo dal manto scuro scivolare lungo le pareti della stanza.
Conscio di essere ormai stato scoperto, il fuggitivo si preparò a svignarsela il più in fretta possibile.
- Fermo dove sei! Cosa sei venuto a cercare qui?-
Protetto dalla maschera color pece, riuscì ad evitare di farsi riconoscere dal suo inseguitore, ma Toulouse si rivelò un avversario più scaltro del previsto, e si vide costretto a rovesciargli addosso parte del mobilio per rallentare la sua corsa verso la sua direzione.
- Fermati, vigliacco! Affrontami a volto scoperto!- gli gridò dietro l’altro, mentre cercava di liberarsi dagli ostacoli per lanciarsi al suo inseguimento.
Il fuggitivo riuscì abilmente a trovare una scappatoia fiondandosi fuori da una delle finestre del salotto: dopodiché prese a correre all’impazzata, la sagoma della pistola che gli premeva sulla cintura e che sfiorò con la punta delle dita, mentre dietro di lui ancora echeggiavano le grida di Toulouse che gli intimavano di fermarsi.
 
- Cos’è stato?- sussurrò Rein allarmata destandosi dal torpore dopo aver udito insoliti rumori provenire dal piano di sotto.
Shade balzò subito in piedi con il sangue ribollente nelle vene, mentre la fanciulla si puntellava sul materasso in cerca della camicia da notte per rivestirsi.
- Qualcuno è entrato in casa – esclamò seccamente mentre si rivestiva il più in fretta possibile per andare a verificare l’accaduto, e proprio quando si affacciò alla finestra scorse una sagoma oscura dotata di mantello fiondarsi fuori dalla finestra del piano inferiore, inseguita da un’altra più lenta e impacciata, che lanciava grida acute al cielo nel tentativo di fermarla.
- Shade…- mormorò Rein sgranando gli occhi di paura, il cuore a mille ed un groppo in gola.
- Resta qui – le ordinò, prima di fiondarsi dal davanzale e lanciarsi all’inseguimento del nemico.
 
- Fermo!- continuava a strillare Toulouse rallentando sempre di più il passo, troppo stanco per riuscire a tenere testa alla figura che gli sfrecciava veloce davanti agli occhi, facendosi sempre più lontana.
Sentendosi ormai la vittoria in tasca, l’oscuro visitatore si lasciò sfuggire l’ombra di un ghigno sulle labbra: raggiungerlo era ormai impossibile, la sua integrità era salva.
Era quasi riuscito a raggiungere l’ingresso del giardino della villa, quando una voce alle sue spalle che lo chiamava per nome lo costrinse a bloccarsi di botto.
- Fermati, Auler!- gli intimò una figura comparsa improvvisamente dal nulla dietro di lui, che lo costrinse a voltarsi indietro.
Non appena si ritrovò faccia a faccia con chi l’aveva chiamato per nome, ebbe un tuffo al cuore, la mano tremante che cercava disperatamente la sagoma della pistola sotto il mantello come ad accertarsi di avere ancora una scappatoia.
- Eclipse – mormorò tra i denti, col fiato mozzato, riconoscendo l’immagine del ladro stagliarsi minacciosa davanti a lui in tutta la sua sicurezza – Ci rincontriamo – pronunciò a fior di labbra, il cuore che gli implodeva nel petto.
Solo in un secondo momento realizzò un particolare sfuggitogli inizialmente, un lampo a ciel sereno che gli attraversò la mente fulmineo: - Come fai a sapere chi sono? - domandò boccheggiando, scrutando ogni movimento del ladro.
Quello, per tutta risposta, sfoderò dalla cintura dei pantaloni una frusta come unica arma per difendersi, e con un movimento rapido che Auler non fu in grado di prevedere né di vedere, la schioccò in direzione della maschera che portava indosso, facendola cadere a terra e rivelando la cascata di capelli verdi che si celava sotto di essa, smascherandolo.
