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Autore: Darkrystal Sky    10/02/2017    1 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13 - Il Giuoco Delle Parti (Atto Secondo)

It’s a cruel, cruel trick
How we find ourselves
When we lose everything else
Like a train wreck
Sleeping at Last- ‘Woodwork’

 
Non aveva mai sopportato il proprio nome. Un nome da principessa, un nome da bambina educata e di buona famiglia.
Sua madre le aveva dato quel nome, la stessa madre che aveva lasciato lei e sua sorella da sole in una stazione ferroviaria, senza l’intenzione di tornare da loro. Si era sempre occupata lei di sua sorella e continuò a farlo nell’unico modo che conosceva.
Per anni avevano vagabondato di città in città, cercando di tirare avanti derubando passanti ignari in vicoli e anfratti: avevano scampato la prigione per un soffio più di una volta.
Avrebbero continuato, se non per l’incidente ferroviario che lasciò sua sorella gravemente ferita e con le ossa del braccio destro polverizzate al punto che nessun medico avrebbe potuto far nulla. Un boss della malavita nel sud di Amestris si offrì di pagare per impiantarle un automail armato, a patto che le ragazze lavorassero per lui.
In una clinica che aveva poco di legale, si fece amputare il braccio sinistro e impiantare un automail simile a quello della sorella. Il boss che aveva coordinato l’operazione morì con una pallottola in testa pochi giorni dopo.
Nel paese si cominciò a parlare di una coppia di criminali che vagava senza meta: le sorelle Thompson. Non avevano veramente un cognome, era solo il nome del boss che avevano ucciso e che aveva donato loro le braccia di metallo, ma a loro andava bene.
‘Liz Thompson’ suonava molto meglio di ‘Elizabeth’.
Liz si svegliò all’improvviso, solo per essere accolta da un dolore lancinante a lato della testa e dalla più completa oscurità. I suoi occhi si abituarono lentamente al buio, e le permisero di scorgere una luce fioca proveniente da una finestrella sbarrata sopra di lei. Le mura di pietra erano impregnate di umidità e il pavimento aveva un odore di muschio e feci.
Si alzò a sedere di scatto, ignorando il dolore, e si alzò in punta di piedi per guardare tra le sbarre al di fuori della piccola apertura. Il sole era appena tramontato, doveva essere rimasta priva di sensi a lungo. Quando si ritrasse dalla finestrella, lo sguardo le cadde verso il basso e si accorse immediatamente che le era stata aperta la camicia e rimosso il binder che le aveva permesso di spacciarsi per un ragazzo: istintivamente cercò di coprirsi, anche se non c’era nessuno intorno.
“Patty?!” chiamò, sperando che la sorella fosse perlomeno nella cella accanto. Non ci fu risposta.
C’erano due possibilità: la migliore era che fosse riuscita a scappare, ma conoscendo Patty avrebbe fatto qualcosa di stupido nel cercare di venirla a salvare. Non voleva nemmeno pensare alla seconda possibilità: se fosse finita come Kanae non se lo sarebbe mai perdonato.
E avrebbe dedicato la sua vita a far soffrire quel malato di Aizen come il mostro che era.
-
Alphonse strinse tra le mani il pacco di lettere che l’uomo gli aveva allungato. A differenza di Edward, lui non ricordava nemmeno il volto del loro padre. Per lui, Hohenheim era un’ombra sull’uscio di casa, il profumo di acqua di colonia nel suo studio, una coppia di armature nel seminterrato. Perso tra i suoi pensieri, non riusciva nemmeno a prestare completamente attenzione a quello di cui suo fratello e Aizen stavano parlando. I due erano seduti comodamente su un paio di poltrone.
“Quindi le Düsternis non hanno nulla a che fare con il malessere in città?”
“I fumi della materia prima possono causare leggeri problemi respiratori se inalati in quantità eccessive e molto a lungo, ma non deteriorano l’organismo nel modo che dite di aver visto presso l’ospedale,” spiegò in modo conciliatorio. “Se non mi credete, ho i referti medici del dottor Grantz di Central City, che viene periodicamente per accertarsi della sicurezza nelle miniere.” Edward sospirò: quel discorso andava avanti da ore e non era ancora riuscito a ricavare un ragno dal buco. “Detto ciò, la posizione è rimasta aperta” propose improvvisamente Aizen.
“Posizione?” fece Al, che era rimasto in silenzio fino ad allora.
“Ho la necessità di un alchimista per produrre le Düsternis e continuare la ricerca sul Catalizzatore. Gli impostori verranno consegnati alle autorità, e io non riesco ad usare l’alchimia. Mi sento un po’ imbarazzato a chiederlo ma,” una breve pausa, “non riprendereste la loro ricerca?”
Edward si sforzò di sorridere, cercando di non alzare gli occhi al cielo: finalmente.
“Va bene,” annuì, “ma prima di tutto: dove sono i due truffatori?” chiese con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
“Perché vuoi saperlo?” domandò Aizen, sorpreso dall’improvviso cambio di espressione di Edward.
“Le sembro il tipo che perdona le menzogne? Creare il Catalizzatore sarà per noi un gioco da ragazzi, ma prima… ci vuole una bella punizione per quei due impostori. Già mi prudono le mani!” aggiunse facendo scricchiolare le nocche. “Lei vuole assistere?” chiese, tornando improvvisamente serio.
“No, grazie, ne faccio volentieri a meno” rispose l’uomo, anche se il sorriso perverso che gli era spuntato sul viso sembrava intendere ben altro.
-
Oriel si svegliò con un dolore pulsante alla nuca e la pelle imperlata di sudore freddo. Era stesa sul pavimento della stanza buia che aveva visto prima, ma in quel momento era rischiarata dalla luce di una lampada a gas. La porta che portava all’infermeria era chiusa a chiave.
Oriel si alzò a sedere, appoggiandosi alla parete per non cadere di nuovo. Sul pavimento, intorno a lei turbinavano volute di fumo: la ragazza tossì istintivamente, anche se riusciva a respirare bene, aver respirato quel fumo mentre era svenuta non poteva certo averle fatto bene.
La ragazza si guardò attorno: nella stanza c’era un solo largo letto a baldacchino, un tavolo con diversi alambicchi e pagine scarabocchiate e una scala a chiocciola di metallo che scendeva ancora più in profondità.
“Vai…via…” la voce roca prese Oriel di sorpresa, al punto che la ragazza scattò in piedi di soprassalto, per poi pentirsene amaramente quando un giramento di testa la fece barcollare al punto che dovette appoggiarsi alle tende del letto per non cadere
“Chi c’è?” chiamò Oriel. Accanto a lei, sul muro, c’erano due ganci vuoti. A terra, sotto uno di essi, una maschera a gas. La ragazza la raccolse e se la mise, perlomeno per evitare di continuare a respirare quella roba.
Le tende del letto a baldacchino si mossero e finalmente Oriel si allontanò dal muro per avvicinarsi al letto.
Con difficoltà riconobbe che quella tra i tendaggi era una persona: la pelle era quasi completamente ricoperta di incrostazioni cristalline simili ad ematite grezza che sembravano crescere da sottopelle, ma il volto era riconoscibile: era la cameriera che aveva aperto loro la porta il giorno prima.
“Kanae?” mormorò tentativamente. Lo sguardo della donna si posò su di lei. “Sono venuta da parte di tuo marito, ti porterò fuori di qui,” spiegò, sapendo benissimo di non suonare molto convinta: la donna sembrava moribonda e non sapeva nemmeno da dove cominciare per spostarla da quel letto.
“No…” fece lei, debolmente. “Ti prego…finisci tutto questo. Lasciami…dormire…”
 Oriel sussultò: il senso di quelle parole era chiaro, ma ancora si rifiutò di accettarlo.
“No! Ryuken sta cercando una cura, se ti porto da lui…” la ragazza si interruppe quando la donna, a fatica, le prese un lembo del camice da cameriera.
