Prima
della lettura vi lascio un piccolo ma importante avviso: questa storia va letta
assolutamente dopo “You’re in my soul”, essendo una
sorta di seguito di quella. In realtà è una raccolta di piccoli momenti che non
ho inserito nella storia principale, quindi alcuni capitoli potrebbero non essere
cronologicamente successivi l’uno all’altro. Ma in tal caso lascerò un avviso
ad inizio capitolo.
Capitolo 1
C’era
un suono fastidioso che spezzava il silenzio caldo protettivo di quel mattino.
Clara
Oswald aveva deciso che lo odiava!
La
donna si mosse nel letto, premendo il viso contro il cuscino e nascondendosi di
più sotto le coperte, a ricercare il calore del bozzolo protettivo in cui era avvolta.
Ma un movimento al suo fianco e lo scaldino
che stringeva tra le braccia che le sfuggiva dalla presa la svegliarono del
tutto; poco importava che la sveglia avesse smesso di suonare.
“No…”
Si lasciò sfuggire dalle labbra Clara: “Torna qui… è presto.”
“Edimburgo
ci aspetta, Clara!”
“E
lasciala aspettare… ho freddo e voglio dormire ancora!” Rispose lei,
rigirandosi dall’altro lato.
“Andiamo,
dov’è finito il tuo spirito di avventura?”
La
voce di John le sembrava troppo allegra, troppo innaturale per il broncio
perenne a cui era abituata. L’unica risposta che diede al suo fidanzato fu un
grugnito basso che si spense solo quando lo risentì spingersi di nuovo sotto le
coperte e circondarla con le braccia. Lo sentiva sorriderle contro la pelle,
dopo averle spostato i capelli dalla nuca per posarle dei dolci e leggeri baci
innocenti mentre se la stringeva contro il petto.
Lei
sorrise, restando in silenzio a godere ancora di quella pace mattutina e quelle
inaspettate ma piacevoli coccole ricevute, pensando a come John fosse cambiato dal
momento in cui avevano messo piede su suolo scozzese. Era come se un brio di
gioia lo avesse investito, cancellando da quel viso le rughe del cipiglio a cui
era abituata e di cui si era comunque innamorata. Non che le dispiacesse questo
nuovo lato tenero ed avventuroso di John, anzi; sapeva benissimo che dentro di
lui c’era un bambino impaziente ed entusiasta, desideroso di meravigliose
scoperte ed esplorazioni… ma la piovosa passeggiata per la città del giorno
prima, avvenuta nel breve tratto per raggiungere il Castello, le era penetrata
nelle ossa e voleva solo il caldo tonificante del piumino ad avvolgerla. E
possibilmente anche un corpo altrettanto caldo a scaldarla.
Dal
loro arrivo in Scozia i loro ruoli sembravano improvvisamente essersi
invertiti. Praticamente John era quello gaio di vita e Clara quella scontrosa. Ciononostante,
la giovane si ritrovò ad ammettere di aver amato Glasgow ed aver adorato i
genitori di John e Missy. Si scoprì davvero attratta da quel paese così
meraviglioso che era la Scozia, piena di luoghi dall’atmosfera magica e
misteriosa, piena di storia, segreti e miti tristi ma anche, in un certo modo,
romantici. Tutto le ricordava John. E lei amava anche questo particolare.
Così,
anche quel mattino, si ritrovò a doversi alzare e prepararsi per la
giornata. Per pentirsene subito dopo aver messo piede fuori
dall’albergo in cui soggiornavano.
“John…
dobbiamo proprio andare? Non possiamo semplicemente riposarci per un giorno e
rimandare a domani?”
John
si fermò, girandosi a guardarla e stringendo un po’ di più la mano di lei nella
sua. La scrutò per un tempo indefinito, mentre Clara riusciva a cogliere ogni
sfumatura grigia dei suoi occhi e quelle lievi pagliuzze nell’iride di un verde
pallido che solo nelle giornate di sole riusciva a vedere nel pieno della loro
tonalità. Eppure quel giorno di sole non ce n’era, e tutto all’improvviso la
scoprta di quel particolare sembrò qualcosa di magico ed impossibile.