- Conosco i miei avversari come le mie tasche – sibilò Eclipse ritraendo la frusta a sé, e guardandolo negli occhi con sfacciata sicurezza.
Auler puntò lo sguardo sulla maschera che giaceva inerme al suolo, poi si concentrò nuovamente sul ladro di fronte a sé, la mano destra nascosta sotto il mantello pronto ad estrarre la pistola.
Da lontano, intanto, si udiva il richiamo di Toulouse ancora in cerca di colui che credeva essere Eclipse, accompagnato dal brusio di sottofondo delle donne di casa, sconcertate quanto lui dell’accaduto.
- Immaginavo ti avrei incontrato qui, questa notte – mormorò il marchese, riacquistando lucidità nelle sue azioni – del resto, le tue mosse sono facilmente prevedibili – asserì, scansando un secondo colpo di frusta con il quale Eclipse aveva tentato di immobilizzarlo, e fiondandosi verso di lui per scontrarsi corpo a corpo, e sparargli dritto in fronte come gli era stato ordinato di fare.
Eclipse riuscì a schivarlo una volta, ma non fu capace di sottrarsi ad un colpo infieritogli vigliaccamente alle spalle, che lo costrinse a vacillare un secondo, il tempo necessario perché Auler estraesse la pistola da sotto il mantello, e gliela puntasse dritta in testa.
- Ti ho lasciato andare una volta, ma stanotte non sarò altrettanto clemente – sussurrò Auler in un ghigno, il dito tremante pronto a premere il grilletto – prima però voglio guardarti negli occhi mentre ti uccido – e allungò la mano libera verso il volto del ladro, nel tentativo di strappargli la maschera di dosso.
Eclipse, tuttavia, mantenendo il sangue freddo anche in punto di morte, riuscì ad afferrare il braccio di Auler per evitare che gli scoprisse il volto, e con l’altra mano azionò abilmente la frusta per strappare dalla presa dell’avversario la pesante pistola, che scagliò lontano, di modo che non potesse più recuperarla.
Auler si ritrovò spiazzato per alcuni istanti, immobilizzato dalla presa del ladro che già gravava minaccioso su di lui, finché un insolito bagliore tra i ciuffi d’erba non lo aiutò ad individuare dove si trovasse l’arma che gli era stata sottratta.
I due avversari si guardarono negli occhi un istante, prima di comprendere l’uno le intenzioni dell’altro, e agire di conseguenza. Auler, con un balzo felino, riuscì a liberarsi dalla presa di Eclipse, che subito schioccò un nuovo colpo di frusta nel tentativo di afferrarlo ed impedirgli di raggiungere l’arma. Non appena udì il sibilo della corda tagliare l’aria, il marchese si voltò, afferrandone l’estremità con entrambe le mani, e tirando forte a sé nel tentativo di strapparla dalle mani del ladro. Eclipse, tuttavia, non dava cenno di voler mollare la presa, anzi, sfruttò l’imprevisto a suo favore, lasciandosi trasportare dalla forza di Auler per corrergli incontro e sferzargli una gomitata dritta nello stomaco, che lo fece vacillare sul posto in preda a rantoli di tosse soffocati.
A quel punto ritrasse fulmineo la frusta per poterla di nuovo indirizzare contro il nemico ed immobilizzarlo definitivamente, ma Auler, intuendo le sue mosse, riuscì a rialzarsi in piedi con una velocità sorprendente, e a scagliarsi su di lui per impedirgli qualsiasi movimento.
Rovinarono a terra insieme, la frusta abbandonata a pochi centimetri da loro, impegnati in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. In un momento di lucidità Auler riuscì ad individuare dove si trovasse l’arma: la afferrò con entrambe le mani, e non appena si ritrovò sottomano il nemico, gliela agganciò al collo, stringendo con tutta la forza che aveva in corpo.
