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Autore: Made of Snow and Dreams    09/02/2017    1 recensioni
Strani eventi cominciano a disturbare la vita dei nostri killer: macabre scoperte, gente spaventata per un pericolo sconosciuto, corpi ammassati nella foresta. Cosa sta succedendo? Chi sta minacciando il territorio dei nostri assassini? Chi è il nemico?
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Un paio di avvertimenti è sempre meglio farli:
Il linguaggio, con la venuta di Jeff e l'alternarsi delle vicende, non sarà proprio pulitissimo.
Dato che il mio progetto include la presenza dei miei Oc (quindi ho detto tutto), saranno presenti scene di violenza varia con un po' di sangue (un po'? Credeteci pure...).
Spero vi piaccia.
P.S. Fate felice una scrittrice solitaria con una recensione, si sentirà apprezzata!
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Notti di noi





Intermezzo: Atto Primo


(Vi consiglio, per rendere meglio l'idea, di ascoltare questa musica durante la lettura: https://www.youtube.com/watch?v=QuhCGTdUJck )



 



‘Cristo, ma quant’è grande? ‘ esclamò Polly non appena lei e Lucilla si guardarono intorno dalle postazioni a loro assegnate.
E lo era davvero, cavea e pista compresa. L’interno era stato così ben organizzato, strutturato e dipinto a nuovo da essere somigliante ad un teatro in miniatura, stravagante e promettente nel suo sfarzo cromatico: il nero che dipingeva il tendone esterno in grandi fasce regolari era stato sostituito dal rosso più sgargiante e pieno e dall’arancione più caldo e intenso; l’oro, che maculava i sedili e la scena, aumentava la sontuosità del bizzarro arredamento mentre delle soffuse luci bianche illuminavano la pista vuota.
Appuntate ai tralicci in legno, v’erano state aggiunte delle maschere veneziane bianche, alcune sorridenti e altre addolorate. A concludere in bellezza l’effetto scenico le insigne del ‘Carnival Circus’ troneggiavano sul palco rialzato, grottesche nella viscosità del porpora con cui erano state tinteggiate, dando l’illusione che la scritta in rilievo fosse in realtà un gigantesco ammasso di carne viva, pulsante, viscida, traslucida.
 Polly si costrinse a sopprimere l’impellente impulso di vomitare seduta stante mentre i suoi occhi non cessavano di esaminare con disgusto quella scritta, in attesa di scoprire la vera natura della materia scarlatta. Alle sue spalle un gran vocio, un flusso serpentino di genitori con i loro figli in attesa di poter prendere posto nella pista: i gridolini di gioia dei bambini si mescolavano alle voci controllate degli adulti, pronti a consegnare i biglietti a quella strana clown e al mimo bicolore al suo fianco. Zaffate di odori contrastanti, il profumo acido e salato delle patatine fritte confuso con l’aroma zuccherato dei lecca-lecca, del cioccolato fuso sulle caramelle, dello zucchero filato nei toni dei colori pastello lasciato volteggiare come un nastro.

Gli spettatori volteggiavano come delle api nello scorgere l’arredamento per poi distribuirsi, una volta contenuto l’entusiasmo, nelle rispettive file a forza di spallate e spintoni, tanto che Lucilla Davis e Polly Smith agguantarono i loro bambini per poi attirarli a sé. File e file di spalle bianche e giocattoli luminosi riempirono gli spazi vuoti mentre il brusio aumentava sempre più, fino a riempire le orecchie e inondare ogni altro rumore.
In pochi minuti la fila trepidante fu smaltita dall’efficienza della clown e del mimo.
Si udì la voce infastidita di un’adolescente lamentarsi per la mancanza d’aria e la risatina acuta di un bambino zittirla. Le luci si attenuarono lentamente per poi spegnersi del tutto, dapprima nei posti adiacenti al palcoscenico e poi lungo le pareti della platea, e quando l’intera cavea fu sommersa dall’oscurità, a rompere il silenzio degli spettatori intervenne lo struscio metallico di una cerniera lampo che sigillò il tendone chiuso. Quando Jarod Moore si voltò per controllare chi fosse ad azionare il meccanismo, nel buio riuscì a notare solo i contorni indistinti della donna-clown. Il silenzio che si era raggiunto sembrava così sacro e infrangibile che nessuno azzardò a troncarlo: l’attenzione era puntata sul palcoscenico vuoto.

