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Autore: Laylath    10/02/2017    6 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15. Gli avvenimenti di East City. Seconda parte.

 


 
La mattina successiva un Roy Mustang più emozionato del previsto passeggiava per il grande cortile dove si sarebbe tenuta la cerimonia di fine corso e dove si stava finendo di sistemare il palco delle autorità e le sedie per il pubblico atteso. Non era la cerimonia in sé a procurargli quelle sensazioni, tanto il fatto che ad assistervi ci sarebbero state alcune delle persone a cui era estremamente legato: voleva che tutto fosse perfetto, dalla sua divisa, ai posti che avrebbero occupato, come se quello fosse il giorno più importante della sua vita e non solo il primo scalino della sua ambiziosa carriera militare.
Sei solo uno stupido – si disse, sistemandosi per l’ennesima volta il colletto della divisa nuova, da soldato, e non riuscendo a capire come mai non fosse perfetto come quando l’aveva provata il giorno prima – sembri un bambino emozionato per la recita scolastica.
Forse avrebbe dovuto essere meno sentimentale ed evitare di invitare così tante persone, persino Riza. In fondo Heymans sarebbe bastato e il tutto sarebbe stato ridimensionato alle giuste proporzioni.
Ma proprio in quel momento l’idea delle giuste proporzioni svanì quando, dal cancello, vide arrivare un terzetto a lui ben noto. Trattenendo un sorriso troppo felice e rifugiandosi nel solito sicuro e sfacciato, andò ad accogliere i suoi ospiti.
“Signora – salutò con un perfetto baciamano – non l’ho mai vista così bella. Sono onorato che abbia scelto quest’occasione per essere così splendente”.
“Ma dai, Roy – arrossì Rosie – non mi pare proprio il caso”.
“Risparmia la tua faccia tosta per altre occasioni – disse Vincent, in una strana versione borghese a cui il giovane era ben poco abituato – almeno per oggi comportati bene”.
“Come vedi siamo in splendida forma” commentò Vato con un sorriso, stringendo la mano all’amico.
“Proprio come speravo: ero preoccupato che il viaggio in treno vi stancasse troppo. Allora, se volete vi accompagno ai vostri posti e… oh no, signora. Non si commuova”.
“Accidenti – mormorò Rosie, recuperando un fazzoletto dalla borsetta con leggera difficoltà – lo so, lo so, sono una sciocca. Mi ero ripromessa di non piangere ma proprio non ci riesco. E’ che sei così bello con questa divisa, non sai che … santo cielo, se ripenso che qualche anno fa ti preparavo la merenda quando venivi a giocare a Risiko con Vato e gli altri ragazzi!”
“Mamma, dai – la consolò Vato – hai fatto così anche alla mia laurea”.
“Non ci posso fare niente se vedere i miei ragazzi crescere mi commuove! Ti abbraccerei, caro, ma rovinerei la tua divisa nuova… aspetta, hai il colletto messo male”.
Roy sospirò con tenerezza mente la donna gli sistemava con abili mosse la stoffa inamidata della divisa. Si sentiva estremamente grato per tutta quella commozione che stava provando per lui, come se fosse un secondo figlio. A ben pensarci sarebbe stato da stupidi non averla lì per quel giorno così speciale. Lei era diversa da sua zia, un rapporto più profondo, più materno: vedere il suo orgoglio negli occhi neri lucidi per le lacrime gli faceva impazzire il cuore di gioia.
“Ecco, qui ci sono i vostri posti – disse infine, per riprendersi da quel momento di debolezza emotiva, tirando fuori dei bigliettini – le sedie sono numerate e sono riuscito a farvi avere una posizione ottima per vedere la cerimonia. Sono cinque: tre per voi e due per Heymans e Kain che arriveranno a breve”.
“E Riza?” chiese Vato.
“Lei starà nel palco delle autorità con suo nonno”.
“Bene – fece Vincent – Vato, vai con tua madre ad accomodarti mentre io scambio due parole con questo furfante dalla divisa militare”.
Roy fece un sorrisetto rassegnato davanti a quella dichiarazione: aveva previsto che il capitano avrebbe trovato il modo di fargli una nuova predica su ciò che significava la divisa e tutte le responsabilità ad essa legata. Non che non fosse d’accordo sulla maggior parte delle cose, ma riteneva che il suo mentore si fosse in parte dimenticato che essere militare poteva anche significare un’ambiziosa carriera professionale.