Eclipse esplose in un lamento soffocato, avvertendo la corda segargli la pelle già livida della gola: cominciava già a sentire la testa pesante, e le forze venirgli meno.
Fortunatamente il corpo a corpo li aveva spinti abbastanza vicino alla pistola perché Eclipse riuscisse ad afferrarla, e nel mentre che Auler continuava a stringere il cappio intorno alla gola, riuscì ad assestargli un colpo ben deciso con l’impugnatura dell’arma sulla tempia.
I due rovinarono a terra, entrambi tramortiti: Eclipse tossiva, sputando litri di saliva rimasti bloccati in gola, mentre Auler si portava una mano alla tempia stordito, riscoprendosela sporca di sangue.
Entrambi erano coscienti del fatto di dover riprendere le forze prima del loro avversario, le armi disperse a terra, ricercate a tentoni nel buio.
Fu Auler che, spingendosi un po’ più in là, riuscì a ritrovare sia la pistola che la frusta: quando Eclipse se ne accorse, fiondandosi su di lui nel tentativo di sottrargliele entrambe, fu troppo tardi.
Il marchese afferrò di scatto la pistola, e la puntò contro la figura che gli stava venendo incontro, premendo forte il grilletto per azionare lo sparo che subito squarciò l’aria con un botto, rompendo il silenzio della notte, e cristallizzando il mondo tutt’attorno per l’istante successivo, finché la canna dell’arma non cessò di fumare, rivelando la figura di Eclipse di fronte a sé che si accasciava al suolo, vivo per miracolo poiché la pallottola non aveva colpito lui, bensì la maschera che portava indosso, facendogliela cadere dal volto.
- La prossima volta mirerò dritto al cuore!- strillò Auler euforico, sempre tenendo l’avversario sotto tiro, che tentava disperatamente di coprirsi il volto per non farsi riconoscere mentre cercava di recuperare la maschera.
I suoi sforzi, tuttavia, furono vani, perché non appena tentò di alzarsi da terra e piazzarsi di nuovo in posizione di attacco sfruttando le ombre della notte come scudo per celare i suoi lineamenti, Aluer riconobbe i suoi tratti familiari, e si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa non appena pronunciò il suo nome tra i denti, ancora con l’adrenalina a mille e il respiro mozzato.
- Shade?!- esclamò allibito, guardandolo negli occhi – Eclipse… sei tu?!-
Shade sostenne fieramente lo sguardo, senza mai abbassare la guardia.
- Ma certo – continuò il marchese esplodendo in una risata sommessa – avremmo dovuto immaginarlo fin dall’inizio. Chi altri poteva essere altrettanto abile da metterci così sfacciatamente i bastoni tra le ruote?-
- Auler…- sussurrò Shade con le spalle al muro, privo di armi con cui difendersi – abbassa la pistola prima che tu coinvolga qualcuno di innocente. La tua battaglia è con me – gli intimò, senza schiodare le pupille dalle sue.
- Ti appelli ancora al mio buonsenso, dopo tutto quello che ti ho fatto?- scoppiò a ridere Auler, senza distogliere la mira su di lui – Sei sempre stato più ingenuo di quanto tu voglia ammettere, fratello mio –
- Ti conosco, Auler, e so che in mezzo a tutto il marcio della tua anima si nascondono anche dei sentimenti – proferì Shade immobile di fronte a lui – Altrimenti perché avresti esitato a spararmi la sera in cui ci siamo scontrati? La verità è che tu, a differenza di tua sorella, hai un cuore. Sebbene tu ti sia reso complice di Sophie mandando in rovina la nostra famiglia, io so che dentro di te esiste ancora un briciolo di umanità. Nonostante il sangue che scorre nelle nostre vene sia di origine diversa, io ti vedrò sempre come un fratello. Hai dimenticato tutto quello che c’è stato in passato, Auler? Come puoi ignorare l’affetto che ci lega fin dall’infanzia? Come puoi aver creduto che io fossi disposto a tradirvi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? I nostri genitori vi hanno amato e cresciuto senza alcuna discriminazione. Nostra madre ancora mi chiede notizie di voi, nonostante abbiate tentato di ucciderci senza alcun tipo di scrupolo. Non riesce a portare rancore verso quelli che considera ancora suoi figli: vi ama incondizionatamente come la prima volta che vi ha accolto in casa… non basta questo ad aprirti gli occhi?-
- Ti conviene uccidermi, prima che lo faccia io – lo avvertì Auler secco, sordo alle sue parole.
