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Autore: Class Of 13    09/02/2017    0 recensioni
[OkaKuri ftw | Raccolta di AU| Feels, fluff e tante risate]
Okabe Rintaro e Makise Kurisu, indipendentemente dal mondo in cui si trovano, sembrano essere destinati ad incontrarsi e ad innamorarsi con la misteriosa complicità di una farfalla azzurra...
#1 - Cooking!AU - Okabe e Kurisu lavorano nella cucina di un lussuoso ristorante di Tokyo.
#2 - Your Name!AU - Okabe e Kurisu si scambiano di corpo. Cosa mai vorrà significare?
#3 - Violet Evergarden!AU - Un maggiore dell'esercito e una silenziosa scienziata si incontrano sotto l'ombra minacciosa della guerra.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is Steins;Gate's choice. El. Psy. Kongroo.'
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Non credo ci siano parole adatte per esprimere quanto io sia affezionata a questa storia. Alla sua prima stesura impiegai davvero tanto a scriverla e il risultato, per quanto fosse una buona partenza di base, presentava un sacco di problemi sia a causa della ruggine che avevo messo su come "scrittrice" sia a causa della pigrzia, che mi aveva impedito di elaborare ulteriormente determinate scene. Se questa storia adesso è bella e struggente è perché Cross- flame ha fatto un immenso lavoro di correzione di bozze, aiutandomi a capire davvero un sacco di cose sul "ritmo" che una storia dovrebbe avere (oltre al fatto che la pigirizia è la mia peggior nemica). Siamo passati da 10.000 parole a quasi 12.500, quindi direi che c'è stato un bel labor limae da entrambe le parti.

Quanto al tema della storia, dal momento che precedentemente non mi ero espressa al riguardo, posso solo dire di essere una fan sfegatata delle opere di Makoto Shinkai, e che certi momenti di Your Name. non smettono mai di commuovermi, anche per merito della splendida colonna sonora. Kurisu e Okabe nel mio cuore sono sempre stati dei perfetti Mitsuha e Taki, i cosiddetti "star-crossed lovers", perciò sono davvero contenta di essere riuscita a scrivere questa storia e di averla sistemata.

Per il resto, come al solito, mi sono divertita a fare un mucchio di citazioni a diverse opere relative a Steins;Gate e mi auguro che qualche hardcore fan come me le colga e ne gioisca (o ne soffra, visto che il 90% delle mie produzioni è composto da sofferenza su foglio virtuale, ma va bene). Vi consiglio anche di ascoltare le OST del film originale, perché i RADWIMPS hanno fatto un lavoro eccelso, ma penso che anche le stesse OST di S;G e S;G 0 vadano più che bene per la storia. Siate un po' voi gli artefici della colonna sonora di questa storia, potrebbe essere divertente.


 


 


«Ogni tanto la mattina, quando mi sveglio, mi capita di ritrovarmi in lacrime.
Mi resta la sensazione che qualcosa sia perso per sempre.
Il sogno che so di aver fatto non riesco mai a ricordarlo.
Però... Sono sempre alla ricerca di qualcuno».


Quando Okabe Rintarō si risveglia, in quella brillante mattinata di inizio primavera, comprende subito come ci sia qualcosa che non quadra. Ad accoglierlo non appena apre gli occhi non c'è il familiare soffitto del Laboratorio, ma quello monotono di ciò che suppone dover essere la sua camera da letto. Pareti tinte di un tenue color glicine, tende e lenzuola di colori pastello. Una piccola scrivania giace contro un muro, una miriade di fogli sparpagliata sulla superficie di legno. Dei peluche piuttosto carini rappresentanti delle mascotte di diversi anime sono abbandonati sul letto su cui stava dormendo fino a qualche istante prima.

Nel momento in cui schizza a sedere, una cascata di lunghi e setosi capelli ramati gli oscura la vista, sparpagliandosi sulle sue ora esili spalle nel momento in cui delle mani piccole e sottili - che scopre essere le sue - si prodigano di toglierli dalla sua visuale.

In preda al panico, le sue mani afferrano istintivamente qualcosa che dovrebbe trovarsi sotto il tessuto della maglia. Non può nascondere il suo disappunto quando ci trova qualcosa di pericolosamente vicino al nulla.

Con incredibile sforzo, si alza alla ricerca di uno specchio, per poi trovarlo sopra il lavandino del bagno (da quando ha il bagno in camera?). Sta indossando una ridicola t-shirt rosa e un paio di pantaloncini neri che appartengono sicuramente ad un pigiama e la persona che ricambia il suo sguardo è una donna dagli occhi azzurri e il corpo snello che non sembra essere molto più giovane di lui.

“...Eh?”

Un urlo appartenente ad una voce femminile che di sicuro non si addice ad uno scienziato pazzo del suo calibro riecheggia per la casa. La delusione si appropria completamente del suo essere mentre osserva con occhi increduli il suo “nuovo” corpo.


“Tutturu!~”

Il bizzarro saluto è ciò che desta, accompagnato da un terribile mal di schiena, Makise Kurisu dal suo sonno.

Kurisu si obbliga ad alzarsi da quello che sembra essere un divano troppo piccolo per le sue gambe lunghe e ossute. È sempre stata così alta? E da quando ha comprato dei pantaloni color kaki?

Davanti a lei si erge una ragazzina bruna, con delle folte sopracciglia e un gran sorriso e la situazione si fa improvvisamente molto chiara e allo stesso tempo terribilmente confusa: qualcosa non è come dovrebbe essere.

Si rende conto di trovarsi in una stanzetta immersa nella penombra e in un quantitativo assolutamente poco salutare di polvere. Un ragazzo decisamente troppo… tondo per i normali standard siede davanti ad un PC, ridacchiando. Qualcosa nella sua risata la turba.

Quando si passa una mano sul volto non può evitare di sentire l’affilatezza dei suoi zigomi e l’accenno di barba sul suo mento. «Uhm… potresti dirmi dove si trova il bagno?»

La ragazza, dopo aver rivolto a Kurisu un cenno interrogativo con la testa, risponde subito. «È lì, Okarin». Punta il dito alle sue spalle . «Ci vai sempre--».

Kurisu ignora il resto dei commenti della ragazza e corre in bagno, sbattendo la porta dietro di sé. Nel momento in cui si gira si trova di fronte ad uno specchio che riflette l’immagine di un ragazzo sui vent’anni dai capelli neri tirati disordinatamente indietro e che indossa un polveroso camice bianco su una semplice t-shirt.

Nel momento in cui si accorge che c’è effettivamente qualcosa tra le sue gambe, lancia un grido che minaccia di crepare tutti i vetri dell’appartamento.


Per tre volte, quella settimana, si ritrovano a fare degli strani sogni che somigliano tanto alla vita di qualcun altro. Il ricordo, al loro risveglio, è qualcosa di indistinto e sfocato, ma le reazioni delle persone attorno a loro non lasciano spazio ad altre possibilità sull'accaduto.

Maho Hiyajō, sua collega e rispettata “senpai” di Kurisu presso la Victor Chondria University, la osserva con sospetto, quasi stesse cercando di esaminarla. Non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel momento in cui la sua analisi giunge al termine.

«Ah, oggi sembri normale, finalmente».

«Normale? Non capisco di cosa tu stia parlando, senpai», risponde confusa.

«Te ne sei dimenticata? Prima dimentichi il tuo nome, poi come parlare inglese e infine hai dimenticato le credenziali di accesso ad Amadeus. La gente del laboratorio sta cominciando a chiedersi cosa ti sia successo.»

Kurisu Makise, di lì a qualche mese diciottenne e affermata neuroscienziata in un prestigioso istituto americano, ricorda qualcosa e improvvisamente a chi dare la colpa dell'accaduto, anche se la cosa va contro ogni possibile teoria scientifica che passa in rassegna nella sua mente.
Il giorno prima aveva avuto uno strano sogno in cui si svegliava su un polveroso divano nei panni di un ragazzo dall’aspetto ordinario, circondata da persone che non conosceva. Subito dopo i suoi colleghi più anziani nel laboratorio le avevano fatto presenti alcuni cambiamenti piuttosto sospetti nel suo comportamento di cui lei non era a conoscenza.

Aveva brevemente preso in considerazione una perdita di memoria a breve termine, ma le reazioni dei suoi conoscenti suggerivano come non fosse quello il caso. Perciò, dopo un’attenta analisi degli eventi era arrivata alla conclusione che ciò di cui erano stati testimoni fosse una personalità completamente diversa dalla sua.

Con un sospiro si lascia cadere sulla sedia davanti alla sua scrivania, decidendo di focalizzare la propria attenzione sulla revisione della tesi che avrebbe dovuto consegnare quella settimana. Scorrendo le pagine qualcosa attira il suo sguardo. Porta l’orlo di una pagina più vicino al suo volto e Kurisu riconosce una serie di disordinati caratteri giapponesi che recitano:

Si può sapere chi sei?

Kurisu osserva la frase per qualche istante ed improvvisamente è certa che, nei giorni passati, un qualche fenomeno strano e straordinario abbia colpito il suo cervello.

 



Quella mattina la figura imponente del Professor Alexis Leskinen la saluta con un gran sorriso e Kurisu nota immediatamente il dispositivo di traduzione che il suo superiore è solito indossare durante i suoi viaggi all’estero.

«Ah, Kurisu! Ohayō gozaimasu, kyō wa genki desu ka?».

«-- La ringrazio, Professore, ma oggi sono finalmente tornata in perfetta forma, perciò non è necessario che ne faccia uso. Chiedo scusa per la mia performance degli scorsi giorni», risponde in fluente inglese.

Vedere il professor Leskinen rivolgersi a lei nella sua lingua natia è un’ulteriore conferma della sua ipotesi: lei e quel misterioso ragazzo si stanno scambiando i corpi. Per una conferma più definitiva prende una penna e scarabocchia qualcosa in hiragana sulla sua mano destra:

 

Chi sei TU,  piuttosto!
 


«Okarin, amico, credo che sia finalmente giunto il momento in cui tu abbia perso completamente la testa».


Rintarō Okabe, diciotto anni, studente di Ingegneria Elettronica alla Tokyo Denki University, guarda il suo fido braccio destro, Itaru Hashida - detto semplicemente "Daru" -  con aria perplessa.

«Taci, SupaH HackaH. Io sono il folle scienziato pazzo Hōōin Kyōma, è normale che il mondo fatichi a comprendere il mio genio!», esclama con fare teatrale  incrociando le braccia in una posa altrettanto esagerata.