“Dopo vuole venire a vedere la mia moto? – chiese con un sorriso sfacciato – E’ pronta per essere portata in paese alla prima occasione”.
“Ed io sono pronto a sequestrartela alla prima occasione, farabutto” sbottò Vincent con aria cupa. Ma poi scosse il capo e si mise a braccia conserte a squadrare il suo protetto.
Inconsapevolmente Roy raddrizzò le spalle, come se fosse davanti all’ispezione più importante della vita.
“Dannazione, so che faccio male a dirtelo – iniziò il capitano – alimentare il tuo ego fin troppo spropositato sarebbe l’ultima cosa da fare. Ma sono incredibilmente fiero di vederti con questa divisa, figliolo, non ne hai idea”.
“Preferisco di gran lunga i suoi rimbrotti, sono meno imbarazzanti…” mormorò Roy, restando piacevolmente sorpreso quando Vincent gli mise una mano dietro il collo, per avvicinarlo a lui, e gli posò la fronte contro la sua.  Era da anni ormai che non veniva più abbracciato da quell’uomo, quando il difficile periodo dell’adolescenza lo portava ad essere turbato più del previsto. Abbracci forti, quasi rudi, che sembravano voler trattenere la sua rabbia e la sua impotenza più che confortarlo, eppure non mancavano mai di essere in qualche modo rassicuranti, quasi a dirgli che c’era quel petto contro cui sbattere la testa e sfogare quei malesseri che non riusciva a capire e gestire.
Quel contatto fronte contro fronte era diverso. Meno fisico, certo, ma parlava di una tempesta ormai passata, di una nave arrivata finalmente alla sicurezza del porto… con sommo orgoglio di chi l’aveva in parte guidata.
“Scontato dire che puoi sempre fare affidamento su di me, furfante” continuò Vincent, smettendo quel contatto e rivolgendogli un sogghigno soddisfatto.
“Non avevo dubbi, signore – rispose Roy con la medesima espressione – la aiuto a tenersi giovane”.
 
Nell’arco di una mezz’ora, quando tutte le sedie si furono riempite ed anche il palco delle autorità accolse i partecipanti, la cerimonia ebbe inizio. Da programma Roy e gli altri soldati erano rientrati dentro l’edificio e fu solo quando si udì la banda suonare la marcia che si misero in formazione ed iniziarono a sfilare nel campo da parata.
Portando la fascia di capo plotone e marciando per primo, sentiva tutta l’attenzione focalizzata su di lui e dovette trattenersi per tenere lo sguardo fisso davanti a sé invece che girarsi a guardare i suoi cari. In particolare era curiosissimo di vedere Riza: non c’era stata nessuna occasione d’incontro da quando lei e Kain erano arrivati in città e questo gli era dispiaciuto tantissimo. Aveva voglia di vederla nelle vesti di nipote del generale, ossia con quel briciolo di aria cittadina che le stava divinamente: gli sembrava che in simili occasioni Riza osasse essere un po’ più se stessa, come se permettesse al suo lato più femminile di mostrarsi al mondo.
I suoi stivali si bloccarono esattamente sul punto stabilito durante le esercitazioni e con voce salda e squillante iniziò a dare gli ordini ai suoi compagni per far loro assumere le posizioni previste durante il cerimoniale.
Finalmente la sua parte finì, nonostante avesse provato un certo compiacimento nel compiere tutti quei gesti con la sua sciabola: non aveva avuto la minima esitazione nemmeno nella rotazione più complessa.
A prendere la parola furono i rettori dell’Accademia e dunque l’attenzione si focalizzò su chi mano a mano si alternava a parlare dal palco. Questo permise a Roy di sbirciare con discrezione tra i presenti nel palco delle autorità e nelle sedie del pubblico.
Individuò immediatamente Vato e la sua famiglia, ai quali si erano aggiunti anche Heymans e Kain. Tuttavia la curiosità maggiore era vedere Riza e dunque spostò lo sguardo sul palco, lieto che il berretto avesse la visiera che in parte mascherava queste sue indagini visive.
Ma dai, stai proprio bene in verde, colombina.