- Possibile che tu sia così cieco da non renderti conto della verità? Guarda indietro al tuo passato, scava dentro ai ricordi: non posso credere che tu abbia sempre dubitato dell’affetto e del rispetto che nostro padre ha nutrito nei tuoi confronti. Anche in punto di morte il suo ultimo pensiero è stato per te e Sophie. Nonostante avesse affidato a me l’incarico di gestire il nostro patrimonio, mi ha supplicato di donare a ciascuno di voi, Milky compresa sebbene ancora troppo giovane, uno dei gioielli della sua preziosa collezione, perché foste anche voi parte integrante del futuro della nostra famiglia! E io l’avrei fatto, Auler… avrei spartito i miei averi con tutti voi. La ricchezza materiale non conta nulla, paragonata a ciò che ti può regalare l’affetto sincero di chi ti vuole bene. Chi è avido di cuore è povero d’animo, e tu questo lo sai meglio di me, perché lo hai provato sulla tua pelle fin dall’infanzia, quando tutti erano disposti a vederti morire di fame piuttosto che venirti incontro con un misero gesto di carità. Guardami negli occhi, Auler, e saprai riconoscere la verità. Nostro padre avrebbe voluto vederci insieme prenderci cura di ciò che resta di lui: la sua morte prematura ha lasciato un vuoto in tutti noi, ma quel vuoto possiamo colmarlo insieme, collaborando, come avrebbe desiderato lui. Vi ha raccolti dalla strada perché ha sentito di amarvi come figli sin dalla prima volta che vi ha visto, non puoi negare la profondità dell’affetto che ti legava a lui, come non puoi rinnegare il legame che ci unisce. Nonostante tutto, resti sempre mio fratello!–
- Sta zitto, Shade! Tu non sai niente di me, niente! – strillò il marchese tra le lacrime, mentre il suo cuore si apriva ai ricordi in compagnia del padre adottivo, sicuramente i giorni più felici della sua esistenza. Per un istante, la presa sulla pistola vacillò.
- Auler, ascoltami…- tentò di venirgli incontro Shade, intenzionato a farlo redimere, ma quello lo zittì di colpo con una nuova minaccia: - Non osare avvicinarti, o giuro che ti sparo. Parlo sul serio, Shade, giuro che ti ammazzo davvero se solo osi muovere un altro passo! –
- Allora sparami, e lascia che sia la tua coscienza a tormentarti in futuro della scelta che hai fatto. Perché esiti ancora? Avanti, premi il grilletto: hai già sprecato la tua occasione una volta, dimostrami che sei convinto di ciò che fai. Uccidimi, se è davvero questo che vuoi fare. Non temo la morte – lo provocò Shade, guardandolo dritto negli occhi – La verità, Auler, è che tu temi Sophie più di quanto Sophie tema me – sussurrò infine, scagliando quel dardo avvelenato dritto al cuore del fratello ancora combattuto tra odio e amore, tra menzogna e verità.
Quelle parole gli erano piovute addosso come una scarica di pallottole in pieno petto: voleva con tutto se stesso premere quel dannato grilletto e mettere fine alle parole di Shade, che gli penetravano veloci nell’orecchio, andandogli ad accarezzare il cuore, risvegliando una coscienza tenuta troppo a lungo incatenata, ma ogni volta che provava a dare l’impulso alle dita perché azionassero l’arma, quelle si rifiutavano di rispondergli.
