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Autore: rossella0806    08/02/2017    3 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Chi supplica qualcuno dev'essere sull'orlo della disperazione.
Ma la disperazione sa anche rendere più forti e più consapevoli di ciò che si fa.

(Anonimo, XX° secolo)



Palazzo Orelli si affacciava imponente ed elegante su corso Regina Elena, una delle traverse di piazza Castello: i carretti degli ambulanti erano stati distribuiti in mezzo e lungo il perimetro della sede del foro per la contrattazione dei grani, in modo da attirare più clienti possibili mettendo in bella mostra la mercanzia da vendere.

La giornata era splendida, calda ed umida come le mattinate di inizio maggio sanno essere, e nell’aria si respirava un fragrante profumo di pane che si mescolava a quello pungente dello sterco di qualche stalla lì vicina.
Maffucci si aggirava tra le ceste di granoturco, frumento, orzo e riso, fingendosi un acquirente interessato a qualche sacchetto di quelle grezze prelibatezze.
Fece il giro del cortile un paio di volte, ora le mani dietro la schiena, ora nelle tasche dei pantaloni antracite, quindi si diresse verso l’entrata opposta rispetto a quella da cui era arrivato, appena una ventina di minuti prima.
Accarezzò il muso del suo cavallo, lisciandogli il manto scuro con qualche carezza pensosa: era infatti la terza mattina di seguito che si recava al mercato dei grani, ma ancora non si era imbattuto nemmeno nell’ombra di Federico, e il piano che aveva ingegnato per indurlo a confessare rischiava di sgretolarsi come un castello di carte, ancora prima di essere stato messo in atto.
Da quando Costanza gli aveva fatto pervenire i biglietti dell’anonima corrispondenza tra il cugino e il misterioso interlocutore, per l’appunto la sera di tre giorni prima, l’avvocato si era subito attivato per delineare una nuova strategia difensiva che servisse ad incastrare il giovane conte Caccia.  
Mentre lanciava l’ennesima occhiata circospetta in direzione del quadrilatero di fronte a sé, sorrise al pensiero dell’ingenuità della ragazza, che aveva sì rischiato di essere scoperta mentre frugava tra gli effetti personali del giovane, ma che tuttavia non si era posta lo scrupolo di lasciare le cose come stavano e riferirgli semplicemente della scoperta che aveva fatto.
Se Federico si fosse accorto della mancanza dei foglietti, allora non riusciremmo mai ad incastrarlo: di certo non si farebbe vedere per un pezzo in compagnia dei suoi compari, e tantomeno metterebbe piede qui a palazzo Orelli, dove sembra si incontrasse con i traditori, però non potevamo rischiare che le prove andassero perdute.
Eugenio sospirò e si passò una mano tra i capelli folti e neri, aggrottando preoccupato le sopracciglia: domani, infatti, si sarebbe svolto l’interrogatorio di Pietro, come prefissato dal tenente della Guardia Civica. L’amico si stava lentamente riprendendo dalla pericolosa febbre che lo aveva colpito ad inizio settimana, tuttavia era ancora fisicamente debole e le ferite non si potevano di certo definire guarite.
Nonostante le precarie condizioni fisiche, i gendarmi lo avevano ritenuto in grado di sostenere qualche domanda di routine, come erano state definite, per questo il venerdì alle otto si sarebbe svolta la prima tranche di un processo che si preannunciava sarebbe stato tanto rischioso quanto finemente machiavellico.
La sola idea che Federico la scampasse ai danni del fratello maggiore era un’idea assurda ed inconcepibile per l’avvocato, un pensiero che gli provocava un senso di profonda ingiustizia e di ribellione: dopo la denuncia dell’armistizio, la dichiarazione di guerra e la battaglia della Bicocca, erano molte le cose cambiate all’interno del gruppo di giovani rivoluzionari.
