Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: Sacapuntas    08/02/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 10 - La festa





Quando arriva l'ora di riunirsi in mensa, non aspetto neanche di vedere la sua piccola figura o i suoi occhi grandi e curiosi che scrutano l'ambiente circostante, e mi dirigo subito verso il tavolo che Elizabeth e i suoi compagni -e Quattro- sono soliti occupare. Non ho particolarmente fame, oggi, quindi ho deciso di prendere soltanto un bicchiere di qualcosa che dovrebbe essere un mix di frutta. Ma mi sono reso conto troppo tardi che ci sono le pere, in questo mix, ed io non sopporto le pere. Sono granulose, dolciastre ed hanno una forma che mi ricorda la corporatura della Pacifica, quindi le detesto ancora di più.
Stanotte non ho dormito particolarmente bene, sia perchè le ultime parole di Elizabeth mi tormentavano e si ripetevano nella mia testa in cerca di una spiegazione, sia perchè qualcuno ha avuto la brillante idea di darsi alla pazza gioia alle tre di notte. Colpi su colpi contro qualcosa di massiccio rimbombavano fra le pareti sotterranee della Residenza, e mi hanno tenuto sveglio per almeno un'ora. Alla fine sono riuscito ad addormentarmi, e quando è arrivata l'ora di alzarsi ho svolto tutte le mie faccende in fretta, sperando che mezzogiorno arrivasse prima. Perchè volevo vedere lei.
Non mi sono nemmeno voltato per vedere le facce che avevano gli altri iniziati, quando mi hanno visto sedermi ad un tavolo diverso dal solito, non mi sono voltato per vedere se la Candida mi stesse seguendo, o se Quattro mi stesse venendo incontro. Non ho guardato nulla se non quel maledetto tavolo. "Fidati di me" mi ha detto Elizabeth. E così ho fatto. Ora sono seduto su una delle due panchine di legno, la postura ingobbita e i gomiti appoggiati sul desco, e sorseggio in mio schifosissimo frullato con pere. Guardo il posto vuoto accanto a me, sperando che possa essere immediatamente riempito dalla piccola figura di Elizabeth, come per magia. Spero che non abbia cambiato idea, spero di non vederla improvvisamente seduta ad un altro tavolo, a ridere con qualcun altro.

"Sei di nuovo qui? Non ci eri già stato ieri?" una voce bassa e quasi minacciosa alle mie spalle mi desta dai miei pensieri. Mi giro e vedo Quattro in piedi vicino a me, lo sguardo fermo ma visibilmente seccato. Ed ora, per la prima volta, mi sento intimorito dal Rigido, perchè non so cosa rispondere. Ha ragione. Dovrei essere al mio tavolo, a bere un frullato disgustoso da solo, lo sguardo basso e l'aria incattivita. Come sempre. Eppure sono qui, che aspetto che qualcosa accada. "Fidati di me". Mi sto fidando. Ma non so per quanto tempo potrò fissare Quattro negli occhi senza dargli una risposta. Non che gliene debba una, ovviamente. Che diamine, sono pur sempre un suo superiore. "Una volta non avevi un tavolo tutto per te, Eric?"
"Sembra che non ne abbia più uno." la voce di Elizabeth, priva di una qualsiasi intonazione che possa tradire qualcosa di più dell'indifferenza, risuona alla mia sinistra. Mi volto e la guardo. Con una certa soddisfazione, noto che indossa il mio maglione nero addosso. Poi risalgo lo sguardo dal suo vestiario al suo volto inespressivo. Ha gli occhi vuoti che mi scrutano con apatia, come se stanotte non ci fossimo baciati per vari minuti sul mio letto. Quando ha quell'espressione disinteressata è davvero convincente, tant'è che mi chiedo se non abbia una sorella gemella più vivace o se sia soltanto un'ottima attrice. Alle sue spalle ci sono Samuel e Alice che, come al solito, stanno bisbigliando qualcosa senza staccarmi gli occhi di dosso. E poi c'è Richard, che ha delle escoriazioni sulle nocche e qualche taglio sui palmi delle mani, lo sguardo basso pieno di rimorso. L'Erudito si siede silenziosamente sulla panchina opposta, poggiando il vassoio sul tavolo, seguito dal Candido e dalla Pacifica con il corpo a forma di pera.
"Che vuol dire?" chiede Quattro, mentre si siede molto lentamente a capotavola, sul lato destro. Sogghigno, nessuno ha il coraggio di starmi accanto. Nessuno tranne Elizabeth che, con noncuranza, posa il vassoio e scavalca la panchina per sedersi di fianco a me, intreponendosi fra me e il suo istruttore.
"Guarda tu stesso." si limita a rispondere lei, mentre comincia a tagliare la bistecca, indicando con il mento il mio ex-tavolo. Il tono tranquillo e neutrale della sua voce mi fa aggrottare la fronte. Quattro ha la stessa reazione e guarda in direzione del mio tavolo, che si trova in fondo alla grande sala.