Ripensò con le lacrime agli occhi a quei giorni felici ormai lontani, quando ancora i fantasmi del rimorso non giungevano ancora nella notte ad impedirgli di addormentarsi, divorandolo da dentro e squarciandogli l’anima in infiniti brandelli di colpe e peccati.
- N-non… non…- biascicò tremante, la presa sulla pistola che si allentava un attimo prima, e tornava salda un secondo dopo.
Sparagli, sparagli e falla finita. Perché ancora non l’hai ucciso?
- Tu sei migliore di così, Auler – si sentì sussurrare a un tratto, una luce lontana in fondo al tunnel – Se non puoi farlo per me, fallo in nome di nostro padre. Non avrebbe sopportato il dolore di un odio ingiustificato tra i suoi figli. E se non puoi farlo per lui, allora fallo per Altezza –
E di nuovo una scarica di proiettili lo colpì in pieno petto, ancora più violenta e dolorosa della prima.
Altezza…
Quel nome prese ad echeggiargli in testa, come un coro d’angeli di paradiso.
Altezza adorata, come puoi amare un mostro simile? Sei ancora in tempo a fuggire da questo amore malato.
Il braccio cominciò a tremargli dalla spalla fino alla punta delle dita: sospirò, rassegnato e sconfitto, le lacrime che gli rigavano le guance e gli inumidivano il colletto della camicia, adirato con se stesso e con il mondo intero, che gli aveva assegnato una sorte tanto infame.
In un attimo che parve ad entrambi lungo un secolo, Auler abbassò la pistola, gettando quest’ultima e la frusta a terra come se fossero spazzatura.
- Ti conviene andartene, prima che ti trovino e ti arrestino – mormorò senza guardare Shade negli occhi, umiliato per il suo eccesso di vigliaccheria che lo rendeva incapace perfino di uccidere suo fratello a mente fredda.
- Sapevo che ero ancora in tempo per recuperarti – gli disse Shade, il battito cardiaco che si stabilizzava, i respiri che si diradavano, un sorriso a tirargli le labbra, e il cuore gonfio di soddisfazione per aver scorto in colui che si trovava davanti l’ombra di quello che in passato era stato, e che nel profondo ancora era, suo fratello.
Nel frattempo, nei pressi della villa, Toulouse aveva terminato di perlustrare il perimetro della casa per accertarsi che non vi fossero altri aggressori nascosti agli angoli pronti a minacciare la famiglia, e si preparava a dirigersi, armato di tanto coraggio e buona volontà, verso il cancello principale, pronto a fronteggiarsi con il nemico faccia a faccia.
- C’è stato uno sparo poco fa, ti farai ammazzare – gli ricordò Elsa tra le lacrime, tentando di trattenerlo invano.
- Non posso permettere che Eclipse si presenti di nuovo qui con il rischio che faccia del male a mia moglie o ad una delle mie figlie – asserì determinato, mentre si scioglieva dalla presa della moglie – Chiudetevi in casa e non aprite per nessun motivo –
- Papà, è troppo pericoloso, non andare!- lo pregò Fine tra i singhiozzi, divorata dal terrore e dall’angoscia.
- Vengo con te – esclamò Rein risoluta, in pena per le sorti del padre e di Shade, corso all’inseguimento dell’aggressore senza darle il tempo di obiettare.
- Non se ne parla - la fermò Toulouse, respingendola indietro.
- Toulouse, ti prego…- tentò di fermarlo Elsa, piangendo lacrime di angoscia.
L’uomo volse un’ultima occhiata rassicurante in direzione della moglie e delle figlie, prima di lanciarsi all’inseguimento di colui che credeva essere Eclipse.
- Questo e altro pur di difendere le persone che amo -
- Monta a cavallo e corri in città ad avvisare la polizia – ordinò Elsa a Fine senza un’ombra di esitazione, mentre ancora osservava la sagoma del marito scomparire tra le ombre della notte, diretto al suo martirio.