«Oooh, Okarin è tornato se stesso, Mayushii è così felice!».

Mayuri Shiina, sedici anni, sua amica d'infanzia, gli corre incontro abbracciandolo con più esuberanza del solito. Quando sente qualcosa di morbido premere contro il suo addome, per qualche misterioso motivo, anziché provare il solito imbarazzo, ripensa allo strano sogno che ha fatto: sarebbe stato decisamente migliore se quella ragazza avesse avuto le curve della sua amica. Okabe mette rapidamente da parte l’idea per rispondere alla sua amica.

«Ti ho già detto che il mio nome è Hōōin-».

«Mayushii temeva che ad Okarin fosse successo qualcosa di strano, o che fosse arrabbiato con lei», spiega la ragazza ignorando come al solito le sue proteste. Mayuri allora gli fa presente la propria perplessità sul suo bizzarro comportamento, descrivendo con aria in qualche modo preoccupata come abbia detto di non conoscere nessuno chiamato “Hōōin Kyōma” e che lei non “fosse affatto un ostaggio”.

Lo sguardo di Okabe saetta tra i suoi due amici, non capendo cosa stia succedendo. Cosa intende dire Mayuri con tutto quello?

Dopo qualche istante di riflessione decide di attribuire la sua confusione all'essersi svegliato da poco, così si prodiga a porre rimedio al problema ingurgitando per metà una bottiglietta di Dr.Pepper.

«Molto meglio. Sento già le mie sinapsi tornare a funzionare a dovere grazie all'elisir degli intellettuali».

La sua attuale situazione si fa ancora più bizzarra con il passare dei secondi e Okabe comincia a domandarsi come le cose possano essere andate così. Lui è un folle scienziato pazzo ma ciò che è accaduto va ben oltre la sua solita follia, a meno che non ci sia qualcosa che non sta tenendo in conto.

Ripercorre rapidamente gli eventi della settimana appena trascorsa e improvvisamente ricorda: un paio di giorni prima aveva avuto uno strano sogno in cui stava vivendo la vita di una giovane donna… “Kurisu”, forse?

“...Che ci sia una connessione tra di loro?” Inizia a teorizzare.

Daru lo interpella all’improvviso, interrompendo i suoi pensieri.
«Okarin, che diavolo hai sul braccio?» .


Sollevando appena la manica sinistra del suo camice, Okabe trova una scritta nera che era sicuro non fosse stata lì, quando era andato a dormire la notte precedente.

Chi sei TU, piuttosto!

E improvvisamente realizza che non è stato un sogno. Lui e quella misteriosa ragazza si stanno realmente scambiando i corpi.

 


Anche se avevano finalmente superato il problema della comunicazione, ciò non significava che fosse facile vivere in un corpo diverso dal proprio.


La tabella di marcia lavorativa di Kurisu è assurdamente piena e, al termine di ogni giorno vissuto nel corpo della giovane scienziata, si sente come se il suo cervello sia sul punto di esplodere, anche se il “suo” corpo sembra essere abituato alla mancanza di sonno e alla costante alimentazione a base di caffeina. Un giorno in particolare, mentre cerca di comprendere le basi sul funzionamento di un cervello umano, Okabe si addormenta nel poco familiare laboratorio della Victor Chondria University, sbavando molto poco educatamente su tutti i suoi appunti.

Perché nella tua vita tutto sembra ruotare attorno alla scienza, zombie?
Non mi sorprende che tu non abbia un ragazzo. ( ̄▼ ̄)

Perché è il mio lavoro, duh.
Non ne ho uno semplicemente perché non ne voglio uno. (¬▂¬)

 

Ma che razza di faccia di bronzo è lui per prenderla in giro per il suo essere single? Non è che la sua situazione sia molto diversa dalla sua; è abbastanza sicura del fatto che le sue capacità di socializzazione siano pressoché inesistenti, data la… “variegatezza” di quel gruppo che sono i suoi amici. Almeno lei ha avuto la sua buona dose di spasimanti ma è troppo concentrata sulla sua ricerca per prestar loro attenzione.

Sì, bella scusa, Christina. Molto credibile.

Razza di idiota! E poi non è che tu abbia una ragazza, eh.
E chi sarebbe “Christina”?

Sei tu, ovviamente.
Nullpo.

Non ricordo di averti mai dato il permesso di assegnarmi soprannomi. (`A´)
GAH!

 

Hōōin Kyōma non ha bisogno di alcun permesso, Kurigohanandkamehameha.

Grazie alla citazione di quel familiare nickname Kurisu viene a sapere che Okabe ha scoperto il suo account di @channel prendendo parte a diverse discussioni e shitpostando a suo nome durante l’orario lavorativo. La cosa le procura una tale rabbia da spingerla a chiamare immediatamente il numero che lui le ha fornito, determinata a farlo pagare per le sue malefatte.
La sua rabbia non fa altro che aumentare nel momento in cui una voce gentile risponde che il numero da lei chiamato è inesistente, rivelando che quello fornitole da quell’idiota di uno scienziato pazzo è falso.

Che hai combinato con il mio account di @channel?


4.37 del mattino? Ti cibi mai di qualcosa che non sia caffeina, ragazza geniale?
Ho semplicemente fatto ciò che, tu, mia cara @chan lovely, avresti fatto. ( ̄▼ ̄*)


Piantala di prendermi in giro, mi hai persino dato un numero falso!
Non hai il diritto di farmi la predica quando sei il primo a vivere di ramen al sale di bassa qualità.
Non che sia preoccupata per la tua salute, ovviamente. ( ̄⊿ ̄)

 

Tsundere orz. ( ̄ー ̄;
Invece di fare scorta di quelle tue pessime bibite energetiche dovresti mangiare ciò che tua madre prepara per te, falle un po’ di compagnia. Sembra che si senta sola.

 

Non sono una tsundere! ヽ(*゚д゚)ノ

Smettila di ficcare il naso nei miei affari personali. (ʘдʘ╬)

Ad ogni modo… cercherò di essere più presente.


Okabe è un patetico idiota per gran parte del tempo, ma Kurisu ha cominciato a comprendere come sappia essere una persona (quantomeno) decente. Lo ha visto nello sguardo triste eppure felice di Mayuri nel ricordare un’infanzia che questo corpo, e non la quasi diciottenne che lo ha preso in prestito, aveva vissuto.

Okabe sembra anche dividere il suo tempo tra i propri amici - che, per qualche motivo a lei sconosciuto, paiono avere davvero una bella opinione di lui - e le lezioni in università. I suoi voti non sono terribili come aveva immaginato (e la prima impressione che aveva avuto di lui era quella di un idiota) e il suo aspetto è tutto sommato decente (anche se doveva davvero smettere di sfoggiare quel suo outfit da “mad scientist”). Ad un certo punto, senza alcuna vera ragione, Kurisu si chiede come mai, pur essendo circondato da belle ragazze che lo hanno in gran considerazione, Okabe non abbia mai ricevuto una dichiarazione da nessuna di queste.

 

Ecco perché decide di rimboccare le sue - no, le sue - maniche e prendere in mano la situazione.


Kurisu Makise è una scienziata prodigio di soli diciassette anni apparentemente stimata da tutto il mondo accademico. Eppure si sta accorgendo di come sotto quel titolo ci sia molto di più. L'agenda di Kurisu è formata al 90% da impegni lavorativi, scadenze e conferenze da tenere, con qualche buco per pranzare e cenare con sua madre (aveva ascoltato il suo consiglio, a quanto pare!).


Le sue mail recitano tutte nomi di illustri scienziati, primi tra tutti Maho Hiyajō e Alexis Leskinen, e nella sua vita nulla sembra corrispondere a ciò che una ragazza di diciassette anni normalmente fa. Non avendo amici, Kurisu a quanto pare non possiede nemmeno un ragazzo né tantomeno la possibilità di conoscere qualcuno di interessante; eppure, adesso che la guarda meglio allo specchio, i suoi occhi sono di un colore raro e circondati da ciglia lunghe e scure. I suoi capelli sono lisci come seta e di un bel colore ramato. Ignorando il suo seno pressoché inesistente, la ragazza ha sicuramente l’aspetto fisico dalla sua parte: se Kurisu volesse uscire con qualcuno ci sarebbero moltissimi potenziali interessi romantici che affascinerebbe con facilità.

Perciò Okabe decide di prendere in mano la situazione.


Si può sapere cosa hai combinato?!
Amadeus mi ha riferito che non hai fatto altro che chiamarla "Christina".
Adesso tutti quanti in laboratorio mi prendono in giro con quel tuo odioso soprannome! (TдT)

Tu e quell'intelligenza artificiale siete due esseri demoniaci, sappilo. ┬─┬ノ(ಠ_ಠノ)
Inoltre "Christina" è il tuo nome, quindi non vedo perché non dovrei usarlo.
Al Professor Leskinen è piaciuto così tanto che si pente di non averti chiamata così da subito. Lui ed Hiyajō ti sono davvero affezionati.

Insultami ancora una volta e trasformerò la tua corteccia cerebrale in un vaso da fiori. (ʘдʘ╬)
Lo dirò ancora una volta: non c’è nessun “tina”, sono stata chiara?
E ti ho detto di non impicciarti nella mia vita privata.
… Piuttosto dovresti concentrarti sul conquistare il cuore di Mayuri. ღゝ◡╹)ノ♡

Taci, verginella americana.
Mayuri è soltanto un’amica d’infanzia.  =( ̄□ ̄;)⇒

 


Quando Rintarō Okabe si sveglia, in quella calda mattina del 28 Luglio, ha la strana sensazione di dover controllare con urgenza il suo telefono cellulare. Una nota di Kurisu risalente alla sera prima giace non letta sullo schermo del suo smartphone:


Buongiorno, Okabe!

Se stai leggendo questa nota significa che oggi è un grande giorno per te e che, per una volta, mi vedo costretta ad invidiarti.
Mayuri Shiina ti aspetta alle 10.30 davanti alla stazione di Akihabara per un appuntamento romantico dal momento che “tu” l’hai invitata. Visto l'entusiasmo con cui ha accettato e conoscendo la tua assoluta incapacità di relazionarti con il genere femminile - per non parlare dei tuoi pessimi gusti in fatto di abbigliamento - ho preparato per te un completo adatto all'occasione, lo trovi ripiegato sulla sedia davanti alla scrivania.
Ho prenotato a tuo nome in quell'adorabile café estremamente popolare di fronte alla stazione di Ikebukuro, sii galante e offrile tutto ciò che ordina e, soprattutto, cerca di fare conversazione (anche se sono sicura che la cosa non risulterà difficile, considerato il lungo tempo di conoscenza tra te e Mayuri).

