L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
RICORDI PARTE PRIMA
«Kii ti
prego, mi squarti la schiena se continui così!»
È
colpa di quel tuo “coso”,
guarda come mi guarda. Vuole mangiarmi.
Sianna
sospirò la sua esasperazione, poi gettò
un’occhiata fugace al
“coso”, ovvero Gael, che se ne stava docilmente
appollaiato come una sentinella
diligente sopra ad un ramo sottile, poco più in alto.
Si
limitò a constatare un «Sei paranoico»,
consapevole che non bastasse a
definire il momentaneo stato d’animo della kitsune.
L’aria attorno a Kii era
irrespirabile quel giorno, stranamente elettrica di attesa e
nervosismo, e ad
attestare quella condizione di allerta costante ci stavano pensando gli
artigli
della volpe che non accennavano a diminuire la presa ferrea sulla sua
schiena,
inchiodando Sianna prona nella terra umida.
«Spostati,
vorrei davvero potermi alzare»
In risposta,
avvertì il nasino umido della volpe odorarle il collo,
facendola subito ridere per il solletico.
«Kii
scendi! Per tutti i Serafini, sei insopportabile. Non potresti essere
umano?»
Lo
sai che non mi piace
I pensieri della
volpe rimbombarono come un’eco nella sua testa, anche
senza l’inclinazione del suono era percepibile la modulazione
lamentosa e
infantile di quell’affermazione e per questo Sianna
sbuffò ancora, sollevando
così un ciuffo di capelli che le ricadeva disordinato sul
volto.
«Sarebbe
tutto più semplice. Gael ti lascerebbe in pace, tanto per
cominciare»
Questa volta non
ottenne risposta e sospettò che lo yokai avesse deciso
unicamente
d’ignorarla. Non sarebbe stato insolito, quando gli dava noia
Kii, come un
gatto più che come una volpe, si ritirava. Forse
perché era il cucciolo del suo
branco, o forse semplicemente a causa della sua natura indisponente: la
kitsune
era viziata, dispotica e dispettosa, e tutto questo si traduceva per
Sianna in
graffi, vestiti stracciati, o abbandoni improvvisi in mezzo al nulla.
Negli anni queste
sue peculiarità avevano finito con il peggiorare e per
questa ragione Sianna si mordicchiò il labbro ed
esitò a esprimersi ancora. Non
aveva la pazienza di sopportare che ancora una volta Kii se ne andasse
con quel
suo atteggiamento da sovrano del mondo.
Ascoltò
il rumore di quel nasino nero che si arricciava e poi
inclinò il
capo di lato, per poter ammirare il musino tenero e
all’apparenza mansueto e i
suoi occhioni dorati che osservavano il mondo attorno a loro con
circospezione.
«Oggi
sei più inquieto del solito. C’è
qualcosa che non va?»
Kii
soffermò lo sguardo sul suo volto, si sporse lentamente e le
leccò una
guancia, guadagnandosi una smorfia.
È
il profumo di fiori marci. Non
dovrebbe esserci qui, non più, ma è da giorni che
impregna i boschi. Bisogna
stare in guardia dall’odore della morte
Davanti alle sue
considerazioni sibilline, Sianna aggrottò la fronte e
storse il naso. Ci provava davvero, a scavare per trovare un senso nei
suoi
discorsi deliranti da spirito superiore in contatto con gli enti
naturali, ma
non ci riusciva e sentiva solo un’immensa frustrazione. La
volpe piegò
dolcemente la sua testolina
Non
riesci a sentirlo? Mi domando
come sia possibile. Non è una cosa buona, tu non sai
proteggerti
Sianna
afferrò il piccolo yokai per la collottola e lo
sollevò, portando il
muso all’altezza del suo viso. Poteva anche essere una
misteriosa creatura, uno
spettro di oltre cinquant’anni, ma il suo aspetto le
procurava una certa
tenerezza, con le zampette raccolte e il corpicino morbido e ancora un
po’
goffo. Tenerezza che ingoiò per cercare di trasmettere con
tutta la serietà
possibile il proprio disappunto.