Recependo subito il messaggio, Fine si fiondò alle stalle sul retro della villa, montando velocemente a cavallo, e sfrecciando a tutta velocità per le campagne inglesi, pronta ad assolvere il compito affidatole.
Rein, altrettanto determinata, si preparò a seguire la figura del padre già lontana, troppo in pena per le sorti dei due uomini a cui teneva più che a se stessa per potersene stare con le mani in mano.
- Non osare ammazzarti anche tu, non ho partorito due figlie per vederne morire una prima di me – la afferrò la madre per un braccio, animata di una determinazione fuori dal comune.
- Mamma, lasciami andare! Devo aiutarlo!- strattonò Rein con forza nel tentativo di liberarsi, ma invano.
A poche centinaia di metri dalla villa, Auler e Shade stavano ancora immobili a scrutarsi nel buio della notte, quando la loro attenzione fu catturata dal galoppo di un cavallo nei pressi del cancello.
Volsero lo sguardo nella direzione di provenienza del suono con uno scatto fulmineo, e presto i loro occhi si ritrovarono ad accogliere la vista di una donna dai lineamenti altezzosi e superbi, a cavallo come un’amazzone sul suo valente destriero che impennò con un nitrito non appena gli intimò di fermarsi.
- Ma che simpatico quadretto che mi state offrendo!- esclamò, inumidendosi la punta delle labbra con la lingua – Davvero un discorso accorato il tuo, Shade, mi congratulo: le tue doti da oratore ti avrebbero fatto spiccare in una possibile carriera politica – mormorò, scendendo da cavallo e dirigendosi con passo felpato verso i due giovani ancora immobili.
- Sophie, cosa ci fai qui?- biascicò Auler ancora stravolto dal susseguirsi degli eventi per poter reagire.
La marchesa schioccò la lingua con notevole disappunto, regalando al fratello un’occhiata cupa e intimidatoria che gli penetrò lungo la spina dorsale, raggelandogli il sangue nelle vene: - Sono venuta a portare a termine quello che non sei stato in grado di fare tu. Ero sicura di non potermi fidare di un rammollito come te, troppo volubile e sentimentale per poter eseguire un ordine così semplice – asserì freddamente, spostando poi lo sguardo su Shade, all’erta e coi nervi tesi come corde di violino – Ti ho seguito fin qui per portare a termine quello che per ben due volte hai dimostrato di non essere in grado di concludere – affermò rivolta al fratello, avvicinandosi minacciosa alle due sagome.
- Sophie, non…- tentò di dirle Auler, ma fu prontamente zittito dalla sorella che ancora gravitava su di loro come un pianeta attorno al suo sole: - La tua negligenza è a dir poco oltraggiosa, Auler, ma saprò compensare a dovere la tua mancanza di coraggio. Ci toglierò da questo spiacevole impiccio prima di quanto pensi – ghignò, piantando provocatoria le iridi in quelle di Shade – E così – disse canzonatoria – quelli che credevamo essere due avversari distinti, sono in realtà un unico, grande impiccio. Meglio così: vorrà dire che, una volta eliminato uno, non dovremo più preoccuparci neanche dell’altro. Del resto, l’ho sempre sospettato –
Shade esaminò il terreno circostante in cerca della frusta, non trovandola.
Sophie ghignò: - Cercavi questa?- chiese, mostrandogli l’arma che teneva tra le mani – Una vera sfortuna essermene appropriata… per te, ovviamente – scosse la testa con finto rammarico, raccogliendo anche la pistola da terra e puntandogliela contro – Sei con le spalle al muro, Shade: se osi muovere un solo passo, ti sparo. Se non tenti la fuga, ti sparo lo stesso. E bada bene che io non mi faccio alcuno scrupolo, quindi non sperare di uscirne vivo. In ogni caso sei spacciato: un topo in trappola – da lontano si udì un richiamo lontano, segno che Toulouse si stava avvicinando nella loro direzione.