“Ryuken…Uryu…dì loro che li amo tanto.” Aggiunse con un debole sorriso. “Non devono sapere…che ho voluto…” le ultime parole della frase si persero in un gemito di dolore. “Ti prego…ho solo questa richiesta…”
-
“Posso farti un’altra richiesta?”
Lacrime e gocce di pioggia sulle lenti degli occhiali, Oriel alzò la pistola e sparò. Il suono dell’arma da fuoco perso tra le sue urla di dolore.
-
“Non posso,” replicò la ragazza, ma aveva già preso in mano la pistola. “Non di nuovo,” aggiunse, mentre una singola lacrima le cominciava a scendere lungo il viso.
La donna non rispose, ma continuò a fissarla con quello sguardo pieno di disperazione e rassegnazione, la mano ancora aggrappata al lembo di tessuto. Oriel aveva visto i pazienti di Ryuken e sapeva che se per loro non c’era più nulla da fare allora la donna davanti a lei…
Ucciderla le avrebbe solo risparmiato ulteriori sofferenze.
Oriel caricò il colpo e puntò la canna verso la testa della donna: un colpo al cervello avrebbe dovuto uccidere immediatamente, era la scelta migliore.
“Questa volta non puoi tornare indietro, però ♥”
La nuova, inaspettata, voce fece sobbalzare Oriel e il proiettile si conficcò nella parete. La ragazza si voltò, esaminando la stanza, ma non c’era nessuno dietro di lei. Solo dopo alcuni secondi si accorse che sopra il letto fluttuava uno strano essere: un pipistrello, o qualcosa che ci somigliava, dal corpo sferico quasi completamente occupato da un singolo occhio.
“Chi sei?” lo interpellò lei, con la voce che ancora le tremava per la paura e lo sgomento.
“Oh ♥” fece questo, svolazzando davanti al viso di lei. “Io sono solo uno spettatore, il mio nome non è importante, ne ho avuti tanti negli anni.” C’era qualcosa di orrendamente familiare nel tono di voce neutro e leggermente divertito che veniva dallo strano essere. No, non dall’essere, quello doveva essere il golem sottratto ad Urahara, ma se era così con chi era in contatto?
“La domanda giusta è ‘chi sei tu?’” continuò, ignorando il fatto che la pistola di Oriel era ora puntata verso il golem. “Sorella Yumiko, fino a poco tempo fa. Adesso ti fai chiamare Oriel Eckhart, ma per la memoria dei miei animaletti tra le pieghe del tempo il tuo nome…”
“Taci.” Lo interruppe lei, sparando una serie di colpi che però non andarono mai a segno: il golem piccolo e agile, sfuggì a tutti i proiettili finché la pistola non fu scarica e la ragazza non si trovò a premere il grilletto a vuoto diverse volte prima di arrendersi.
“Homura Akemi” la voce che venne dal golem era diversa da quella che aveva parlato fino a quel momento, era acuta e infantile, ma seria come quella di un adulto. “È certamente una sorpresa sapere che esisti ancora…”
La ragazza sentì il sangue gelarle nelle vene. Boccheggiò, incapace di rispondere o persino respirare correttamente. Ringraziò in silenzio la maschera che le permetteva di nascondere la propria espressione agghiacciata in quel momento.
“Incubator…” riuscì finalmente a mormorare.
“No, no, non mi confondere con quelle sciocche marionette” la prima voce riprese a parlare, o forse era stata sempre la stessa persona? “Quel progetto è stato un fallimento, e oltretutto mi sono state sottratte da quel demone…Io sono semplicemente il burattinaio, il regista, lo sceneggiatore, lo scrittore, il creatore e il distruttore. Mi hanno chiamato Lord, mi hanno chiamato Mago, mi hanno chiamato Conte, ma tu puoi semplicemente chiamarmi Adam♥”.
Finalmente la voce aveva un nome, un nome che suonava come un campanello d’allarme nella mente della ragazza, come se avesse saputo qualcosa di molto importante legato a quel nome che in quel momento non riusciva a ricordare. Ma qualcos’altro in quell’introduzione aveva attirato la sua attenzione.
“…Un demone?” ripeté piano.
“Non lo sai? Non lo sai! ♥” Suonava sorpreso e divertito. “Forse, dopotutto, tu non sei tu ma solo un’ombra alla fine… Wo ist dein Kern?” Il golem volò accanto alla mano sinistra della ragazza, dove la cicatrice a forma di diamante risaltava bianca sulla pelle. Oriel si mosse di scatto, sbattendo il golem contro il muro col dorso della mano.
“Adesso basta!” asserì Oriel, con ritrovata fermezza. Non c’era abbastanza metallo nella stanza per trasmutare una nuova arma, ma con il bracciale riuscì a trasmutare la parete in modo che formasse una gabbia semisferica che intrappolò il golem, che volava ancora rasente al muro.
“È stata quella strega a farti questo? La strega nel negozio…” la voce continuò, seppur smorzata dalla roccia dietro la quale il golem era rinchiuso.
“Non so di cosa stai parlando” replicò lei, eppure con strega nel negozio c’era una sola persona a cui poteva riferirsi, e fu proprio quel pensiero a farle ricordare dove aveva già sentito il nome Adam. “Ho capito chi sei,” aggiunse con voce dura. “Il Nemico dell’Umanità, Adam, il Conte del Millennio. Yuuko mi ha messo in guardia da te e dalle tue menzogne…”
“Uh uh uh♥” ridacchiò Il Conte, per nulla turbato di essere stato riconosciuto. “Menzogne? Forse è vero, ma di chi?”
In quel preciso momento la porta che dava sull’infermeria si spalancò.
-
La porta della piccola cella si aprì e Liz scattò immediatamente in piedi: al di là di essa i fratelli Elric bloccavano l’uscita, specialmente Alphonse con la sua gigantesca armatura, occupava l’intero corridoio. Anche volendo, non sarebbe riuscita a scappare in quelle condizioni.
“Uh, sei una ragazza.” Fu la prima cosa che Edward le disse, e Liz non poté che rivolgergli un sorrisetto provocante: aveva legato i lembi della propria camicia, tenendo la pancia scoperta. Senza smettere di sorridere, si appoggiò alla parete con le braccia incrociate.
“Sei venuto a sfottere?” chiese, “’Bohoo guarda che bravo ho smascherato gli impostori’. Sì, bravo, bravo, ora perché non mi dici che diavolo ne avete fatto di mia sorella?”
“Tua sorella?” Edward ripeté, confuso. “Ah, il falso Al…non è stata catturata con te?”
“No, eravamo separate quando mi hanno presa.” Liz rimase in apparenza calma per qualche istante, prima di scattare verso Edward, afferrandolo per il bavero e sbattendolo contro il muro. “Se voi stronzi le torcete anche solo un capello, vi prometto che dedicherò il resto della mia vita a farvi soffrire…” disse in un sussurro minaccioso. Alphonse si intromise e separò i due a forza prima che lo scontro di intensificasse.
“Non sappiamo dove sia tua sorella, però siamo venuti a farti delle domande” spiegò il ragazzino.
“Già, per esempio, chi siete?” continuò Edward, sistemandosi la giacca. “Perché siete venute a Karakura e vi siete spacciate per noi? Cosa sta succedendo alla gente di questa città?”
“Se rispondo, mi aiuterete a trovare Patty?” replicò la ragazza. “Voi alchimisti sembrate adorare lo scambio equivalente…” aggiunse con un sorrisetto.
Edward esitò, ma fu Alphonse a rispondere per lui.
“Affare fatto,” esclamò. “Inoltre se ci aiuterai, non vi consegneremo alle autorità…”
“Al, mi sembra un po’…” cominciò Edward.
“La condizione delle persone in città è più importante di una piccola truffa. L’importante” Alphonse fece alcuni passi avanti, torreggiando sulla ragazza in modo da intimidirla, “è che voi non abbiate preso parte nel creare quell’orribile malattia in città.”