Scosse piano la
testa «Io vorrei davvero che ti entrasse, in quella bella
testolina che ti ritrovi, che quando ti comporti in questo modo e dici
certe
cose io non riesco a seguirti. Di che diamine stiamo
parlando?»
La kitsune
cercò di morderla, ma Sianna lo aveva già messo
in conto. Prima
che i suoi dentini aguzzi riuscissero a raggiungerle il naso, la
posò a terra
bruscamente, non senza sbuffare nuovamente. Allora Kii si
stiracchiò, sollevò
la coda con fare altezzoso e scrutò ancora la vegetazione
senza prendere in
considerazione la sua presenza.
Sianna si mise
finalmente a sedere e si grattò la radice del naso cercando
di inghiottire il desiderio di ricavare da quella bestiola
un’ottima e pregiata
pelliccia.
«A mia
madre piacerebbe», pensò ad alta voce
«Chissà che magari è la volta
buona che me la ingrazio»
Lo disse per
provocarla, che tanto Kii era in grado di percepire anche i
pensieri inespressi, ma evidentemente era stata di nuovo dimenticata.
Notò che
la kitsune era mossa da uno strano sospetto, forse avvertiva qualcosa
che a lei
stava sfuggendo, non se ne sarebbe per nulla sorpresa.
D’altronde Kii aveva un
legame diverso con la natura, un rapporto profondo che le permetteva di
percepire ogni cosa. I suoi sensi erano sviluppati in maniera
differente da
qualunque uomo o animale, era uno spettro, Sianna tendeva a
dimenticarselo e
solo quando le sue stranezze emergevano lo realizzava.
La volpe aveva
provato a spiegarsi, le aveva detto che le kitsune erano
yokai e messaggeri di entità superiori, tuttavia non era
semplice comprendere
realmente cosa significasse.
Quando, molti anni
prima, la volpe si era definita in quel modo, “spirito
messaggero fedele alla sua signora”, Sianna quella signora
aveva voluto vederla.
Era così che aveva incontrato la sua prima Dama del Lago.
E dopo
quell’incontro ne era seguito solo un secondo, ma le era
bastato per
restare ammaliata da tanta bellezza. Aveva pensato spesso che la
misteriosa
padrona di Kii avrebbe potuto essere una Gwragedd Annwn,
perché era di una
purezza astratta e incorporea, leggera come di rugiada
all’alba, un incanto
creato per irretire i mortali, o almeno lei si era sentita stregata.
Kii la riscosse
soffiando un verso strano e ostile.
Il pelo si era
drizzato e i muscoli contratti in posizione di difesa trasudavano
nervosismo.
Devo
fare ritorno
«Ma Kii!
Avevi promesso che mi avresti tenuto compagnia. Lo sai che mi
annoio ad aspettare da sola, potrebbero anche non arrivare oggi e io
avrò
buttato una giornata intera. Non puoi lasciarmi qui!»
Provò a
gonfiare le guance in una smorfia capricciosa nella speranza
d’intenerire lo yokai, ma l’espressione infantile
morì subito sostituita da
perplessità quando si accorse, con sgomento, che Kii non
stava assecondando la
propria natura lunatica, era davvero nervoso per un motivo.
Motivo che Sianna
non riusciva a comprendere.
Prendi
la sfera
«Cosa?»
spalancò i grandi occhi
azzurri, e allo sbigottimento per quel comportamento assurdo si
aggiunse una
sottile vena d’ansia. Pensò che doveva aver capito
male, Kii non avrebbe mai
potuto dirle seriamente di toccare la sua sfera stellata, aveva
assistito a
reazioni bestiali le poche volte in cui aveva avuto l’ardire
di provare a
sfiorarla. Eppure ora la Kitsune, tesa e stranamente nobile nel
portamento,
stava sciogliendo la sua coda, sempre arrotolata, per liberare la sua
hoshi no
tama. La sfera di luce si librò pacatamente
nell’aria, mostrando la meraviglia
di quella sua luminosità porosa all’apparenza
inconsistente.