“Clara,
non ti senti bene?” Disse lui grave, riportandola alla realtà: “Se ieri hai
preso troppo freddo ed oggi ti senti male possiamo tranquillamente prenderci il
giorno di riposo, lo sai…”
John
l’aveva tirata più vicina a sé, lasciandole la mano per correre a prenderle il
viso tra le sue e carezzarle le guance con i pollici. La scrutava serio, come
se la stesse studiando e decidendo quale malattia avesse. E lei sorrise, per
quel premuroso lato professionale che si faceva involontariamente vedere anche
mentre erano in vacanza, ma notando anche quella nota di delusione per una
giornata persa nella quale, invece, lui le avrebbe potuto mostrare le
meraviglie della sua amata Scozia, come d’altronde era stato orgoglioso e
felice di fare già nei giorni precedenti.
“Sto
bene, non preoccuparti. E’ solo che…”
“Solo
che?”
Clara
sospirò, portando le sue stesse mani su quelle di John per allontanarle dal
viso e stringerle al petto. Si guardò intorno, perdendo lo sguardo verso il
fondo della strada, notando l’umidità dei ciottoli sul calpestio, la nebbia
fitta si mischiava con il fumo dei camini e non permetteva di scorgere i tetti
delle case, nascondendo anche il cielo alla vista. Era mattino inoltrato,
avevano scoperto dopo la colazione; sicuramente il sole era già alto nel cielo,
ma il grigiore di quella giornata e l’atmosfera pesante la faceva sentire
strana. C’era un’aria misteriosa, un presentimento strano che non riusciva ad
abbandonare Clara e…
“Forse
non avremmo dovuto visitare quel castello con i fantasmi…”
“Cos…?
Fantasmi?” Chiese John sbalordito. Si guardò intorno, con quel guizzo strano
negli occhi che lasciò intuire Clara che solo in quel momento si era reso conto
del clima che li circondava.
E
poi lo sentì ridere, prima di abbracciarla e lasciarle un bacio sulla testa:
“Tutto
qui? Hai paura dei folletti, Clara Oswald?”
“No!”
Rispose lei con orgoglio ed un po’ di rabbia mista a vergogna. Ma si strinse di
più nell’abbraccio del suo fidanzato, respirando appieno il suo profumo e
trovandolo improvvisamente calmante.
Quando
si separarono lui le baciò la fronte e le sorrise con quel sorriso fanciullesco
che, stranamente, troppo bene si
abbinava al suo volto di uomo vissuto.
“Fai
un respiro profondo, Clara. Spalle dritte, testa alta. Sei sotto la mia
protezione, fantasmi e folletti faranno bene a stare lontani da noi, se non
vogliono porre fine alla loro immortalità.”
Cosa
può un uomo contro creature mistiche? Incontrerebbe la morte o l' eterna
infelicità, questo insegnano per lo più le leggende. Eppure quel senso di
sicurezza che John le infondeva dava calore e speranza. E lei non poteva non
credergli, non poteva non fidarsi di lui.
Clara
raddrizzò le spalle, come lui le aveva detto. Alzò la testa e sorrise,
improvvisamente avvolta da un’invisibile nuvola di coraggio. E solo infine fece
un profondo respiro.
Respirò
come se non lo avesse mai fatto, lentamente e profondamente, riempiendosi i
polmoni del’aria umida di quel giorno finchè non sentì il torace completamente
espanso. Sperava di sentire il profumo di John, assorbirlo per osmosi e
tenerselo dentro di sé. Ma c’era anche un pizzicorino familiare nelle narici
che la spinse ad espellere subito l’ossigeno inspirato. Annusò l’aria, lo
sguardo corrucciato e pensieroso che si rifletteva nell’espressione, simile per riflesso, di
John.
“Sento…
l’odore del mare.” Disse infine lei: “E‘ l’odore del mare, ne sono sicura.”
“Bè…”
Disse semplicemente John con una scrollata di spalle: “ …Edimburgo afaccia sul
mare, è normale.”
