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Autore: Claire Penny    08/02/2017    2 recensioni
Una piccola riflessione semi-autobiografica in occasione della giornata nazionale contro il bullismo (anche se con un po' di ritardo).
Perché il confine tra vittime e carnefici può rivelarsi più labile di quanto si creda.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Inizia sempre con uno scherzo.
Gli scherzi sono divertenti, no? Sì, gli scherzi fanno ridere tutti. Forse un po' meno la vittima dello scherzo, ma poco importa. Prima o poi ci riderà su anche lei, deve imparare a stare al gioco, mica se la può prendere per così poco.
Lo scherzo riesce, tutti ridono.
Anche la vittima ride, suo malgrado. La risata è un po' forzata, ma non importa. Mi sono fatto notare da quelli che contano.
Continua con un altro scherzo, un po' più pesante. Non troppo, solo un po'.
Riesce di nuovo. Gli altri ridono. Mi sto guadagnando la simpatia di tutti. In classe sono quello divertente.
Questa volta la vittima non ride, però me ne dimentico subito. Quelli giusti iniziano a prendermi più in considerazione. Mi invitano ad uscire con loro. Faccio parte del gruppo.
Tra uno scherzo e l'altro, iniziano le battute.
Certe volte ho la sensazione che lei sia lì apposta. Che sia fatta per questo. Le frecciate vengono spontanee e, puntualmente, l'intera classe scoppia a ridere. 
C'è da dire che con lei è fin troppo facile: sta sempre per conto suo, è timida, parla pochissimo, non ha voti alti, quindi non credo sia molto intelligente e di certo non è bella. La ciccia le sporge dall'orlo dei vecchi jeans che indossa. I suoi vestiti sembrano quelli del mercato. Le sue scarpe sono imitazioni economiche e mal riuscite di quelle di marca, quelle che hanno tutti. Ha i capelli in disordine, troppo lunghi, sempre con la frangia a coprirle gli occhi. Non è per niente femminile e non fa nulla per provare ad esserlo.
Dovrebbe capire che deve cambiare. Deve imparare a vestirsi bene, a comportarsi come gli altri, altrimenti questo mondo non farà mai per lei. In fondo, la sto spronando a migliorarsi. Dovrebbe ringraziarmi.
Lei però non capisce, e io continuo.
Ancora un altro scherzo, un'altra battuta, che vuoi che sia?
Questa volta la prende male. Per la prima volta si mette a piangere davanti a tutti.
I professori lo vengono a sapere e rimproverano tutta la classe. Chiamano i miei genitori. 
Loro non mi dicono niente, ma mi puniscono nell'unico modo che conoscono: proibendomi di uscire per tutto il week-end. Mi perdo la festa di cui lunedì tutti parlano.
A questo punto lei non mi fa più pena, solo rabbia.
Durante l'intervallo le dico di imparare a piangere per conto proprio, come tutti. Lei non risponde, non dice niente. M'innervosisco e le do un pugno sulla spalla. Lei non reagisce e trattiene le lacrime. Ancora una volta.
E' proprio una sfigata. Non ha dignità, né un minimo di amor proprio. Non la sopporto. Dovrebbe ritenersi fortunata solo perché tolleriamo la sua esistenza.
Allora gli scherzi si fanno più crudeli. Le battute più pesanti. Colpirla, fisicamente o emotivamente, da passatempo si trasforma in uno sport di classe e io sono il più bravo.
Lei allora inizia a collezionare assenze. Viene sempre più di rado e, quando viene, consegna i compiti in bianco e fa scena muta alle interrogazioni.
Un giorno, il professore annuncia che si è ritirata. Non la vedremo più. Da brava vigliacca ha preferito nascondersi. Ne sono felice, all'inizio, ma poi inizio a guardarmi intorno. E a pensare. 
Quelli che chiamo "amici" mi avrebbero notato, se non fosse stato per lei? Intanto, mi accorgo che questi hanno iniziato a prendere le distanze da me.
Ed è allora che me ne rendo conto.
Hanno paura di me.
Hanno paura di diventare il mio nuovo bersaglio, ora che lei non c'è più.
Non mi ammirano, mi temono.
Sono solo quanto lei.
Forse addirittura di più.
A quel punto posso fare solo una cosa: continuare a fare quello che facevo.
Solo così continuerò ad essere qualcuno.
Solo così eviterò di diventare io il nuovo bersaglio
   
 
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