Ed era vero: seduta con quell’abito verde chiaro che la fasciava in maniera seducente, eppure delicata, Riza faceva una splendida figura. I morbidi capelli biondi erano stati lasciati sciolti e sembravano attirare i raggi del tiepido sole invernale. In qualche modo sembrava una ragazza diversa da quella che era abituato a conoscere, come se fosse una strana statuina di porcellana messa in vetrina accanto ad altri pezzi non facenti parte del suo corredo.
Al soldato venne l’irrefrenabile impulso di farle qualche cenno, intercettare in qualche modo il suo sguardo e poi sorriderle nella solita maniera sfacciata. Peccato davvero dover stare fermo ad ascoltare quegli inutili discorsi.
 
Effettivamente Riza non era proprio a suo agio nel stare nel palco delle autorità.
Invidiava tantissimo Kain che, seduto tra Vato ed Heymans, si stava godendo la cerimonia dal giusto punto di vista. Lei invece non osava fare nessun gesto, nemmeno guardare troppo il suo fidanzato per evitare di attirare sospetti. Si sentiva come l’acrobata che aveva visto qualche giorno prima per strada: camminava su un filo, rischiando di cadere ad ogni passo. Ecco adesso si sentiva come sopra un filo invisibile, con tutti quegli sguardi sottili e taglienti che rischiavano di farle perdere l’equilibrio.
Eppure non doveva andare così la cerimonia: lei era venuta per stare vicino a Roy, non per far fronte alla curiosità di quella gente.
Vedendola così, accanto a suo nonno, alcuni mormoravano che non c’era alcuna somiglianza fisica, ma venivano subito messi a tacere da chi aveva conosciuto la madre della giovane, la defunta Elizabeth.
“Se non è la nipote… è tutta sua madre, due gocce d’acqua! Possono esserci mille storie su di lei, ma dire che non c’è il sangue di famiglia proprio no. E’ la copia di Elizabeth ed in misura minore della nonna”.
“Ancora non riesco a capire che gioco stia facendo il generale con lei. Perché la fa comparire solo in poche e determinate occasioni? Credo che abbia sui diciotto anni, è l’età giusta per entrare in società”.
“Ci vorrà cogliere di sorpresa con qualche mossa delle sue… avrà qualche matrimonio in mente?”
“Però che giochi bene le sue carte… non tutte le famiglie accettano una contadinella, per quanto di buona famiglia. Insomma, guardatela, si vede che non ha frequentato le migliori scuole. Ha un portamento naturale, ma le manca quello che si impara solo con l’educazione giusta”.
“Oh, per una buona scalata sociale si passa sopra anche questi dettagli”.
“Non per tutti e…”
Riza aveva tanta voglia di girarsi e dire a tutti loro che non era una grande educazione bisbigliare in questo modo alle spalle della diretta interessata, soprattutto durante una cerimonia importante come quella. Aveva tanta voglia di vedere i loro volti arrossire colpevolmente, i loro sguardi abbassarsi, metterli a tacere per almeno una decina di secondi.
Tuttavia era perfettamente consapevole che anche suo nonno sentiva tutte quelle cose e se ne stava facendo grandi risate, sebbene perfettamente nascoste dall’aria benevola che stava rivolgendo al plotone di nuovi soldati disposti di fronte al palco.
Istintivamente il suo sguardo andò di nuovo al primo soldato a partire da sinistra, quello con la fascia di migliore del corso. Alto, moro, in qualche modo splendente: anche su di lui si erano sprecati svariati commenti, con qualche rimando ad un cognome che una volta era noto anche in città.
“… il padre, tenente dell’esercito, assistente di un importante generale… mai fatta grande carriera…”
“… la madre era una donna di grande gusto. Organizzava sempre splendide feste. Peccato che siano morti entrambi: una famiglia estinta, ormai. Mi ero persino dimenticata che avessero un figlio”.
“Oh, avevano così tanto da fare, figurati se ci stavano dietro”.          
Ancora commenti sul loro passato e ancora una volta Riza strinse leggermente i pugni, permettendo alle unghie di conficcarsi nella pelle il tanto necessario per darle un lieve fastidio.