“La città era già in questo stato da prima che arrivassimo,” replicò Liz, cercando di non lasciar trapelare il suo disagio. “Aizen produceva già Düsternis, il che mi fa chiedere perché non ne sia in grado ora. Fatto sta che io e Patty ci siamo travestite da minatori, abbiamo attraversato i tunnel e siamo riuscite ad entrare nei sotterranei della villa.” La ragazza sospirò. “Patty voleva prendere dei libri di alchimia, oltre alle Düsternis, e questo ci ha fatte sgamare. Nella foga del momento, per non farci arrestare, ho detto di essere un alchimista di stato e l’unico per cui potevo passare eri tu. Niente di personale.”
“Sai che c’è anche un’alchimista di stato donna della nostra età, vero?”
“Ah, sì?”
“Oriel Eckhart?” tentò Edward. “Silver Bullet Alchemist?” continuò, quando non ricevette nessuna risposta.
“Mai sentita nominare.”
“A differenza di te, Oriel tende a tenere un basso profilo, fratellone” commentò Al.
“Cosa vorresti dire con questo?!”
Uno sparo improvviso riecheggiò lungo il corridoio: distante ma nitido.
“Cos’è stato?” esclamò Edward, voltandosi immediatamente verso Liz. “Tua sorella?”
La ragazza scosse la testa.
“Riconoscerei ovunque gli spari del suo automail, non è lei.”
“Allora è Oriel!” esclamò Ed. I due fratelli cominciarono a correre verso l’uscita, ma si fermarono immediatamente quando fu chiaro che Liz non li stava seguendo.
“Cosa aspetti, vuoi rimanere lì o aiutarci?”
“Perché tutto questo altruismo? Perdonatemi se non mi fido, ma fino ad ora sono sopravvissuta non fidandomi delle persone. Perché vorreste aiutarci?”
“Perché gli alchimisti esistono per aiutare le persone” rispose Edward con naturalezza.
Liz sorrise.
“Non voglio sentirmelo dire da un cane dell’esercito…” ribatté. “Ma non posso uscire da questa situazione da sola, quindi per adesso vi aiuterò.” Tese verso i ragazzi il braccio destro. “Ho bisogno di proiettili, e di polvere da sparo. Sono completamente a secco.”
“Se ne vedo te li passo, ora però possiamo sbrigarci?!” strillò Edward, spazientito, appena prima che una successione di spari risuonasse di nuovo nel corridoio.
“Meglio sbrigarci, non può voler dire niente di buono!”
-
L’uomo che fece irruzione nella stanza a malapena prestò attenzione ad Oriel. Invece, sotto lo sguardo esterrefatto della ragazza, camminò lentamente verso il letto dove giaceva Kanae.
“Oh, che disastro…” mormorò, scrutando la massa di cristalli che cresceva sulla carne della donna. “Quell’incapace non è stato nemmeno in grado di finire il lavoro…”
“Non capisco…” mormorò Oriel, finalmente l’uomo si voltò verso di lei. Capelli biondi che scendevano irregolari sul volto senza il cappello che gli copriva gli occhi color cenere; indossava ancora il kimono nero che aveva la prima volta che lo avevano incontrato, ma invece di sembrare ridicolo, in quella stanza semibuia e col fumo che spiraleggiava intorno a loro, gli dava un’aura di mistero.
Urahara, dopo un momento di confusione, capì chi si trovava davanti a lui.
“Oh! Miss Eckhart!” la salutò con un largo sorriso, come se la situazione fosse totalmente normale. “L’uniforme da cameriera le sta davvero bene, purtroppo non posso dire lo stesso per quell’inguardabile maschera anti gas, perché non se la toglie?” domandò, muovendosi verso di lei. Le sfilò la maschera con tale nonchalance e leggerezza che la ragazza non ebbe il tempo di reagire.
“Ora, se non sbaglio tu dovevi cercare il mio golem, cosa ci fai qui dentro?” domandò, rigirandosi la maschera tra le mani senza indossarla.
“In un certo senso lo ha fatto♥” ridacchiò la voce del Conte, attutita dall’involucro di calcestruzzo.
“Oh, capisco.” Annuì, sorridendo, per poi tornare a voltarsi verso Kanae. “Ora scusate, ho una trasmutazione da concludere.”
“No!” gridò Oriel, uscendo dalla trance in cui l’apparizione inaspettata dell’uomo l’aveva gettata. Alzò la pistola verso la tempia dell’uomo, ma questi non si mosse.
“Una pistola FS d’ordinanza, nove proiettili giusto? Li hai scaricati tutti poco fa contro” si guardò velocemente intorno, “i muri, apparentemente? Ahah, non preoccuparti, ci vorrà solo un secondo.”
L’uomo posò gentilmente una mano sulla fronte della donna sdraiata nel letto con un gesto apparentemente compassionevole prima che il cerchiò alchemico impresso sul pavimento si attivasse sotto di lei. Kanae spalancò la bocca come per urlare, senza però emettere alcun suono, mentre i cristalli continuavano a crescere, lacerandole la carne. Oriel continuò a fissare la scena, come ipnotizzata: l’energia rossastra sembrò lentamente concentrarsi in un punto finché l’intero cristallo implose su se stesso rilasciando un’onda di energia che mandò Oriel a sbattere contro il muro e incrinò le pareti, permettendo al golem di sgusciare fuori dalla sua prigione attraverso una crepa.
Sul letto era rimasto solo il corpo insanguinato e senza vita di Kanae, mentre i cristalli erano scomparsi, sostituiti da una piccola pietra che brillava di luce propria.
“Grazie Kanae, puoi dormire ora.” Mormorò l’uomo, prendendo dolcemente in mano la pietra. “Tessai, porta la ragazza nel laboratorio.”
L’uomo gigantesco era comparso sull’uscio, probabilmente stava aspettando nell’infermeria. Si diresse a passi lenti verso Oriel, che si stava rialzando dopo la botta, e le prese con una sola mano entrambi i polsi, tenendoli dietro la schiena.
Urahara cominciò a scendere lentamente la scala a chiocciola, seguito da Tessai e Oriel e infine dal golem, dal quale veniva la voce del Conte che aveva cominciato a canticchiare.
“La scacchiera bianca e nera sembra finta invece è vera. ♥ Case bianche ad un alfiere, a quell’altro case nere. ♥ Di traverso si muoveranno, tante spine sembreranno. ♥ Dio muove il giocatore che muove il pezzo. Ma quale dio, dietro Dio, questa trama tesse di polvere e di tempo, di sogno e di agonia?
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Ryuken non poteva che osservare la villa dalla finestra del piccolo ospedale, sperando che i ragazzi al suo interno fossero sani e salvi. Si sentiva in colpa per aver mandato avanti dei ragazzi così giovani, ma se fosse successo qualcosa a lui, chi sarebbe rimasto per badare ai suoi pazienti?
La reazione iniziò senza preavviso: tutte le persone ricoverate cominciarono a lamentarsi e contorcersi, mentre il medico osservava in soggezione due fenomeni completamente distinti. Sui pazienti più gravi, dalle macchie nere sulla pelle cominciarono a crescere dei cristalli che distrussero muscoli e ossa nel processo, mentre su quelli con sintomi più leggeri, le macchie evaporarono lasciando macchie biancastre simili a vecchie cicatrici. In pochi secondi i cristalli scomparvero: immediatamente Ryuken corse al soccorso dei pazienti più gravi, pregando ripetutamente tra sé e sé che sua moglie stesse bene.
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La cosa strana di quel sotterraneo non era tanto che la porta da cui i fratelli Elric erano entrati era chiusa a chiave, dopotutto con l’alchimia sarebbe stato facile riaprirla, ma il fatto che determinate porte sembravano essere state chiuse o spalancate per guidare i tre in una direzione specifica. La curiosità aveva avuto la meglio e i ragazzi avevano seguito il percorso che qualcuno aveva aperto per loro finché finalmente non erano arrivati in una stanza dalle dimensioni tali che era difficile credere che un tale ambiente si trovasse al di sotto della villa.