Prendila
e portala con te, e non
liberartene. Per nessun motivo
Sianna era
empatica, lo era sempre stata. Forse il suo era solo un innato
istinto, ma quell’istinto, con un nodo allo stomaco che non
le apparteneva, le
gridava l’inquietudine dello yokai, e per questo, non senza
turbamento, si
ritrovò ad annuire alla richiesta dello spettro con insolita
mansuetudine.
«Non
capisco che ti prende» sussurrò, per rimarcare la
propria confusione,
ma non voleva protestare.
La volpe
sollevò il muso e annusò l’aria
Stanno
arrivando
«Sei sicura?
È per questo che te
ne vuoi andare? Se anche ti vedessero non sarebbe di certo un
problema!» lo
disse con un sorriso, aveva intuito però che la causa di
quella tensione non
erano i suoi amici. Certo, Kii odiava gli umani e non si mostrava a
nessuno che
non fosse lei o Ynyr. Solo in un’occasione aveva accettato
d’incontrare le sue
amiche, ma era stata la Dama ad ordinarglielo e quindi in
realtà non contava.
Davanti alla
reticenza della volpe aggiunse con un sospiro «Se fosse solo
per loro non mi lasceresti la tua sfera stellata»
Kii taceva come
assente, ed infine soffiò uno strano e ferino ringhio fra
le zanne.
Prendila.
Portala
con te.
E
torna con loro, non da sola.
Lo
proferì con un tono adulto terribilmente in contrasto con
quel suo
aspetto da cucciolo dispettoso. Non le diede il tempo di ribattere,
rapido ed
elegante, con uno scatto lo yokai si lanciò in una corsa che
lo fece sparire
subito nel sottobosco.
Sianna si
ritrovò sola e immobile, l’unico rumore oltre al
cinguettare
rumoroso degli uccelli era il leggero sfrigolare della sfera luminosa
sospesa
davanti a lei. Pur se confusa, decise di obbedire e, con incertezza,
strinse le
dita attorno a quella luce dalla consistenza morbida. La
osservò ridursi di
dimensioni e diventare lentamente più piccola e fioca, fino
ad essere
completamente contenuta nel palmo della sua mano. Quando Sianna schiuse
le dita
ritrovò solo una perla grande come un chicco
d’uva, agganciata ad una catenina.
Se la legò attorno al collo, poi si alzò e
riassettò i vestiti malconci di
fango e macchie d’erba.
Normalmente, quasi
per ripicca, ignorava sfacciatamente le richieste che
non comprendeva, l’urgenza con cui l’amico si era
espresso però l’aveva presa
alla sprovvista e perciò decise di rispettare il suo volere.
Abbandonò il suo
avamposto, da dove ormai da ore controllava la strada principale che
dava
accesso e Glenn Dubhar, si aprì un varco tra le sterpaglie e
alcune radici e
raggiunse la strada di terra battuta. Come a confermare che la volpe
non aveva
mentito, giunse da lontano un vociare fin troppo rumoroso, un dibattito
forse.
Dove la strada
svoltava all’orizzonte venendo inghiottita dagli alberi,
Sianna vide comparire le familiari figure di Henry, Daniel e Korakas.
Si
precipitò loro incontro con entusiasmo e prima che i tre
potessero anche solo
metterla a fuoco, aveva già travolto di peso un Henry
inconsapevole
trascinandolo a terra con sé.
«Finalmente!
Dovevate arrivare due giorni fa, mi stavo annoiando a morte ad
aspettarvi!» li sommerse subito di parole, dimenticandosi di
salutarli, ma poco
importava, la conoscevano abbastanza da non aspettarsi convenevoli, non
da lei.