In caso dovessi trovare difficoltà, ti lascio alcuni indirizzi contenenti delle utili dritte per dei verginelli pervertiti senza esperienza come te!  (◠‿◠✿)


Okabe scatta immediatamente a sedere nel momento in cui si accorge che ha solo mezz'ora di tempo per rendersi presentabile.

Mentre si prepara ad una velocità allarmante (rischiando di finire lungo disteso sul pavimento più di una volta nell'infilare gli stretti jeans che Kurisu gli ha rifilato) maledice quella donna e la sua tendenza a trattare la sua vita sentimentale come uno dei suoi esperimenti. Mayuri è molto molto carina, è gentile e ha un gran cuore, e per questo motivo Okabe le ha voluto un gran bene sin da quando erano bambini, ma non è affatto sicuro che il tipo che affetto che prova sia di tipo romantico come la scienziata sostiene.

§

 

Quando Mayuri lo vede correre affannato verso di lei, lo accoglie con il suo solito saluto ("Okaaarin! Tutturu~") e un sorriso anche più brillante del solito. Non le dà alcun fastidio il ritardo di Okabe nonostante lui la inondi di scuse imbarazzate.

Il treno per Ikebukuro è pieno fino all'orlo di passeggeri al punto che qualcuno spintona la piccola figura di Mayuri per entrare. La sua “partner” finisce con l’essere schiacciata contro il suo petto e l’imbarazzante posizione lo costringe ad arrossire. Dopo alcuni istanti Okabe si ritrova ad essere a disagio, anche se non a causa della loro vicinanza. C’è qualcosa in tutto ciò che proprio non gli va giù; in tutta onestà è come se stesse uscendo assieme a sua sorella, piuttosto che con una potenziale fidanzata.

Sulla strada per il café lui e Mayuri parlano come sempre: tutto ciò che Okabe riesce a buttar fuori per mantenere viva una conversazione è il solito nonsense sull'Organizzazione e i “complotti orditi dai suoi quattro leader”, i cui nomi vengono puntualmente (e innocentemente) distorti dalla più piccola.

Poco dopo, però, i suoi sforzi si rivelano essere vani, dal momento che, mangiando, si rende conto che gran parte della conversazione è tenuta in piedi da Mayuri. Okabe finisce inevitabilmente in preda al panico e si congeda per un momento in bagno per trovare nei link lasciatogli da Kurisu qualcosa che non renda il suo appuntamento un completo fiasco.

§

Okabe sente l'imbarazzo e la frustrazione crescere esponenzialmente man mano che scorre le pagine a cui i link lo reindirizzano, tutte con titoli odiosamente simili scelti sicuramente al fine di prenderlo in giro: "Appuntamenti for dummies", "Come conquistare una ragazza anche se si è dei totali incompetenti", "Relazioni sentimentali e chūnibyō: perché non possono coesistere?", "Perché la mia ragazza mi ha scaricato? Eppure ho detto di avere dei poteri sigillati nel mio braccio destro!".

Okabe avverte un moto di frustrazione nel momento in cui si rende conto che probabilmente questo è il modo di Kurisu di vendicarsi dello scherzo di @channel.

«Quell’essere demoniaco».

 

§


Nel tardo pomeriggio, quando il sole sta ormai tramontando dietro gli alti grattacieli di Tokyo, si lascia trascinare da Mayuri al palazzo di Radio Kaikan, dove è stata allestita una mostra sul cervello umano. "Sono sicura che ad Okarin piacerà questo posto!" commenta la ragazza dai capelli corvini mentre indica le locandine affisse all’entrata. Le congetture da chuunibyou di Okabe cessano mentre quest’ultimo dedica loro la propria attenzione. Si prende persino la briga di leggere una strana tesi su come i ricordi umani possano essere “digitalizzati” fino a che un colpetto sulla sua spalla non lo interrompe.

«Uhm, Okarin… Ti dispiace se Mayushii ti chiede una cosa?»

Okabe le rivolge uno sguardo interrogativo, deglutendo mentre l'ansia comincia a diffondersi sottile sotto la sua pelle e nel suo sistema nervoso: “Non dirmi che ha intenzione di dichiararsi. Sarebbe… complicato. Gli scienziati pazzi non sanno come funzionano i sentimenti!

Non si rende nemmeno conto di star annuendo con vigore fino a che Mayuri non gli rivolge nuovamente la parola.

«Fino a qualche settimana fa ad Okarin piaceva Mayushii, vero?».

Quasi soffoca nel sentirsi rivolgere quella domanda, e le parole gli muoiono in gola, costringendolo a boccheggiare senza emettere realmente alcun suono.

«Sai, Mayushii se ne era accorta, ed era felice, perché a Mayushii Okarin piace così tanto! Non importa se è Hōōin Kyōma o Okarin, la persona gentile che mi ha invitata ad uscire», prosegue Mayuri con un sorriso venato di malinconia. Okabe, nonostante il continuo vorticare dei suoi pensieri,  la ascolta con attenzione, in attesa del "ma" che sa essere in procinto di giungere.

«Eppure Mayushii ha la sensazione che le cose non stiano più così. Oggi ne ha avuto semplicemente conferma. Okarin proprio non riesce a vederla come Mayushii vede lui...».

Le sue labbra si stendono in un sorriso triste e la sua voce si fa simile a quella di un bambino che sta trattenendo a fatica le lacrime prima di concludere: «... perché Okarin si è innamorato di un'altra ragazza, non è vero?»

Okabe si sente avvampare fino alla punta delle orecchie. «N-no, Mayuri… C-cosa stai dicen-».

«Mmmh-mh», lo interrompe lei scuotendo coraggiosamente il capo. «Non c'è bisogno di dire una bugia perché Mayushii stia meglio». Alza lo sguardo, la voce che le trema in maniera appena percettibile. «A Mayushii importa soltanto che Okarin sia felice».

Okabe abbassa il capo, incapace di rispondere. Al momento non sa davvero come sentirsi, ma Mayuri, proprio come ha dimostrato in passato, ha sempre ragione e perciò dev’essere così anche in questo momento; cos’altro potrebbe dirle senza finire con il mentire spudoratamente?


«Adesso sarà meglio che Mayushii vada», aggiunge scuotendo appena il capo. Prima di sparire dietro le porte dell’ascensore aggiunge: «Non preoccuparti troppo per il tuo ostaggio».

Okabe si ritrova senza parole. Il senso di colpa tortura il suo cuore nel ripensare all’immagine del triste sorriso di Mayuri e alle sue parole gentili e non può fare a meno di sentirsi come se l’avesse in qualche modo tradita. Ma perché si sente in quella maniera? Non è che abbia realmente fatto qualcosa di sbagliato ma una voce nella sua testa sembra dare credito alle parole della sua amica d’infanzia.

È… innamorato di qualcun altro?

All’improvviso il volto sorridente di Kurisu appare nella sua mente. Sopprime un sussulto posando una mano sulla propria bocca solo per scoprire come il suo volto sia in fiamme.

Oh.

Alla fine si lascia sfuggire un sospiro, concentrandosi sul vagare tra modelli in 3D del cervello umano e rappresentazioni in computer grafica della trasmissione degli impulsi nervosi, finché un altro cartello non attira la sua attenzione.

"Memoria e intelligenze artificiali: la nuova frontiera delle Neuroscienze", recita, ma non fa in tempo a dedicarsi alla lettura che una voce femminile stranamente familiare richiama la sua attenzione.

«Interessante, vero? Se vuoi saperne di più a breve il Professor Leskinen terrà una conferenza sull'argomento».

L'avrebbe scambiata al massimo per una ragazzina delle medie, se non avesse visto quel volto ogni volta si risvegliava nel corpo di Kurisu Makise.

«Ah, il mio nome è Hiyajō Maho, sono l'assistente del Professore».

«Hi… Hiyajō?», domanda sgomento.

Se Maho è in Giappone assieme al Professor Leskinen, allora anche lei deve essere lì. Perché non lo ha avvertito di una cosa tanto importante?

«Uhm, Okabe Rintarō», dice più nervosamente di quel che vorrebbe. Per qualche motivo  necessita di una grossa presa di coraggio prima di chiedere:

«Lei per caso è una collega di Kurisu Makise? So che avete lavorato insieme a questo progetto».

Maho lo osserva a bocca aperta per qualche breve istante, prima che un'ombra di dolore le offuschi lo sguardo. La sua espressione trasmette un’infinita tristezza mentre le sue labbra si stirano in una linea sottile nel sentire menzionare il nome di Kurisu.

«Quindi lei… Non lo sa?».

Una sgradevole sensazione di gelo gli attanaglia improvvisamente la bocca dello stomaco. «Sapere cosa?».

L'espressione della scienziata, se possibile, si fa ancora più cupa e triste. «Il… 28 luglio dell'anno scorso un aereo di linea diretto dall'America al Giappone è precipitato nell'oceano per colpa di un'avaria ai motori. Non ci sono stati superstiti e… », si interrompe; deve farsi violenza anche solo per terminare la frase.

«… Kurisu era su quell’aereo».



Il resto della settimana passa in un piatto susseguirsi di luce e buio. Kurisu Makise, la persona che ha dato nuovo vigore alla sua vita con la sua presenza un po' saccente ma di buon cuore, è morta, svanita per sempre da questo mondo come il ricordo effimero di un sogno.


Rimane da solo al Laboratorio, senza sollevarsi dal divano se non per bere e andare al bagno, abbandonandosi al dolore nel buio della piccola stanza. Ha chiesto a tutti i suoi amici di lasciarlo solo per un po', rifiutando perfino le gentili parole di conforto di Mayuri, la prima ad essere in diritto di avercela con lui.

Il suo telefono vibra, la luce dello schermo gli fa dolere gli occhi. Mentalmente Okabe incolpa quest’ultima per la lacrime che appannano i suoi occhi, ma in realtà queste non sono che una conseguenza del messaggio che ha appena ricevuto.

Mittente: Mayuri
Oggetto: Sono preoccupata. (。。*)

Tutturu! Sono Mayushii. (´・ω・`)
Ehi, Okarin. Come stai? Daru-kun ha detto a Mayushii che in questi giorni sei più strano del solito, da quando ti hanno detto di Makise-san.
Mayushii spera che non sia colpa delle sue parole, perché non se lo perdonerebbe mai.

Sai, Mayushii ha sempre visto Okarin come il suo Hikoboshi, ma sapeva anche di non essere mai stata la sua Orihime.