Pochi avevano aderito ad arruolarsi come volontari nell’Esercito sabaudo, mentre molti preferirono combattere nell’ombra, compiendo azioni logistiche che si rivelarono ben presto inefficaci e premature per la piega che presero gli avvenimenti tra Piemontesi ed Austriaci: gli affiliati, infatti, speravano che l’ala liberal moderata del Parlamento si attivasse in favore della cessione delle ostilità e di un nuovo armistizio, in maniera da riordinare le fila dei soldati e decidere razionalmente e senza impulsi la tattica militare da intraprendere, circostanza che avvenne con tempi e modalità troppo dilatati, tanto da non riuscire ad impedire la carneficina novarese.
I gruppi liguri, lombardi, veneti, parmensi, modenesi, toscani e romani che appoggiavano il Regno di Sardegna non poterono impedire la rovinosa conclusione di quella che sarebbe passata alla Storia come la Prima guerra d’Indipendenza, sebbene nessun patriota si arrese e smise di dare manforte alla causa di Liberazione: ne erano stati esempi appassionati Genova e Brescia, che arricchirono di nuova linfa vitale le speranze appassite di troppi cittadini.
Maffucci pensava a tutto ciò, ormai pronto a rimettersi in sella e a fare ritorno al Circolo per discutere dell’ennesimo buco nell’acqua con Rossini e un gruppo sparuto di insospettabili aderenti al gruppo, quando il piede si bloccò sulla staffa.
A un centinaio di metri, infatti, nella direzione opposta a quella in cui si trovava, poteva distinguere chiaramente la stazza odiosa ed elegante di Federico e di un paio di uomini avvolti in ampi mantelli neri.
L’avvocato si nascose tra il cavallo e un’edicola in pietra, in modo da attendere il momento in cui si sarebbero avvicinati a sufficienza per uscire dal nascondiglio e affrontarli.
Pochi istanti dopo, mentre i campanili della chiesa di san Giovanni Battista Decollato e del Duomo battevano gli undici rintocchi, Eugenio si parò davanti ai tre avventori, accogliendoli con un sorriso di sfida.
“Buongiorno, signor conte”
La sorpresa del ragazzo fu tale che quasi inciampò in uno dei sampietrini, ma subito si ricompose e stette al gioco.
“Non sapevo che vi interessaste di commercio, signor Maffucci. Avete fatto qualche acquisto interessante?”
I due scagnozzi rimasero fermi ai lati del Caccia: l’avvocato li squadrò con aria fintamente disinteressata, soffermandosi ad imprimere nella mente la notevole altezza e i lineamenti.
Uno doveva avere all’incirca una quarantina d’anni, i capelli lunghi arruffati e gli occhi neri come la pece: era robusto e sotto il mantello s’intravedeva un abito di seconda mano, di fattura per nulla elegante. Il secondo, invece, più giovane, sembrava imparentato con l’altro, almeno da quello che si poteva intuire dalla considerevole somiglianza.
“Oh sì” riprese la recita l’avvocato “ho comprato un pesce assai raro, un pesce che temevo non avrei mai trovato da queste parti. Siete forse curioso di vederlo?”
Federico si rabbuiò per un attimo: strinse i pugni in un gesto meccanico, lanciando un’occhiata di aiuto in direzione dei compari, ma questi parevano statue di sale, immobili e impersonali, lo sguardo truce che sembrava attraversare l’uomo di legge e qualunque cosa capitasse ad incrociare i loro sguardi.
“Non mi pare di capirvi, amico mio. Tuttavia, se avrete la compiacenza di spiegare la natura della merce da voi acquistata, sarò ben lieto di ascoltarvi”
Il trentenne dai baffetti si lasciò andare ad un sorriso di soddisfazione: si passò una mano sulla mascella glabra e sospirò sonoramente, fingendo profondo interesse per la bella criniera del suo destriero.