Sì, pensate quello che volete. E cosa direte quando verrete a sapere che io e lui siamo fidanzati? Penserete che sarà solo uno dei giochi di potere di mio nonno? Voi non sapete nulla di noi due!
Roy sorrise impercettibilmente, un sorriso che solo lei fu in grado di vedere. Quasi un invito a vedere le cose nella giusta prospettiva, a ricordarle ancora una volta che loro contavano come individui e non come parte delle loro famiglie d’origine.
“Bene, mia cara – disse Grumman alzandosi in piedi – vado a premiare il primo del corso. Questa cerimonia è quasi finita, sei contenta?”
“Sono sicura che nessuno se la sta godendo come te”.
“Molto probabile”.
 
Vedendo che il generale Grumman si alzava in piedi, Roy capì che era arrivato il momento della sua premiazione come primo del corso. Per un attimo si aspettò che anche Riza lo seguisse, come spesso succedeva in queste occasioni dove c’era una madrina d’eccezione. Tuttavia scrollò mentalmente le spalle come vide che la sua fidanzata rimaneva seduta: non era da lei prestarsi a simili cose e forse era meglio così. Troppi pettegolezzi prematuri potevano dar fastidio.
“Bene bene, ragazzo mio – commentò a bassa voce, Grumman, mettendogli la medaglia al petto – ne abbiamo fatta di strada da quando organizzasti il rapimento di mia nipote cinque anni fa, eh?”
Roy avrebbe voluto sogghignare a quella provocazione ma, come etichetta voleva, rimase immobile ad accettare quell’onorificenza.
“… sono proprio curioso di sapere cosa combinerai ora che sei soldato. Ho idea che sarai capace di sorprendermi ancora di più e me ne compiaccio. Sai, adoro divertirmi!”
Fece un perfetto saluto militare, al quale Roy rispose in maniera altrettanto impeccabile.
Nessuno avrebbe mai detto che ci fosse stato uno scambio di frasi simile.
Si sentì solo uno scrosciante applauso da parte del pubblico.
Mentre le righe finalmente si rompevano e ciascuno dei neo soldati andava a ricevere le congratulazioni dei propri cari, Roy fissò con lieve rammarico il palco delle autorità, capendo che forse Riza non avrebbe avuto occasione di scendere a salutarlo. E che andasse lui era assolutamente fuori discussione.
Così, dopo una lieve esitazione, non riuscendo nemmeno ad intercettare lo sguardo di lei che si era alzata per parlare col generale e venir presentata ad altre personalità, si girò verso il pubblico e si diresse verso quelle persone che poteva salutare senza alcuna remore.
“Roy! – immediatamente Kain gli corse incontro e gli strinse le braccia attorno alla vita – Sei stato fantastico! Sono fierissimo di te!”
“Fantastico? – sogghignò il soldato, arruffando i capelli scuri del ragazzo – Sono rimasto fermo sull’attenti per tutto il tempo, che cosa c’è di fantastico?”
“Ma no – gli occhi di Kain brillavano d’ammirazione – hai marciato per primo, guidando tutti gli altri. Oh! Posso vedere la medaglia? Che bella!”
“E così ora sei ufficialmente un soldato – sogghignò Heymans, arrivando assieme agli altri e stringendo la mano dell’amico – Amestris è ufficialmente un posto più pericoloso”.
“O più interessante, a seconda del punto di vista”.
“Roy caro – sorrise Rosie – sei stato meraviglioso quando sei andato a ricevere la medaglia. Ho ancora il cuore che mi batte forte, te lo assicuro”.
“Spero che almeno non ci siano state altre lacrime, signora”.
“No no, basta con le lacrime, promesso – garantì lei – il fazzoletto è dentro la borsa”.
“Perfetto. Allora, posso avere il piacere di portarvi a pranzo fuori? Al nostro solito ristorante ho avvisato che oggi sarei potuto venire con degli ospiti importanti”.
“Ovviamente sì! – annuì Kain per tutti – Vado a chiamare anche Riza, aspettatemi”.
“Sicuro? – lo bloccò il soldato – forse suo nonno ha altri progetti per oggi”.
“Ehi, siamo venuti qui per te – il ragazzino scosse il capo con aria stranita – che senso ha se poi Riza non viene a festeggiarti? Sono sicuro che al generale non dispiacerà…”
 
Totalmente ignaro di tutte le paranoie di etichetta che si erano posti Roy e Riza sino a quel momento, Kain scivolò abilmente in mezzo alle persone che ancora si affollavano vicino al palco.