Il fatto che la Orihime-sama di Okarin non possa più splendere è doloroso anche per Mayushii.
Mayushii non vuole essere un fastidio, però si sente in dovere di dirti che Hōōin Kyōma non si arrenderebbe così facilmente.
Ti voglio bene.

Il senso di colpa attanaglia il suo cuore. Il suo comportamento sta ferendo i sentimenti di Mayuri, eppure… è lei ad essere convinta che sia tutta colpa sua. Come può anche solo pensare di essere un peso?

Qualcuno bussa alla porta del Laboratorio.

«Uhm, chiedo scusa, per caso Okabe-san si trova qui?».

È ancora così frastornato dal contenuto del messaggio di Mayuri che, senza rifletterci due volte, va ad aprire il vecchio portone di metallo cigolante.  


«Posso…»

Maho Hiyajō osserva il suo volto e la sua espressione si tramuta rapidamente in una di preoccupazione.

«...entrare?».

«Ah… Uhm, sì, certo. Perdona il disordine», risponde distrattamente lasciando libero l'uscio. Maho entra senza troppe cerimonie, lasciando le buffe ciabatte spaiate che indossa davanti al gradino retrostante la porta.

«Ehm, le mie scuse. Il mio bagaglio è andato perduto e mi sono dovuta arrangiare con le prime cose che ho trovato», taglia corto la scienziata sedendosi sul divano. Non perde alcun tempo nel girare attorno alla questione:


«Sarò schietta. Tu… Conoscevi Kurisu, non è vero?».

Si domanda cosa dovrebbe dire in una situazione del genere. Hiyajō è una scienziata ed è certo che non crederebbe ad una spiegazione così assurda come quella dello scambio di corpi. Ecco perché opta per una risposta vaga nella speranza che non inquisisca ulteriormente.


«Sì, ma le circostanze erano piuttosto particolari», spiega accomodandosi accanto a lei. «Potrei raccontare la questione in mille modi diversi, ma non mi crederesti comunque».

«Uno scienziato deve verificare tutte le possibilità», insiste Maho. Le sue parole gli ricordano improvvisamente il modo in cui Kurisu era solita comportarsi e al pensiero il suo cuore si stringe.


«È quasi ironico, sai?», dice Maho, la voce che le trema impercettibilmente. «Pensavo di conoscere Kurisu abbastanza bene ma adesso mi rendo conto che c’è stato un lato di lei a me sconosciuto. Voglio dire, io… io non sapevo nemmeno che voi due foste amici...».


E all’improvviso vede la piccola donna davanti a lui singhiozzare appena. Kurisu aveva sempre avuto un buon rapporto con Maho, o almeno quella era la conclusione a cui era giunto osservando il modo in cui si comportava con “lei”. Farle avvicinare ulteriormente gli era stato naturale, perché nelle parole di Maho Hiyajō, in quel momento come in quelli passati, aveva sempre avvertito un profondo rispetto nei confronti di Kurisu. Uno strano calore gli invade il petto e si ritrova a reprimere il poco appropriato impulso di abbracciare la giovane donna davanti a sé e rivelarle ogni cosa, di salvarla dal dolore che non meritava di provare.

Ed è quello che fa.

§


E così le racconta l’assurda storia di come Okabe Rintarō e Makise Kurisu si sono incontrati e, nonostante l’iniziale esitazione, Hiyajō Maho crede ad ogni sua singola parola. Tra di loro si insinua un lungo silenzio che si prolunga fino al momento in cui Okabe decide di rompere il ghiaccio.

«Hiyajō-san».

«Mh?».

Okabe osserva Maho con incrollabile risolutezza e, commosso dalla sua stessa storia, giunge ad una realizzazione:

«Io… sono innamorato di Kurisu».


L’improvvisa presa di coscienza lo colpisce con la forza di un treno in corsa e tutto ha finalmente senso. Era sempre stato così. Era stato accecato dalla brillante autostima e dal sopraffino acume di Kurisu sin dai primi, guardinghi messaggi che si erano scambiati, al punto da nutrire la convinzione che qualcuno come lui non avesse il diritto di parlare così a cuor leggero con una persona così straordinaria. Era per quel motivo che non era mai stato capace di chiamarla con il suo vero nome, era semplicemente troppo imbarazzato.


Un po’ ficcanaso, orgogliosa e sempre così testarda. Dopo le loro prime conversazioni aveva davvero pensato di non aver mai incontrato una donna così sgradevole. Ma sotto quella facciata fredda e distante si era rivelata così gentile e fragile e dolce. Aveva lavorato così duramente per migliorare la sua relazione con i suoi amici e, nonostante il suo appuntamento con Mayuri si fosse rivelato un fallimento, lo aveva davvero aiutato a fare chiarezza sui sentimenti che provava per lei. Kurisu non era soltanto la persona con cui si scambiava di corpo, lei era… la donna per lui più importante. Colei che, anche provandoci, non avrebbe mai potuto dimenticare.

«Bene», la scienziata gli rivolge un sorriso divertito.

Maho si interrompe per un istante, il suo sorriso che muta in un leggero broncio mentre giocherella distrattamente con le punte dei suoi scuri capelli ribelli.


«Ascolta… la ami abbastanza da essere disposto ad aiutarmi?».

Okabe non esita nemmeno per un istante.

«Lo farò».


Qualcosa in lui si agita, si contorce e pulsa, e Okabe decide di tentare il tutto per tutto: se anche solo una minuscola parte di Kurisu è rimasta in lui, è disposto ad andare perfino in America pur di riportarla indietro.


§

Le undici ore e mezzo di volo che lo separano dall'America sono estenuanti. Da un lato Hiyajō crolla, sbavando in maniera molto poco elegante sulla sua spalla sinistra. Dall'altro il Professor Leskinen - il quale si è subito dimostrato entusiasta nei confronti del suo aggregarsi a loro non appena Maho ha nominato Kurisu - gli propone di vedere un film alla tv inserita nei sedili davanti a loro, premurandosi di inserire i sottotitoli in giapponese.


Alla fine la pellicola si rivela essere una sdolcinata commedia romantica che non ha mai sentito nominare e Okabe si pente presto di aver accettato l’offerta. Non sa se sia peggio il fatto che il rapporto tra i protagonisti gli ricordi terribilmente il suo con Kurisu, o l'espressione ammiccante che Leskinen gli rivolge durante la visione, quasi avesse intuito il tipo di sentimento che lo legava alla scienziata.

Alla fine, stremato dall'imbarazzo e dalle pacche non esattamente delicate del professore sulla sua spalla, cede anche lui ad un sonno agitato, costellato di immagini della vita che lui e Kurisu hanno condiviso per alcuni mesi.

§

Dopo aver lasciato i bagagli nel piccolo hotel dove lui e Maho avrebbero alloggiato, la scienziata chiama un taxi e borbotta all'autista alcune frasi in fluente inglese. Una cittadina scorre davanti ai suoi occhi mentre l'auto gialla sfreccia tra le strade, e Okabe si fa presto l'idea di un posto tranquillo e piacevole, ricco di zone verdi e di case dai colori brillanti.

L'auto li abbandona davanti ad una serie di villette a schiera con giardino, e Maho lo conduce, senza mostrare alcuna esitazione, ad una casa dalle pareti bianche e un albero di quelli che sembrano essere limoni piantato nel prato.

Il cognome sul campanello, scritto in caratteri occidentali, manda un brivido lungo la sua schiena.

Il suo stomaco si ribella e la sua mente sembra non volergli fornire alcun tipo di aiuto facendogli associare la situazione a quella di un ragazzo che incontra per la prima volta i genitori della persona con cui sta uscendo.

Ad aprire la porta è una donna sui cinquant'anni che somiglia quasi a quella che potrebbe essere una versione più adulta di Kurisu, se questa avesse avuto la possibilità di invecchiare: bassa statura, fisico esile, capelli ramati ad altezza spalle e occhi castani. Accoglie lui e Maho con un sorriso triste; anche se Okabe lo osserva farsi rapidamente più luminoso nel momento in cui Maho lo presenta ufficialmente come “un amico che ha conosciuto Kurisu durante uno scambio culturale tra la Tokyo Denki e la Viktor Chondria”.

«Mia figlia era così impegnata con il lavoro da non avere mai tempo di fare nuove amicizie. Sono felice che abbia avuto anche te oltre a Maho-san, anche se per poco tempo. Anche se devo ammettere di essere piuttosto sorpresa, dal momento che non ha mai fatto menzione di te, Okabe-kun».

L'affermazione della signora Makise lo mette in leggero imbarazzo, il rossore che sale prepotente fino alle sue guance mentre distoglie lo sguardo. Okabe avrebbe preferito che la sua mente non l’avesse interpretata come una conferma del fatto che lui sia una delle persone che Kurisu considerava speciali. “Non dare per scontato che le ipotesi corrispondano alla realtà dei fatti”, potrebbe quasi immaginare di sentirla dire.


«Non ho messo mano ai suoi effetti personali; sono esattamente come lei li ha lasciati». C’è una pausa mentre la madre di Kurisu osserva la stanza di sua figlia con chissà quali e quante emozioni. «La affido a voi»

La stanza di Kurisu non sembra essere cambiata da quando “lui” ci ha vissuto, con le pareti rosa pastello e le tende bianche da cui filtra la luce calda del pomeriggio estivo. Sul letto giace ancora quel peluche bianco con una buffa emoji al posto del volto.

«Ha sempre avuto un debole per quel… Coso. Anche se, adesso che lo guardo meglio, ha un non so che di carino», commenta Maho con un sorriso carico di nostalgia.

«Kurisu aveva un lato inaspettatamente tenero, vero?», domanda osservando distrattamente la scrivania.

«Puoi scommetterci», conferma la scienziata guardandosi attorno. «Se quello che mi hai raccontato è vero avrai sicuramente visto come Amadeus Kurisu reagisce alle prese in giro, no?».

Lo aveva visto eccome.

È notte inoltrata e il laboratorio di neurofisiologia della Victor Chondria University è vuoto e silenzioso, fatta eccezione per una singola stanza. Okabe Rintarō, finalmente solo con la controparte virtuale di Kurisu, si sta godendo una bella “chiacchierata” con lei. Anche se è qualcosa di terribilmente imbarazzante da dire ad alta voce, più bisticcia con「Kurisu」più non vede l’ora di incontrare la sua versione reale per la prima volta. Il solo pensiero fa strane cose al suo cuore.