La grotta era enorme e di forma pressappoco cilindrica e dal soffitto alto, illuminata da una serie di piccola luci elettriche come quelle delle miniere e da due sottili finestre da cui entrava la luce del tramonto. Dai macchinari in legno e le numerose rotaie che vi convergevano doveva un tempo essere stata il fulcro o l’ingresso delle miniere, ma era stata allargata e convertita a qualunque scopo avesse in quel momento.
La luce del sole morente, riflessa da specchi verso il pavimento, andava ad illuminare le righe e formule di un complesso cerchio alchemico disegnato sul pavimento in vernice bianca: riempiva la stanza quasi totalmente e approssimativamente al suo centro ospitava una gigantesca scultura di pietra tanto alta da sfiorare il soffitto.
“No…” Edward mormorò, indietreggiando.
“Fratellone…?” lo chiamò Alphonse, confuso. Non vedeva un’espressione simile sul volto del fratello da molto tempo, terrorizzata ed impotente.
“Che hai? Capisco che è brutto, ma stai esagerando…” fece Liz superando i due ragazzi e dirigendosi verso la scultura di pietra, prima di fermarsi all’improvviso. Qualcun altro era già nella stanza con loro, in piedi davanti ad essa.
“Ah, finalmente: stavo perdendo la pazienza. L’avete portata? Bene…” commentò Aizen quando si accorse del loro arrivo. “È magnifica, vero? Ci sono molte teorie su questa porta, non ci crederete come ho fatto ad ottenere questa riproduzione.”
“Bastardi!” ringhiò la ragazza voltandosi verso i fratelli Elric. “Eravate d’accordo con lui?”
“Cosa? No!” esclamò Edward, scuotendosi di dosso lo stato di shock.
“Come sapeva che mi avreste portato qui allora?”
“Perché siete prevedibili,” rispose Aizen per lui. “Anche se devo ammetterlo: il vostro arrivo è stato provvidenziale. Senza voi due, no, voi tre, non sarei mai riuscito a concludere il progetto.”
“Quindi quando prima parlava di ‘fase conclusiva’ intendeva…”
“Ora.” Finì l’uomo. O forse fu un segnale, perché nel secondo immediatamente successivo due piccole figure sgusciarono fuori dall’ombra.
La piccola Ururu, con espressione piatta, volò contro Liz e la scagliò lontano con un calcio la cui potenza era decisamente spropositata rispetto alla sua figura minuta. Liz strisciò a terra per diversi metri, fermandosi in prossimità di uno dei cinque angoli del cerchio alchemico. Mentre cercava di rimettersi in piedi, Aizen le si era avvicinato con passi tranquilli. Una catena con una singola manetta spuntava dal pavimento in corrispondenza dell’estremità del cerchio. Prima che la ragazza si potesse alzare, l’uomo aveva già chiuso la manetta intorno al suo braccio sinistro.
Mentre Liz cercava di rompere la catena invano, dall’altra parte della stanza. Ururu stava combattendo Al, che riusciva a tenerle testa, ma stava venendo spinto sempre di più verso un altro degli angoli del cerchio.
Edward tentò di andare a dargli man forte prima che una pesante mazza di metallo si schiantasse al suolo di fronte a lui.
“Jinta, attento al cerchio.” Aizen suonava leggermente infastidito, ma altrimenti completamente a suo agio in quella situazione a cui Edward stava cercando disperatamente di dare un senso.
Perché i due bambini stavano aiutando Aizen? Non erano Viaggiatori e non erano dalla loro parte? Aizen aveva detto che ‘loro tre’ gli servivano, ma si riferiva a Liz o ad Oriel? E soprattutto, perché quel Portale, quella gigantesca e orripilante struttura, che Edward aveva visto durante la trasmutazione di sua madre e non era mai riuscito a dimenticare, si trovava lì, anche solo come replica?
Aizen aveva dei libri sulla trasmutazione umana: cosa stava cercando di fare?! Edward glielo avrebbe chiesto di persona, normalmente, ma in quel momento era troppo impegnato a schivare i colpi della mazza, che il bambino sbatteva a destra e manca come se fosse di gommapiuma.
Con un clangore metallico, Alphonse cadde a terra. Ururu gli si arrampicò addosso e cominciò a sganciare i fermi, ma quando la aprì completamente rimase immobile a fissare l’interno.
“Dottore, qui non c’è nessuno” mormorò, senza alcuna nota espressiva nella voce. Aizen la raggiunse dall’angolo dove si trovava Liz e osservò l’inspiegabile armatura vuota che  si era mossa fino a pochi momenti prima.
“Molto interessante…” commentò.
“Allontanati da lui, bastardo!” urlò Edward, voltando le spalle a Jinta per correre verso Al. Fu un errore fatale, perché il ragazzino roteò la mazza colpendolo alla nuca. Edward cadde a terra con la testa che gli pulsava e un ronzio costante nelle orecchie e si accorse a malapena della porta che si apriva.
“Hola, Sosuke,” esclamò giovialmente Urahara entrando nella sala dall’ingresso principale dalla porta principale. “Ti ho portato un regalino,” annunciò sollevando la mano che stringeva il Catalizzatore.
Anche con la vista offuscata a causa della botta, Edward riuscì a riconoscere i lampi rossastri che la pietra spesso rilasciava, nonostante non stesse avvenendo nessuna trasmutazione. Il Catalizzatore doveva essere molto instabile per rilasciare tutta quell’energia. Il ragazzo sentì qualcuno che lo trascinava e gli agganciava una manetta di metallo al braccio: tentò di ribellarsi ma venne assalito da un pesante senso di nausea appena alzò la testa.
Urahara camminò verso il portale ed incastonò il cristallo in un’apertura apposita sulla scultura al centro del cerchio. Tessai entrò dopo di lui, portando Oriel, legata mani e piedi, in spalla. L’omone lasciò cadere la ragazza sull’angolo del cerchio più vicino all’entrata e la legò in maniera simile agli altri.
“Hey!” esclamò Liz quando la vide. “Nuova cameriera un corno: sei venuta con loro? Dov’è mia sorella?”
Sparita nel nulla dopo avermi lasciato svenuta in un’infermeria con un presto cadavere. O almeno così avrebbe voluto rispondere Oriel, ma in quel momento aveva tutt’altro per la testa.
“Signor Urahara?” fece Alphonse, incredulo, quando realizzò chi era l’uomo che gli si era avvicinato.
“Questo qui è senza corpo?” fece il Viaggiatore, rivolto ad Aizen, ignorando il ragazzino.
“Andra bene lo stesso, no? Quello che serve è l’anima.”
L’uomo fece spallucce.
“Eh, forse. Stai solo attento a non coinvolgere Ururu.”
Al guardò la ragazzina che lo teneva fermo al suolo: se i Viaggiatori erano stati alleati di Aizen fin dall’inizio, allora i ragazzi avevano giocato sul palmo della loro mano. Non avevano mai avuto bisogno del loro aiuto, solo che si trovassero tutti e cinque lì in quel momento.
“Giusto, dov’è tua sorella?” domandò Aizen avvicinandosi a Liz. “Non possiamo cominciare senza di lei.”
“Se non lo sai nemmeno tu, allora vuol dire che è scappata,” ghignò la ragazza. “Buon per lei, ora non puoi finire il tuo progettino, vero?”
Il volto dell’uomo ebbe un breve spasimo, come se stesse per perdere la compostezza che aveva mantenuto fino a quel momento, ma con un sospiro si passò la mano sugli occhi e riprese a sorridere.
“No, ci tiene troppo a te per lasciarti qui. Arriverà in tempo.”
“Ci puoi giurare, figlio di puttana” confermò una voce, prima che una sfilza di proiettili si abbattesse dall’alto sull’uomo che si scansò appena in tempo per non essere colpito gravemente.