Ed infatti, i tre si limitarono a esclamare con basita meraviglia il
suo nome
in coro, ampliando il sorriso soddisfatto che capeggiava già
sulle sue labbra.
Henry, sotto di lei, le prese una guancia tra le dita e tirò
con forza «Maledizione
Sianna, ci hai fatto venire un attacco di cuore!»
«Sianna
ma ti sembra il modo di comparire?»
«Bambina
mia, che diavolo ci fai in giro adesso? Tua madre ha almeno una
vaga idea di dove tu sia?»
I due ragazzi e
l’anziana parlarono in contemporanea, li trovava divertenti
come sempre, ma non riuscì a riderne perché Henry
la sua guancia non l’aveva
ancora lasciata e stringeva tanto forte da renderle gli occhi lucidi.
Per
liberarsi, ricambiò infilando a tradimento due dita nel
costato del ragazzo,
che sussultò subito liberandola con una smorfia di
disappunto e dolore.
«Sei un
demonio incarnato» borbottò, e lei sorrise di
rimando.
Poi
balzò in piedi per abbracciare di slancio Korakas e la sua
aria severa
da anziana «Ciao nonnina!»
La signora
ricambiò scompigliandole affettuosamente i capelli
«Sei la
solita peste. Diventerai mai una signorina come si deve?» la
riprese
bonariamente. A Sianna piaceva quell’atteggiamento dolce
familiare, come se
davvero fossero parenti, perché le permetteva di esprimersi
liberamente senza
rischiare di sentirsi sgridare per la sua sfacciataggine e il carattere
troppo
aperto. Rispose con la sua espressione furbetta da bambina impenitente
«E
toglierti la soddisfazione di ripetermelo ogni volta che mi vedi?
Mai!»
Un colpo di tosse
li fece voltare quasi contemporaneamente.
Sianna
sobbalzò e arrossì quando si accorse che a quel
familiare siparietto
aveva assistito una quarta persona, un ragazzo che già in
passato le era
capitato di incontrare ma con cui non aveva mai avuto molta confidenza.
Da
sotto il suo grande cappellaccio marrone, William la studiava con un
sopracciglio leggermente inarcato e un sorriso divertito per cui Sianna
avrebbe
voluto solo poter essere inghiottita dalla nuda terra. Aveva imparato,
nella
sua infanzia, a non mostrarsi mai eccessivamente espansiva o spontanea
davanti
a sconosciuti, per istinto di autoconservazione, perciò
quasi involontariamente
si acquietò in maniera innaturale e abbozzò un
cenno di saluto con la mano.
«Signora»
intervenne Daniel dopo aver aiutato Henry a rialzarsi e avergli
reso il suo bastone, interrompendo il gelò di imbarazzo che
l’aveva colpita.
Sianna aggrottò le sopracciglia, perplessa,
perché aveva colto una sfumatura
grave di preoccupazione.
«Giusto»
rispose immediatamente Korakas, leggendo un sottinteso in quel
richiamo che Sianna non riuscì a cogliere.
L’esclusione palese la irritò più di
prima.
Come
se già non ci fosse quella
dannata volpe a fare la sibillina
«Sianna
che ci fai qui? Non è sicuro eppure ti ostini a girovagare
per
questi boschi come se niente fosse» la riprese
l’anziana, questa volta con una
punta di severità che le fece mettere il broncio.
Scrollò
le spalle e domando il fastidio disse «Vi aspettavo. Mi
sembra
ovvio. Il falco è arrivato con la vostra lettera molti notti
fa, me lo ha detto
la mamma. Sapevo che era questione di poco. E poi non corro alcun
pericolo, io
qui ci sono cresciuta, che vuoi che mi capiti?»
«è
meglio se rientriamo subito» tagliò corto Henry,
mettendole una mano
sulla schiena per invitarla a procedere.
La confusione
crebbe ulteriormente, e Sianna si ritrovò a squadrarli come
se non li avesse ma visti, tanto trovava insolito quel loro
comportamento.