- Stai arrossendo, a cosa stai pensando?
- Taci, Christina!
- Uh? Non c'è nessun "-tina"!
- È il tuo nome, non lo riconosci, forse?
- Il mio nome è Ku-Ri-Su!
- Non ho sentito bene, American virgin.
- Ah! Tu, razza di…

“... affascinante”, commenta, la voce che gli si incrina appena.

Respirare diventa un po' più difficile. Quei buffi scambi tra lui e Kurisu non sono altro che un ricordo pieno di nostalgia, nostalgia per qualcosa che avrebbe potuto esserci ma che non ci sarà mai.
Una folata di vento solleva le tende oltre la finestra socchiusa, e un raggio del sole morente entra con prepotenza nella stanza, tingendola di arancio. Un bagliore argenteo colpisce il suo sguardo: adagiato con un cura sul diario di Kurisu, al centro della scrivania, giace un cucchiaio d'argento finemente decorato.

In Europa si dice che serva a raccogliere la felicità. È un regalo di buon auspicio!

«Quello cos'è?», domanda a Maho indicando l'oggetto.

La scienziata osserva il cucchiaio per qualche istante, accigliandosi. «È un semplice cucchiaio», risponde interdetta dal bizzarro interesse di Okabe nei confronti del pezzo di argenteria.

«Oh, quello».

La voce della signora Makise alle loro spalle strappa a lui e Maho un sobbalzo. Sul volto della donna c'è lo stesso sorriso carico di malinconia che aveva intravisto prima sul volto della scienziata e Okabe sente qualcosa nel petto stringersi. «Quel cucchiaio è il regalo che mio marito fece a Kurisu il giorno del suo decimo compleanno». Il suo sorriso si trasforma in un cipiglio mentre distoglie lo sguardo. «Puoi tenerlo, se vuoi. Sono sicura che Kurisu sarebbe stata d’accordo».


Non sa esattamente cosa dire. Che genere di rapporto pensa che abbia avuto con Kurisu al punto da cedergli un ricordo così importante di lei?

§

Quando sono sul taxi di ritorno verso l’hotel, il cucchiaio è stretto con forza tra le sue dita.

«Beh… Immagino di aver detto una piccola bugia per far procedere le cose senza intoppi, ammette la scienziata senza esitazione e senza distogliere il proprio sguardo dallo smartphone. «Ho semplicemente detto che eri il ragazzo di Kurisu, niente di che».

Okabe sente il proprio viso andare in fiamme. «Questa non la chiamerei una “piccola bugia”!».

Maho alza lo sguardo solo per rivolgergli un ghigno scherzoso. «Andiamo. Sappiamo entrambi che sarebbe andata finire così se tu e Kurisu vi foste incontrati di persona».

«Non puoi saperlo!».

«Ceeerto, posso eccome… se ho letto il suo diario. Era gelosa di una certa Mayuri, ma voleva che tu fossi felice e si è fatta da parte».

«Hai letto il suo diario?».

Maho arrossisce immediatamente. «Mi è stato dato il permesso di farlo! La prima volta in cui ho visitato la sua stanza dopo la sua dipartita sua madre me lo ha ceduto così che potessi leggere con i miei stessi occhi quanta… ehm», si morde il labbro, imbarazzata. «Quanta stima Kurisu nutrisse nei miei confronti». Lo sguardo agitato di Maho si sposta sul paesaggio in rapido cambiamento al di fuori della macchina.

Okabe le rivolge uno sguardo interrogativo. Lei e Kurisu condividevano quella che ai suoi occhi era una splendida amicizia fatta di rispetto reciproco e ammirazione, perciò per quale motivo Maho avrebbe mai dovuto sentire la necessità di avere conferma dell’opinione che la sua collega più giovane aveva di lei?
Prende in considerazione la possibilità di chiederglielo, ma scarta rapidamente l’opzione, sentendo in qualche modo di non avere il diritto di porle una domanda così personale.

Maho rompe il silenzio.

«E-ecco quando mi sono imbattuta nel nome della tua amica!».

Okabe sorride divertito. Kurisu andava nel panico con altrettanta facilità.

«Voi donne siete dei veri demoni».


§

Quella notte non riesce a prendere sonno. Continua a rigirare il piccolo cucchiaio d'argento tra le sue mani, osservando rapito i giochi di luce che si creano sulla superficie metallica quando è colpita dai tenui raggi della luna che filtrano attraverso le tende.

Okabe pensa.

Pensa a quanto sia giunto lontano senza avere in mente nulla che somigli ad un piano. Pensa a quanto quella donna abbia cambiato la sua vita nel giro di pochi mesi. Pensa a Kurisu e quanto vorrebbe vederla in quel momento.

Un timido bussare alla porta della sua stanza lo distoglie dai suoi pensieri. «Uhm, Okabe-san. Sei sveglio?».

Okabe apre la porta per ritrovarsi davanti una Maho Hiyajō in camicia da notte e capelli spettinati e, con una leggera esitazione, la lascia entrare.

«È successo qualcosa, Hiyajō-san?».

Okabe la osserva, stringendo gli occhi nella penombra della stanza. Maho appare ancora più giovane, in quel momento. «Come sai, domani mattina dovrò tornare in università per un impegno di lavoro improrogabile assieme al professor Leskinen, perciò vorrei che visitassi questo posto, prima di prendere il volo di ritorno domani sera», spiega porgendogli un pezzo di carta. Sulla superficie stropicciata, vergato in grandi caratteri occidentali, vi è un indirizzo assieme al nome di un posto che non ha mai sentito.

«Cosa…?».

«Era il posto preferito di Kurisu. È un po' fuori mano, le piaceva andarci per trascorrere un po’ di tempo lontana dal suo posto di lavoro», spiega alzandosi per poi guardarlo negli occhi. «Okabe. In quanto scienziata non dovrei dirlo ma… Io credo davvero che tu possa riportarla indietro. Perciò fa' del tuo meglio».

E, senza dire una parola, Hiyajō Maho gli rivolge un sorriso prima di scomparire dietro la porta della sua stanza d'albergo.

Cercando l’indirizzo su Deloodle Maps scopre che il posto è un vecchio motel andato in fallimento alcuni anni prima. Mentre il pensiero che a Kurisu piaccia un posto così strano in gli ispira in qualche modo tenerezza, non può fare a meno di domandarsi come dirigersi lì debba aiutarlo a salvarla.
Alla fine chiude l’app con un sospiro, decretando di venire a capo della cosa una volta giunto sul posto.

Kurisu forse non aveva mai realizzato quanto fosse stata fortunata ad aver avuto un'amica del genere al suo fianco, ma si sarebbe ricordato di spezzare una lancia a favore di Maho quando avrebbe finalmente incontrato la donna che aveva letteralmente popolato i suoi sogni. Perché lui sapeva che l’avrebbe incontrata.

Con un mezzo sorriso, Okabe si porta il cellulare all'orecchio, senza chiamare nessuno. «Sì, sono io. Quando verrò a salvarti? Non temere, il momento è quasi giunto. Eheheh… Per chi mi hai preso? Ascoltami bene! Io sono lo scienziato pazzo Hōōin Kyōma, e non mi rimangio mai la parola data! Perciò, per adesso, aspettami. Ti libererò dalle catene del tempo che ti tengono prigioniera. Sì, te lo prometto. El. Psy. Kongroo».

§

Quando Maho gli aveva detto che il posto era "un po' fuori mano" si aspettava una buona mezz'ora di viaggio in taxi, ma, quando quest'ultimo lo lascia all'ingresso di un grande stradone che taglia in mezzo al deserto, capisce di aver sottovalutato l'entità delle sue parole.

Cammina in fretta lungo la strada polverosa, mentre il sole si abbassa languido sull'orizzonte, tingendo d'oro e amaranto le dune sabbiose.

Quando finalmente giunge, esausto e sudato, nel luogo indicato sul foglio, scopre che si tratta di un vecchio motel abbandonato. Quattro porte arrugginite una di fianco all'altra si ergono su una balconata comune a qualche metro dal suolo, raggiungibile tramite delle scale ricoperte dalla sabbia trasportata dal vento.

Si lascia andare, sfinito, contro il muro polveroso. È arrivato fin lì. Cosa dovrebbe fare, adesso? Gridare il suo nome? Non servirebbe a niente, ma ciò non toglie che non sappia più dove sbattere la testa. Si aspettava forse che giungere in un luogo caro a Kurisu gli avrebbe permesso di rivederla? Si sente privo di tutta la forza di volontà che lo aveva caratterizzato fino a qualche istante prima.

Infila una mano della tasca dei pantaloni scuri per tirarne fuori un piccolo cucchiaio d'argento, osservando rapito come il panorama si rifletta e si distorca sulla sua superficie ricurva, creando strani giochi di luci, ombre e colori.


Avrebbe tanto voluto chiederle cosa fare.

Di sicuro lei gli avrebbe dato la risposta che cercava. Borbottando timidamente, le guance tinte di rosso e quella scintilla di curiosità nei suoi begli occhi, avrebbe esposto una delle sue complicate teorie come se fosse la cosa più naturale del mondo e Dio soltanto sa quanto sarebbe stata bella in quel momento. La verità è che, anche se non l'ha mai incontrata davvero, gli manca da morire.

Non sa nemmeno lui perché lo fa. È un gesto imbarazzante e che probabilmente non ha alcuna utilità, ma lo fa lo stesso.

Prende il cucchiaino d'argento tra le sue mani e, come se fosse la cosa più delicata e preziosa vi posa appena le labbra. È freddo. Non fa assolutamente niente.

O così pensava.


Per un attimo il mondo sembra fermarsi. Il vento comincia ad ululare e le sue palpebre hanno improvvisamente difficoltà a rimanere aperte. E poi, succede: un mal di testa terribile, un dolore tanto intenso da dargli la sensazione che qualcuno stia aprendo il suo cranio in due e nuove immagini scorrono davanti ai suoi occhi.


«Buon decimo compleanno, Kurisu! Ecco una cosetta da parte mia», esclama l’uomo sui quarant’anni con i suoi stessi occhi azzurri porgendole un pacchetto incartato con cura. Immagina sia qualcosa di leggero. «In Europa si dice che serva a raccogliere la felicità. È un simbolo di buon auspicio!».


Gli occhi azzurri di Makise Kurisu brillano della più pura delle gioie.


Una vertigine violentissima lo coglie, quasi stesse precipitando nel vuoto, risucchiato da una forza pari a quella di un buco nero. Un sottile filo rosso si dipana dal mignolo della sua mano sinistra, estendendosi nell'infinito dello spazio in cui si trova.
 