E
poi c’era quell’espressione imperturbabile sul volto di un uomo senza tempo che
Clara non riusciva mai a decifrare. Quella stessa espressione che però apriva
infinite porte su un futuro decisamente prossimo. C’era qualcosa che quel
cervello sempre attivo stava macchinando, qualche idea che si sarebbe
presentata di lì a poco e che l’avrebbe lasciata in uno stato emotivo
imprevisto. Sorpresa, ansia, gioia o paura. Tutte possibili emozioni che in
quel momento sembravano destabilizzarla. Ma era uno stato di destabilizzazione
piacevole, quello in cui John riusciva a metterla. Perché c’era sempre la
sicurezza di un sorriso, alla fine. Un abbraccio. Un bacio.
E
c’era voluto poco per cominciare una corsa improvvisa di cui Clara non
conosceva la destinazione. Una corsa avvenuta tra i vicoletti bui e stretti
della città, con la nebbia che continuava la sua caduta umida su ogni
superficie e Clara che stringeva la presa sulla mano di John ogni volta che, in
una curva improvvisa, rischiava di scivolare. Il respiro diventava più faticoso
ad ogni passo, l’aria fredda bruciava nella gola e l’umidità dell’aria le si
attaccava addosso, ma l’espressione furba e fanciullesca di John le dava
calore. Un calore che divenne più fisico quando lui la trascinò via
dall’ennesimo vicoletto per sbucare
sulla strada principale, prendere al volo un autobus e stringersela contro tra
la folla serrata di turisti. La teneva stretta e protetta, non permetteva a
nessuno di sfiorarla. Ed a lei non dispiaceva. Anzi, si stringeva in
quell’abbraccio possessivo, con lo sguardo perso oltre il vetro bagnato del veicolo ad osservare
la città ed i suoi abitanti che le correvano davanti allo sguardo, immersi in
un’aria da sogno che la faceva sembrare una città improvvisamente
sovrannaturale.
Pochi
minuti dopo - o forse era passato più tempo, Clara non lo sapeva dire con
certezza – all’ennesima fermata John la trascinò giù dall’autobus, lasciando di
nuovo un ambiente troppo caldo per impattare direttamente contro una dura parete
di aria fredda. Il primo impatto costrinse Clara a stringersi il collo del
cappotto contro le labbra ed il naso, per calmare quel brivido gelido che le
correva lungo la spina dorsale e le pungeva poi tutto il corpo, o ancora
riuscire a respirare senza che le narici le bruciassero tanto da farla lacrimare. Ma
pochi istanti dopo, quando finalmente il naso smise di far male, lo sentì. Il
profumo della salsedine, accompagnato dallo sciabordio delle onde di un mare in
leggera burrasca.
John
la tirò con sé attraverso il lungomare, con un passo lento che si fermò solo
quando raggiunsero il muretto che faceva da confine con la spiaggia.
L’aria
salmastra pungeva le narici, ma si respirava con piacere. Il vento
freddo portava
con sé poche gocce rapite alla schiuma bianca delle onde che si
infrangevano
sulla battigia in lontananza. Qua e là, sull’immensa spiaggia dorata di
Portobello Beach, si
vedevano piscine d’acqua lasciate dalla marea nelle quali i bambini vi
saltavano, impregnandosi i vestiti. Più lontano c’erano ragazzi che
giocavano a pallone, altri che approfittavano del vento per far volare
gli
aquiloni. La nebbia era rimasta in città, non aveva raggiunto quella
zona per
chissà quale strana ragione, anche se il cielo coperto da un fitto
strato di
nubi grigie impediva ancora al sole di fare capolino. Ma a Clara non
importava.
In quel momento il suo sguardo era perso al mare, a quella spiaggia che
le
ricordava casa sua ed a quella sensazione di immensa malinconia che
stranamente
la rendeva calma e felice.
“Sai…
a volte ho pensato ad una cosa…” La voce grave di John la strappò dai suoi
pensieri, costringendola a voltarsi verso di lui ed incoraggiarlo a finire ciò
che aveva da dire.
“L’espressione
che hai adesso… l’avevi anche questa estate a Blackpool. Ed ogni volta che
passeggiavamo accanto al Tamigi, a Londra.” Continuò John: “Quel misto tra malinconia e
felicità che non riesco mai a capire quando ti perdi nei tuoi pensieri
guardando qualcosa che ti ricorda il mare. Ora lo capisco. Forse perché sei
cresciuta in una città marittima, non lo so; ma quando vedi il mare è come se
tu rinascessi. Questa tua espressione… sembra quasi che tu… che tu ne senta la
voce o che tu veda qualcosa che io non posso vedere.”