“Ehi, Riza! – chiamò, facendosi largo per raggiungere le scalette e superando uno stupefatto soldato che non sapeva se bloccarlo o meno – Roy ci ha invitato a pranzo fuori, andiamo?”
La ragazza si guardò attorno con imbarazzo, sperando che la gente non facesse troppo caso al loro dialogo.
Ovviamente avrebbe voluto tantissimo scendere dal palco assieme a lui e andare via da quel posto per godersi un pranzo tranquillo con le persone che conosceva. Fu anche sul punto di avvisare suo nonno della sua decisione e lasciarsi alle spalle tutte quelle persone.
Ma già sentiva su di lei tutti gli sguardi curiosi di capire cosa stesse succedendo.
Lanciò un’occhiata e vide che suo nonno stava parlando con alcuni soldati, lasciandola libera di prendere qualsiasi decisione in merito. Eppure era sicura che anche lui fosse ben attento a qualsiasi sua mossa.
Troppo palese questa fuga con Roy – calcolò con freddezza – si scatenerebbero i pettegolezzi della peggior specie e non è proprio il caso.
“Ho promesso al nonno che pranzerò assieme a lui – mentì con un sorriso dispiaciuto – Con Roy è già prevista una cena per domani, non ti preoccupare. Tu vai pure, penserò io ad avvisare il nonno che tornerai stasera, va bene?”
“Ne sei sicura?” chiese il ragazzo, ovviamente deluso da quella risposta.
“Sicurissima, e sta tranquillo: Roy non resterà deluso”.
“Se lo dici tu… allora io vado, sicura?”
“Vai e divertiti” sorrise ancora, dandogli una lieve spinta per farlo scendere dal palco.
 
Ovviamente Kain c’era rimasto male per questo rifiuto.
Totalmente al di fuori delle dinamiche sociali della sorella adottiva, non riusciva a capire perché non si potesse festeggiare tutti quanti assieme. Ma come sempre la sua natura ottimista gli fece superare la delusione nell’arco di pochi minuti, convincendolo che ci sarebbero state altri occasioni per fare dei pranzi di gruppo, magari una volta tornati in paese.
Così, mentre gli altri ancora si attardavano nel cortile, mentre Roy prendeva congedo da alcuni suoi compagni d’arme, il ragazzo corse fuori per avvisare Ottavio che lui non sarebbe tornato in macchina assieme a Riza e suo nonno.
Finita quella piccola commissione stava per rientrare dentro, quando i suoi occhi acuti colsero un bagliore rosso proprio all’angolo dei grandi cancelli di ferro battuto dell’ingresso dell’Accademia.
Rimase senza fiato per due secondi, ma poi si dovette arrendere all’evidenza che si trattava proprio di Erin.
Certo sembrava una persona totalmente diversa ora che non indossava la sua divisa da governante.
Aveva un bel vestito grigio chiaro che si intravedeva dal cappotto di panno verde scuro. I capelli rossicci erano sciolti in una mossa cascata che cadeva libera sulla schiena e questo contribuiva a rendere più piacevole e giovane il viso dai lineamenti regolari.
Di nuovo quella sensazione piacevole ed inspiegabile si presentò e Kain con un sorriso si avvicinò alla giovane donna.
“Signorina Erin?” salutò quando fu a pochi metri da lei.
La ragazza si girò con sorpresa, ma subito un bel sorriso le rischiarò il viso, illuminandole anche i begli occhi grigi.
“Kain! – rispose, venendo fuori da quel piccolo angolino dove si era rifugiata – che sorpresa, non avrei mai immaginato di trovarti qui”.
“Nemmeno io, a dire il vero – si passò una mano tra i capelli scuri con aria imbarazzata – sono qui perché un mio amico è stato appena nominato soldato. Adesso dobbiamo tutti andare a pranzo fuori per festeggiarlo”.
“Davvero? Congratulazioni a lui, allora”.
“Anche lei è qui per un suo amico?”
“No, non proprio” rispose evasivamente lei.
“Un suo parente, allora?”