Korakas era sempre stata apprensiva, ma Henry e Daniel
l’avevano sempre assecondata
nei suoi giochi e nelle sue esplorazioni, e non avevano mai storto la
bocca
come avesse fatto qualcosa di tremendamente sciocco e irreparabile.
Fu guardandoli con
attenzione che notò dettagli che le erano sfuggiti: le
vesti inzaccherate in modo indecente, macchiate di fango, stracciate.
«Cosa
mai vi è capitato? Persino io fatico a ridurmi in questo
stato!»
ironizzò, per seppellire lo strano presentimento che Kii le
aveva gettato
addosso. Henry si appoggiò al quel singolare bastone che si
portava sempre
appresso, gemello di quello di Daniel: tre spessi rami intrecciati tra
loro
saldamente che sulla sommità si aprivano per lasciar
intravvedere una pietra
dai riflessi sanguigni grande come un pugno. La pietra di Daniel era
dorata e
calda, poteva essere ambra ma non ne era sicura.
Daniel le avvolse
le spalle con un braccio e le lasciò un veloce bacio fra
i capelli, con la sua familiare e dolce tenerezza da fratello maggiore
«Incontri
spiacevoli, qualche brigante, nulla di cui preoccuparsi» le
spiegò con ostentata
tranquillità, ma Sianna le percepiva, le emozioni altrui,
come un’increspatura
nell’aria, un brivido da pelle d’oca che le
risaliva la schiena, e capiva che
anche i suoi più cari amici erano inquieti proprio come Kii.
Lo erano
abbastanza, di certo, da non aver mostrato entusiasmo
nell’incontrarla nonostante non si vedessero ormai da qualche
Tempo.
Per poco non le
andò la saliva di traverso «Stai scherzando spero!
State
tutti bene? Vi hanno derubati?»
Henry
ridacchiò e ammiccò verso Korakas, elegante
persino in quella
condizione mentre camminava davanti a loro di pochi passi, dritta come
un fuso.
«Sfido
chiunque a riuscire a derubare l’incarnazione di un
Satana» le
bisbigliò complice per non farsi sentire, ma
l’anziana lo freddò con una gelida
occhiata da sopra la spalla.
«L’incarnazione
di un Satana?» ripeté, inarcando un sopracciglio e
sfoggiando una piega tagliente che di sorriso aveva gran poco sulla sua
bocca
rugosa.
Henry
impallidì e Sianna ne approfittò per dare di
gomito a Daniel,
scambiare un’occhiata complice con William e ridere piano di
lui.
«Parlo
di Daniel, Signora! Lo sa che non oserei mai»
La sacerdotessa
fece una smorfia e si limitò a constatare «Saranno
le mie
guardie del corpo ad assassinarmi nel sonno»
Quel clima
così simile alla normalità le permise di
accantonare la
sensazione inspiegata alla bocca dello stomaco e il bruciore sgradevole
che le
tormentava la cicatrice della mano sinistra. Era felice,
l’arrivo di Korakas e
dei suoi adepti era il momento più sereno per lei, e Sianna
decise di goderselo
senza ombre.
Guardò
in alto: Gael, docile, li seguiva.
***
Con sua estrema
amarezza, non appena raggiunsero casa sua, Marilien e
Korakas si lanciarono sguardi carichi di significato e colmi
d’apprensione, che
non tentarono nemmeno di dissimulare.
«Dobbiamo
parlare»
Nemmeno un saluto
o la più banale e convenzionale forma di cortesia, la
sacerdotessa arrivò dritta al punto e quando sua madre
annuì, Sianna si sentì
solo più frustrata. Il ciondolo di Kii, attorno al suo
collo, pesava come una
maledizione, come i silenzi di chi non voleva condividere i propri
crucci.