O meglio, si dovrebbe trovare là. Dove prima c'era il mio tavolo ora c'è un ammasso di assi di legno informe, incastrate le une con le altre in un groviglio che mi confonde anche solo alla vista. Tralasciando il fatto che mi sembra impossibile che il tavolo si sia ripiegato su se stesso spontaneamente durante la notte, sento che nell'aria c'è lo zampino di Elizabeth. Ma, per quanto lei possa essere forte, non sarebbe mai stata capace di distruggere un tavolo da sola. Inoltre, le sue mani sono sempre le stesse, pulite, delicate, lisce e perfette. Aggrotto ancora una volta la fronte. Guardo le mani di Richard, che è l'unico del gruppo a non essersi voltato in direzione del tavolo e continua a guardare il suo piatto con un'espressione mortificata, il ciuffo castano che gli ricade sugli occhi. Guardo la sua corporatura imponente e le braccia muscolose, e immediatamente mi ricordo delle sue nocche scorticate e piene di segni rossi e viola, che ora si ostina a nascondere sotto il tavolo, inutilmente. Poi ricollego questi particolari ai continui colpi che stanotte mi hanno impedito di dormire, era il rumore di pugni su qualcosa di rigido. Pugni sul legno. Pugni sul tavolo. Ma perchè diamine Richard avrebbe dovuto fare una cosa simile? Nonostante la sua corporatura apparentemente minacciosa, è un ragazzo silenzioso e tranquillo, come Elizabeth in questo momento.
La ragazza fa scivolare una mano da sotto il tavolo e la posa con delicatezza sulla mia gamba, approfittando del momento di distrazione degli altri. Per poco il frullato non mi va di traverso. La guardo con gli occhi spalancati, attento a non versare il contenuto del bicchiere sul tavolo. Lei ricambia lo sguardo e sorride. E da quel sorriso capisco che non è che c'è solo il suo zampino, ma che questo è tutto un suo piano. Un piano finalizzato al non farmi stare solo. Un piano finalizzato ad avermi più vicino. Vorrei baciarla adesso, davanti a tutti, ma mi trattengo con uno sforzo disumano, stringendo la presa sul bicchiere di vetro che minaccia di infrangersi fra le mie dita.

Quando Samuel, Alice e Quattro voltano di nuovo lo sguardo, Elizabeth ritira la mano e la sua espressione muta, da vivace a imperturbabile.
"Era l'unico tavolo libero, come vedi, Quattro. Non ci tengo a mangiare per terra." dico a bassa voce, per rispondere alla precedente domanda di Quattro, lo sguardo fisso sul bicchiere di vetro nella mia mano.
"Non sarebbe la prima volta che ti vedrei far qualcosa di strano." commenta Elizabeth, portandosi la forchetta alla bocca, il suo tono è sarcastico e pungente come sempre, ed io non posso fare a meno di desiderare di poter spiegare a tutti che sta fingendo, che in realtà stiamo insieme. Sta facendo un bel lavoro, sembra quasi che non sopporti che io le stia accanto. Perlomeno, nessuno sospetterà nulla. Gli altri soffocano una risata e Quattro, sebbene leggermente divertito, la fissa di sottecchi. Penso a tutte le cose strane che ho fatto per lei, inseguirla su un treno a notte inoltrata, aspettarla in palestra per ore, invitarla nel mio appartamento, sedermi al suo tavolo per la semplice voglia di averla accanto.
Vorrei ridere anch'io, perchè so che per noi le cose strane sono ben diverse da quelle che stanno immaginando gli altri in questo momento. Invece non abbozzo neanche un sorriso, e la guardo con un'espressione leggermente contrariata. Spero di essere convincente come lo è lei. Volta lo sguardo e apre i suoi grandi occhi, che ora, con questa luce, sono letteralmente un'esplosione di tutte le sfumature di castano esistenti. Ed il desiderio di chinarmi e baciarla diventa sempre più forte.
Non lo fare, rispondile come risponderebbe Eric. Cosa faresti, se ci fosse un altro iniziato al suo posto? Cercherei di intimidirla, o umiliarla davanti ai suoi compagni. Mi guardano tutti, ora, con uno sguardo teso e preoccupato in attesa di una mia risposta altrettanto pungente.

