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Autore: elizaveta    11/02/2017    0 recensioni
Mentre il ciliegio piange fiamme, gli occhi della saggia si sono annuvolati, dietro a nubi tempestose, ciechi davanti alla lucentezza e alla fitta nebbia dell'oscurità del mondo. Ma sono le sue parole, il suo potere più grande, a graffiare l'aria e a sprigionare lo splendore e la pericolosità del fiore di ciliegio. Chiamato, talvolta, sakura, è spesso il cuore scalpitante della saggia, della vita e della natura.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The cherry on fire 
1977 parole

Cadevano a migliaia. Scivolavano verso la morte, trasportati dal grido dell'aria, quella stessa che aumentava il divampante ardere delle fiamme. Cascavano, infiammanti, per scomparire come polvere alla luce solare e si macchiavano, di un nero privo delle stelle, graffiate dalla potenza del fuoco. Immensi petali stavano crollando, sradicati dal fulgido potere della vita e perdevano la loro linfa, abbandonando alle nubi il colore e la prosperità, entrambi consumati dall'infervorato odio umano.

Il ciliegio piangeva fiamme, mentre veniva avvolto in esse, schiacciato dal loro travolgente potere. Il rosso scarlatto stava avvampando il fulcro dell'albero, divorandolo, distruggendolo, oscurandolo. Il rosa caldo, rassicurante e vivace, si mischiò a esso, trasformandosi: e la natura cadde nelle profonde incertezze del buio e con la sua dissoluzione la luce scomparve, nascondendosi dietro il sole abbagliante.

L'odore del fumo, misto all'amaro, parve scorticare l'etere, stropicciandolo al soffocamento.
Le spade affilate, sporche di uccisioni deplorevoli, lacerarono l'atmosfera.
Le urla e le grida di terrore fecero fremere gli astri, rendendoli smorzati da essi.
I singhiozzi, strillati al cielo, favillarono di scintille di dolore, con il sapore, tra la bocca, dell'appassimento.
I corpi giacevano sulla terra morenti, con i visi dilavati dal sonno eterno.
I loro sudori terrestri vorticarono sulle spoglie e storpiarono la vista, intorpidendola.

E tra le morti rischiarate da un rosso macchiato dal livore, vi fu una piuma, su un foglio, una carta stropicciata e rovinata dal tempo, da antichi messaggi mai scritti e mai pensati, con il calamio che tintinnava dalla rovinosa frenesia della scrittura che descriveva e narrava.

Celere, senza indugi, esitazioni o fermezze, buttava giù le idee di una pensatrice che non parlava, che con la bocca non riusciva ad esprimersi. Ma la sua forza restava nelle parole che avevano il potere di cambiare, di trasformare e di ridefinire. Esse erano fonte di speranza o devastazione, capaci di scaraventare millenni di storia, annullare la mente di una sola persona, ribellare decenni di tradizioni; capaci di rendere l'impossibile il possibile.

«È giunto il momento.» L'ordine fu decisivo, inciso con parole severe e il respiro sfibrato.

Una voce roca, assente, avvilita dalle azioni di una razza che non conosceva altro che brama di potere. E avrebbe tanto voluto essere estirpata da quel destino, così feroce da far bruciare intensamente lo sguardo.

La piuma si fermò, il suo movimento si arrestò al tempo, incredula,senza spiegazioni davanti alla sua azione: non si sarebbe mai interrotta con parole così rozze, penetrate da un'acredine tale da spaventare e sussultare.
E la sua guidatrice si volse, con destrezza e fierezza, verso colui che non poteva richiedere pace e accadde: occhi si incontrarono, volti si osservarono, mentre una folata di vento, scalfita dalle fiamme, investiva i loro corpi,facendoli vibrare dalla travolgente sensazione di morte.

Gli occhi cerulei, di chi muoveva la piuma bianca e fredda, si socchiusero. «La lettera è pronta.»

Vedeva, dietro all'uomo, le fiamme alzarsi in cielo, chiedenti di ardere perfino le nuvole che si stavano assopendo nel firmamento. Poi il nulla.

«I vostri occhi...» sussurrò la voce avvilita, «cosa vi succede, saggia Yume?» la domanda dell'uomo tremò, affievolendosi, volando nella stanza come scintille pure.

Le mani della scrittrice, la ragazza che non aveva conosciuto pausa al mondo delle parole, raggiunsero il proprio volto alla ricerca disegni misteriosi del cambiamento. Sentiva, da tempo immemore, da quando aveva iniziato a scrivere quella lettera, quella storia obliata, che qualcosa stava cambiando; improvvisamente, con una consapevolezza che richiedeva tempo, le sue labbra si alzarono in un sorriso e l'uomo davanti a lei trattenne il respiro.