«Due
giorni di ritardo» affermò Marilien, con una
pacatezza gelida, un tono
che Sianna aveva imparato a conoscere bene, perché sua madre
in una manciata di
parole era sempre stata in grado di nascondere tanto, in quel momento
un’inspiegata consapevolezza, come se avesse saputo la
ragione degli imprevisti
senza bisogno che Korakas si esprimesse.
«Sianna
Eilan, ho bisogno che tu esca» aggiunse rivolgendosi a lei,
tanto
severa e decisa da non ammettere repliche.
Sianna di quella
donna dai capelli rossi aveva sempre avuto un po’ paura. A
volte si sentiva osservata da lei in modo diverso che nulla aveva di
materno,
un sottile odio serpeggiava allora tra di loro, e Sianna in lei
riusciva a scorgere
la strega che tutti paventavano fosse.
Fece per
rivolgersi ad Henry e Daniel e William, ma la sacerdotessa la
precedette «Voi resterete qui. Ci sono cose importanti di cui
dobbiamo
discutere»
Rassegnata ad
essere esclusa dagli affari “degli adulti”,
guardò le loro
schiene mentre si ritiravano in cucina, lasciandola sola sulla soglia.
Marilien
l’aveva liquidata come fosse un omuncolo e non una persona, e
per questo
sentiva una grande rabbia.
Decise di
raggiungere la sua migliore amica e di metterla a parte di quelle
stranezze. Kea era più razionale ed intuitiva, forse avrebbe
letto tra le righe
qualcosa che le era sfuggito.
Da qualche giorno
la ragazza non lasciava casa sua e rifiutava di parlarle,
ma Sianna confidava che, con l’arrivo di Daniel, ogni
malumore le sarebbe
passato. Si precipitò fuori e, correndo, superò
l’ingresso ad arco del suo
cortile per inchiodare davanti alla casetta di pietra accanto alla sua.
Tre
gradini precedevano la porta di legno massiccio e Sianna li
saltò tutti insieme
prima di bussare fin troppo animatamente.
«Kea?
Guarda che lo so che ci sei!» urlò,
bussò ancora e poi urlò di nuovo «Dai,
vieni fuori! Ho una buona notizia. Quella cosa non può
essere così brutta da
negarti una buona notizia!»
Le rispose il
silenzio.
«Kea? Ti
giuro che ne sarai felice… ti prego!»
Bussò
insistentemente e alla fine la porta si spalancò
«Se ti maledirei in
ogni lingua esistente non basterebbe!»
La sua vicina di
casa sembrava l’incarnazione di uno spirito maligno,
minuscola e sottile come un giunco, un fisico efebico acerbo e una
cascata di
capelli corvini calata sul volto come una tenda arruffata. Sianna non
poteva
vedere il suo sguardo, ma poteva tranquillamente desumerlo dal suo tono
di voce
alterato.
Era consapevole di
non doverlo fare, ma non riuscì a non ridere di gusto
«Dimmi
che questo tuo aspetto da spaventapasseri non è per
ciò che penso» si coprì la
bocca con le dita affusolate per limitare il danno, ma non
servì perché Kea
spostò i capelli di quel minimo indispensabile a rivelare
l’occhio destro e la
gelò con la sua espressione più truce.
«Proprio
tu, che sei la causa fondante di ogni mio male, sei l’unica
che
non può fare battute!»
Il suo broncio
infantile e testardo ricordò a Sianna di quando era bambina,
perché Kea non sembrava cambiata in nulla, le sue ridotte
dimensioni fisiche la
facevano apparire molto più piccola e indifesa della sua
età. Mai apparenza fu
più ingannatrice.
«Sono
passati giorni, sono sicura che ormai neanche c’è
più. Stai facendo
un dramma per una sciocchezza»
Era fin troppo
abituata ai malumori di Kea più che altro perché
ne era la
causa costante, ed anche quella situazione non era
un’eccezione.