Nuove immagini invadono la sua mente.


«Guardati, con quel vestitino sembri proprio una principessa! Papà quasi non ci crede che tu abbia già undici anni e… Oh? Mi hai portato un tema da leggere?».


Un padre e sua figlia sono in uno studio, la fioca luce di una lampada ad illuminare i loro volti. Kurisu, in due adorabili codine e un vestitino rosa, porge una serie di fogli al signor Makise. Sul suo volto vi è lo stesso sguardo fiero e imbarazzato che Okabe ama così tanto. «Sì, papà, riguarda quelle macchine del tempo di cui parli sempre», risponde con il tipico sorriso di un bambino che ha tentato qualcosa per la prima volta.

Gli occhi dell’uomo leggono il foglio parola per parola e lui sembra non essere in grado di sopportarlo. In poco tempo i suoi lineamenti si distorcono, il sorriso paterno ormai svanito. Un lampo di rabbia e dolore attraversa lo sguardo di Makise Shōichi e tutto crolla in un istante.

«La mia stessa figlia che confuta i miei lavori… sei soddisfatta, adesso?».

 

Kurisu sente il mondo crollare su di lei, quasi stesse negando la sua stessa esistenza. Mentre il suo cuore va in pezzi Okabe pensa che nessun bambino dovrebbe sentirsi dire parole simili, specialmente da un genitore.


«Ehi, ma quella non è Kurisu Makise? Ha solo 16 anni, no?».


«Sì, è lei. Pare che sia già stata ammessa ad alcuni dei corsi avanzati».

«Proprio non mi piace, ha sempre l'aria di guardarti dall'alto in basso».


Un alto professore con indosso un completo marrone annuncia il suo nome in un giapponese claudicante. «Lavorerà nel nostro laboratorio, d'ora in poi. Non fatevi ingannare dalla sua giovane età, è una signorina piuttosto in gamba».

Gli scienziati del Laboratorio di Neuroscienze della Viktor Chondria University la guardano in cagnesco e Kurisu, con una forza d'animo che stupisce perfino Okabe, li ignora, prendendo posto sul palchetto accanto ad una ragazza dall'aspetto infantile e dai lunghi e disordinati capelli neri.

«Non farci caso», la rassicura la sua collega abbozzando un sorriso. «Facevano così anche con me, all'inizio».

«È un comportamento un po' immaturo, se appartenente a delle persone adulte», constata Kurisu con indifferenza.

Ottiene una risatina in risposta. Una mano piccola e pallida si allunga verso di lei. «Hiyajō Maho, lieta di conoscerti».

Kurisu la afferra.


Osserva Kurisu nel suo corpo che aiuta Mayuri e Rukako nei compiti e che stupisce la commissione al suo esame di Analisi 1, Kurisu che frequenta un corso di cucina cercando di ignorare le prese in giro di Maho - "Oh, Kurisu, c'è qualcuno di speciale a cui vuoi regalare questo dolce?" - Kurisu che scrive "pervertito" a caratteri cubitali sulla sua fronte.


E poi, qualcosa di completamente nuovo…


«Scusami, potresti venire un attimo con me?». 

Vede Kurisu afferrare per una manica un ragazzo allampanato e trascinarlo fuori da quella che sembra essere una sala conferenze.

«Oh, capisco. Il mio fascino di folle scienziato pazzo ti ha colpita al punto da volermi parlare a tutti i costi, non è vero?».

La diciottenne gli rivolge un’occhiata interrogativa prima di profondere in un sospiro. «… è davvero così che vorresti iniziare la nostra prima vera conversazione?».

Lo “scienziato pazzo” abbandona la propria recita.

«Ah? Di cosa stai parlando, scusa? Ci conosciamo, forse?».


Okabe Rintarō la osserva senza dare la minima impressione di averla riconosciuta.

Qualcosa nello sguardo di Kurisu si rabbuia e quasi gli pare di poterle leggere nel pensiero.

«Okabe… davvero non ricordi?», la sua voce si incrina appena. Le sue mani si chiudono a formare due pugni, l’espressione indecifrabile mentre abbassa lo sguardo e i capelli ramati che le coprono il viso. «A che gioco stai giocando?».

C’è un silenzio imbarazzante in cui non possono fare altro che rimanere fermi in piedi fino a che…

«Okarin, tutturu~».

«Ah, Mayuri!», ricambia il saluto. Pare che l’interruzione sia molto gradita.

«Daru-kun ha chiamato per chiederci di raggiungerlo al May Queen, ha detto di aver dimenticato il portafogli…».

«Ah, un attimo solo, devo finire la mia chiacchierata con questa ammiratrice del sottoscritto, Hōōin-».

«Uhm, Okarin… Non c'è nessun altro qui, oltre me e te…».

Si volta per riprendere la conversazione…

… solo per notare come la ragazza sia sparita. Mayuri, ignara come al solito, domanda cosa c’è che non va.


Okabe assiste impotente alla visione di Kurisu che scende di corsa le scale del palazzo di radio Kaikan con un'espressione ferita sul volto e il cellulare all'orecchio mormorando “non sarei dovuta andarci” e “... sì, torno in anticipo”.

… gli ci vuole qualche istante per comprendere le implicazioni della cosa.

«Kurisu!», cerca di gridare, ma in realtà la sua gola non emette alcun suono mentre continua a cadere nel vuoto, il filo rosso che continua a dipanarsi, intrecciandosi, volteggiando e allungandosi ancora. Come poteva aver dimenticato quel loro incontro? Se si fosse ricordato di lei magari non avrebbe preso quel volo che l’avrebbe privata della vita. Se soltanto avesse saputo quanto sarebbe diventata importante per lui…

 

Il destino sa essere crudele, nella sua ineluttabilità. Ti dona ciò che desideri di più per poi strappartelo via nel modo più doloroso possibile, senza preavviso.


Kurisu è seduta sul letto matrimoniale di quella che sembra essere una stanza d’albergo. I suoi occhi sono arrossati e gonfi e tiene tra le sue braccia quella che riconosce come una mascotte di @channel, stringendola al petto prima di alzarsi con un sospiro frustrato.


«Piantala! Datti una regolata, Makise Kurisu!», si rimprovera marciando verso il minifrigo in un angolo della stanza.

Okabe immagina che sia arrabbiata per via del loro precedente incontro e sente una fitta di senso di colpa pungergli il cuore. Gli piacerebbe davvero scusarsi ma sa che, non importa quanto gridi, la sua voce non la raggiungerà. Anche se non dipende da lui il fatto che le loro linee temporali siano sfasate si sente davvero male per aver ferito i suoi sentimenti in quella maniera.


Kurisu sceglie una bottiglia di Dr.Pepper e se ne scola metà in un paio di secondi. Non può fare a meno di pensare che il fatto che si arrabbi perfino per il proprio comportamento sia in qualche modo tenero. Non ha la possibilità di elaborare ulteriormente il pensiero perché Kurisu diventa improvvisamente rossa come un peperone, osservando la bibita come se fosse un qualche essere alieno.

«Questo non è il momento per pensare a cose futili come i baci indiretti!», farfuglia parlando con nessuno in particolare.

Gli ci vuole qualche istante per capire a cosa Kurisu stesse pensando. Sente il volto andare in fiamme nel chiedersi che sapore avrebbero avuto le sue labbra.

All’improvviso la stanza si distorce e l’immagine davanti ai suoi occhi muta in un ambiente familiare.

 



«Aaah! Adesso basta! Sei un uomo adulto, santo cielo! Cosa sono tutte queste fandonie sull'Organizzazione? Solo parlarti è imbarazzante». 


Kurisu è sola nella sua stanza, con ancora indosso il suo camice da laboratorio e una strana espressione sul volto. Dalle sue parole Okabe intuisce come il suo monologo sia in qualche modo diretto a lui.

«E poi il tuo senso della moda è osceno! Di che colore sono quei pantaloni? Sembra che ci sia cresciuto sopra del muschio. Farai bene ad indossare il completo che ho preparato per te, all'appuntamento».

Kurisu si ferma un attimo, respira pesantemente e tira su col naso. Okabe sente il petto dolergli e prova il folle desiderio di allungare una mano per carezzarle una guancia, ma il suo corpo sembra non rispondere ai comandi.

Ignara di tutto, Kurisu continua a parlare tra i singhiozzi. «Insomma, un tizio privo di attrattive come te non potrebbe mai essere il mio tipo…».

E all'improvviso la vede crollare in ginocchio sul pavimento, le lacrime che le bagnano il viso e le mani che cercano di fermare i singulti che le scuotono il petto. Okabe non sa cosa le sia successo, ma sente il cuore stringersi a quella visione.


«Allora io vado, senpai», si congeda Kurisu trascinandosi dietro la sua valigia. 

«Fa' buon viaggio e ricordati di portarmi qualche souvenir dal Giappone», la saluta Maho con un mezzo sorriso.
«Sarà fatto!».
«E fammi sapere com'è andata con quel ragazzo!».
Kurisu arrossisce improvvisamente. «N-non è che io stia andando in Giappone per lui o qualcosa del genere…».
«Certo, certo. Eppure sono sicura che la conferenza di tuo padre non sia l'unico motivo per cui stai tornando in Giappone», controbatte Maho con un sorriso sornione.
Kurisu si volta nella direzione opposta, dirigendosi verso il tunnel d’imbarco con le guance rosse ad incorniciare il suo sorriso.

 

Il luminoso e vivace aeroporto si trasforma in una stanza più buia e certamente più piccola. I suoi occhi hanno bisogno di alcuni istanti per abituarsi al cambiamento, ma presto una figura familiare prende forma davanti a lui.

Kurisu dorme pacificamente su un sedile della prima classe di un aereo, i capelli sparsi attorno a lei come un'aureola ramata. Non c’è alcun suono oltre al quieto borbottio del motore dell’aereo e al suo respiro regolare. Una voce gentile annuncia che sono in volo sull’Oceano Pacifico e che atterreranno all’Aeroporto Narita di Tokyo tra 10 ore.
L’atmosfera rilassante del volo è interrotta da un boato improvviso seguito da tremori fortissimi. I bei occhi azzurri di Kurisu si aprono mentre un’espressione allarmata si dipinge sul suo volto e Okabe sente il bisogno di correre verso di lei per portarla via dall’inferno che si sta scatenando.

Ancora una volta il suo corpo non obbedisce ai suoi ordini e Okabe maledice la propria impotenza.