"Hai detto qualcosa, Candida? Non credo di aver sentito bene." dico, sporgendomi leggermente verso di lei, come per intimorirla. Non baciarla. È difficile. È come se i suoi occhi mi stessero gridando di farlo.
"Forse perchè hai le orecchie ovattate dalle urla dei poveri iniziati che continui a tormentare." sputa questa frase come se fosse veleno. Ho qualche dubbio adesso, perchè ho l'impressione che non stia recitando del tutto. Aggrotto la fronte, fingendo di essere infastidito, e lei da sotto il tavolo mi sfiora il ginocchio con le dita, tranquillizzandomi.
"Elizabeth, smettila." la ammonisce Samuel, allungando una mano sul tavolo per stringere quella della ragazza. Vedo che la Candida sussulta al contatto con il compagno, e sono sicuro che sta pensando alla mia reazione in questo istante. Non dare spettacolo. Fai finta di non vedere le loro mani.
Sospiro, non ora, non qui.
"Tipico, voi ragazze cercate sempre conforto dai vostri fidanzati, quando qualcosa comincia a farsi troppo impegnativo." dico disgustato, bevo un altro sorso dal bicchiere. "Che c'è, Candida, hai finito le battute?" dico poi, con un finto tono dispiaciuto, rivolgendomi alla piccola ragazza che non sta ricambiando la stretta affettuosa del suo compagno.
"Io non sono il suo fidanzato." ribatte Samuel, nei suoi occhi posso vedere la delusione e lo sconforto, e soprattutto la fatica dell'ammettere quella triste verità. Triste per lui, ovviamente.
"Mhhh." mormoro, come se stessi riflettendo sulla sua affermazione. Mi volto verso Elizabeth, poi di nuovo verso il Candido. "Effettivamente, non si abbasserebbe mai ai tuoi livelli." lo provoco, sorridendo appena. Guardo lei, è divertimento quello che cerca di nascondere dietro quegli occhi imperturbabili? "Ma guardando la tua statura, non penso si possa andare più in basso di così." sospiro.
Elizabeth prende il suo bicchiere e se lo avvicina alle labbra. Una smorfia maliziosa ma palesemente sarcastica le si è formata in viso. Aspetto e mi preparo al suo sarcasmo.
"Io potrei abbassarmi più di così." dice, marcando la parola con decisione, ed ora sappiamo tutti a cosa si sta riferendo. Mi guarda, allontanando leggermente il bicchiere dalle labbra. "Ma non lo farei mai davanti per un ragazzo come te. E non devo essere stata la prima ragazza a prendere una decisione del genere, data la sua evidente frustrazione, Eric." beve un sorso d'acqua dal suo bicchiere.

Richard, che fino ad ora era stato in silenzio con gli occhi bassi, alza lo sguardo verso la ragazza, incredulo e divertito allo stesso tempo. Guardando anche gli altri, mi accorgo che hanno tutti un'espressione più o meno simile stampata in viso. Quattro, invece, sembra essere parecchio soddisfatto, nonostante i suoi continui rimproveri alla ragazza sul regolare il peso delle parole. Vorrei dirle qualcosa di altrettanto offensivo di rimando, ma la mia mente si svuota. Non ho idea di cosa potrei dirle per riguadagnare quel poco di dignità che lei mi ha lasciato. Alice porta la mano alla bocca, spalancando gli occhi e, anche se non lo sto guardando, so che Samuel è a dir poco soddisfatto della risposta della Candida.
"Woah." esclama Richard, pulendosi la bocca con il dorso della mano. Si prepara a dire qualcos'altro ma Quattro decide di cambiare argomento.
"Oggi appenderemo le prime classifiche del secondo modulo." dice abbassando lo sguardo sul suo piatto "Stavolta sarà più difficile. Dal momento che siete rimasti in diciotto." alza lo sguardo, scrutando le facce degli iniziati "Dovete classificarvi almeno fra i primi dodici. Oppure..." lascia la frase a mezz'aria e punzecchia il purè nel suo vassoio con la forchetta.
"Oppure diventiamo Esclusi, lo sappiamo." sospira Elizabeth, lo sguardo schernitore di prima è sparito. È preoccupata, e lo so anche se non lo dimostra.
Decido di trattenermi dal risponderle, le ho rivolto troppe attenzioni prima, davanti agli altri. Vorrei darle un bacio sulla tempia e dirle che ce la farà, che bastano solo respiri profondi e determinazione per superare le simulazioni. Vorrei cingerle la vita con un braccio e tirarla a me, averla vicino, accarezzarle i capelli morbidi. Ma non lo faccio. Non lo faccio perchè distruggerei la mia reputazione, e anche la sua.
Ma non so quanto potrò resistere.