“Jinta!” gridò Urahara. Il ragazzino con i capelli rossi corse verso Tessai, che lo lanciò verso l’alto in direzione di uno dei tunnel minerari da cui erano arrivati i proiettili. Il ragazzino si trovò davanti Patty, che lo guardò con fugace sorpresa prima di cominciare a sparargli contro.
Jinta agitò la mazza finché non riuscì a colpire l’automail, schiacciandolo contro il muro. Il metallo si piegò con un suono terrificante, mettendo fuori uso l’arma. Il ragazzino concluse il combattimento dando una ginocchiata in pancia a Patty e lasciandola cadere dall’apertura verso la sala. Tessai la prese al volo, portandola verso l’ultimo vertice rimasto libero.
“Visto?”
“Patty…” mormorò Liz. “Stupida! Perché non sei fuggita?!”
“Pensavi che ti avrei abbandonato nelle mani di questi psicopatici?!” ribatté lei, scalciando mentre Tessai la fermava, mettendole la manetta tra il gomito e la spalla, visto che la parte anteriore del braccio meccanico era maciullata.
Aizen, nel mentre, si era rialzato e, spazzando via la polvere dai vestiti, fece scorrere lo sguardo sulla sala con un sorriso compiaciuto. Ururu stava finendo di legare Al al pavimento con diverse catene, non sapendo come altro tenerlo fermo.
“Quindi voi eravate d’accordo fin dall’inizio…” cominciò Oriel. “Perché questa sceneggiata? Che bisogno c’era? Perché non ci avete semplicemente catturato?” chiese, mentre con lo sguardo che saettava da un punto all’altro della stanza, cercava un qualunque spunto, punto debole o idea per uscire da quella situazione. Il bracciale glielo aveva sfilato Tessai e non aveva con se né armi né qualcosa per disegnare un cerchio alchemico.
Il muro dalla parte opposta della sala aveva delle finestrelle. Il sole stava ormai tramontando e si vedeva la luce rossastra illuminare i granelli di polvere: oltre quel muro c’era l’esterno.
“Non ce l’avremmo mai fatta a portare cinque alchimisti qui con la forza!” rise Urahara, con leggerezza. “Il piano originale prevedeva la presenza dei tre Ishida, ma Kanae si è offerta di fare da catalizzatore purché non li coinvolgessimo…”
“Cazzate!” si intromise Liz. “Kanae non avrebbe mai collaborato con voi, e poi perché avreste dovuto onorare la parola data?”
“Perché la creazione di quel catalizzatore richiedeva una partecipazione volontaria…” realizzò Oriel, ricordando le ultime parole della donna. “E perché il Conte onora sempre i suoi contratti, non è così?”
“Chi diavolo è Il Conte?!” fece Liz, notando con la coda dell’occhio, che Patty stava  lavorando a qualcosa con la schiena rivolta verso di loro. Meglio attirare l’attenzione su di sé, se stava cercando un modo di fuggire.
“Il mio maestro,” spiegò Aizen, guardando il golem, che era stato in silenzio per tutto quel tempo. “Un Mago delle Dimensioni dall’immensa conoscenza e potere, che mi ha rivelato la verità sul Gate e su questo Mondo. In cambio, aprirò quel cancello e siederò sul Trono del Mondo…”
“Cos…” cominciò Liz, confusa, ma Oriel la interruppe.
“Il Conte non è generoso, né sincero. Ti ha riempito di stupidaggini per renderti la sua marionetta.”
Aizen le si avvicinò e chinò di fronte, prendendole con decisione il mento tra le mani: “Per essere così saccente, sei davvero ingenua. Non esistono la ‘verità’ o le ‘bugie’ in questo mondo; non c’è mai stato niente del genere. Esistono solo fatti. Gli ingenui e gli ignoranti hanno l’abitudine di prendere da parte solo i ‘fatti’ che gli fanno comodo e renderli la propria ‘verità’, lo fanno perché non conoscono nessun altro modo di vivere, non hanno idea del proprio potenziale.  Io aprirò la Porta che esiste in ciascuno di noi, diffonderò la verità, la mia verità, per unificare questo mondo sotto di me.”
Oriel non ribatté immediatamente, qualcosa di quel discorso l’aveva in qualche modo turbata. Il suo momento di esitazione però consentì ad Aizen di distogliere lo sguardo per un momento e notare che Patty, nel mentre, stava correndo verso di lui.
La ragazzina si era sganciata l’automail, che rimaneva incatenato al pavimento in fondo alla sala, e correva stringendo al petto con l’altra mano un oggetto grande come un pugno. In quei secondi durante i quali il tempo sembrò rallentare, ad Oriel non sfuggì il sorriso di Urahara.
“Patty, no!” chiamò la sorella. Seguendo il suo esempio sganciò l’attacco dell’automail e corse verso di lei, intercettandola ad un paio di metri da Aizen ed Oriel. L’oggetto che la ragazzina teneva in mano volò sopra la testa di Oriel, che riconobbe una granata mentre realizzava che sarebbe esplosa di fronte a lei senza che potesse fare nulla per difendersi.
“Reim…” il suo primo pensiero andò a suo fratello, ma pochi istanti prima che la granata esplodesse, dal terreno tra se ed Aizen si innalzò un muro, che protesse dall’esplosione lei e le sorelle Thompson. Con le orecchie che fischiavano, Oriel guardò verso l’unica persona che poteva averla salvata.
Edward era ancora supino a terra, ma rivolto verso di loro e con i palmi appoggiati a terra: grazie al cielo aveva recuperato lucidità appena in tempo per reagire alla situazione. Oriel sentì lacrime di sollievo scenderle lungo le guance. Anche le due sorelle avevano notato come l’alchimista aveva appena salvato loro la vita.
“…” Edward gridò qualcosa, con espressione improvvisamente allarmata. Le parole si persero per le ragazze, troppo vicine all’esplosione per sentirci bene, ma non sfuggirono i lampi rossastri che si erano cominciati a propagare dal Catalizzatore.
L’energia del cristallo era stata attivata dalla trasmutazione di Ed, e stava cominciando a fluire lungo le linee del cerchio.
“Tiratemi via da qui!” gridò Oriel, strattonando la catena. Le ragazze si lanciarono un’occhiata di intesa e , mentre Patty correva verso Edward, Liz rimase e cominciò ad aiutare Oriel a tirare la catena, la cui base stava lentamente cedendo. Grazie ad un paio di calci di Liz alla catena tesa, uno degli anelli più arrugginiti si spezzò con un suono secco, facendo cadere Oriel all’indietro fuori dal cerchio poco prima che le linee sotto di lei si illuminassero.
Schwein gehabt…” gemette la ragazza, sollevata. Alzandosi in piedi, si guardò intorno. Patty aveva liberato Edward e i due stavano correndo verso Alphonse. La nebbia di polvere sollevata dall’esplosione si stava depositando e Oriel strinse gli occhi per cercare di scorgere le sagome di Urahara e i suoi complici. Non poteva assolutamente permettersi di lasciare il bracciale nelle loro mani, doveva recuperarlo a tutti i costi.
Un bizzarro bagliore fendette la polvere ed Oriel si gettò di lato appena in tempo per evitare un fendente della mazza di Jinta che si abbatté violentemente al suolo. Oriel si rialzò velocemente in piedi, preparandosi al peggio dovendo affrontare il ragazzino senza armi o alchimia, ma fortunatamente Liz era scivolata silenziosamente dietro di lui, bloccandolo in una morsa che gli fece mollare la presa sull’arma.
“Jinta!” a chiamare il suo nome era stata la bambina di nome Ururu, che ora che l’aria stava finalmente diventando più limpida, era visibile insieme ad i suoi compagni pochi metri più in là, vicino alla porta principale.
Quando la polvere si fu posata, alle due ragazze fu immediatamente chiara un’altra cosa oltre alla posizione dei Viaggiatori: ad attivare il cerchio non era stata la trasmutazione di Edward, ma lo stesso Aizen.