Poi accadde: il lungo sipario rosso tremolò e strisciò sul pavimento in legno. Le luci divennero accecanti e degli sbuffi di vapore circondarono l’entrata degli artisti a ritmo della Grande Marche Chromatique. Quando il gas si tramutò in una densa nube grigia, la musica incalzò fino a che divenne una cacofonia di suoni combinati e disordinati. Dalla nuvola rarefatta emerse una figura familiare e imponente: una clown – la stessa clown che aveva distribuito i volantini per le strade e riscosso i biglietti per l’entrata – avanzò nel palcoscenico in una combinazione alternata di passi e salti, e le sue sottili code le frustavano il collo a tempo con la sua andatura. Un fragoroso applauso accolse quel personaggio variopinto e lugubre, e mani di bambini perplessi indicarono il volto dipinto di vernice nera mentre si levavano gridolini eccitati dai posti attigui al palcoscenico.

‘Signoriiii e signoooreee, bambiniii e bambinee! ‘ urlò, sorridendo alla platea. Allargò le braccia e mostrò un cinturino con un enorme fiore rosato, ancorato in vita. ‘Sono lieta di darvi il benvenuto al Carnival Circuuuus! ‘ strascicò. Piroettò su se stessa senza grazia né equilibrio, rischiando di cadere nel suo moto disarmonico, con le guance sempre contratte in un ghigno.
La signora Anderson osservò quella danza sbilenca e goffa in silenzio, sorridendo ai sussurri e i sospiri che la clown inevitabilmente strappava agli spettatori.
‘Ma ora basta con le chiacchiere, vi prego! ‘ Si fermò di colpo, scosse la testa come se fosse stata colpita da un improvviso dispiacere, e aggrottò il viso come se dovesse piangere da un momento all’altro. Tacque per qualche istante, e il brusio attento e curioso accolse la sua mimica. ‘Basta. Tutti fermi, tutti zitti! E sapete perché? ‘ disse con voce rotta da un pianto inesistente. Dalle file centrali si sentì qualcuno rispondere alla domanda, ma repentinamente gli occhi della clown si accesero di un’esplosione adrenalinica. ‘Perché diamo il benvenuto ai nostri artisti! Un applauso, gente! ‘

Un coro di urla concitate rispose a quell’invito e divampò in un trionfo di grida infervorate quando una sequela di acrobati, funamboli e trapezisti apparvero volteggiando come ballerini provetti. La musica cambiò, trasformandosi in una languida melodia trainante e a tratti drammatica, che accompagnava le piroette, i salti mortali, le capriole aeree, gli adagi a mezze punte. Schiamazzi concitati animarono l’atmosfera illusionistica quando dagli architravi vennero delicatamente scese le altalene dondolanti e i tessuti lisci e morbidi. Sotto i fasci di luce azzurra gli artisti afferravano la stoffa con leggiadra e l’avvolgevano ai polsi, si dondolavano sui trapezi come dei bambini giocosi, piegavano la schiena e agitavano le cosce tornite per mostrare al pubblico i corpi arcuati come dei sinuosi serpenti, si lanciavano dai sostegni volanti per essere afferrati con fermezza ma con grazia dai compagni.
‘E’ magico… ‘ sussurrò Susanne senza staccare lo sguardo dai trapezisti. Rabbrividì quando Jarod le toccò il braccio con le sue mani fredde, silenzioso per non perdersi un sola contorsione, ed esultò mentalmente quando si accorse che Sì, finalmente sta zitto e non rompe le scatole con le sue chiacchiere!
Patricia Anderson osservava con attenzione i movimenti di una tra le artiste, una giovane donna con un’attillata tuta verde smeraldo, quando decise di indicarla alla vicina Polly.
‘Polly… la vedi, l’acrobata sulla fune blu? Credo che sia la più brava tra tutti! ‘
Polly studiò il soggetto segnalato con accortezza per qualche minuto. Poi annuì, rivolta a Patricia. ‘E’ vero. ‘ Ammise. ‘Fa delle contorsioni incredibili con la schiena. Immagino gli anni di esercizi che ha dovuto subire, poveretta… Eppure anche l’altra, quella vicina a lei che fa la spaccata sospesa in aria… anche lei è eccezionale, non trovi? ‘
Patricia indirizzò il suo occhio con meticolosità sull’altra acrobata, una ragazza che compiva giravolte e cadute con le caviglie sorrette dalle funi. Non rispose. Per un istante le era sembrato di scorgere una terza gamba a dimenarsi in quel tripudio di stoffa.