                                                                                              ***

Le gambe di Elizabeth iniziano a tremare visibilmente ed il suo viso diventa più pallido del solito. Mette una mano sulla spalla di Alice per reggersi in piedi, quando posa lo sguardo sul suo nome scritto sulla tabella.
Alla fine del primo giro del secondo modulo si è classificata al dodicesimo posto, immediatamente sopra la linea rossa, ha trascorso nella simulazione minuti decisamente troppo lunghi. Guardo gli altri nomi. Jonathan si è classificato al primo posto, avendo superato il test in poco tempo, ed ora si sta battendo le mani sul petto come un animale impazzito e gli interni gli fanno i complimenti e lo acclamano a gran voce. Rieccola la sua dignità, penso, l'ha riguadagnata. Alice e Samuel sono all'undicesimo e al decimo posto nella classifica, preceduti da nomi che non riconosco e che non sono intenzionato ad associare a volti poco conosciuti.
Quando poso di nuovo lo sguardo sulla piccola folla di iniziati, cerco Elizabeth fra di loro, ma non vedo nè lei, nè i suoi due amici più stretti. Aggrotto la fronte e faccio saettare gli occhi da un lato all'altro della palestra, e infine la vedo che si dirige a passo pesante al portone della palestra. Samuel le corre dietro e lo stesso fa Alice.
Il Candido la afferra per i fianchi e si china verso di lei, dicendole qualcosa con tono deciso che io non riesco a sentire. La vista delle sue grandi mani poggiate sul suo piccolo corpo mi manda su tutte le furie anche in un momento delicato come questo, soprattutto perchè vedo che lei cerca di liberarsi dalla stretta dell'amico, ma Samuel non accenna a spostare le mani di un centimetro. Alice si unisce al compagno Candido e sussurra qualcosa alla ragazza dallo sguardo spaventato e furioso. Ma Elizabeth non sembra voler sentire ragioni ed esce dalla palestra allontanando i due compagni con un gesto brusco. Svolta a sinistra e sparisce del corridoio.
Congedo gli iniziati, ordinando loro di tornare al dormitorio. Dopo essermi assicurato che i corridoi siano vuoti, mi dedico alla ricerca dell'unica ragazza che vale la pena rincorrere.

                                                                                                                 ***

È passata poco meno di un'ora ed io non ho idea di dove si sia cacciata Elizabeth. Ho messo a soqquadro la mensa e guardato in ogni angolo polveroso del Pozzo, ed il caldo del primo pomeriggio non ha di certo aiutato a rendere la ricerca meno faticosa e sudaticcia. Ero sicuro che non fosse nel dormitorio, era ovvio che volesse stare in un posto tranquillo, almeno per qualche ora prima di sottoporsi di nuovo al Siero della Simulazione. Non sarà sicuramente in un posto affollato, e nemmeno in un posto troppo piccolo, essendo che soffre di claustrofobia. Mi porto una mano alla fronte, fa troppo caldo, qui. Vorrei essere nel mio appartamento, ora, la stanza più fresca della Residenza.
Spalanco gli occhi, fissando un punto impreciso di fronte a me. Come posso essere stato così stupido? L'unico posto tranquillo e spazioso che Elizabeth conosce non può essere che uno. Persino il tunnel che conduce al mio appartamento è isolato dal resto del mondo e non ci passa mai anima viva, neanche Drake, un anziano Intrepido al quale è stato assegnato il compito di guardiano notturno. Inutile dire che non fa un buon lavoro.
Corro attraverso gli stretti ed umidi corridoi della Residenza che conducono al mio appartamento e mi fermo davanti alla porta di legno, tastandomi le tasche dei pantaloni per prendere la chiave.
Ma la chiave non c'è, e per un istante brevissimo vengo preso dal panico. Li ho sempre avuti, quando ero più piccolo, e ricordo che in alcune occasioni finivo persino per terra, annaspando in cerca d'aria. Una volta, quando avevo dieci anni, rischiai di finire in ospedale soltanto perchè mi ero perso nel Quartier Generale degli Eruditi e non riuscivo a trovare la via d'uscita.
Non voglio avere un attacco di panico, non ora che devo trovare Elizabeth, e non per un motivo così stupido. Per un attimo penso che le chiavi mi siano scivolate dalla tasca, quindi guardo per terra disperato. Poi, però, sento il cigolare delle molle dall'interno della stanza, e appoggio la mano alla maniglia, confuso ma incuriosito. Dopo un anno e mezzo, ho imparato a riconoscere tutti i suoni e i rumori che attraversano i tunnel di questa Residenza, e ora potrei metterci la mano sul fuoco: quelo stridìo era esattamente identico a quello delle molle del mio materasso quando qualcuno ci si siede o si alza dal letto.

