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Autore: Myn_Khaaru    09/02/2017    1 recensioni
Realtà. Quando mi parlano di realtà, un'amara risata affiora tra le mie labbra. Amara perché più vivo in questa realtà, più trovo che tutto ciò sia irreale. Non riesco a farne a meno, ma tento ogni giorno di fuggire da essa. E ogni giorno fallisco, rendendo sempre più irreale quel poco che ha ancora un senso.
Se non è una maledizione, poco ci manca.
Genere: Azione, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Un tuono che rombava, il cielo che si oscurava.
La pioggia battente che imponeva la sua presenza, nel tatto, nell’odore, nel suono.
Egli si svegliò, stordito, inerme, steso per terra. Istintivamente si alzò, cercò un riparo, nella vana illusione di non bagnarsi, di preservare ciò che era, quel che aveva.
Troppo tardi, decisamente troppo tardi, oramai era zuppo.
Biascicò qualcosa, contrariato, e si maledisse per essere svenuto così, senza arte né parte, nel mezzo del nulla.
Perché doveva sempre ridursi in quello stato? Perché si odiava a tal punto? Non se lo spiegava.
E di per certo, la pioggia non lo aiutava a ragionare.
Sospirò, si disse che non aveva altra soluzione, che altro non poteva fare, che era solo tentare di rinviare l’inevitabile.
 
«Piangi cielo, piangi le tue futili lacrime, riversala su di me forza, come se non avessi abbastanza problemi al quale pensare.
Coraggio, ancora, e ancora. Stordiscimi con il tuo freddo, inebriami con la tua tristezza.
Maledetta pioggia… era da tanto che non riposavo così bene, ma dovevo aspettarmelo, non c’è pace per quelli come me, vero? Vi è solo penitenza, e pentimento. Giusto? Rispondimi pioggia.
Rispondimi.
RISPONDIMI!»
 
Rivolse il suo lamento al cielo, alzando il viso, e non ricevendo risposta, si tolse la maschera, per permettere alle gocce di toccare la sua pelle, per ferirlo con il loro silenzio, per sentirsi vivo in quella valle di morte.
Fece quasi per piangere, cullato dallo scrosciare, ma non poteva, non aveva il tempo per abbandonarsi alle sue emozioni.
Aveva solo il tempo di riflettere e di rimembrare, di decidere e selezionare. Così tanta responsabilità in un corpo così piccolo… era davvero deleterio, ma necessario.
Si rimise la maschera, e mestamente, rassegnato nel constatare quanto fosse bagnato, incominciò a camminare, senza un apparente meta precisa, con un fare che sembrava distratto, quasi automatico.
Quante volte lo aveva fatto? Dieci, cento, mille volte? Un’altra domanda senza risposta, naturale che lo fosse.
Se fosse stato facile, non avrebbe avuto di quei problemi.
Se fosse stato facile, si sarebbe potuto godere la pioggia, invece di temere ogni lampo e sobbalzare per ogni tuono.
Ma facile non era, e ciò era un dato di fatto. Non era modificabile, poteva accettarlo oppure poteva constatarlo di malavoglia.
L’unico dettaglio che non poteva modificare.
Era frustrante.
Era frustrante ogni volta.
Mentre camminava, attorno a lui si formò uno strano strato di polvere nera, il quale si alzava e diffondeva moltiplicandosi sempre più, fino a formare una massa enorme informe, che lo seguiva come una gigantesca ombra, incurante della pioggia, dell’aria, della gravità. Era parte di lui, quella massa nera, era la parte migliore di lui, paradossalmente, e non si era separata per fuggire da lui, ma lo aveva fatto per riprendere il controllo.
Lo circondò, lo soverchiò, lo rinchiuse in un bozzolo oscuro e profondo.
Il cielo si era oscurato.
Gocce nere come petrolio lo catturarono, estraniandolo dal mondo.
Ancora una volta.
Ancora una. 
   
 
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