Sophie schioccò la frusta in direzione di Shade, colpendolo dritto al braccio sinistro, dove spaziava la cicatrice che lei stessa gli aveva procurato.
Il colpo arrivò più veloce di un fulmine, sibilando nell’aria per poi esaurirsi con un ciocco sordo sulla carne viva della ferita. Shade avvertì il dolore attanagliargli le tempie, la pelle bruciare sotto la frusta, il sangue che riprese a colare copioso mentre la carne martoriata dalla percossa prendeva a pulsare come se volesse esplodere.
Il giovane non riuscì ad impedirsi di abbandonarsi ad un ululato di dolore, accasciandosi in ginocchio sull’erba, ansimante, il grido di un’animale ferito a morte in attesa del colpo di grazia, il dolore bruciante e pulsante ad ottenebrargli la mente, impedendogli qualsiasi forma di ragionamento.
 – Si mette male per te, povero ladruncolo – continuò la donna, dopo essersi accertata che Toulouse fosse riuscito a localizzare da che parte provenisse il lamento di Shade – non hai vie di fuga, stavolta. Se non sono io ad ucciderti, lo farà la polizia non appena i Sunrise ti troveranno disteso a terra a contorcerti nel tuo dolore. Quindi non farmi perdere altro tempo: dammi il diario e i gioielli –
- A che scopo dartelo? Mi uccideresti comunque – asserì Shade in un soffio, indebolito dalla percossa ma ancora vigile e con la forza necessaria per opporsi alla sua dittatrice.
Un secondo colpo, più violento e inaspettato del primo, tornò a divorargli la pelle, un guizzo pungente lungo la spina dorsale fino ad attanagliargli le meningi, che lo costrinse a stingere i denti fino a quasi spaccarsi la mandibola per non esplodere in un nuovo grido di dolore
Sophie ridacchiò divertita, osservandolo contorcersi come un pesce fuor d’acqua: - Hai ragione, in effetti… da morto, anzi, sarebbe ancora più facile sottrartelo. Ma ho bisogno di tenerti in vita finché non mi riveli dove tieni nascosti gli altri due gioielli della collezione, perciò parla –
- Ti conviene uccidermi, allora: ci fai un affare migliore – biascicò Shade tra i rantoli, per nulla intimorito dalle minacce di Sophie.
La marchesa sbuffò inacidita, segno che stava cominciando a perdere la pazienza: - Basta con i giochetti, Shade, dimmi dove tieni nascosti il Sole di Mezzogiorno e il Raggio di Speranza, altrimenti non avrò pietà nemmeno di Rein Sunrise e della sua famiglia – asserì asciutta, piantando le iridi nelle sue, accennando alla figura di Toulouse che si faceva sempre più vicina, ormai visibile ai loro occhi.
- Non provare ad avvicinarti a Rein Sunrise! La tua preda sono io, lei non c’entra! – abbaiò Shade in un impeto d’ira, tenendo difficilmente a freno l’impulso di saltarle addosso e toglierle quel perfido ghigno dal volto, nonostante la debolezza che si era appropriata delle sue membra.
- Oh, siamo innamorati della giovane signorina Sunrise!- si accese Sophie in un’esclamazione sorniona – Certo, altrimenti perché le avresti affidato l’Occhio della Notte? La tua mossa è stata astuta, ma non abbastanza a quanto pare: credi davvero che la lascerò in vita, dopo tutto quello di cui è a conoscenza? – gli disse in risposta, facendo cioccare la frusta una terza volta su di lui.
- Sophie, non mi pare il caso di… - tentò di intervenire Auler, ma la marchesa lo zittì con un’occhiata che non ammetteva rimproveri.
La figura di Toulouse si poteva ormai scorgere distintamente dietro le spalle di Shade. Sophie ringhiò spazientita, conscia che non c’era più tempo per i convenevoli se desiderava non essere ricollegata in nessun modo all’omicidio di Shade, o a quello che restava di lui dopo le percosse.