Apro la porta del mio appartamento e vedo Elizabeth rannicchiata sul letto, che mi dà le spalle.
Alzo gli occhi al soffitto e tiro un sospiro di sollievo. Non è scappata, è ancora qui.
Sembra ancora più piccola in questa posizione, un fagotto di vestiti neri con i capelli scuri sparsi a ventaglio sul cuscino. Il suo piccolo corpo sussulta quando sente la porta aprirsi. Elizabeth tira su con il naso e si raddrizza, sedendosi sul letto, poi si volta verso di me, un'espressione stanca e delusa in viso. Chiudo la porta e guardo la serratura, non mi piace l'idea di non aver la possibilità di chiuderla a chiave. Ho sempre avuto questa dannata sensazione addosso, come se ovunque andassi qualcuno mi stesse seguendo. Non sono paranoico, sono solo previdente.
Elizabeth mi guarda e si schiarisce la voce. Tira fuori dalla tasca dei jeans e mi lancia, con un preciso tiro parabolico, un piccolo oggetto di metallo che produce un debole tintinnìo all'impatto con la mia mano. Apro il pugno, guardando curioso l'oggetto che la Candida mi ha lanciato. Le mie chiavi. La guardo con espressione interrogativa e, senza staccarle gli occhi di dosso, do una o due mandate alla serratura, chiudendo finalmente la porta. Mi sento decisamente più tranquillo, ora, non voglio che qualcuno ci veda in questa stanza. Faccio penzolare le chiavi davanti a me, tenendole con due dita, e alzo le sopracciglia, come a chiedere spiegazioni ad Elizabeth.
"Te le ho sfilate dai jeans in mensa." mormora, facendo un gesto vago con la mano. Ricordo quando mi aveva posato la mano sulla gamba da sotto il tavolo, e mi sento un idiota per non essermi accorto del suo piccolo furto. "Scusa."
Abbassa lo sguardo, distogliendo i suoi grandi occhi castani -ora lucidi ed arrossati- dai miei. "Sapevo che non mi sarei classificata in un buon posto. Andiamo, le hai viste le mie Simulazioni." comincia, la voce rotta dal pianto o dalla tristezza "Ma addirittura il dodicesimo..." apoggia la fronte sul palmo della mano, trattenendo a stento le lacrime.

Mi avvicino al letto e mi siedo davanti a lei, prendendole il viso fra le mani. Il contrasto del colore delle nostre pelli è impressionante: la sua è eccessivamente pallida -forse anche per la faccenda della classifica-, mentre la mia è di un sano colorito abbronzato. Ho aspettato tutto il giorno per poterla toccare, ed ora che lo sto facendo davvero mi sembra che tutto questo non sia reale, come se fosse un'altra simulazione. Ma Elizabeth non potrebbe essere mia una mia paura, perchè è la cosa che più desidero in questo momento.
"Hai già superato al meglio la prima classifica, riuscirai anche nel secondo modulo. Ti aiuterò io, se vuoi. Dopotutto, oltre ad essere il Capofazione, sono anche un istruttore." le mormoro, accarezzandole la guancia con i pollici, lo sguardo fisso sul suo. "E poi, non mi piace l'idea che Quattro ti insegni ciò che posso insegnarti io."
Quando la guardo negli occhi grandi e lucidi, sorrido, e lei ricambia anche se debolmente. Mi sembra che il respiro mi si sia stato strappato dai polmoni e che io stia ora affogando in quel mare di sfumature castane e dorate. Ha i capelli sciolti sulle spalle che le arrivano poco sotto il petto, gli enormi occhi arrossati ma costantemente attenti, anche adesso, le morbide labbra piegate in un sorriso triste. Dopo aver pianto, dopo aver dimostrato il lato più umano che aveva, sembra ancora più bella.
"Grazie." risponde lei a bassa voce, baciandomi dolcemente. È la prima volta che Elizabeth mi ringrazia per qualcosa, ed il suo tono di voce era così dolce e sollevato che spero che non sia l'ultima. 
Ricambio il bacio con più passione, e sento che improvvisamente la camera si è fatta più calda e l'atmosfera più intensa. Dovrebbe essere la stanza più fresca della Residenza, allora perchè sento la pelle che brucia?
Elizabeth mi passa una mano fra i capelli corti e si stacca poche volte soltanto per guardarmi negli occhi, per poi ricominciare a baciarmi con più brama di prima. Faccio scivolare le mani sui suoi fianchi morbidi e la spingo con delicatezza sul letto, facendola stendere sul materasso; lei apre gli occhi e mi guarda sorpresa, ma poi sorride ed il suo sguardo si addolcisce, riempendosi anche di qualcos'altro. Non ho idea di che cosa sia quel qualcos'altro, ma mi fa impazzire.
Tutto ciò che voglio in questo momento è lei, annullare l'inutile distanza fra i nostri corpi e sentire il suo respiro sulla mia pelle. La guardo per alcuni istanti negli occhi, memorizzando ogni striatura dorata e ogni emozione che tradiscono.
Circondo i suoi polsi con le mani e li blocco sul materasso, scorgo nei suoi occhi qualcosa che prima non c'era. Sembra tesa. Ma non può essere. Comincio a baciarle il collo, seguendo la linea nera del suo tatuaggio che scende sulla spalla per poi proseguire dietro la schiena, sinuosa come un serpente. Sono abbastanza sicuro che quella linea faccia parte di un tatuaggio molto più grande, che le prende almeno metà spalla, se non di più. Ed io voglio vederlo. Voglio vedere la sua pelle nuda, voglio tracciare con i polpastrelli ogni curva morbida del suo corpo. Sento il sospiro di Elizabeth sul mio orecchio e percepisco che il mio autocontrollo sta per dileguarsi.
Scendo con le labbra fino alla gola, poi alla clavicola, e mi preparo a scendere anche più sotto...