Clara
sorrise, senza però parlare. E John continuò ancora:
“A
volte ho pensato che tu fossi una Selkie…”
John portò il suo sguardo a guardare l’orizzonte. Clara invece si lasciò
scappare una risata rispondendo:
“E’
così? Adesso mi verrai a raccontare qualche leggenda scozzese in cui io sono la
creatura magica e tu il povero uomo sedotto ed abbandonato o condotto alla
morte tra le profondità del mare?”
“Non
ridurre tutto a come se fosse assurdo…” Rispose lui, nascondendole ancora lo
sguardo e mascherando il suo improvviso imbarazzo dietro il suo solito broncio
indecifrabile: “ Volevo essere… romantico!”
Clara
sospirò con il cuore caldo di una dolce emozione, avvicinandosi a lui e
stringendosi contro il suo fianco in un abbraccio tenero:
“Lo
so, stupido. Ho capito cosa volevi dire.” Rispose con dolcezza, alzando lo
sguardo verso di lui: “Se temi che io possa lasciarti per tornare al mare,
allora ti sbagli. Nessun mare può portarmi via da te, Dottore. Potrà mostrarmi
le meraviglie ed i segreti dei suoi abissi, i tesori più preziosi o tentare di
sedurmi con la sua voce misteriosa. Ma qui sulla terra ferma ho già tutto ciò
di cui ho bisogno. ”
Lui
sorrise, tornando finalmente a guardarla:
“Bene.
Perché non ho intenzione di lasciarti andare. Se rivuoi la tua pelle, piccola
Selkie, dovrai uccidermi ed aprirmi il petto per strapparmi il cuore, perché è lì che l’ho
nascosta.”
“Se
volevi essere romantico con questo… in realtà sembra che tu abbia trasformato
una dolce leggenda scozzese in una spaventosa storia dell’orrore Giapponese…”
Rispose lei con uno sguardo furbo accompagnato da un sorrisetto cinico.
John
sbuffò, riportando lo sguardo al mare e mormorando un semplice:
“Sai
sempre uccidere il mio romanticismo, tu… non puoi dire che almeno non ci sto
provando.”
“Ed
io lo apprezzo.” Disse infine lei, alzandosi sulle punte e lasciandogli un
bacio al’angolo delle labbra: “E quello che hai detto è davvero molto
dolce. In realtà sei molto romantico, Dottore.”
Restarono
in silenzio per i minuti successivi, entrambi con lo sguardo perso alla
spiaggia che si estendeva immensa davanti a loro, disturbati solo dalle poche
urla dei bambini che giocavano sulla sabbia ed i gabbiani nel cielo in
lontananza.
Clara
si immerse nei suoi pensieri, con lo sciabordio delle onde in sottofondo e lo
sguardo perso tra le acque scure del Mare del Nord, diretto all’orizzonte dove esso
si fondeva in un’unica tonalità con il cielo. Quelle acque fredde che, per un
momento, le ricordarono le acque che aveva conosciuto a Stoccolma.
In quel momento preciso la giovane alzò lo sguardo per osservare il viso del Dottore. Si perse in
quegli occhi grigi che rispecchiavano lo stesso colore delle acque burrascose
di quel giorno. Ed un pensiero magico stavolta attraversò la sua, di mente.
“In
realtà…” Disse dal nulla: “… mi sto chiedendo se non sia tu la creatura fatata
tra noi due. I tuoi occhi, in questo momento, sono come il cielo ed il mare
fusi insieme.”
“Non
sono una fata.” Rispose lui con un tono quasi offeso: “Sono un uomo, mi
risulta. Le fate sono donne…”
“Anche nel mondo del Piccolo Popolo c’è distinzione
tra uomo e donna.” Rispose Clara saputella, ma con chiaro tono scherzoso: “E
potrei chiedermi se sei una fata maschio! Se le fate rivelano il proprio nome ad un
umano sono legati per sempre a lui o lei, obbligati a rispondere ai suoi
desideri. Allo stesso modo tu non dici mai il tuo nome a nessuno, se non a pochi,
come se fosse un segreto da custodire, facendoti chiamare semplicemente
Dottore. E’ quello che mi hai detto quando mi hai rivelato il tuo nome, che
pochi erano coloro che avevano il privilegio di chiamarti ‘John’.”