L’uomo, ricoperto di sangue e ferito, era riuscito a trascinarsi dal punto dove era stato colpito dall’esplosione fino al bordo del cerchio. Il braccio con cui si era riparato dalla granata era ridotto a brandelli e si intravedevano le ossa, ma in qualche modo era riuscito ad inginocchiarsi ed attivare il cerchio. L’uomo stava ripetendo qualcosa in una sottospecie di delirio.
“…sedere sul trono del Falso Dio…”
“Ma ce la potrà fare?”
Oriel si voltò di scatto: Urahara le si era avvicinato all’improvviso, muovendosi silenziosamente come uno spettro.
“L’energia è appena sufficiente, i Sacrifici sono scappati. Non basterà per aprire il Gate” commentò, rattristato ma tranquillo.
“Non è un problema ♥” commentò dal golem la voce del Conte. “Questo era solo un esperimento per vedere quanto potevamo avvicinarci al Falso Dio. Sousuke è sempre stato troppo zelante…non è affatto la persona di cui abbiamo bisogno. ♥”
“S-signore?” mormorò Aizen, che nonostante le ferite aveva sentito le parole dei due.
“Gioisci, Sousuke! ♥” esclamò il Conte, mentre la luce del cerchio cominciava ad avvilupparsi in volute attorno ad Aizen. “Il cerchio ti poterà di fronte al Falso Dio: nel momento in cui ne conoscerai l’identità, saremo un passo più vicini alla vittoria.”
Dalla parte opposta della sala, Ed, Al e Patty stavano camminando rasenti al muro per non toccare i bordi del cerchio attivo: non sarebbero arrivati in tempo. Oriel decise di tentare il tutto per tutto e, mentre i Viaggiatori erano concentrati su Aizen, tirò con tutta la forza che aveva un calcio in mezzo alle gambe a Tessai. L’uomo fece una smorfia di dolore cadendo in ginocchio, il bracciale di Oriel gli cadde di mano roteando a terra e la ragazza lo afferrò.
“Coprimi!” gridò a Liz, mentre infilava il bracciale e si preparava ad una trasmutazione. Liz, che ancora teneva stretto Jinta, le si mosse davanti, usando il ragazzino come scudo.
Oriel preparò velocemente i cerchi e in una manciata di secondi trasmutò dal terreno un fucile a pompa, che puntò alla testa del ragazzino.
“Non lo faresti…” commentò Urahara con un mezzo sorriso. Oriel caricò il fucile tanto per risposta.
“Andatevene da questo Mondo e lasciateci andare.”
“Avete già servito al vostro scopo, nessuno vi trattiene qui. Ora l’unico che dovrebbe preoccuparsi è il Creatore di questo Mondo.”
“Creatore?” ripeté Liz, confusa. “Ma di che cazzo siete fatti voialtri? Si può sapere cosa volete?”
Urahara lanciò un’occhiata al golem, come ad aspettarsi di essere interrotto o che fosse il Conte a rispondere, ma l’unico occhio dell’essere era puntato verso Aizen, che si stava dimenando nel tentativo di sfuggire alla luce che lo stava lentamente consumando.
“Ogni Mondo ha un Creatore. Un Falso Dio che lo ha generato, ma di Vero Dio ne esiste uno solo e sua eccellenza il Conte ha intenzione di trascinarlo giù dal suo piedistallo di onnipotenza. Per fare ciò, crediamo di aver bisogno del potere di un Falso Dio per metterci sullo stesso piano.”
Liz scosse la testa.
“No, ok, mi sono persa. Ho sempre preferito i fatti concreti alle speculazioni e i fatti concreti sono: state facendo crollare le fottute miniere e noi abbiamo uno dei vostri, fermate tutto o gli facciamo esplodere le cervella.”
“Insomma,” rise l’uomo, “una ragazza non dovrebbe parlare così.”
Mentre l’uomo parlava, Oriel aveva lentamente abbassato il fucile.
“Oriel!” chiamò Edward, che si stava lentamente avvicinando. “Fermali, qua sta per crollare tutto!” gridò il ragazzo. Come a confermare le sue parole, una delle grottesche figure umanoidi in cima alla porta di pietra si staccò e frantumò al suolo.  “Interrompi la reazione, distruggi il cerchio!”
Oriel lanciò una veloce occhiata a Liz, che annuì e lanciò Jinta verso Ururu. Oriel scattò verso il cerchio, ma quando Tessai, che nel mentre si era ripreso, le bloccò la strada, lei voltò bruscamente e senza la minima esitazione sparò con il fucile in testa ad Aizen.
La luce del cerchio si estinse immediatamente come il corpo dell’uomo cadde a terra con un tonfo. Il catalizzatore sembrò implodere su se stesso e scomparve, lasciando la sala illuminata dalle sole luci di emergenza. Il tempo sembrò fermarsi per alcuni secondi, finché Oriel non scorse un movimento con la coda dell’occhio e vide Tessai avanzare verso di lei.
“Fermo,” gli ordinò Urahara. L’uomo non stava più sorridendo. “Abbiamo finito qui, ce ne andiamo.”
“Insomma, devi sempre mettere i bastoni tra le ruote, Homura Akemi, ♥” commentò il Conte.
“Non chiamarmi così,” sibilò la ragazza, a voce bassa.
L’occhio del golem si illuminò e l’aria alle spalle del piccolo essere sembrò essere squarciata da una crepa sospesa a mezz’aria che si allargò sempre di più. Oltre la crepa si vedeva un ambiente illuminato dalla luce del sole.
Tessai scivolò oltre la strana apertura, seguito da Urahara e dal golem. Ururu si lanciò verso Liz, colpendola in testa nel preciso momento in cui Jinta la colpì alla gamba: ancora confusa e colta di sorpresa dall’attacco simultaneo, la ragazza lo lasciò andare e i due ragazzini si precipitarono oltre la crepa, che si stava già chiudendo.
“Ci rivedremo, Alchimisti” salutò Urahara. “Non abbiamo ancora finito con quel mondo, quindi cercate di non morire…”
Il Gate si richiuse completamente, senza lasciare traccia che i Viaggiatori fossero mai stati lì.
“Cosa diavolo hai fatto, Oriel?!” la voce di Edward colse la ragazza di sorpresa. Ed la stava guardando, a pochi metri dal corpo di Aizen, con espressione orripilata.
La ragazza si sentiva la bocca secca, le mani tremanti non di paura ma per l’ansia che le si era annidata in petto. Prima che potesse dare una qualsiasi risposa ad Edward, però, le scosse che sembravano essersi acquietate quando il Catalizzatore era scomparso, aumentarono di intensità. Pezzi di soffitto caddero intorno a loro, minacciando di seppellirli vivi.
“Andiamocene di qui!” gridò Patty, che nel mentre si era gettata tra le braccia della sorella. Senza esitazione, i cinque corsero verso l’uscita principale: Al sfondò la porta di metallo con tutto il suo peso e il gruppetto salì le scale in fretta e furia, il rombo della grotta artificiale che crollava dietro di loro.
Tornare negli ambienti della villa dopo gli avvenimenti frenetici dei pochi minuti appena trascorsi aveva un che di innaturale: i pochi membri della servitù erano scappati nel cortile esterno, dove i ragazzi li raggiunsero per sfuggire all’edificio pericolante.
La montagna continuava a tremare: dalla città e dalle entrate delle miniere più in basso si vedevano alzarsi volute di fumo dovute a numerosi crolli.
Si sentì un rombo come di una lontana esplosione e una parte della montagna crollò su se stessa. Numerosi grossi massi si staccarono e, poco lontano da loro, cominciarono a rotolare a valle in un vero e proprio fiume di detriti.