"Eric..." mormora lei, ma la sua non è una supplica, non è semplicemente il mio nome pronunciato misto al piacere del momento. Vuole dirmi qualcosa, lo so, anche perchè sento che i muscoli dei suoi polsi si stanno contraendo sotto i palmi delle mie mani, come se volesse liberarsi dalla mia presa. Se fosse stata una ragazza qualsiasi, l'avrei ignorata e avrei continuato a baciarle ogni centimetro di pelle. Ma lei non è una ragazza qualsiasi. Lei è Elizabeth, ed io voglio fermarmi. Non voglio finire per sostituire Jonathan nel suo Scenario della Paura. La sola idea mi fa rabbrividire.
Le lascio i polsi e avvicino il suo viso al mio, poggiando gli avambracci sul materasso, all'altezza delle sue spalle. Lei si massaggia i polsi ed io aggrotto la fronte: non avrei mai pensato che avessi potuto farle male. Mi guarda e sospira, poi fa per mettersi a sedere e mi costringe a fare lo stesso. Mi inginocchio sul letto e lei si siede davanti a me, mi prende la testa fra le mani piccole e dalla presa poco decisa. Mi fissa intensamente, ed io vorrei che non dicesse una parola, perchè i suoi occhi riescono ad esprimere cose che le parole non possono esprimere. Devo avere uno sguardo confuso, adesso.
"Non è colpa tua." dice, dandomi un bacio sulla fronte "...Sono tesa. Non ho mai avuto un ragazzo prima d'ora." mormora, tutto d'un fiato. "E poi... Queste simulazioni non farebbero altro che distrarmi. Non voglio che rovinino questi pochi momenti che posso passare con te." Ignoro tutto quello che ha detto, cogliendo solo la parola ragazzo. Sono il fidanzato di Elizabeth.
Il solo pensiero mi fa sentire invincibile. Adesso vorrei soltanto sbandierarlo ai quattro venti, dirlo a tutti. Specialmente a Samuel. O a Stephan. O a qualsiasi ragazzo che osi guardarla con lo stesso desiderio negli occhi che adesso lei sta rivolgendo a me. Non è certo la prima volta che sono stato il fidanzato di una ragazza, ma con lei è diverso. Voglio che tutte queste esperienze nuove -nuove per lei- siano indimenticabili.

Le poso le mani sulle cosce, attento a non sfiorare con le dita punti troppo delicati. Non voglio che pensi che cerco solo sesso, in lei. Se avessi cercato soltanto una distrazione, non sarei mai e poi mai andato a cercarla in una ragazza come Elizabeth.
"Non so neanche come farai ad aiutarmi a superare il secondo modulo." sospira, coprendosi il volto con le mani. Ma non piange, Elizabeth non piange. Elizabeth è forte quanto lo sono io. Se non di più. La guardo con attenzione, come lei è solita fare con gli altri.
Mi sembra così piccola, adesso, con i lunghi capelli bruni che le ricadono davanti alle mani dandole l'aspetto di una bambina. Sposta le mani e le poggia sulle sue cosce, o meglio, sopra le mie mani che ora sono poggiate sulle sue cosce. E poi alza lo sguardo su di me. Ora sono io a sentirmi piccolo, osservato da quello sguardo tagliente, feroce, ma anche attento e dolce. I nostro visi sono vicini ora, così vicini che potrei chiudere gli occhi e ricostruire mentalmente ogni singolo millimetro del suo volto. E così faccio, ma la scena che mi si crea davanti, materializzandosi nell'oscurità, mi fa desiderare di non averlo mai fatto
Immagino i suoi splendidi occhi vivaci senza vita, la vedo galleggiare nell'acqua del fiume sotterraneo, la pelle violacea. E non riesco a sopportarlo. Elizabeth non si suiciderà per una stupida classifica. L'aiuterò. Non so neanche se sia possibile ridurre le paure in una Simulazione, in realtà, ma io lo farò, ad ogni costo.
Do una rapida occhiata all'orologio, che segna le due e mezza del pomeriggio. Mi siedo in fretta sul bordo del letto e mi metto gli scarponi, lancio uno sguardo veloce ad Elizabeth, invitandola a fare lo stesso.
"Vieni con me." farfuglio, e sento il suo sguardo sulla nuca. Rabbrividisco.
"Dove stiamo andando?" chiede lei saltellando sul materasso fino a raggiungermi sul bordo. Si mette gli scarponcini anche lei. Sembra che abbia dei piedi minuscoli, accanto ai miei. Le sue dita si muovono velocemente nel legare i lacci, ed io ne sono quasi ipnotizzato. Aggrotto la fronte. Qualsiasi cosa faccia, mi lascia senza fiato. Non so quanto ci possa essere di positivo in questo.
Mi alzo e mi cambio la maglietta, mettendomene una identica, ma questa profuma di sapone e mi fa sentire meno sporco. Mi metto le mani sui fianchi e sospiro, comprendendo che effetto faranno su di lei le parole che sto per pronunciare.