“E
tu, il mio nome, lo hai sapientemente disperso in giro per il mondo ogni volta che mi
presentavi a qualcuno…” La canzonò lui, alzando gli occhi al cielo in una finta
espressione infastidita.
“Ovvio
che si! Potevo mica dire alla gente: Lasciate
che vi presenti il mio fidanzato, il suo nome è Dottore!”
“E
questo mi scagiona, non ti pare?” Disse lui con un sorriso soddisfatto: “ Pur
conoscendo il mio nome non sono legato né obbligato a nessuna di quelle
persone. Solo te.”
“Solo
me.” Ripeté soddisfatta lei: “ E mi sembra ovvio che debba essere così.”
“Quindi…”
continuò John con un’espressione improvvisamente incerta: “Anche Missy secondo
te dovrebbe essere una fata?”
Clara
si fermò a guardarlo sconvolta, soppesando poi seriamente quella questione
prima di piegare la testa ed, infine, scuoterla calorosamente:
“No.
Lei è molto più simile ad una Banshee.”
John
scoppiò a ridere, lasciando la presa di un braccio su di lei per portarsi la
mano al viso e cercare di calmarsi:
“Si…
mai paragone fu più appropriato.”
Risero
ancora mentre scendevano sulla spiaggia, affondando i piedi nella sabbia
bagnata. Continuavano a tenersi per mano mentre raggiungevano la riva, restando
a distanza di sicurezza per non essere bagnati dalle onde ma anche abbastanza
vicini per essere investiti dalla nebula marina alzata dai soffi di vento.
“Sai…
un po’ quest’aria mi ricorda Stoccolma…” Si lasciò sfuggire Clara.
Sentì
John tendersi al suo fianco, avvertendo che il cambio di discorso ed il tema
involontariamente affrontato lo aveva un po’ infastidito.
“Perché
non ha funzionato?”
Clara
guardò John sorpresa, insicura sul vero senso di quella domanda e se fosse il
caso di rispondere. Ma lo sguardo curioso di John le diceva un’altra storia.
“John…
perché lo chiedi? Non hai mai voluto sapere…”
“Ora
voglio saperlo… insomma, c’era il mare. Stoccolma è formata da arcipelaghi, è
circondata dalle acque del Mar Baltico e… l’uomo con cui stavi era il tuo
fidanzato anche a Blackpool. Perché non era come casa?”
Clara
studiò l’espressione di John e valutò la questione prima di rispondere con una
nuova domanda:
“Non
sarai geloso?”
“Cercherò
di non esserlo. Non te lo prometto, però.”
“Ciononostante
vuoi saperlo?”
“Si.”
Rispose lui, stringendo la presa su di lei mentre continuavano a passeggiare
abbracciati.
Clara si perse per qualche secondo silenzioso nei suoi pensieri, rivivendo nella sua mente quel periodo triste della sua vita. Non si era mai chiesta il motivo del fallimento del suo rapporto con Jonas, ma solo in quel momento si rese conto dell’assurdità di alcune cose.
Sorrise, però, Clara. Per la prima volta in vita sua sorrise a quelle memorie che le
avevano sempre lasciato il cuore stretto in una morsa di rimpianti e sensi di
colpa. Ora tutto era sereno, tutto era tranquillo nel suo cuore.
Clara
sorrise, e diede voce ai pensieri che, per una volta, erano chiari mentre
pensava a quell’amore adolescenziale cresciuto e poi morto in età adulta.
“Non
ti ho mai detto il suo nome. Lui si chiamava Jonas. L’equivalente svedese di
John, caso strano.”
Il
Dottore si lasciò scappare un grugnito, il corpo ancora più teso mentre
rallentava il passo con cui la stava conducendo lungo la spiaggia. Un sospirò
profondo e rumoroso raggiunse le orecchie di Clara, ma lei era decisa ad
ignorare per il momento l’evidente gelosia incontrollata di John e continuare
ad esprimere i suoi pensieri.