Quando Kurisu realizza ciò che sta succedendo è già tardi: seguono solo il buio più totale, un impatto terribile e la sensazione dell’acqua gelata che invade i suoi polmoni.


 

 

Okabe si sveglia di soprassalto, annaspando. Quando finalmente il suo respiro sembra prendere un ritmo più regolare, lascia che il suo sguardo analizzi il luogo in cui si trova.

 

Al posto delle dune sabbiose e del motel semidistrutto, davanti ai suoi occhi ci sono delle ormai familiari pareti dai colori pastello.


«Ehi, ho capito che le hai più grandi delle mie, ma non c'è bisogno di vantarsi così spudoratamente», biascica qualcuno.

Abbassa lo sguardo. Sulla buffa maglietta rosa che indossa c’è una familiare cascata di capelli ramati. Lo sguardo di Okabe saetta sulle sue mani occupate a tastare il seno di Kurisu Makise.

Non può farci nulla se sono così morbide.

«Hi-Hiyajō-san, posso spiegare!».

«Uh? Da quando mi chiami per cognome? Sei sicura di stare bene? Hai forse mangiato qualcosa di strano, ieri sera?».

 

Okabe osserva i capelli scompigliati di Maho e la sua espressione assonnata e improvvisamente il suo cuore viene inondato da speranza e sollievo. Se è tornato nel corpo di Kurisu potrebbe davvero avere la possibilità di salvarla. Sa che è una scommessa e che avrà bisogno dell’aiuto di Maho per avere successo, ed esita un attimo.


«N-no, cioè, voglio dire… Sono soltanto felice di vederti, senpai!».


Maho gli rivolge uno sguardo perplesso e Okabe potrebbe giurare di riuscire a sentire le sinapsi del cervello della scienziata lavorare a pieno ritmo. «Tu non me la racconti giusta. Sputa il rospo».

 

Le rivolge un’occhiata sorpresa. Grazie al tempo trascorso con lei nel futuro Okabe sa che Maho è una persona estremamente percettiva, ma il modo in cui è riuscita a scoprirlo con un singolo indizio è quasi sovrannaturale. Nonostante questo sa molto bene che, in quanto scienziata, è una persona estremamente razionale e che la sua stessa storia è difficilmente credibile.

«Non mi crederesti nemmeno se provassi a spiegartelo».


«Mettimi alla prova».

Lo fa e lei, proprio come l’ultima volta, ascolta con attenzione ogni sua parola e gli crede.

«Il volo di Kurisu è questa sera alle 20.30, dobbiamo trovare un modo per fermare quell'aereo», decreta infine la scienziata con un'espressione mortalmente seria. Fuori dalla finestra il cielo è scuro e costellato di stelle. L’orologio sul comodino lo informa di essersi svegliato alle 3 del mattino.


Passa distrattamente le dita tra i capelli di Kurisu, trovando conforto nel fatto che sia viva mentre percepisce il suo corpo con i propri sensi.

«Ci ho pensato anche io, ma non potremmo farlo senza finire...», Okabe fa fatica a trovare le giuste parole e quelle a cui pensa rendono fin troppo brutale la realtà della morte di Kurisu.

«Di certo non possiamo telefonare in aeroporto e avvertire della presenza di una bomba sull'aereo».

Okabe la guarda come se avesse visto la luce per la prima volta.


«Aspetta, io stavo scherzando».

«Potrebbe non fermare la partenza, ma potrebbe permetterci di guadagnare del tempo prezioso», la interrompe Okabe sentendo un sorriso disperato farsi strada sul suo volto.

 

Sembra che sia giunto il momento di tirare fuori una vecchia conoscenza.

«Hiyajō-san, saresti in grado di costruire qualcosa che possa distorcere la mia voce al telefono?».

Maho Hiyajō lo guarda interdetta per qualche istante, riflettendo. «Posso riuscire a preparare qualcosa di semplice, ma mi ci vorrà comunque un po' di tempo. Cosa hai intenzione di fare nel frattempo?».

Okabe sorride, osservando il sole ormai allo zenit nel cielo d'estate. «Vado ad incontrare Kurisu».

§

La prima cosa che Kurisu sente quando si sveglia è, per la seconda volta, dolore. Le gambe le bruciano e dolgono ad ogni movimento, come se avesse corso la maratona di New York senza un briciolo di allenamento e la schiena protesta nel momento in cui cerca di alzarsi.

Davanti a lei si estendono solo una strada polverosa e le immense dune del deserto, dietro le quali il sole sta inevitabilmente calando. Un piccolo edificio grigio si erge in mezzo al nulla. I mattoni rossi fanno capolino sulla vecchia facciata là dove l’intonaco si è sgretolato e una fila di porte arrugginite si affaccia su una balconata.
Ricordi di questo motel invadono la sua mente e quasi si dimentica dei crampi alle sue gambe.

… cosa ci faccio qui?


Il tremendo ricordo del suo tuffo nel vuoto la assale e per un attimo respirare diventa estremamente difficile.

Non dovrei essere qui. Io non dovrei semplicemente esistere, punto.

Eppure è lì, nel suo posto preferito, ad osservare un magnifico tramonto. In giro non c'è traccia di anima viva, né tantomeno della sua decappottabile rosa. Come ho fatto ad arrivare lì?

Gli ultimi raggi del sole si fanno strada tra le dolci colline di sabbia, tingendo il cielo di sfumature di azzurro, rosa e arancio di cui scopre estasiata l'esistenza solo in quel momento.

Kataware doki.

Con una spallata colpisce una delle porte, non sorprendendosi della facilità con cui questa cede. La stanza all'interno è un cumulo di polvere e detriti, e Kurisu si augura vivamente di non incappare in ospiti indesiderati.

Si fa strada a tentoni nella penombra, raggiungendo il bagno. Lo specchio, sopra il lavandino arrugginito e scheggiato, è integro quanto basta da mostrare l'ombra del suo riflesso, l'immagine di un ragazzo alto e fin troppo magro, dai disordinati capelli neri tirati indietro.

 


 


Il viaggio in taxi gli pare interminabile, più lungo delle innumerevoli ore di volo che lo hanno portato in America. Il tassista lo lascia all'entrata di quello stradone chiuso al traffico che attraversa il deserto, davanti alle transenne che bloccano il passaggio, e con sguardo preoccupato - probabilmente si starà domandando cosa ci faccia una ragazza così giovane nel mezzo del deserto - gli domanda se è “sicura che quella sia la sua destinazione”. Okabe annuisce, osservando la vettura gialla fino a che questa non sparisce dalla sua vista.

Il sole sta tramontando dietro l'orizzonte e, prima ancora che il cervello possa impartire un vero e proprio ordine, le gambe di Kurisu stanno correndo all'impazzata sull'asfalto polveroso. Inciampa nei ciottoli, strappandosi una calza e facendo sanguinare appena il ginocchio, e si scusa mentalmente con la sua preziosa Christina, meditando di farlo di persona, se gli verrà concesso un miracolo.

Corre, corre e corre finché i polmoni non gridano a gran voce il loro bisogno di aria e le gambe protestano. Una voce nella sua testa - nel suo cuore - lo supplica di correre, di fare in fretta, e infine lo vede. Un punto nero sul ciglio della strada, con le porte arrugginite e le scale pericolanti, che si fa sempre più grande man mano che si avvicina.

La milza gli duole e in bocca sente il sapore metallico del sangue, ma quasi non ci fa caso. Si aggrappa alla balaustra arrugginita e urla con tutto il fiato che gli rimane.

«Kurisu!».

Il vento ulula mentre l'ultimo spicchio di sole viene inghiottito dalle dune. Una farfalla di un azzurro brillante svolazza nel cielo che si scurisce, per poi sparire improvvisamente, inghiottita dall'oscurità.

Silenzio.

Okabe?

Si volta di scatto, scandagliando i dintorni alla ricerca della persona a cui appartiene quella voce.

«Kurisu!», grida ancora una volta. «Kurisu, sei… ».

«…lì?».

Sembrava una visione dentro un sogno, qualcosa a cui non avrebbe mai creduto se non lo stesse vivendo in quel momento. Attimi prima stava osservando un tramonto nel corpo della sua persona più importante e adesso...

La sua presa di coscienza è così improvvisa da fargli venir meno le parole.

Un silenzio carico di aspettativa riempie l’aria, Okabe osserva la sua figura come se la vedesse davvero per la prima volta. La sua corporatura esile, la sua pelle pallida, il leggero broncio sulle sue labbra e le guance imporporate. Il solo pensiero che Kurisu sia reale e viva davanti a lui sembra essere troppo da sopportare.

Il suo corpo pare muoversi di propria volontà e, prima ancora di potersene rendere conto, la sta stringendo tra le sue braccia. Una breve esclamazione di sorpresa sfugge dalle sue labbra.

«E-ehi! C-che stai-»

Il suo corpo è tiepido e pulsante di vita e Okabe si ritrova a stringerla con più forza. Con un sospiro tremante Kurisu ricambia lentamente l’abbraccio, le sue mani sottili che si aggrappano al retro del suo camice.

 

«Credevo che non ti avrei rivisto mai più».

«Mi ferisci», risponde con un sorriso carico di tenerezza, «non avrei mai potuto abbandonare la mia cara assistente».

Kurisu si allontana appena. «Non sono la tua-», distoglie lo sguardo e lo scienziato coglie un accenno di rossore sulle sue guance. «- Ah, è inutile».

Okabe pensa di aver aspettato per tutta la sua vita solo per questo momento. Non avrebbe mai immaginato che quella donna forte eppure così fragile sarebbe diventata così importante per lui. Sin dal loro primo scambio Kurisu era diventata il centro del suo mondo, espandendolo oltre limiti che non avrebbe mai pensato di attraversare.

Kurisu, fedele ai propri modi di fare da tsundere fino alla fine, pare non essere dell’umore per fare conversazioni smielate. La sua espressione muta presto in una di rimprovero.

«Anche se sei venuto fin qui, per me rimani sempre un pervertito. Non credere che Hiyajō-senpai non mi abbia detto che mi hai palpato il seno!».

Okabe sente le guance scottare ma trova comunque il coraggio di rivolgerle un sorriso malizioso. «I-il nulla non si può palpare, pervertita ragazza geniale!».

«Taci, verginello pervertito!».

«Senti chi parla, verginella america- ».

Uno strattone al suo camice e un leggero profumo di agrumi gli pizzica le narici.

La sua mente si svuota.