“La città verrà travolta!” gridò Alphonse allarmato. “Fratellone! Dobbiamo-“
“Non posso,” lo interruppe il ragazzo, “destabilizzerei ancora di più il terreno e…”
“Fatevi indietro!” esclamò improvvisamente Patty: la ragazzina aveva tracciato nel terreno della strada sterrata un cerchio alchemico con un bastone di ferro. Prima che chiunque potesse dire qualunque cosa, Patty si lasciò cadere in ginocchio e posò la propria mano sul cerchio.
Uno strano battito sembrò pervadere il terreno nel momento in cui le linee si illuminarono. Prima lentamente, poi sempre più veloce, erba e piante cominciarono a crescere dalla terra secca, ma l’avvenimento era solo la cima dell’iceberg: intorno a loro, sull’intero fianco della montagna, gli alberi crebbero a vista d’occhio, alzandosi ed infittendosi e piantando radici sempre più robuste nel terreno. I tronchi sempre più spessi e fitti fermarono velocemente la frana prima che arrivasse a valle.
La crescita miracolosa si fermò dopo pochissimi secondi quando la luce del cerchio si spense. Patty si alzò barcollante in piedi e sfoderò un sorriso orgoglioso prima che le cominciasse a sanguinare il naso e le gambe le cedessero. Liz la afferrò prima che cadesse a terra priva di sensi.
“Credevo che non fosse un alchimista…” il commento incredulo di Oriel fu il primo ad interrompere il silenzio.
“Mia sorella è un genio dell’alchimia per quanto riguarda le piante. Sarà anche l’unica cosa che sa fare, ma non ho mai visto nessuno con questo talento: l’ho sempre protetta dall’esercito e da altri che la vorrebbero per i propri scopi e non mi fermerò ora.” Lanciò loro un’occhiata di fuoco, prima che Edward capisse il messaggio e replicasse.
“Non la menzioneremo ai nostri superiori,” annuì.
“In effetti sono tante le cose che dovremo omettere nel nostro rapporto…” aggiunse Oriel.
“Già,” confermò Ed, con tono gelido. “Per esempio il fatto che hai ucciso una persona?! Cosa diavolo ti è saltato in mente?!” la attaccò improvvisamente.
“Ho fatto quello che era necessario,” rispose lei, cercando di mantenere un tono fermo.
“Necessario?!” ripeté Ed con tono ancora più alto ed incredulo. “Non riesco a credere alle mie orecchie! Potevi distruggere il cerchio, potevi trasmutare una gabbia, potevi fare letteralmente qualsiasi cosa che non fosse fargli esplodere le cervella!”
“Tu non hai idea…” cominciò lentamente la ragazza, a denti stretti. “No hai la minima idea della gravità di quella situazione.”
“Tu si invece!” Edward suonava esasperato oltre che furioso. “Tu sembri sempre sapere tutto…quando fa comodo a te!”
“E questo cosa vorrebbe dire?!”
“Ora che ci penso sei stata tu a convincerci a venire qui: tutto per la tua stupida ricerca, così potevi brillare davanti ai tuoi superiori presentando la storia degli Ishida! O c’era un altro motivo?” Edward le chiese a bruciapelo, ma continuò a parlare prima che lei potesse rispondergli. “È stata davvero una coincidenza che noi tre siamo arrivati qui esattamente quando Aizen…Urahara…chiunque fosse dietro a questo macello, aveva bisogno di tre alchimisti?!”
“Non ne avevo idea!” esclamò Oriel, oltraggiata dall’accusa. “È stata una coincidenza!” esclamò prima di mordersi la lingua.
Coincidenza? Oriel avrebbe dovuto saperlo che non esistono coincidenze, e la sua ultima frase non era suonata affatto decisa.
“Non mi sembri sicura,” commentò Edward, infatti.
“Adesso basta, tutti e due.” Li fermò Alphonse, con una mano sulla spalla di entrambi. “Le miniere e la città hanno subito danni, dovremmo cercare di fare il possibile per aiutarli.”
Edward annuì, voltandosi verso la strada che ora era poco più di uno stretto sentiero tra la fitta vegetazione. Oriel non si mosse.
“È il minimo che possiamo fare,” la intimò il ragazzo senza guardarla in faccia.
“Ti reggi a malapena in piedi e anche noi siamo esauste,” ribatté accennando alle sorelle Thompson. “Non cercare di fare l’eroe, Edward e non cercare di trascinarmi nei tuoi atti di generosità. Non sono un paladino della giustizia o un salvatore dei popoli. Sono un soldato, ed è quello che dovresti cominciare a realizzare anche tu.” Oriel pensava quelle cose, eppure le si spezzò la voce un paio di volte mentre le diceva. Non sapeva a che punto aveva cominciato a pensare così e in parte la spaventava.
“Fai come ti pare,” rispose stancamente Edward, senza nemmeno voltarsi a guardarla. Alphonse guardò i due per una manciata di secondi prima di correre dietro al fratello.
Oriel si lasciò cadere nell’erba di fianco a Liz.
“Forse non dovrei intromettermi,” cominciò Liz quando i due ragazzi si furono allontanati. “Ma secondo me, hai ragione.”
Oriel scosse la testa.
“Lascia perdere.”
“Scusa.”
Il silenzio imbarazzato tra le due crebbe senza diventare pesante. Dal loro punto di vista, circondate da alberi e vegetazione rigogliosa, poteva sembrare un normale pomeriggio tranquillo.
“Quindi sei un’alchimista di stato anche tu?” Liz ruppe di nuovo il ghiaccio.
Ja” confermò Oriel sovrappensiero, prima di correggersi e ripeterlo nella lingua di Amestris.
“Silver Bullet Alchemist,” realizzò Liz. “Sai, non sapevo ci fossero donne Alchimisti di Stato.”
“Ci sono,” confermò lei, prima di correggersi. “Ci sono state, anche se poche. Corniche Royce una trentina di anni fa, Diana McFlamel nel secolo scorso…”
[Corniche Royce è canon, non mi ricordo se di una light novel o simili]
“Uhu, sicuramente nessuna di loro stava tanto bene in un’uniforme da cameriera,” commentò Liz con un sorrisetto civettuolo.
Oriel guardò i propri vestiti, per poi mugugnare qualcosa di incomprensibile.
“Ho lasciato i miei vestiti negli alloggi della servitù.”
La ragazza fece per alzarsi in piedi, quando ci fu un movimento tra gli alberi e Al spuntò dal sentiero lungo il quale era sparito con Ed.
“Oriel,” cominciò. “Scusa, non voglio lasciare questo discorso in sospeso, ho qualcosa da dirti.”
Oriel aggrottò la fronte, senza rispondere. Non voleva altre ramanzine da parte di ragazzini più giovani di lei per quel giorno.
“Il mio fratellone…non è un eroe. Su questo hai ragione” disse infine, sorprendendo le due ragazze. Oriel stava per rispondere, ma il ragazzino la interruppe. “Però ci prova ad esserlo, e credo che sia questa la cosa importante.”
Oriel fissò l’armatura a lungo prima che le sfuggisse un sorriso rassegnato.
“Ho capito, vengo ad aiutare” si arrese. “Fammi recuperare la mia roba, prima.”
“Ah, per le case crollate e le miniere ci sta dando una mano il dottor Ishida!” esclamò Al, come se si fosse ricordato in quel momento la cosa più importante. “E Ed ha perso i sensi.”
-
Fortunatamente, fu chiaro in poco tempo che lo stato di Edward era solo dovuto all’incredibile tensione e alla brutta botta in testa, che però non aveva causato danni permanenti.
Nei due giorni successivi, Edward e Patty si riposarono, il resto del gruppo di alchimisti continuò ad estrarre sopravvissuti e cadaveri dalle macerie, riparare case e aiutare la popolazione a riprendersi. La miracolosa crescita della vegetazione causata dall’alchimia di Patty aveva coinvolto anche vecchi orti e frutteti, che furono fondamentali nella distribuzione del cibo tra la popolazione.
Quarantotto ore dopo dalla tragedia, la città sembrava essere sulla buona strada per una rifioritura.