«Certo,
tu fai i danni poi io esagero. Mi chiedo perché ancora mi
meraviglio» con un gesto secco Kea si rimboccò i
capelli dietro le orecchie,
facendo mostra di un ponfo enorme sulla fronte e di un livido esteso e
scuro
attorno ad una lacerazione poco profonda, che però le
segnava il sopracciglio
sottile. Il suo volto ricordava la pelliccia maculata di un qualche
animaletto
selvatico irritato e Sianna si morse le labbra per bloccarne
l’istintivo
incurvarsi «Visto, non è così
grave» stirò un sorriso finto e
proseguì «Daniel
e Henry non lo noteranno neppure»
Kea
impallidì all’improvviso e Sianna temette che
potesse nuovamente svenire
a causa sua.
«Sono
tornati?»
«Ehm,
sì. Volevo avvisarti, ma sai, non mi parli da
giorni»
«E
chiediti il perché! Giuro su Nehallenia, questi sono i
momenti in cui ti
odio ti più! Sono impresentabile, non potevi direttamente
ammazzarmi e
seppellirmi nel tuo giardino?»
Sianna
sollevò gli occhi al cielo, spazientita «Come se a
loro importasse
dell’aspetto della tua faccia»
Kea
ringhiò come se davvero lo fosse, un animale selvatico, e
assottigliò
gli occhi in due spilli di profondo rancore «Importa a
me»
Si sentiva un poco
in colpa, perché quella deturpazione
sull’altrimenti
bellissimo viso di Kea era effettivamente sua
responsabilità.
Le finestre delle
loro camere da letto erano dirimpettaie e avevano preso
l’abitudine, negli anni, di chiacchierare per ore appoggiate
al davanzale,
venendo spesso sgridate perché “urlate come se
fossimo al mercato, tutto il
vicinato vi sente”, la frase più frequentemente
pronunciata da Marilien.
Qualche giorno prima, bloccata in camera per l’ennesimo
rimprovero di sua madre,
Sianna aveva deciso di chiamarla tirando dei sassi contro gli scuri di
legno
della finestra dell’amica.
Le ante si erano
aperte all’improvviso, e la pietra aveva colpito Kea in
pieno viso. Era stata ritrovata semisvenuta qualche ora dopo.
«Non
preoccuparti, non li vedremo per un po’, era di questo che
volevo
parlarti»
Le
spiegò lo strano comportamento dei sacerdoti e presa
dall’aneddoto, Kea
dimenticò le sue problematiche estetiche.
Così,
confabulando, erano uscite di casa e avevano attraversato le vie
gremite
di gente e grida chiassose e bancarelle. Era giornata di mercato e
Glenn Dubhar
pulsava di vita e di colori, dai venditori di stoffe, ai banchi di
gioielli e
dolci, fino ai contrattatori di bestie e piccoli raduni di scommesse.
Alcune
galline tagliarono loro la strada e Sianna seguì
distrattamente il loro
incedere impettito e goffo con lo sguardo, fino a quando i suoi occhi
non si
posarono, sul ciglio della strada ai piedi di una casa, sulla figura
vivace di
una ragazza dal volto celato da uno scialle arancio. Il bordo ricoperto
di
campanelli tintinnava ogni volta che la fanciulla chinava il capo sulla
mano
grassoccia della donna che si stava facendo leggere il futuro.
Richiamò
Kea e indicò la gitana con un gesto del capo.
«Ci
risiamo» brontolò l’amica sollevando al
cielo gli oscuri occhi neri.
«Allora,
vuoi dirmi qualcosa o no?»
«Io
vorrei ma…» la voce della zingara, piena
d’incertezza, colpì Sianna,
che avvicinatasi non aveva potuto non cogliere uno stralcio della
conversazione.
«Ma?»
«È
una piccola ciarlatana, mia signora, non le presti ascolto»
«Io non
sono una ciarlatana! È la linea, è spezzata, non
c’è alcun futuro
qui!»