Nei pressi della villa, intanto, Rein era riuscita, dopo tanto lottare, a liberarsi dalla stretta della madre e lanciarsi all’inseguimento del padre nella speranza di salvare lui e il suo innamorato, non sapeva neanche lei come, dal loro destino.
- Rein, torna qui! – le strillò la madre di rimando, seguendo i suoi primi passi, ma la turchina fu più veloce, e riuscì presto a seminarla fino a disperdersi tra le fronde degli alberi dell’immenso giardino avvolto nel buio.
- La mia pazienza si è esaurita, perciò te lo chiederò un’ultima volta: dimmi dove si trovano i gioielli, maledizione! – strillò Sophie a Shade inviperita, le vene che pulsavano sulle tempie.
Il silenzio del giovane le fece comprendere che non sarebbe stato disposto a collaborare, né in quel momento, né mai.
- Hai firmato la tua condanna, dunque – mormorò cupa, accennando a premere il grilletto.
- Ti prego, Sophie, forse esiste un altro modo senza che ci sia bisogno di arrivare a tanto – provò a suggerirle Auler, mosso da un’inspiegabile istinto di compassione per il giovane che si contorceva a terra in preda ai dolori, tentando di farla ragionare. Lei, per tutta risposta, scoppiò in una risata che sapeva di vittoria e appagamento: - Avevi detto che il lavoro sporco toccava sempre a te, Auler? – gli domandò euforica – Bene, ora vedrai di cosa sono capace! –
- Sophie, NO!-
Accadde tutto in un attimo.
Sophie che, nel premere il grilletto, fu disarcionata dal fratello che le si buttò addosso nel tentativo di deviare il colpo, Shade che, non più sotto tiro e con le ultime forze che gli erano rimaste, si fiondò sulla coppia di fratelli per recuperare pistola e frusta e catturarli una volta per tutte, Toulouse a due passi da loro che si fiondava sulla figura di Eclipse girato di spalle in procinto di alzarsi, tentando di afferrarlo per il mantello, e Rein poco distante che gridava il nome del padre e di Shade mentre si precipitava su di loro, pronta a sacrificarsi pur di salvarli.
Lo sparò echeggiò una seconda volta nell’aria, cristallizzando di nuovo l’atmosfera nel silenzio che seguì subito dopo, e il proiettile vagò lungo la sua traiettoria, centrando il suo obiettivo in pieno ventre, penetrando a fondo nella carne, gli schizzi di sangue che esplosero come un liquido tenuto troppo sotto pressione imbrattando gli abiti dei due marchesi, e il tonfo sordo di un corpo che si accasciava inerme a terra, privo di sensi.
Occhi sgranati, confusione, presa di coscienza, panico, terrore, fuga.
Poi la voce di Rein, che con uno strillo acuto squarciò l’aria, facendo riprendere lo scorrere del tempo che pareva essersi fermato per qualche istante.
- Papà!- 


Angolo Autrice:

Mi stupisco anch'io del mio aggiornamento lampo, ma la vostra emozione e il vostro entusiasmo mi hanno contagiato a tal punto da spingermi a continuare senza alcuna difficoltà. Fate miracoli!
Dunque, nel capitolo precedente mi avete amata alla follia... ora mi tornerete ad odiare, lo so. Chiedo perdono, ma ho un disegno ben preciso in mente e intendo rispettarlo. Vi avevo avvisato di preparare il vostro cuoricino!
Vi sareste aspettate un simile colpo di scena? Spero che, nonostante la delusione, questo capitolo abbia saputo emozionarvi, tenendovi incollate allo schermo fino alla fine. Cosa succederà adesso è ancora tutto da scoprire. Il modo? Continuate a leggere, e lo capirete!
Non vi ringrazio mai abbastanza.
Baci

_BlueLady_


 
  
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