Ryuken aveva accettato stoicamente la notizia della morte della moglie. Insieme ad Oriel, ne aveva recuperato i resti dalla villa e l’aveva sepolta nel cimitero di Karakura. Era senza dubbio addolorato, ma i ragazzi non poterono che ammirare la sua dedizione nel voler salvare i sopravvissuti, dopo una così grande tragedia personale.
Ryuken fu anche l’unica persona a cui i ragazzi decisero di raccontare tutta la verità, o quasi. Oriel continuò a nascondere il coinvolgimento di Watanuki e il suo legame con le Düsternis ed il Conte del Millennio, ma non poteva continuare a fingere ignoranza per quanto riguardava l’identità del Mago.
“Per quanto ne so” aveva cominciato, davanti agli altri quattro alchimisti, nel salotto sopra la clinica di Ryuken, “esistono tre individui in grado di controllare il Viaggio tra le Dimensioni, di conferire il potere di Viaggiare e di controllare l’equilibrio tra i Mondi. Questi sono chiamati Maghi Dimensionali.”
“Questa roba non c’è scritta da nessuna parte, vero?”
Oriel scosse la testa.
“Solo i Viaggiatori ne sono al corrente. E nemmeno io conosco il quadro completo della vicenda.”
“Quindi tu sei una Viaggiatrice?” le domandò Patty.
“No” rispose immediatamente Oriel. “Non ho il potere di aprire Porte o attraversarle. Ho ottenuto queste informazioni di seconda mano.”
Edward le scoccò un’occhiata perplessa: era chiaro che nonostante non avessero più litigato, il ragazzo non si fidava completamente di lei. Questo, ad Oriel, andava bene: si era lasciata coinvolgere troppo ed era il momento di tornare a porre una distanza tra se stessa e i fratelli Elric.
“Per quanto ho sentito dire, il Conte del Millennio è una creatura malvagia, corrotta, bugiarda. Un essere alla continua ricerca di modi per incrementare il proprio potere ed influenza. Da quello che abbiamo visto, non c’è dubbio che il gruppo di Urahara siano dei suoi scagnozzi. Aizen…era solo una pedina.”
“Siamo state le pedine di una pedina,” sospirò Liz. “Ha un che di umiliante.”
Oriel le sorrise brevemente. Per il resto del discorso, non rivelò altre informazioni: raccontò quello che era successo nell’infermeria, omettendo i dettagli che riguardavano la sua esperienza con gli Incubator. All’alba del terzo giorno, i ragazzi lasciarono definitivamente Karakura per dirigersi verso la stazione del treno. Le sorelle Thompson li accompagnarono fino alle rotaie, anche se era evidente che non avevano ancora intenzione di lasciare l’ex città mineraria.
“Siete sicure di voler rimanere in questo posto?” domandò Edward, sporgendosi dal finestrino del treno in partenza.
“Siamo ancora criminali ricercate. Finché non segnalerete la nostra posizione alle autorità, questo è un posto perfetto per nascondersi!” esclamò Patty.
Liz annuì.
“E abbiamo un debito verso la popolazione di Karakura, che lo sappiano o no,” aggiunse. Con un sorriso malinconico, arruffò i capelli di Patty. “Scusate per il casino in cui vi abbiamo coinvolti, mi avete stimolato ad essere una migliore sorella maggiore per Patty e farò del mio meglio per diventarlo”  commentò. Patty si sottrasse dal gesto affettuoso come se si vergognasse di essere trattata come una bambina, ma stava sorridendo quando si allontanò per seguire un gatto randagio. “Edward,” continuò Liz, ma a voce più bassa. “Hai davvero intenzione di cercare la Pietra Filosofale? Le Düsternis in città sono esplose, ma la materia prima è rimasta, posso trovare il modo di…”
Edward la interruppe scuotendo la testa.
“Grazie della proposta, ma troveremo la Pietra Filosofale da soli: non possiamo accontentarci di un surrogato.” Le ragioni che lo spinsero a rifiutare erano ben altre e più complesse, ma non aveva bisogno di spiegarle ad alta voce.
Infatti, Liz annuì severamente.
“Ehi, mi raccomando!” si intromise Patty tornando di corsa verso di loro. “Tornate a trovarci!”
“Sicuro!” esclamò Al, “E voi due mi raccomando, basta vita di criminalità!”
“Croce sul cuore!” esclamarono le due in perfetta sincronia, con tanto di gesto ed espressione solenne, prima di scoppiare a ridere.
Il fischio del controllore annunciò che il treno era in partenza. Proprio in quell’istante, Ryuken apparve sulla banchina, affannato come se avesse corso: portava con se un voluminoso e lungo oggetto avvolto in diversi strati di stoffa bianca.
“Per il tuo aiuto all’ospedale e…tutto il resto” spiego, porgendolo ad Oriel dal finestrino aperto. “Non volevo separarmene per orgoglio, ma probabilmente non sono più la persona giusta per utilizzarlo.”
Il treno cominciò a muoversi, allontanandosi dalla banchina. Presto, la stazione scomparve tra le montagne, lasciando solo il verde della boscaglia a nascondere la città dove il male aveva inflitto profonde ferite.
“Credi…che se la caveranno?” domandò Oriel, stringendo l’oggetto tra le sue mani con esitazione. La forma e le dimensioni non lasciavano dubbio sul fatto che si trattasse di un arco. Un piccolo foglietto era legato alla corda che teneva chiusa la stoffa: su di esso, un indirizzo di Central City e la frase “chi ti può insegnare ad usarlo, buona fortuna”.
“Sicuro” rispose Ed. “Ce l’hanno scritto in faccia: se la caveranno eccome!”
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Carissimo Sousuke,
immagina l’essere umano come una moneta di ferro: essa ha due facce, che da sole non sono la moneta, ma insieme la compongono. Queste due facce sono, secondo la mia teoria, il corpo fisico e la mente. Senz’anima il corpo è un contenitore vuoto che ritorna alla terra, senza corpo la mente è una serie di impulsi elettromagnetici ed elementi chimici che però non costituiscono la vita. Esiste però un terzo elemento, ed è il materiale di cui la moneta è fatta: questo, secondo me, costituisce una metafora per l’anima. La mente decide come plasmare l’energia alchemica ma è l’anima che funge da materiale conduttore per l’utilizzo di questa energia, esattamente come fa una moneta per una corrente elettrica. Possiamo quindi dire che esistono materiali “conduttori” e “non conduttori” come persone che possono usare l’alchimia e persone senza questa capacità.
Ovviamente, che l’anima sia materiale implica che sia possibile trasmutarla. Resta la domanda, “di cosa è composta”?
Van Hohenheim, 11 Dicembre 1889.
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In uno dei tanti vicoli di Central City, un uomo con un lungo cappotto fissava dall’alto la figura di un secondo uomo, in uniforme militare, che si contorceva terrorizzato con la schiena premuta contro il muro. Al militare mancavano entrambe le gambe ed aveva i vestiti lacerati e sporchi di sangue.
“No, ti prego, no! Non è colpa mia, non sono stato io!” ripeteva gemendo, cercando di trascinarsi lontano dall’altra persona con le sole braccia. I moncherini lasciavano sull’asfalto una scia di sangue denso.
Le ombre della strada sembrarono infittirsi.
“Stein! L’uomo che cerchi è Stein! Ma nessuno sa dove sia andato! Ha disertato dopo la guerra dell’Est! Dicono si sia nascosto vicino ad East City! Non so altro, te lo giuro!” gemette, piangendo di dolore e disperazione.
Un basso ringhio, come quello di un animale selvaggio, appena udibile, precedette il grido straziante che attraversò il quartiere prima del silenzio.
Pochi secondi dopo, l’uomo con il cappotto uscì dal vicolo da solo, alzando il colletto della giacca per coprire le macchie di sangue intorno al proprio viso.
“East City…” mormorò.
Era lo stesso uomo che aveva incontrato la chimera nata dalla fusione di Nina ed Alexander momenti prima della sua morte.
 
  
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