Il numero durò una decina di minuti. Tutti gli acrobati scesero dai trapezi con le braccia a tagliare l’aria, somiglianti a degli uccelli variopinti, e atterrarono l’uno sull’altro in una grande piramide umana. Il pubblico applaudì quell’effetto scenico e gli artisti sorrisero al successo ottenuto, accennando dei deboli inchini.
La luce tornò a farsi bianca, accecante. E nuovamente apparve la clown ghignante, – Scommetto che è rimasta acquattata nell’ombra come una pantera per tutta la durata del numero a sorridere, scommise Lucilla con un lieve sbuffo – con quella sua andatura sbilenca. Sorrise soddisfatta in direzione dell’acclamazione e sistemò il microfono in linea con la sua bocca.
‘Signori e signore e bambini e bambine, ‘ annunciò gioiosa, ‘questi sono gli acrobati della nostra Compagnia! Un applauso al capo di questi barvos- brav… ‘ si inceppò, dondolò la testa in un improvviso smarrimento, increspò la fronte per ricordare il termine esatto. ‘Bra-vis-si-mi, sì, ‘ sillabò, ‘bravissimi ed eccezionali funamboli! Tina, fatti avanti!
La donna in tuta smeraldina avanzò di un passo, ponendosi di fronte ai suoi compagni. Le sue iridi scure schizzarono dagli spettatori alla clown e un leggero rossore le riscaldò le gote, come se fosse imbarazzata da tutte quelle attenzioni. Ad un suo cenno la clown si avvicinò ancora; issò il suo braccio destro verso l’alto per far cessare i gridolini di contentezza, i suoi occhi per un attimo si fecero affilati e duri verso il pubblico che non riusciva a tenere a bada la felicità dei bambini più indisciplinati. ‘Ebbene, miei cari spettatori – anzi, miei adorabili bonbon! Siamo in famiglia, no? – vi ho presentato la nostra Titti per un motivo precos- preciso! ‘ si corresse. ‘A lei il prossimo numero, adorabili. Tina, a te la scena! ‘

Abby Marchal si adagiò sui cuscini leopardati che avevano posizionato sulle sedie. Non le interessavano le contorsioni, non le procuravano quell’eccitazione febbrile che i numeri più pericolosi le suscitavano, come ogni qualvolta che un funambolo rischiava la vita camminando su un debole filo. Anche se doveva ammettere che la contorsionista era maledettamente brava: annodava le ginocchia attorno al busto come delle zampe di ragno, gettava all’indietro il capo fino a mostrare il collo contratto dallo sforzo, e infine inarcava la schiena seguendo la direzione della testa, appiattendosi sul pavimento fino a distendere l’intero busto sul legno. Ora si sdipanava con lentezza ed esponeva gli arti liberi e lunghi, ora si rialzava e fletteva la colonna vertebrale fino a chiudersi di scatto – un bambino nei primi posti soffocò un urletto strozzato quando fu sicuro di aver sentito, distintamente, il cigolare di alcune vertebre –per poi poggiare i gomiti per terra e dischiudere entrambe le gambe fino a creare una ‘v’ sempre più larga, talmente innaturale che le ginocchia e il dorso dei piedi toccavano terra. E poi si rialzava ancora, accoglieva i mormorii di stupore, si torceva affinché gli occhi di tutti la guardassero frontalmente ed ergeva la gamba destra in alto, sempre più su, fino a che la sua mano toccava la punta del piede; ed ecco un’altra torsione del busto, stavolta impercettibile, ed ecco che l’arto si piegava nell’incavo tra l’anca e la vita compresse, ed ecco che il ginocchio gemeva per la costrizione innaturale, ed ecco che-

‘Ma che schifo! Come diavolo fa? ‘
‘Diamine, non voglio guardare, non voglio guardare! ‘
‘Sembra quasi disossata per quanto è flessibile! ‘
‘Papà, è troppo brava, voglio il bis! ‘

Ed ecco che dal pavimento una minuscola leva sollevò una pedana incorporata, sufficientemente alta per la donna, che ci salì sopra. Poggiò entrambi i palmi su un piccolo sostegno simile a un manubrio, lo tastò per verificare che fosse abbastanza solido da sorreggerla. Con lo stupore generale, ora allungava il collo per addentare l’estremità del sostegno, permeava in quella posizione per assicurarsi di possedere il controllo degli addominali, ed ecco che-

‘No, non ci credo! ‘ esclamò una bambina dalle lunghe trecce bionde.