«Sapevo da anni che sarebbe giunto questo giorno, ma mai avrei creduto che sarebbe stato oggi» parlò, la vista che le negava la visibilità a quell'atto di distruzione. «Sono appena diventata cieca. Sono cieca della feracità umana. E voi, soldato, cosa volete vedere di questo pianeta? Le fiamme o le stelle?»

L'uomo la guardò, con il cuore scalpitante nel petto e con il volto stremato dal sudore. La saggia Yume sentiva il suo respiro confinato in una gabbia, cercando di aggrapparsi a una pace che non esisteva, a una minaccia che era apparsa.

Gli occhi della ragazza si erano obliati per sempre, ma non per negarle la vista di un mondo, ma per vedere oltre ad esso. E poi la sentì: la presa ferrea e decisa di colui che non poteva più vedere;ricordava, tramite le sue memorie vivide e accese, occhi verdi di una natura che era diroccata e capelli neri, soffici al contatto e al cuore. La sua mano stringeva il suo polso, tremava, fremeva, dalla paura del perdono.

«Le stelle non esistono più, sono scomparse dietro le fiamme che bruciano questo mondo.» Rispose lui soltanto, la voce debole e quasi assente.

«Le stelle rinascono» riferì con dolcezza, «è la luce a essere nell'impossibilità di risorgere.»

«Voi-»

«Ditemi.»

«State cambiando, saggia Yume» iniziò con timore, il petto che si abbassava e alzava, «i vostri occhi erano cerulei, un colore straordinario, e sono diventati bianchi per raggiungere il rosso. I vostri occhi sembrano le fiamme dell'inferno, del cuore.»

«Cos'altro vedete?»

«I vostri capelli. Erano così fini da assomigliare a fili di grano, che sono diventati bianchi anch'essi. Ma ora sono colore dell'alba,infiammanti come un incendio al calar della notte. Chi siete,veramente?»

Il silenzio prese spazio tra di loro. E per un istante, per un solo battito di ciglia, i loro respiri si unirono, asfissiandosi a vicenda. E fu lì che la ragazza ebbe la certezza del sentimento che la univa al ragazzo, quello stesso che sbatteva gli occhi e pareva creare scintille di amore, dolore, perpetua ammirazione.

La voce le uscì spezzata dal frastuono delle fiamme. «Io sono la dea Amaterasu, la grande dea che illumina il cielo.»

Il ragazzo serrò il proprio fiato nella laringe, disorientato. Sentiva il suo sguardo ardere di confusione, cosa che la mandò in garbuglio da indurla a domandarsi se era veramente tale persona: era davvero la dea che illuminava il cielo o solo un mito, costruito su storie antiche e passate? Perché il firmamento, in quel momento, bruciava e ardeva di morte e sangue.

«E dov'è il vostro cielo, dea?» infuriò il soldato con tale rabbia da far fremere le stelle. «E la saggia Yume? Dove è stata trasportatala sua innocente anima?»

La dea Amaterasu lambì le labbra di parole grezze. «La saggia Yume vive all'interno di me, Yamato. E il cielo mi aspetta, come mio fratello.»

Si alzò in piedi, tenendosi saldamente sul tavolo di legno. L'oscurità di vedere non la spaventava più.

Sentì immediatamente la mano del ragazzo sulla sua spalla, forte. «Dove andrete?» tuttavia domandò in un sussurro.

La dea sentì il proprio cuore pizzicare, la capacità di non poterlo vedere era insostenibile. Divagò, dunque, con la mano alla ricerca del suo volto: e mentre lo toccò, con gentilezza, si fermò,ricordando il suo compito, lasciando un soffice e delicato bacio sulla fronte del ragazzo.

«L'anima di Yume è macchiata dall'amore che prova per voi,» disse, accarezzandogli lo zigomo «e vi incontrerete di nuovo. Ma non posso più restare, Yamato. Devo trovare mio fratello.»

Aveva per così tanto tempo detestato il fratello e la sua luce, che si era nascosta nei reconditi di uno spirito umano, di una ragazza che non aveva conosciuto altro che parole, fin troppo dolci rispetto al suo maestoso egoismo. Era scappata, da ogni lucentezza dell'empireo, il potere troppo irrefrenabile ed era scappata dalle carezze familiari dell'unico parente che le era rimasto.

Allontanandosi dal volto del ragazzo, camminò, con la melodia grave del sole, verso il fumo delle fiamme.

«Adesso vi ricordo, Amaterasu.» Disse ad un certo punto Yamato, con pacatezza, dietro di lei.

La dea si fermò, stupita, con le labbra schiuse.

«O almeno ricordo ciò che so della vostra leggenda» aggiunse. «Amaterasu-ō-mi-kami, Grande dea che splende nei cieli, siete la dea del sole, divinità da cui discendono tutte le cose. Siete considerata la mitica antenata diretta della famiglia imperiale giapponese.»