Sono solo lui, Kurisu e la penombra del crepuscolo che li avvolge, quasi come se il tempo si fosse fermato. Le sue labbra sono soffici e delicate. Le sue mani tremano impercettibilmente mentre si alza sulle punte dei piedi. Il suo cuore batte selvaggiamente contro la gabbia toracica e Okabe si ritrova a desiderare che questo momento duri per sempre, che il tempo si fermi.

Ma il tempo è in realtà fugace e Kurisu non riesce proprio a rimanere ferma.

«… non è che l’abbia fatto perché ne avessi voglia», dice Kurisu in preda al panico non appena allontana le proprie labbra dalle sue.

«N-nella commedia di Shakespeare i protagonisti dimenticano l'accaduto nel momento stesso in cui si risvegliano dal sogno. Inoltre esperienze intense come, ma non limitate a, il primo bacio rimangono impresse nell'ippocampo più facilmente e pertanto sono difficili da dimenticare», la sente dire tutto d'un fiato mentre il suo tono si addolcisce. «… non volevo che ti dimenticassi di me».


Okabe sorride con dolcezza, il cuore colmo di amore per Kurisu. «È un vero peccato, mia adorata Christina», comincia in tono borioso mentre lascia scivolare un braccio attorno alla sua vita sottile. «Poiché questa non è stata la prima volta in cui una fanciulla ha ceduto al mio fascino di scienziato pazzo e ha baciato queste mie labbra».

Kurisu apre la bocca con espressione indignata, solo per venire interrotta dalla mano di Okabe che, in un gesto carico di tenerezza, le sposta una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio.

«S-soltanto un bacio», concede, e il suo sguardo sfugge per un attimo a quello dell'altro solo per tornare ad indugiarvi.

Le loro labbra si incontrano di nuovo. All'inizio è lieve come il battito d'ali d'una farfalla. Quel breve contatto, però, quasi a voler sottostare alle leggi della teoria del caos, dà vita a qualcosa di più grande.

Mentre la mano di Okabe le accarezza con delicatezza una guancia è come se i loro campi gravitazionali si attraessero, i loro sentimenti che straripano in un momento sospeso al di fuori del continuum spazio-temporale.

§

«Quindi…», ricomincia Kurisu schiarendosi la voce e rifiutandosi di guardarlo negli occhi. «Quell'aereo è destinato a schiantarsi nell'oceano, non è vero?».

«Sì, a quanto pare c'è un'avaria ai motori», risponde Okabe con schiettezza.

«Sai che non ho intenzione di lasciar morire delle persone innocenti pensando a salvare solo me stessa, no?».

Okabe sorride, e Kurisu rivede in lui Hōōin Kyōma, quell'idiota di uno scienziato pazzo di cui, per qualche assurdo motivo, si è innamorata. «Non mi aspetterei altro da te, Christina. Ma non sarai sola. Hiyajō-san sa tutto e al momento sta lavorando per aiutarci. Sono sicuro che troverete il modo di farcela».

Kurisu annuisce e un lungo istante di silenzio si frappone tra loro. «Il kataware doki…».

«… sta per finire», conclude al suo posto Okabe, tirando fuori un pennarello rosso dal taschino del suo camice. «Dammi la tua mano».

«Eh?», domanda all'istante Kurisu, avvampando.

«N-non in quel senso», gracchia trascinando la punta del pennarello sulla pelle pallida come spiegazione. «Meglio essere doppiamente sicuri».

Kurisu annuisce con entusiasmo, prendendo la mano dello scienziato nella sua. L'inchiostro ha appena cominciato a vergare la prima sillaba quando anche l'ultimo raggio di sole sparisce dietro la linea dell'orizzonte. E Kurisu svanisce all'improvviso, il pennarello che tocca il pavimento polveroso come se non ci fosse mai stato nessuno a reggerlo in primo luogo.

Okabe osserva il cielo ormai scuro, il cuore che duole già con una punta di nostalgia.

Kurisu, fino al giorno in cui potremo incontrarci, tutto ciò che ho… Lo dono a te.

§

«Kurisu».


«Senpai».

L'aeroporto brulica di gente quando lei e Maho riescono finalmente ad incontrarsi, ad una sola ora di distanza dall'orario prefissato per la partenza del volo. Maho la osserva con un sopracciglio alzato, il suo scetticismo più evidente che mai.

«Sei tornata in te, vedo».


«Sì. Lui… è riuscito a darmi una seconda possibilità».


«Lo vedo», commenta la scienziata abbozzando un sorriso. «Prendi questo», aggiunge porgendole un telefono cellulare. «Su richiesta di quel tizio ci ho installato su un'applicazione che modifica automaticamente la voce quando effettui una chiamata, ma non so che cosa avesse intenzione di farci».


Gli occhi di Kurisu si illuminano con una scintilla di comprensione.

«Ho un'idea. Ma, qualunque cosa io faccia… non ridere», borbotta trascinandola con sé in un bagno vuoto. Prende un respiro profondo e preme il tasto di chiamata sullo schermo dove figura il numero di telefono della torre di controllo.

Kurisu comincia a parlare con boriosa superiorità non appena la cornetta dall'altro capo viene sollevata.

.«Fufufufu… Fuahahahahah! Ascoltatemi bene, stolti! Il mio nome è...», Kurisu si ferma, sentendosi persa per un istante. «… beh, non è necessario che voi sappiate il mio nome. Ma sono il folle scienziato pazzo che sovvertirà la struttura di controllo del mondo. Una bomba è stata piazzata sul volo delle 20.30 diretto all'aeroporto di Narita, Tokyo. Questo… è un avvertimento. Non cadete nella trappola dell'Organizzazione o persone innocenti perderanno la vita».

Maho la guarda come se avesse visto un alieno per qualche istante, prima di scoppiare in una fragorosa risata, portando oltre ogni limite possibile il suo imbarazzo.


«A-ad ogni modo!», la interrompe Kurisu. «Ho bisogno di chiederti un altro favore».


«M-mamma… P-papà… D-dove siete? Mammina! Papino!».

Kurisu si fa violenza per trattenere una risata nel vedere Maho piagnucolare, in una sorprendente imitazione di una bambina sperduta, nel mezzo della hall di attesa dei gate d'imbarco.

Come previsto, la farsa mette  in subbuglio tutto il personale del cancello d’imbarco. Le gente corre incontro alla sua amica più grande offrendosi di accompagnarla al banco di Assistenza per lanciare un annuncio ai suoi genitori. In tutta risposta la scienziata si mette a strillare con ancora più forza, catalizzando su di sé l'attenzione di tutti presenti.

Approfittando della distrazione generale, Kurisu sgattaiola nel corridoio d'imbarco, correndo con tutte le sue forze nel momento in cui la voce di qualcuno tuona minacciosa a pochi metri di distanza da lei.

Capitombola nel corridoio dell'aereo con un tonfo sordo e una dolorosa fitta alla caviglia, nascondendosi tra le file di sedili per prendere fiato. Con la coda dell'occhio riesce a scorgere il suo obiettivo, sorvegliato da una hostess: la cabina di comando.
Nel momento in cui prova ad alzarsi, facendo leva sulle braccia, una nuova fitta, più dolorosa, la costringe ad abbassare lo sguardo. Ma ad attirare la sua attenzione non è la caviglia, già livida e gonfia, quanto piuttosto delle parole scritte con inchiostro rosso sulla sua mano destra:

Ti amo.

Sicuramente si tratta di lui, il folle scienziato pazzo, ma, per quanto si sforzi di ricordare il suo nome, qualcosa sembra mancare e, prima che se ne possa rendere conto, la vista è annebbiata dalle lacrime.

È un attimo. Si alza in piedi, incurante del dolore pressappoco lancinante, e si lancia in una corsa disperata verso la cabina di comando, strappando una bottiglietta di Dr.Pepper dal carrello delle bibite.


Quando fa irruzione nella saletta e, sotto gli occhi increduli del comandante e del vice comandante, riversa l'intero contenuto della bottiglia sui pannelli pieni di congegni elettronici, si sente quasi in pace con se stessa.
La caviglia le pulsa e il dolore è così forte da annebbiarle la vista. Quando i due uomini nella cabina la afferrano è tardi; le gambe cedono e il mondo si oscura. Un unico pensiero le occupa la  mente:

Non posso ricordare il tuo nome, così…

§


Ultimamente la sua vita ha preso una strana piega. Alle volte la mattina, appena sveglio, gli capita di ritrovarsi in lacrime, vittima della sensazione di aver perduto per sempre qualcosa di importante.

Strani sogni popolano le sue notti ma, per qualche motivo, non riesce mai a ricordarli. Va avanti nelle sue giornate spinto dal desiderio di trovare qualcosa, qualcuno di imprecisato, di irraggiungibile, eppure estremamente importante, qualcosa che completi il quadro altrimenti monotono della sua vita.

La strada di Akihabara che costeggia il palazzo della radio è affollata come sempre; la gente va e viene in un movimento frenetico ed incessante, mossa da uno scopo. Uno scopo… alle volte Okabe si domanda se ne abbia uno.

Un profumo di agrumi e un lampo di capelli ramati lo distolgono dai suoi pensieri, obbligandolo a fermarsi di colpo in mezzo alla strada quasi avesse visto un fantasma. Nel momento in cui, con estrema lentezza, si volta, si ritrova costretto a soffocare le lacrime, senza sapere esattamente il perché.

Una ragazza dai capelli ramati e gli occhi azzurri lo fissa con un'espressione che, ne è certo, è specchio della sua. Qualcosa nel suo atteggiamento le ricorda una bambina sperduta che cammina senza certezze verso qualcosa di indefinito. Riesce ad accorgersene perché anche lui è così, mentre cammina sotto il limpido cielo estivo alla ricerca di qualcosa che non ha ancora un nome. Ecco perché, nonostante la sua timidezza, decide di rivolgerle la parola.

«Scusami», comincia titubante. «Ma… ho l'impressione di averti già incontrata da qualche parte».

Una ragazza qualsiasi l'avrebbe preso a ceffoni, scambiando quella sua domanda innocente per un terribile tentativo di abbordaggio, ma lei no. Lei piange e, con voce esitante, gli risponde.

«Ah, oh… Che strano, è esattamente ciò che ho pensato io».

«Questa dev’essere la scelta di-», Okabe si trattiene dallo sfoderare la figura dello scienziato pazzo. «… ah, dimentica che abbia detto qualcosa».

Per un lungo istante si guardano negli occhi provando la familiare sensazione di vedere il tempo fermarsi. E mentre, in maniera del tutto accidentale, porgono la stessa domanda sanno di averlo ritrovato.

«Qual è… il tuo nome?».

 

   
 
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