-le braccia e le gambe si innalzavano con il solo controllo dei muscoli del torso, talmente in tensione che le vene del collo affiorarono sotto la pelle. Raggiunta la posizione supina aerea, con le mani ancorate ai fianchi per dimostrare che non era sorretta da nessun filo invisibile, uno scroscio di rinnovati applausi segnalò alla contorsionista che il successo completo era stato raggiunto.

Di nuovo la clown. ‘Bleah, sei troppo snodabile, Titti! Goditi i tuoi ammiratori, ragnetto… e a proposito di snodabilità - Esiste, questo termine? – ne approfitto per introdurvi al prossimo numero in programma, tesorucci! Accogliete Amy e Friedrich! ‘
Il duo era composto da una bambina sui nove anni, con un vestito rosso e due grandi occhi azzurri, e un pupazzo rassomigliante un bambino biondo di neppure un anno di età, avvolto in una tutina celeste. La piccola ventriloqua trascinava la marionetta senza riguardo, reggendola dal collo.
‘La nostra Amy è in compagnia del fratellino minore. Friedrich, saluta pure tu! ‘
‘Certamente, Chaos. Piacere, io sono il pupazzo Friedrich, fidato consigliere di Amy! ’ rispose una voce gutturale e roca, di tonalità bassa. ‘Ditemi, bambini, vi state divertendo? Sì? Allora sentite questa… ‘
 
‘Lo sapevo che i giocattoli parlano, lo dicevo io! ‘ mormorò Jarod, fissando sconcertato la bambina seduta sulla pedana rialzata e la marionetta seduta sulle sue ginocchia, manovrata da fili trasparenti posti dietro la schiena, mossi dalle dita allenate ed esperte di Amy.
Susanne gli scoccò un’occhiataccia d’insofferenza. Scattò in avanti con la velocità di un’anguilla e riuscì a pizzicare la guancia del fratello, per poi ritirarsi fulmineamente. ‘No che non parlano, stupido! E’ una marionetta manovrata, non vedi? In realtà è la ventriloqua che parla al posto del pupazzo. Scemo! ‘
‘Parla lei, che non ha neppure visto “Toy Story”! ‘
‘Volete starvi zitti, voi due? Se volete commentare lo spettacolo, uscite! ‘ rimbeccò una voce burbera alle loro spalle, cogliendoli di sorpresa. Susanne adocchiò nervosamente il fratello un’ultima volta, prima di farfugliare un maldestro e imbarazzato: ‘Mi scusi, da adesso in poi non parleremo più. ‘
Certo che… però, una marionetta costruita e montata a regola d’arte, non c’è che dire… notò la ragazza mentre i riflettori puntavano il pupazzo, permettendo al suo sguardo indagatore di scorrere sulla tutina infantile, contemplare le manine dipinte con talmente tanta dovizia da presentare persino le pieghe definite degli incavi tra le dita, dei segni sui palmi. Ma era sul viso, sul faccino – che stranamente non sorride! – paffuto e ben delineato che il pittore evidentemente aveva applicato le tecniche migliori della sua arte: le labbra sottili erano rugose, le gote lisce e levigate imitavano meravigliosamente quelle di un vero neonato tanto sembravano molli e tenere, e gli occhi… gli occhi…
Non mi piacciono, non mi piacciono per niente, e non sono sicura di volerne conoscere la ragione…
‘Ma smettila! Certe volte sembra che voglia prendermi in giro… ‘
‘Iro, iro, iro! ‘
‘E basta! Tanto sei solo un burattino, sai? ‘
‘Ino, ino, ino! E tu sei solo un cretino! ‘
Gli occhi sono troppo… lucidi, vitrei, troppo perfetti, troppo… troppo veri…
‘Non voglio tornare in valigia! Bambini, vi sembra giusto? ‘
‘No! ‘ fu l’unisona risposta.
E’ così perfetto da sembrare vivo… no, vero... che lo sia davvero?
‘No! ‘ fu l’unisona risposta. Rimbombò nelle sue orecchie e le scrollò di dosso il suo stato di fissità. Non appena si accorse di aver controllato – sorvegliato – il pupazzo si affrettò a cingere le spalle di Jarod con entrambe le braccia, preda dell’istinto imprevisto e di proteggerlo. Si accorse che tutti i peli delle braccia erano rizzati e la pelle era leggermente raggrinzita.
No, non è vivo. Non è vivo, vero, Jarod?
‘Cosa c’è, Susanne? ‘ le chiese all’orecchio Jarod in un lieve sussurro, attento a non disturbare nessuno. Affondò le mani nella zazzera folta dei capelli della sorella, e la squadrò con diffidenza e timore.
A fatica, Susanne lottò per scrollarsi di dosso l’astratta consapevolezza di trovarsi davvero, per la prima volta nella sua vita, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
 


