Mettimi
come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco.
Cantico
dei Cantici
-Christian?-
Frugava
nella credenza, le dava le spalle, indossava ancora il pigiama. Si
voltò verso
di lei, la scatola di cereali in una mano, una tazza nell’
altra.
-Che
c’è?-
-Stai
facendo colazione?-
Il
suo sguardo si fece interrogativo e, dopo un attimo, rise. –Non devo?-
Si
guardò intorno nella cucina illuminata dai primi raggi del
mattino, la sveglia
della mamma in lontananza, la coperta malamente buttata sul divano, la
televisione ancora accesa.
Doveva
essere stato un altro dei suoi orrendi incubi.
-Ho
fatto un sogno assurdo, non ci crederai mai. La mamma aveva comprato
uno
specchio e tu l’hai attraversato e c’era una reggia
che di giorno era stupenda
e di notte diventava la casa degli orrori e poi un pazzo mi ha
rinchiuso in un
manicomio e diceva che ero io la matta-
Rise
di nuovo e lei con lui. –Magari
sei
davvero pazza- la punzecchiò, lanciandole addosso una
manciata di cereali al
cioccolato.
-Ehi-
si appoggiò al tavolo, fingendosi offesa.
D’un
tratto, però, una stretta improvvisa le mozzò il
fiato. Si portò una mano
sull’addome, riprendendo fiato, e toccò un
corpetto ricamato, allacciato sulla
schiena.
-Ma
che diavolo è?-
-Cosa?-
-Ma
stai scherzando? Il corpetto, Christian!-
-Belle..
stai bene?-
-Non
lo vedi..?-
Non
lo vedeva? Com’era possibile?
I
lacci strinsero ancora. E ancora. Cercò di strapparselo di
dosso, tirò i lacci,
forzò il tessuto, portò le mani al petto,
ansimante.
-Non
respiro.. –
-Belle,
che ti prende?- la
sua voce era
allarmata.
-Non
riesco a respirare.. – sussurrò appena, rossa in
volto per la mancanza d’aria,
i gesti rallentati, la vista annebbiata.
E,
in un attimo, suo fratello le dava di nuovo le spalle, lei lo chiamava,
e
chiamava, ma nessun suono usciva dalle labbra livide. Non aveva voce.
Lui non
la sentiva.
Il
sogno finiva e il successivo iniziava. Senza tregua.
Ogni
notte, da quando era arrivato il mago, sogni diversi affollavano il suo
sonno.
Un uomo minuto, dai
capelli d’oro, la fronteggiava. Tra loro, a dividerli, una
scia di sangue
spiccava sul terreno candido.
-Sono impronte?-
chiese all’uomo.
Lui annuì.
-Sai di chi sono?-
Annuì ancora.
-Forse ha bisogno di
aiuto-
Annuì una terza
volta.
-E cosa fai ancora
lì? Dobbiamo aiutarla-
-Allora aiutala-
E il fuoco,
improvviso e feroce, lambì la scia scarlatta, innalzando un
muro oltre cui un
uomo minuto, dai capelli d’oro, continuava a guardarla.
Continuamente.
Quando
aprì gli occhi, la trovò lì, accanto
al letto, lo guardava e sorrideva.
Sbatté
più volte le palpebre, strinse gli occhi e poi li
spalancò, cercando di mettere
a fuoco nell’oscurità. Si sollevò sui
gomiti e sbadigliò.
-Ragazzina,
sei inquietante-
Lei
rise. –Mi
ricordo di te-
Si
pietrificò per alcuni secondi, scrutandola come se cercasse
di capire se stesse
ancora sognando, poi, completamente sveglio, si precipitò ad
abbracciarla,
continuando a chiederle se lo stesse prendendo in giro.
-Mi
ricordo di te e dello specchio e ..– storse il naso,
contrariata. –della
casa di cura-
-Beh,
bentornata, era ora- si schiarì la voce, guardandosi
distrattamente le mani.
-E..
Adam?-
Scosse
il capo. –No,
di lui non ricordo ancora
nulla-
-Oh,
suvvia, non disperare, non puoi mica ricordare tutto in una sola volta.
Inoltre, hai ricordato la cosa più importante. Me-
-A
cosa pensi, ragazzina?-
Alzò
gli occhi, puntandoli in quelli dell’amico seduto accanto a
lei, accennò un
sorriso, scuotendo piano le spalle. Era l’alba, non era
più riuscita a prendere
sonno e Maurice l’aveva seguita nella cucina, preparando per
entrambi un the
caldo. Le lanciava sguardi furtivi, di tanto in tanto, soppesandola, ma
non
aveva osato fare di nuovo cenno ad Adam.
Riscaldata
dalla bevanda fumante, le ginocchia al petto, sospirò, ma
ancora non rispose.
-Non
tornerai lì, te lo prometto, Delacroix non ti
farà più del male-
Sorrise,
mentre le lacrime iniziavano a rigarle le guancie e i singhiozzi a
scuoterle il
corpo, senza che potesse fermarli, spingendo via dalla sua testa il
ricordo dei
gradini di pietra, del dolore atroce, dell’odore di bruciato,
inutilmente.
Lasciò che Maurice la stringesse a sé,
rilassandosi in quell’abbraccio e
abbandonandosi al pianto, terrorizzata che ciò che era
successo al manicomio
potesse succederle ancora e sollevata perché, alla fine, i
ricordi erano
tornati.
Si
lasciò cadere sul terreno umido del mattino, sdraiandosi
sulla schiena, gli
occhi rivolti al cielo chiaro e il respiro pesante. Era partito subito
dopo
aver parlato con Belle e aveva camminato a lungo, a passo svelto,
cercando di
mettere più distanza possibile tra lui e la casa che aveva
appena lasciato.
Quella doveva essere una radura poco visitata dall’uomo,
visto lo stato
selvaggio della natura e le molte bestie che gli giravano intorno,
annusando il
suo odore e scrutandolo sospetti. Doveva sembrare loro una creatura
molto
strana, né uomo né bestia. La trasformazione era
già iniziata, sentiva tutto il
corpo formicolare, la pelle indurirsi e la mente confondersi. Il suo
cuore
giaceva ancora nello scrigno coperto di rune, strappato al suo petto,
ma lui
riusciva a sentirlo, nonostante ciò, batteva più
rapido, sempre più frenetico e
contemporaneamente il respiro diveniva concitato. Non era riuscito a
camminare
oltre, il dolore gli attraversava le ossa, i muscoli, fitte appuntite
gli
spillavano i denti, gli occhi, le punte delle dita. Stremato, chiuse
gli occhi,
continuando a cullare nella mente il pensiero che adesso lei era salva.
Ripescò
l’immagine del suo viso rilassato quando leggeva per lui
accanto al fuoco, del
sorriso che gli aveva rivolto, prendendolo per mano e guidandolo fuori
dal
castello, alla luce del sole. Si aggrappò a quel sorriso,
alla stretta sulla
sua mano ruvida, a quell’emozione che non aveva saputo
definire, allora, e che
gli aveva riempito il petto, strabordando.
Si
aggrappò a quei ricordi, sempre più tenacemente,
finché non fu solo il buio.
Riaprì
gli occhi, inspirando rumorosamente. Due occhi gialli.