“No, ma è una storia complicata e sciocca, degna delle favolette che racconto ad Eleanor ed Eric. Comunque non mi piace che mi si dia del lei, è strana come cosa. Mi danno tutti del tu, compresi i bambini”.
“Però sei più grande di me, non sarebbe educato” arrossì Kain, scivolando con difficoltà ne tu.
“Tanto più grande? Quanti anni hai?”
“Sedici”.
“Io diciotto… non mi sembra tutta questa grande differenza. Scommetto che hai amiche della mia età a cui dai tranquillamente del tu, vero? E non arrossire così, altrimenti dovrò dare ragione a mia madre quando mi dice che sono destinata a far imbarazzare la gente con il mio comportamento. Erin, ragazza, chissà perché molto spesso le guance delle persone con cui parli diventano rosse come i tuoi capelli”.
A quella buffa imitazione di una voce severa i due giovani si guardarono e poi scoppiarono a ridere all’unisono.
“Come stanno i bambini?” chiese poi Kain.
“Benone, il tuo incontro al parco è stato l’argomento principale di tutta la cena – rispose Erin con aria estremamente seria – Oggi stanno assieme alla mamma, è il mio giorno libero”.
I due si guardarono di nuovo, quasi da quella frase ne dovesse scaturire l’invito a passare qualche ora assieme. Effettivamente nella mente di Kain stava ronzando l’idea di chiederle se le andava di rivedersi quel pomeriggio dopo pranzo, magari al parco dell’altra volta. Ma qualsiasi sua iniziativa venne interrotta da una voce.
“Ehi, ragazzo – fece Heymans – guarda che ti stavamo aspettando dentro. Non…”
Avrebbe aggiunto anche altro, ma le parole gli morirono in gola quando spostò lo sguardo su Erin.
“Scusami – rispose Kain – è che ho incontrato questa mia amica che…”
“Scusatemi voi – sorrise imbarazzata Erin, facendo un cenno con entrambe le mani guantate – è quasi ora di pranzo e sicuramente dovrete andare. E’ stato un piacere rivederti, Kain, domani racconterò ai bambini che ti ho rivisito. Buon festeggiamento!”
“Oh, Erin, aspetta!” esclamò Kain, facendo un passo verso quella figura esile.
Ma con uno scatto invidiabile, la ragazza aveva già guadagnato il marciapiede e aveva iniziato a correre.
“Accidenti – sospirò Kain – non ho fatto in tempo a chiederle se le andava di rivederci”.
“Chi è?” chiese il rosso con voce stranamente stentata.
“E’ una ragazza che ho incontrato ieri al parco – spiegò l’altro, mentre anche gli altri li raggiungevano – mi ha fatto subito una bella impressione, quindi immagina la mia sorpresa quando pochi minuti fa l’ho vista qui. La conosci? Hai fatto una faccia strana come l’hai vista”.
“No, no – si ricosse Heymans – è stata solo una strana sensazione del tutto inaspettata”.
“Davvero? Lo sai che anche a me Erin suscita una strana sensazione? – Kain si girò a guardarlo con sorpresa – Non riesco ancora a definirla, ma è certamente qualcosa di positivo. Anche per te?”
“Positivo…? Sì, dai, mettiamola in questo modo”.
“Peccato, con tutta probabilità non la rivedrò più – sospirò il moro – tra tre giorni torniamo in paese…”
 
Quella sera, Roy si attardò con il capitano Falman nella hall dell’albergo dove quest’ultimo alloggiava con la sua famiglia. Se ne stavano seduti ad uno dei bassi tavolini, sorseggiando del liquore invecchiato che il neo soldato aveva ordinato nonostante le proteste del suo mentore.
“Bere un alcolico assieme a lei è una grande vittoria, signore”.
“E’ una grande vittoria che lo stai bevendo come un civile e non come hai fatto anni fa quando assieme a Vato e Jean ti sei scolato mezza bottiglia di whiskey in una stupida gara che vi ha ridotto come larve”.
“Povero me – scosse il capo Roy con finta esasperazione – lei non riuscirà mai a vedermi come un adulto. Sarò sempre un ragazzino che le dà troppo filo da torcere: pare una maledizione”.
“Non essere sciocco, ti tratto da ragazzino solo quando ti comporti come tale”.