‘Eh, vedo che hai fatto di nuovo colpo! Ma bene, ma brava! Ma che dico, colpissimo! ‘ sibilò la clown con occhi predatori e complici alla ventriloqua quando la bambina scomparve dietro le quinte. Era certa che l’avesse sentita.
‘Orsù, amori! ‘ pronunciò solenne, richiamando il pubblico intento a commentare il numero. ‘Ho un annuncio per voi, un megasuperextrabellissimissimo… un bell’annuncio, insomma. Sì, credo che vi piacerà. Volete sapere che abbiamo in serbo per tutti voi? ‘
‘Sì! ‘ rimbeccarono gli spettatori, in special modo i bambini più piccoli.
‘Eh-he, e qua vi volevo! ‘ sghignazzò la clown. Era una suono strano, simile ad un gemito strozzato, come se dovesse faticare per deglutire o per respirare e dovesse, in contemporanea, ridere. Gli occhi brillarono di desiderio e irrequietezza. ‘L’annuncio è che… non ve lo dico. No, non penso che ve lo dirò, perché c’è una sorpresina - ma che dico, una graaaaandissiiiima sorpresa per voi, bambini e genitori! – per tutti voi. E se ve la svelo prima del tempo, che sorpresa sarebbe? ‘ tossicchiò, si schiarì la voce grattata. ‘Ma ora permettetemi di introdurvi all’ultimo numero della serata, prima del trionfo finale che, sono acciderbolina sicura, vi farà strillare tutti di gioia e vi farà ridere, sì, ridere, all’infinito! Adorato pubblico, io sono Chaos la clown e lui è Mirror il mimo! Un applauso alla vostra fedele conduttrice! ‘
 