“Vedete, la questione potrebbe protrarsi per diversi minuti, anche se ciò dipende dall’acutezza della vostra mente a riconoscere la razza di pesce da me acquistata. Non credete sia meglio che i vostri gentilissimi accompagnatori ci lascino da soli a discutere di ittica? Sono certo che lo troverete interessante e assai proficuo, tanto che ne uscirete con nozioni che vi faranno particolarmente comodo per l’imminente avvenire…”
Il giovane conte abbassò lo sguardo: aveva la gola improvvisamente secca, oltre ad avvertire un’incalzante stretta allo stomaco simile alla paura che gli suggeriva di scappare.
Si umettò le labbra e deglutì pensieroso, rendendosi conto che avrebbe dovuto scegliere la prossima mossa da compiere nel più breve tempo possibile.
“Va bene” si arrese alla fine “verrò con voi, ma non posso permettermi di perdere troppo tempo. I miei amici ed io abbiamo questioni assai urgenti da sbrigare”
Maffucci aprì le braccia in un gesto di arrendevolezza, rassicurandolo che ci avrebbero impiegato solamente il tempo necessario.


Una volta rimasti soli in una bettola da pochi soldi che si stagliava a pochi metri dal palazzo del Mercato, i due uomini prenotarono un bicchiere di vino rosso, e cominciarono a sorseggiarlo l’uno di fronte all’altro.
Il locale era scarsamente illuminato e angusto, il mobilio di legno ammuffito e scheggiato indicava una scarsa qualità, tuttavia l’oste e i prodotti che serviva compensavano la pessima immagine del posto.
“Allora, a cosa devo la fretta con cui mi avete distolto dai miei impegni per portarmi in questa specie di tugurio di second’ordine?” esordì il conte.
L’altro fece roteare il calice di vetro come a voler riflettere, mentre avvertiva l’impazienza crescere nel ragazzo.  
“Vi chiedo scusa se la signoria vostra non è abituata a frequentare questi luoghi, ma ve l’ho detto che è mia intenzione mostrarvi un acquisto assai particolare: una autentica prelibatezza, credetemi, una prelibatezza che vi imporrà non solo di ascoltarmi ma anche di assecondarmi”
Si fissarono per qualche istante, l’odio palpabile che riempiva la distanza tra i loro corpi.
“Non prendetemi in giro, altrimenti ve ne pentirete” si aizzò Caccia “e smettetela di raccontarmi la storiella della lezione di ittica, perché se continuerete a farlo non impiegherò un secondo di più ad alzarmi da questa sedia e a lasciarvi ai vostri stupidi quanto folli vaneggiamenti!”
Eugenio sospirò e scosse la testa, ben consapevole di avere la situazione in pugno: trangugiò un altro sorso di vino acidulo, concentrandosi ad esaminare la marmaglia che riempiva il locale, perlopiù avventori di dubbia moralità, uomini di mezza età baciati da Bacco o sulla strada dell’ubriachezza, i vestiti lerci o di fattura scadente, intenti a riempirsi lo stomaco di ogni sorta di liquido commestibile e a parlare a vanvera.
“Va bene, se proprio insistete, verrò subito al dunque”
L’avvocato tirò fuori dal taschino interno della giacca color antracite il mucchietto di biglietti che Costanza gli aveva fatto pervenire tre giorni prima, e li mise sul tavolo, sparpagliandoli con cura in modo che l’altro potesse leggerli senza protendersi con il busto.
“Dove li avete presi?” cercò di rimanere calmo Federico, sebbene stesse compiendo un enorme sforzo pur di non inalberarsi e strappare quelle prove.
Ma ragionò sul fatto che su quei foglietti non vi fosse né il suo nome né la sua firma, per cui avrebbe cercato di sviare l’attenzione dell’omuncolo in qualsiasi maniera possibile.
“Intendevo dire, per quale motivo me li state mostrando? Hanno forse a che fare con gli affari illeciti di mio fratello Pietro?”
Il trentenne dai baffetti sorrise appena, innervosendosi per la scaltrezza del nemico.
“Permettetemi di dirvi che avete smesso di essere fratello di Pietro dopo ciò che gli avete fatto: non credete anche voi?”