"C'è un guardaroba disponibile per tutti gli Intrepidi, nella Residenza. Troveremo un abbigliamento adatto a te." spiego, alzando le sopracciglia. Spalanca gli occhi. Continuo a spiegare. "Perchè stasera andrai ad una festa."
Elizabeth spalanca gli occhi e la bocca, bianca in volto come non lo è mai stata.
"Eric. Ci sarà..." comincia, ma poi capisce dove voglio arrivare e le parole le si strozzano in gola.
"...Un sacco di gente. È questo il punto. Ti senti a disagio quando c'è troppa gente, perchè ti senti tutti gli occhi puntati addosso, non è così?" dico, avvicinandomi al letto. Lei è ancora seduta e scuote la testa, rifiutando categoricamente la mia proposta.
"No, no. Assolutamente no, non... Non è una buona idea. Non puoi capire. Non puoi..." la sua voce trema ed io mi avvicino ancora di più, prendendola per un gomito e facendola alzare con troppo impeto. La guardo, spero di non avere un'espressione arrabbiata, in questo momento, perchè non voglio spaventarla più di quanto non lo sia già.
"Elizabeth. Non era un invito. Ci andrai e basta. Vuoi superare il secondo modulo? Cominciamo oggi. Ed ora vieni."
"Ci vedranno." risponde lei, la voce piatta e fredda. Credo proprio di averle messo paura, oppure di averla infastidita. Non si può essere mai sicuri, con lei.
"Non ci va nessuno a quest'ora." dico, indicando con il mento l'orologio analogico appeso alla parete. La prendo per mano e la trascino verso la porta.
"Va bene." sospira lei "Ma non pensare neanche per una frazione di secondo che mi metterò un vestito aderente. O corto. O un vestito in generale."
L'idea di Elizabeth che indossa una minigonna mi distrae a tal punto che mi devo fermare per concentrarmi di nuovo.
"Eric!" sbotta lei, come se potesse leggermi nella mente. Probabilmente l'ha fatto. "Ti ho detto di no!"
"Non staresti male." apro la porta, cercando di sembrare il più disinvolto possibile. Poi ci penso di nuovo. "Non staresti per niente male." mi correggo.

                                                                                                      ***

"È orribile." sta sbuffando Elizabeth, le braccia incrociate sul petto a coprire la scollatura che lei ha ritenuto "eccessiva", ma che in realtà arriva poco sotto le clavicole, rivelando in parte il suo tatuaggio.
Ci troviamo in quello che gli Intrepidi chiamano "L'Armadio delle Iniziate", una stanza di una decina di metri quadri dedicata alla prova vestiti delle novizie. Non c'è un vasto assortimento di indumenti, qui, dal momento che sono tutti neri con qualche accessorio rosso. Ma, dato che Elizabeth si è subito rifiutata di spendere i suoi punti in vestiti più
elaborati -e più corti-, non ho avuto altra scelta che portarla qui. Ho chiuso la porta a chiave, per sicurezza, non voglio che qualcuno ci trovi qui insieme.
Ora sono seduto su uno sgabello di legno e sto guardando Elizabeth, che è visibilmente a disagio. Indossa i suoi soliti jeans neri (l'unica cosa aderente che comprende il suo vestiario) ed ha deciso di indossare una top dello stesso colore che le arriva sopra l'ombelico, rivelando gran parte del suo addome. Per lei, probabilmente, tutto ciò è una tortura. Per me... Di certo non mi dispiace vederla indossare un indumento simile. Non sono mai stato un esperto di moda, non è mai stato il mio campo e non intendo diventare un intenditore proprio adesso, ma penso che su un corpo piccolo e snello come il suo ci starebbe bene anche un sacco della spazzatura.
"Hai detto così anche per tutti gli altri vestiti che ti sei provata, Elizabeth." borbotto, massaggiandomi le tempie con i polpastrelli.
"Ti ricordo che è stata una tua idea. E poi questa maglietta è diversa dalle altre, voglio dire... guarda! Mi si vede tutta la pancia! Chi diavolo si mette una roba del genere?!" sbotta incredula, indicandosi l'addome con una mano. Ma io non vedo il problema, vedo solo i suoi fianchi scoperti che bramo dalla voglia di toccare. Concentrati, sei qui per aiutarla.
"Cos'è, ti fa sentire a disagio?" chiedo alla fine, scacciando i pensieri poco casti che mi si erano formati in testa.
"Ovvio che sì. Vorrei provare a cercare qualcosa di meno..." si volta e fa per avvicinarsi alla fila di vestiti appesi ad una delle pareti della stanza.
"Prendi questo." concludo battendo le mani soddisfatto. Mi alzo dalla sedia con un grugnito. Sono stato seduto per troppo tempo.
"Prego?" chiede, fermandosi in mezzo alla stanza e guardandomi con un'espressione ferita e furiosa in volto.
"Ho detto che prendi questo. Pensa al lato positivo, per questi vestiti non devi spendere i tuoi punti, sono gratis per le iniziate. Specialemente quelle carine come te." dico senza una particolare intonazione della voce. Passano pochi secondi, solo dopo mi rendo conto che le ho fatto un complimento. È la prima volta che le dico qualcosa del genere, ed è stato abbastanza strano. Nella mia mente, ho una lista di aggettivi per descrivere Elizabeth. Stupenda, eccezionale, magnetica, fino a non finire più. Ma nella realtà... Non le ho mai detto niente su come è lei ai miei occhi, o di come mi sento quando alza lo sguardo su di me e mi fissa con quelle sue enormi iridi dorate. O di come mi sento quando lei è vicino a me in generale.