“In questo momento vediamo di parlare da uomini, allora. Anzi, se devo essere sincero il parere di un navigato capitano di polizia non mi dispiacerebbe”.
“Ricordati che polizia ed esercito sono due cose differenti – spiegò Vincent, sistemandosi meglio nel divanetto e bevendo un sorso del liquido denso – ma vedrò di darti il parere che chiedi”.
“E’ mai stato ambizioso, signore?”
Pose quella domanda con sincera curiosità, senza alcuna provocazione nella voce. Vincent Falman gli era sempre parso l’emblema del poliziotto integerrimo, il cui unico scopo era fare il proprio dovere a prescindere dal grado e della missione. Non era stupido: sapeva benissimo che essere capitano di polizia in un piccolo paese come il loro significava la fine di qualsiasi possibile carriera.
“Sono stato giovane pure io, Roy: la mia buona dose di ambizione l’ho avuta, ma poi ho dovuto rivedere i miei progetti e ho capito che mi andava bene quello che ero diventato”.
Roy fece una piccola smorfia di disappunto, come se la sorsata di liquore appena bevuta gli fosse andata di traverso. Tuttavia Vincent si limitò a sorridere furbescamente.
“Oh, so cosa provi, credimi. Quando ho visto dei traguardi alla mia portata so bene quale scarica di adrenalina ho provato e quanto mi ci sono applicato per raggiungerli. La vocazione non esclude l’ambizione, ragazzo mio… in nessuno di noi”.
“Un mio insegnante d’Accademia in primavera mi porterà a Central – spiegò il ragazzo – essendo stato il migliore del corso pare che vogliano sfoggiarmi nei piani alti”.
“Credi che qualcuno ti noterà a ti prenderà con se?”
“Quanto può costare un rifiuto a proposte simili?”
“Bella domanda – annuì Vincent – a seconda della persona che trovi ti costa tutta la tua carriera futura. Perché credi che io sia finito in paese? Ho offeso una persona più forte di me, tutto qui. Altrimenti io e la mia famiglia saremo ancora a New Optain e forse sarei qualcosa di più rispetto ad un capitano… anzi, con molta sicurezza lo sarei: ero parecchio promettente. Quindi ecco la risposta di quanto può costare un rifiuto alla persona sbagliata”.
“Ti giochi la carriera, insomma”.
“Carriera ed integrità morale sono due pesi che saranno sempre nella tua bilancia, ragazzo mio – scosse il capo il poliziotto – sono fuori dall’ambiente da tempo, ma so che nell’esercito è molto peggio rispetto che nella polizia. Tu sei un novellino che farà gola a parecchi, credimi. L’unico suggerimento che posso darti e di ponderare bene la tua scelta”.
“A costo di annullare sul nascere la mia carriera”.
“Non essere modesto, Roy – sogghignò Vincent – tu hai un qualcosa in più rispetto al poliziotto che ero io: hai una capacità di adattamento invidiabile. Sono sicuro che riuscirai a rimanere a galla e a seguire i tuoi principi anche quando il mondo sembrerà remarti contro. Sei troppo furbo per farti fregare, ragazzo mio”.
“Non è proprio l’immagine di soldato che vorrebbe di me, vero?”
“Credevi che volessi un altro me stesso? No, figliolo – sorrise il capitano, facendo un lieve brindisi – ho imparato anni fa che una cosa simile non la potevo pretendere nemmeno da Vato. Siamo tutti delle personalità diverse e bisogna saper riconoscere le doti di ciascuno”.
“Insomma secondo lei questo neo soldato ha grandi possibilità”.
“Mi aspetto di vederti presto con qualche grado in più sulle spalline, mettiamola così”.
“Voglio chiedere al tenente Conrad di prendermi come collaboratore”.
“Ti piace come persona?”
“Mi ha messo in guardia contro quello che potrei trovare a Central City – scrollò le spalle Roy – mi pare un buon inizio, no?”
“Anche a me. Bene, direi che si è fatta ora di andare a dormire. Domani ci aspettano diverse ore in treno”.
“Ovviamente vi accompagnerò alla stazione – annuì il soldato alzandosi  e stringendo la mano all’uomo – ancora grazie per essere venuti, signore”.
“Non sarei mancato per niente al mondo, soldato semplice Mustang”.





 
  
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