“Oh insomma, smettetela con questi sentimentalismi!” sbraitò, picchiando con troppa enfasi il bicchiere di vetro mezzo pieno, per tranquillizzarsi subito.
“Scusate il gesto, però non avete risposto alla mia domanda, avvocato: devo forse ripetervela?”
“Certo che no, signor conte. Pensavo avreste riconosciuto la calligrafia: scommetto che chi li ha vergati è uno degli scagnozzi che vi siete portati appresso stamani…”
“Le vostre sono farneticazioni senza fondamento” riprese spazientito Federico, abbandonandosi ad un altro sorso di vino.
“Quei due gentiluomini di poco fa sono dei semplici conoscenti che mi aiutano nella contrattazione per la vendita e l’acquisto del grano che coltiviamo nelle terre della mia famiglia. Vi basta come giustificazione?”
“Ma voi non dovete giustificarvi di nulla, caro conte!” ribatté Eugenio, sistemandosi l’abito e riappoggiandosi con studiata calma allo schienale.
“Le mie non sono accuse, tutt’altro, bensì certezze. Poco fa, infatti, mi avete chiesto dove avessi preso questi foglietti, e la risposta è semplice quanto ovvia… volete forse darmi la conferma o devo proseguire nella mia arringa?”
L’altro contrasse la mascella e si passò una mano sul viso: chi mai si era potuto intrufolare nella sua camera da letto e rovistare tra i suoi averi? Se non avesse incastrato Pietro, avrebbe di sicuro pensato a lui, ma era una congettura impossibile, dal momento che non avrebbe avuto senso attendere la vigilia del processo per smascherarlo.
E, come se gli avesse letto nella mente, Maffucci proseguì per la sua strada, avvicinandosi con il busto all’interlocutore.
“Immagino sappiate dalle conoscenze che potete vantare tra le alte sfere della Guardia Civica che domani vostro fratello verrà interrogato: sapete, oltre le ferite inferte durante il duello, la visita che gli avete fatto ha ulteriormente aggravato il suo stato di salute, tanto da farlo ricoverare nell’infermeria del carcere. Solo per questo, infatti, il tenente che si occupa del caso ha rimandato la prima tranche del processo a domattina”
“Perché mi state dicendo tutto questo?” lo interruppe con un gesto di fastidio della mano.
“Diciamo che desidero farvi redimere dai vostri peccati…”
“Io non ho commesso alcun peccato” sibilò senza troppa convinzione il giovane conte.
“Comunque la pensiate, non spetta a me condannare la vostra anima, sempre che ne abbiate una, è sottointeso”
A quell’ennesima provocazione a viso aperto, Federico si aggrappò con forza al bordo del tavolo e, le unghie piantate nel legno, mise in chiaro le cose.
“Non vi permetto di mancarmi di rispetto, mi avete capito? Siete solo un avvocatuccio senza alcuna rilevanza, un mezzo uomo che posso distruggere ogni volta che ne avrò voglia. E ora ditemi il motivo di questa assurda messinscena, se non volete passare guai seri!”
Eugenio si protese in avanti verso l’interlocutore, le mani congiunte e l’aria di sfida sul volto serio.
“Questi biglietti rappresentano la prova del vostro coinvolgimento nell’arresto di Pietro. Siete in grado di leggere, no? E allora leggete ed illuminatevi”
Il trentenne dai baffetti avvicinò le scritte incriminate e attese in silenzio.
P. Orelli, ore 11. Venite da solo, come al solito.
Aver sacrificato vostro fratello è stato necessario. Sapremo come ricompensarvi.
I nostri amici sono rimasti contenti del lavoro svolto.
P. Orelli, ore 10. Venite da solo, come al solito, ma fermatevi al secondo banco sulla sinistra.
“Non significano nulla: come fate ad accusarmi? Sopra non vi è scritto il mio nome né nessun riferimento che faccia anche solo lontanamente pensare ad un mio eventuale coinvolgimento in…”
“In? Vi prego, proseguite!”