“Lo
amavo, John. Non posso negare questo. Così come so che tu hai amato altre
donne, molte altre donne prima di me.”
“Non
allo stesso modo… non è la stessa cosa…” Lamentò lui con voce bassa e triste. Il cuore che gli si stringeva e faceva male.
“Aspetta,
fammi finire ciò che voglio dire, ti prego.”
La
supplica di Clara fu ascoltata. Il Dottore sospirò profondamente e tacque,
rassegnato a dover controllare quel battito cardiaco irregolare ed il
dolore di quella morsa fastidiosa che
gli serrava lo stomaco. Maledetta gelosia!
“Volevo
stare con lui, per questo avevo lasciato Londra per raggiungerlo in Svezia. Lui
lavorava, io cercavo di… non lo so. Avevo lasciato l’Università, pensavo ancora
alla morte di mia madre. Trovavo qualche lavoretto saltuario che però non mi
soddisfaceva. Ma mi dicevo che in quella città c’era tutto ciò di cui avevo
bisogno. C’era Jonas, e c’era il mare che mi ricordava casa. Eppure sapevo che
quella non era casa mia.”
Clara
restò in silenzio per un momento, alzando lo sguardo al cielo per poi
continuare:
“Era Dicembre. Una giorno stavo attraversando uno dei tanti ponti della città. Non
ricordo quale, ma ricordo che stava nevicando anche se il freddo secco rendeva
l’aria sopportabile e respirabile. La neve non si posava per terra, erano
sporadici fiocchi che cadevano lievi e silenziosi. Ricordo di essermi fermata a
guardarne alcuni cadere e sciogliersi sull’asfalto, mentre altri cadevano in
acqua. Ricordo di essermi affacciata per
un attimo dal ponte, curiosa di scoprire se ci fossero calotte di ghiaccio che
galleggiavano e… ho visto le acque scure del Mar Baltico che sciabordavano
dolcemente sotto di me.”
Clara
tacque e John si fermò, costringendola a fermarsi con lui mentre la guardava
con uno sguardo improvvisamente allucinato. C’era paura negli occhi di John, il
terrore di scoprire qualcosa che lei non aveva mai rivelato prima e… non poteva
essere, non qualcosa di così terribile:
“Clara…
tu… non avrai mica…”
Lei
lo guardò perplessa e confusa, prima di capire cosa lui le stesse suggerendo e
scattò subito sull’attenti:
“No!”
Urlò la giovane oltraggiata, attirando l’attenzione delle poche persone nei paraggi.
Clara
calmò la voce, avvicinandosi di nuovo a lui per rassicurarlo:
“Non
pensare nemmeno ad una cosa del genere, John! Il suicidio non è mai stato nei
miei pensieri nemmeno una volta nella mia vita!”
“Scusa…”
Disse lui dispiaciuto ma anche chiaramente sollevato: “E’ solo che… il modo in
cui stavi parlando non mi piaceva, mi ha fatto temere che…”
“Mi
dispiace.” Disse lei sincera: “Non era mia intenzione. Quello che volevo dire è
che… ho visto quanto fossero scure quelle acque; non c’era una sola piccola
lastra di ghiaccio a galleggiare sulla superficie, ma ho visto lo stesso quanto
quelle stesse fossero fredde. Mi sentivo sola. C’era l’uomo che amavo con me in
quella città, ma io mi sentivo sola. Ed ho capito che quella non era casa mia.
Non sarebbe mai stata casa mia. Amavo Jonas, ma non abbastanza da… rinunciare
alle mie priorità. E lui non poteva rinunciare alle sue. A Stoccolma lui stava
avendo ciò che voleva, io invece no. Lui stava rinascendo mentre la mia anima,
invece, stava lentamente morendo. E’ una città bellissima, ma non è la mia
città. Non è Blackpool, non è Londra. Non so se capisci cosa voglio dire.”
“Si.”
Sorrise lui con una lieve piega triste delle linee del viso: “ E sono fortunato
che lui ti abbia lasciato andare.” La stretta possessiva di John la raggiunse e
la scaldò, disegnandole un sorriso dolce sulle labbra.