La ragazza sorrise nell'oblio della cecità e guardò nel buio della sua non vista. Vedeva, al fondo del proprio cammino, una luce, una speranza per quel mondo travagliato da tempeste burrascose. E ricordò millenni prima il primo imperatore giapponese, Jinmu, colui che non conosceva odio al mondo, colui che era riuscito dove i suoi antenati avevano fallito e aveva ricostruito un impero dalle ceneri.

Ricordava ancora il suo sorriso sereno, sincero, mentre le donava la spada Amano Murakumo, la Spada del Paradiso, quella stessa che il nipote della dea Amaterasu gli aveva donato per proteggere, e macchiare l'odio con la luce, per unificare l'intero Giappone.

«Jinmu ha dato alla nascita qualcosa di magnificente,» confermò, toccandosi le mani, scorticandole dal sole, che la stava richiamando. «Fu il primo e l'ultimo a mettere da parte i propri sentimenti, per questa nazione.»

«Amaterasu-»

«Tasukete!» urlò qualcuno, il grido fervente che fece accapponare la pelle alla dea.

Il pavimento vibrò: Amaterasu crollò a terra e percepì l'aria mancare. Vagò nell'oscurità della cecità e non sentì più nulla se non gli strilli delle persone, che le distrussero il cuore: era tutta colpa sua. Se solo avesse accettato il suo potere, affianco a suo fratello, niente di tutto ciò sarebbe accaduto.

«Sorella?»

Sentì le vene fremere e il corpo sussultare. La voce era grave, stuzzicata dal sale del mare e burrascosa di uragani mai visti e mai sentiti. La dea Amaterasu provò l'irrefrenabile desiderio di aprire gli occhi, di vedere, osservare.

«Susanoo?» mormorò, il fiato corto ridotto a una nuvola d'aria. 

Il clamore cessò e con esso l'odore del fuoco. E la dea riaprì gli occhi, estasiata e in lacrime dalla lucente potenza solare: davanti a lei il fratello, con in capo una corona fatta di nuvole, temporali, piogge incandescenti. Sorrise, vedendo, dietro di lui, l'inchiostro nero scomparire. Il potere del fratello le aveva ridato la vista e anche un po' di vita.

«Sapevo che, primo o poi, mi avresti trovata» mormorò toccandogli le mani, vedendolo con il volto serio, frastornato dalla tempesta «fratello mio, Susanowo, dio delle tempeste e degli uragani, la Spada del Paradiso porti con te e lo Specchio Sacro, sorreggi con gli arti... ma con te non vedo la Gemma di Yasakani.»

«Rubata dai cinesi.» Affermò con voce grave, il rumore simile a un uragano in burrasca. «Ne ho perso le tracce, ma so che tu puoi trovarla.»

«I miei poteri sono limitati attraverso questo corpo,» mormorò, mordendosi le labbra, «e abbandonarlo sarebbe lasciar alla morte Yume, la ragazza che mi ospita dentro di sé.»

«Farò in modo che non succeda.» Promise Susanoo, gli occhi come fulmini. «Ma ho bisogno di te, sorella. Ho bisogno del tuo potere come dea del cielo, poiché i tuoi occhi sono la visione del mondo... e privati di quelli, il firmamento cessa di brillare.»

«Mi affido a te, fratello, per la salvezza di Yume, del Giappone e dell'impero» gli disse, accarezzandogli il volto, sentendo la presenza di Yamato frastornata dietro di lei, «porta con te il soldato, ha a cuore questa fanciulla e ha potenziale. Fa in modo che il lavoro di Jinmu non sia stato invano.»

«Lo farò» rispose, baciandole le mani e guardandola affievolirsi al cielo opaco, macchiato dalle fiamme cuocenti, così lontano ma vicino da poterla accarezzare. «Che il calore di quel firmamento possa abbracciarti, rasserenandoti.» Disse, dunque, baciandola, con un bacio casto, sulle labbra, sigillando il giuramento, volando al di là della percezione umana. 

E fu così che, attraverso all'accettazione della sua potenza e della sua maestosa divinità, la dea Amaterasu trovò la Gemma e il Giappone continuò a vivere, nella pace della convivenza, lasciando navigare, tra le ombre dell'odio, il fratello Susanowo, l'unico in grado di spegnere le fiamme dell'oscurità umana e il suo ardente odio. 

E la saggia Yume continuò a scrivere, finalmente dando voce alle sue parole più preziose: parlando ai suoi figli e a quelli di Yamato, la storia che aveva da sempre assaporato tra i propri pensieri.

La storia del ciliegio in fiamme.

FINE

* * * *


   
 
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