Patricia scrollò lievemente il polso e adocchiò distrattamente l’orologio da polso. Trasalì quando vide che le lancette segnavano le nove. Polly, notando lo smarrimento e la sorpresa sul volto tirato della donna, mimò un’esclamazione interrogativa con le labbra.
‘Patricia, ti senti bene? ‘ chiese. Azzardò a sfiorarle la spalla con infinita delicatezza.
‘Sì, non preoccuparti… ‘ la liquidò lei, rivolgendole un sorriso appena abbozzato. ‘Ho notato solo che per me si sta facendo decisamente tardi. Sai, il piccoletto scalcia e io mi stanco molto facilmente, di questi tempi. ‘ sussurrò, e indicò il pancione per evitare di sovrastare la musica circense che accompagnava il quadretto comico del mimo che innervosiva paradossalmente la clown stizzita.
‘Oh, capisco. Allora ti accompagno fino a casa, così sono più tranquilla. ‘
‘Ma non ce n’è bisogno, davvero! ‘ protestò Patricia, sgranando gli occhi per dare enfasi alle sue parole. Nonostante l’oscurità a gravare su di loro, Polly notò ugualmente le occhiaie profonde e violacee che solcavano gli occhi stanchi. ‘Sono meno di duecento metri, figurati che deve accadermi giusto giusto mentre attraverso la strada comunale! ‘
‘Appunto, chissà che può accaderti! ‘ scherzò Polly per rincarare l’invito. ‘Dai, niente storie. Lascio Stefan da Lucilla e vado con te. Su, andiamo! ‘
Ogni protesta che Patricia Anderson cercò di rimbeccare contro la testardaggine dell’amica morì ingoiata nella sua stessa gola. Polly Smith, con l’agilità di un gatto nero che gioca a fare l’equilibrista sui tetti in piena notte, schivò il gomitolo di braccia e gambe e poltrone fino ad aprirsi un varco verso l’uscita dal tendone, dopo aver avvertito Lucilla del piano. Entrambe percorsero la breve scalinata in legno che conduceva al drappo dorato e rosso che era stato bloccato con la cerniera e un intricato intreccio di fili di canapa, e, quando decisero comunamente di non perdere troppo tempo a risolvere lo strettissimo nodo, con uno scatto sollevarono il pesante panno per poi lasciarlo ricadere mollemente alle loro spalle.
Il contatto repentino con una folata gelida di vento serale le fece rabbrividire entrambe.
‘Certo che… ah, i miei capelli! La differenza di temperatura è notevole! ‘ articolò Patricia mentre indossava il cappotto in feltro e una zaffata dispettosa le scompigliava le ciocche nere, scuotendole in aria.
‘Puoi ben dirlo! Lì dentro è praticamente un forno in confronto, però non mi lamento. Tutto sommato… ‘ ansimò Polly, ‘si stava bene. Come ti è sembrato lo spettacolo? ‘
‘Bello. ‘ No, non pensare al bambino, alla marionetta, alle legature, a come la bambina stringeva la presa sulla mano e poi sul collo, come a… lacerare il legno… non pensare alla terza gamba, non pensare a quanto mi faccia paura il pagliaccio donna… ‘Organizzato bene. Mi domando quale sia la sorpresa, a questo punto. Quasi mi dispiace lasciare tutto. ‘
Polly ridacchiò. ‘Usciranno fuori i pony e ci faranno salire i bambini, suppongo. Niente di troppo pericoloso. O magari usciranno altri clown e… uff! Sai che anch’io sono un pochino curiosa? ‘
‘Allora rimani, no? Ti chiamerò quando sarò arrivata a casa-‘
Gli occhi di Polly s’indurirono, inflessibili come sempre. ‘Ho detto di no. Spiacente, Patricia, ma su questo sono irremovibile, e lo sai. ‘




Il vento alitava nelle orecchie e assisteva a quell’innocuo scambio di battute, e brezze più violente e fredde scuotevano le banderuole poste come pennacchi sul tendone. Fischiava, urlava, graffiava, smuoveva le sovrastrutture come se volesse demolirle, per offrire a tutta quella povera gente la possibilità di estraniarsi dalla tragedia imminente. C’erano quasi. Lo spettacolo era quasi finito.

Poi una voce aspra e crudele, roca e ferrosa, ruppe il silenzio.
‘Ehy, voi due. Cosa state facendo qui? Tornate subito dentro. ‘ sibilò la voce indubbiamente maschile ma sconosciuta alle due donne, ed entrambe, come due bambine spaventate colte in flagrante nel bel mezzo di una marachella, boccheggiarono per il puro terrore.
 
 
 
 






Angolo Autrice
Chiedo perdono a tutti per il madornale ritardo, ma sono stata operata d’urgenza (nessuno se l’aspettava, e nemmeno la sottoscritta) e siccome ho ripreso la mobilità dopo 2 settimane, ho potuto scrivere il capitolo con attenzione solo oggi. Ah, non avete idea di quanto sia brutto avere l’istinto viscerale di scrivere ma avere entrambe le braccia bloccate per via delle flebo!! >.<
Ma comunque eccomi qui, viva, e durante lo spettacolo le stranezze aumentano sempre più. Polly e Patricia, vi suggerisco di obbedire immediatamente all’ordine, anche se nel prossimo capitolo raggiungerò il trionfo della mia felicità – e la mia conseguente morte, perché non sto più nella pelle e se avessi scritto tutto il pastrocchio in un unico capitolo avrei ottenuto un papiro.
A jumby: se sei in trepidazione con me (Cristo, quanto vorrei spoilerarti tutto!!!!!), corro a prenotarti un posto in prima fila con me… e a proposito di vittime, concordo con te. Va bene mettere in risalto la vicenda di un omicida, ma se la vittima viene posta in secondo o addirittura in terzo piano con due righe sull’accaduto, allora… boh, per me tutto perde di verosimiglianza.
Spero vi sia piaciuto il capitolo, alla prossima (crepi!)!
P.S. Chaos fatica a pronunciare correttamente le parole perchè soffre di afasia, una malattia del linguaggio.

 
Made of Snow and Dreams.
 
  
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