Il trentenne dai baffetti era ormai sicuro di averlo in pugno: Federico si stava tradendo, sebbene si fosse fermato in tempo, e lo sguardo di terrore e di smarrimento indicava che il piano stava funzionando alla perfezione.
“Non ho nulla da aggiungere. E adesso, se permettete, devo andare: mi avete già fatto perdere tempo
a sufficienza!”
Il ragazzo si alzò dalla sedia e lanciò sul tavolaccio qualche moneta con cui pagarsi il bicchiere di vino; si allontanò a passi svelti verso l’uscita, quando Maffucci, ancora seduto, gli intimò di fermarsi un attimo.
“Se non ritirerete la falsa accusa nei confronti di Pietro entro questa sera, andrò io stesso dalla Guardia Civica a denunciare i vostri loschi affari: nella fretta, caro signor conte, avete dimenticato di portare con voi i biglietti, e sebbene non vi sia segnato alcun esplicito riferimento, queste prove sono state trovate a casa vostra, nell’armadio della camera da letto in cui dormite, e vi posso assicurare che la persona che le ha rinvenute è disposta a testimoniarlo sotto giuramento!”
Il nobile si diede dell’imbecille per non aver arraffato quei maledetti foglietti, addirittura per non averli distrutti a tempo debito, dopo averli letti: si voltò, le mani in tasca che gli prudevano per la rabbia e l’impotenza, mentre nella sua mente vorticava il bel volto di Costanza, la misteriosa ladra che adesso intuiva essersi introdotta nella sua stanza, molto probabilmente il pomeriggio in cui era venuta a prendere il tè con donna Mellerio.
“Ebbene? Se ciò non bastasse, sono altrettanto sicuro che quei due gentiluomini con cui vi ho incontrato poco fa appartengono allo stesso gruppo filo austriaco che ha cercato di boicottare il nostro Esercito! Chissà che non siano conoscenze già note anche alla gendarmeria…”
“Smettetela! Siete l’ultima persona sulla faccia della terra a dirmi come devo o non devo comportarmi! So perfettamente che siete coinvolto nella stessa organizzazione in cui milita mio fratello, quindi piantatela di fare l’amico innocente, perché non lo siete affatto!”
Eugenio abbassò lo sguardo e sorrise sornione, quindi trangugiò l’ultimo sorso di vino rosso e riprese con tono conciliante e sincero l’arringa più importante che avrebbe mai realizzato.
“Mettete da parte il rancore o qualsiasi altro sentimento negativo coviate per Pietro: la sua vita dipende da voi, e lo sapete molto bene. Promettetemi che lo farete, promettetemi che andrete alle carceri e lo farete scagionare…”
Federico si grattò la punta del naso, ulteriormente innervosito dalla presenza di una mezza dozzina di avventori troppo chiassosi, stravaccati a pochi metri da loro.
Guardò per un lungo istante il trentenne dai baffetti, gli occhi scuri persi a rincorrere i propri pensieri, poi aprì la bocca per ribattere, ma non uscì alcun suono.
Fece dietrofront ed uscì dalla bettola, il sole di mezzogiorno ad accoglierlo.




NOTA DELL'AUTRICE

Buonasera, cari lettori!
Spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento: grazie a chi sta proseguendo a supportarla, a leggerla, a recensirla e a seguirla!
Nel prossimo capitolo scopriremo che cosa avrà scelto Federico e, di conseguenza, quale sarà il destino di Pietro.
L'aggiornamento successivo sarà anche l'ultimo capitolo, poi concluderò con l'epilogo che si svolgerà parecchi anni dopo l'ambientazione cronologica della narrazione.
Bene, allora a presto!
Un abbraccio

P.s. Uno dei due scagnozzi in compagnia di Federico è lo stesso conosciuto nel capitolo ottavo; per quanto riguarda Palazzo Orelli, l'ho descritto nei particolari sempre nel capitolo 8, mentre la chiesa di san Giovanni Battista Decollato è quella vicina al Teatro Nuovo, di cui ho parlato nel capitolo 5.
   
 
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