“Non
era lui il mio destino. Aveva un nome simile al suo, ma non era il volto giusto.” Lei gli fece
l’occhiolino, salendo sulle punte dei piedi per posare un rapido bacio sulle
labbra seccate dal vento freddo.
“Un
John era di sicuro previsto nella mia vita.” Continuò lei: “Un John col quale qualsiasi posto
mi sarebbe sembrato casa.
Probabilmente sarei rimasta anche a Stoccolma se accanto a me ci fossi
stato
tu. Sei tu la mia anima gemella, Dottore. Con te ho sicurezze che in
quegli
anni non avevo. Con te ho certezze e vedo un futuro che allora non
riuscivo a
vedere. Quegli anni li ricordo bui. Con te vedo la luce anche dove non
c’è.
Anche adesso, con la stessa aria che respiravo allora, con lo stesso
freddo e simili acque scure. Ora tutto mi sembra luminoso, e sei tu a
renderlo tale.”
E
quello sguardo… quei freddi e grigi occhi che improvvisamente si illuminavano
di una dolcezza unica. Quella luce limpida e sincera che non aveva mai visto
nello sguardo di nessun altro uomo, che le scioglieva il cuore e le faceva
tremare le gambe e Clara sapeva per certo di amarlo come mai aveva amato, con
una profondità che le spezzava sempre il fiato e le faceva quasi male al cuore.
Leggeva in quegli occhi lo stesso amore che lei provava per lui. Vi leggeva
quel ‘Ti amo’ quasi mai detto, ma chiaro, caldo e limpido come il cielo di un
giorno d’estate.
E
fu per questo che lei non protestò, quando John le cinse i fianchi e
l’avvicinò
a sé. Fu per questo che Clara si alzò sulle punte e lo incontrò a metà
strada
sulla via di un bacio. Le loro labbra si unirono ed i loro corpi si
strinsero,
ignari dei passanti, ignari del vento che sferzava le guance arrossate
dal
freddo o dei bambini che correvano intorno ridendo. Fu un bacio
volutamente
lento e senza pretese, con le labbra che si carezzavano con delicatezza
in
un’alternanza di dominanza e cessione del potere. Clara succhiò il
labbro
inferiore di John prima di lasciare che fosse poi lui a fare lo stesso
con lei.
Avvertì la lingua del Dottore premerle contro il labbro, abbandonandosi
ad un
sospiro profondo mentre dischiudeva la bocca per concedergli un accesso
più
intimo. E sentì le gambe cederle del tutto quando John la strinse di
più a sé per sorreggerla, come se avesse intuito o saputo l'efftto che
le stava procurando,
accarezzandole la lingua con la sua.
Quando
il bacio finì le loro fronti si toccavano ed i nasi si scontravano giocosamente.
Clara
sorrise ed aprì gli occhi per guardare il volto dell'uomo che amava. Poi, spegnendo di nuovo il suo sorriso contro le
labbra di John, disse:
“Forse
nemmeno Edimburgo è così male, come casa…”
“Ovunque, Clara. Purchè ci sia tu accanto a me.” Rispose John, prima di baciarla di nuovo.
--------------------------------
E
rieccomi xD
Come
dicevo all’inizio, spero che abbiate gradito la lettura di questo primo
capitolo. Non garantisco per
aggiornamenti rapidi, ma posso garantire il continuo della storia e che tratterò
alcuni momenti omessi nella storia principale. Il fatto è che la notizia dell’addio
di Peter Capaldi mi ha messa una nostalgia incredibile addosso, ho avvertito la mancanza del mio John
e della mia Clara e…ed è stato più forte di me, ho dovuto scrivere qualcosa.
Questo primo capitolo è stato molto ‘dolcioso’ al limite del diabete, ma non
mancherà l’angst nei prossimi capitoli, ci potete scommettere xD E molto probabilmente cambirò anche il rating in futuro, ma cominciamo con un giallo giusto per sicurezza. Spero di poter
aggiornare presto col secondo capitolo. Per il momento, cercate di smaltire i
troppi zuccheri che vi ho somministrato in questo ;)
Grazie
a chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di leggermi. Alla prossima :*