Elizabeth mi guarda, le guance rosse per l'imbarazzo e lo sguardo leggermente minaccioso, e io penso che la sua espressione mi diverta un po'. Anzi, ne sono convinto, e mi rendo conto troppo tardi che sto sorridendo. Quando lei se ne accorge, mi poso una mano sulla bocca e simulo prontamente un improvviso attacco di tosse.
"Ti fa così ridere il fatto che Samuel, Stephan, o qualsiasi altro ragazzo possa guardarmi vestita in questo modo?" risponde lei, tagliente come non lo è mai stata. Penso al modo in cui la guarderebbero gli altri vedendo il suo corpo piccolo ma sinuoso, ai pensieri che attraverserebbero le loro menti, e freno l'impulso di farle indossare una felpa che le arriva fino alle ginocchia.
Il sorriso mi scompare dalle labbra, evaporando come una pozza d'acqua in agosto.
"Non importa." dico, ma la mia voce trema di rabbia. È una bugia. Importa. Importa eccome. "È un test, questo, non stai andando lì per divertirti, ma per superare una delle tue peggiori paure."
Non riesco a distogliere lo sguardo da lei, pensando al fatto che è bastato un banalissimo e stupidissimo top nero per trasformarla in qualcosa che ardo dalla voglia di rendere mia. Lei vede in che modo la sto fissando, capisce a cosa sto pensando -chi non penserebbe a quel genere di cose, con una ragazza come lei di fronte?-, ed alza gli occhi al cielo, infastidita, ma un'espressione divertita -che tenta inutilmente di nascondere- le si forma sul viso.
Ormai ho rinunciato a trattenermi dal guardarla anche quando lei è davanti a me, penso che abbia capito che non riesco più a staccarmi da lei. Mi balena in testa l'idea di Samuel che la spinge al muro, le grandi mani sui suoi fianchi nudi, che le bacia il collo con la stessa passione che ci ho messo io qualche minuto fa nel mio appartamento.
Immagino le sue labbra su quelle della mia ragazza e non riesco a impedire che una smorfia di fastidio mi si formi sulle labbra. Avvampo di rabbia e di gelosia, e vorrei uscire da qui soltanto per pestare Samuel a sangue. Invece mi stacco dalla parete e mi dirigo a passi pesanti verso Elizabeth, che ora ha assunto un'espressione perplessa e forse leggermente intimorita.

Appoggio le mani sui suoi fianchi, e lei è così piccola che riesco quasi a circondarle la vita con le dita. La spingo al muro e la guardo negli occhi, sperando che lei possa leggermi nel pensiero e comprendere le mie preoccupazioni riguardo il suo inseparabile "amico" Candido. Elizabeth sbatte le palpebre un paio di volte prima di incollare i suoi occhi sui miei. Qualcosa attraversa le sue iridi, rendendole più luminose di prima. Penso che lo abbia capito. Penso che abbia capito che bramo dalla voglia di infilare Samuel in un barile e gettarlo dal novantanovesimo piano dell'Hancock.
"Ma se soltanto vengo a sapere che qualcuno si è avvicinato troppo a te, giuro sulla mia Fazione che ci sarà uno spargimento di sangue che tu non puoi neanche immaginare." ringhio, prima di chinarmi per baciarla con passione, facendole dimenticare di respirare. "Prendi questa maglietta, è un ordine. Ora, rimettiti i tuoi vestiti e torna dai tuoi compagni. Preparati per stasera." mi dirigo verso la porta, ma la sua voce insicura -è la prima volta che noto l'assenza di determinazione del suo tono- mi blocca.
"Ci sarai anche tu?" chiede, mi trattiene per una mano prima che io possa toccare la maniglia ed uscire. Esito. Le sue piccole dita giocano nervose con le mie. Sì, eccome se vorrei esserci. Vorrei poter controllarla in modo che nessuno si possa avvicinare a lei o, peggio, toccarla in un modo che so che lei non sopporterebbe. Ma non posso, sia perchè non è la mia prova, ma la sua, e sia perchè ho le simulazioni da registrare, ed è un compito che richiede parecchie ore. Non ho tempo per andare ad una festa, neanche se a quella festa parteciperà Elizabeth.
"È una cosa che devi fare da sola." le rispondo, decisamente più sgarbato di quanto volessi sembrare. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: Sacapuntas