Con un gesto di
sdegno, la Dama e la sua servitrice si allontanarono
irritate, mai però indisposte quanto la ragazzina, che con
un movimento
stizzito si sfilò dal capo la stoffa vivace per rivelare una
folta e spettinata
chioma castana screziata di miele.
«Cliente
difficile?»
«Giornata
difficile!» sbottò Marion senza la minima sorpresa
nella voce
nonostante non le avesse notate, come si aspettasse la loro comparsa, e
Sianna
pensò che probabilmente era vero: Mari aveva un dono, una
capacità di percepire
gli eventi che era davvero al limite della premonizione.
«Perché?»
La gitana
gonfiò le guance, frustrata «Perché non
posso fare predizioni
oggi, o dovrei annunciare morti e catastrofi. Morti e catastrofi non
pagano,
non ho ricavato niente»
Raccolse le carte,
sistemate in ordine per terra, e gli astragali riuniti
in una rozza tazza di legno, richiuse i quattro angoli del panno e con
un fiocco
ne ricavò un pratico sacchetto.
«È
insolito» le fece notare Sianna, basita, perché
non aveva mai visto
quella bambina sbagliare, ed infatti la fronte di Mari si
corrugò «Lo so, e non
so che pensare. Sai, non stavo mentendo, la linea della vita era
spezzata, ma
non è possibile che ogni linea che ho visto oggi si perda
nel nulla in quel
modo»
«Vuoi
controllare la mia?» la canzonò dandole una
leggera spintarella con
il gomito. Marion arricciò le labbra «Prendi pure
in giro, lo sai che con te
sarebbe inutile. Kea, forse»
«Te lo
scordi» Kea si allontanò di qualche passo, come se
solo con il
pensiero la piccola zingara avesse potuto strappare i suoi segreti
«Sapete
benissimo cosa penso di queste sciocchezze»
Marion
sbuffò «Se me lo dice una vecchia impomatata lo
accetto, ma almeno
da un’amica mi piacerebbe non essere definita
ciarlatana» si volse verso Sianna
e attirò la sua attenzione afferrandole la manica celeste
del vestito, in un
gesto stranamente infantile e incerto.
«Sianna,
come stanno?»
«Chi?»
Sianna
avvertì un brivido: ecco il dono di Marion che si
manifestava.
«Henry e
Daniel. Qualcosa non va, non so perché, ma è come
una tensione,
come se l’aria stesse vibrando»
Kea stese le
labbra «Non ti ci mettere anche tu»
soffiò, in realtà cercando
di celare il proprio turbamento, Sianna lo sapeva che la sua migliore
amica
temeva tutto ciò che le era incomprensibile razionalmente.
«Cosa
senti?» interrogò la più piccola, che
si raccolse nelle spalle e le
scrollò piano, togliendo importanza alla questione.
«Non lo
so nemmeno io. È una sensazione poco chiara. Anzi,
più che una
sensazione, sembra un odore, puzza come qualcosa che sta
marcendo»
Il
profumo dei fiori marci,
l’odore della morte.
Per un momento,
invece di Marion le parve di trovarsi di fronte a Kii giusto
qualche ora prima. Nel mentre avevano raggiunto la piazza e, sotto la
grande
quercia che ombreggiava con i suoi rami i sampietrini e le panche di
pietra,
Sianna riconobbe Lisanda e Iris, accomodate placidamente a godere
dell’aria
tiepida di quella giornata.
Quando
le due gemelle le notarono,
si sbracciarono con un grande sorriso sulle guance dorate, per farsi
notare.
Sedute a respirare
il profumo di
dolci, Sianna decise di condividere il comportamento anomalo della
Somma
sacerdotessa e dei suoi adepti, non lesinando la propria
perplessità circa la
loro presunta aggressione da parte di briganti. Non disse nulla di Kii,
non
parlava mai della volpe e non era certa di averne il diritto, ma la
perplessità
generale venne rincarata da Marion e dalle sue difficoltà
divinatorie, che
lasciarono le sorelle confuse.
Sianna
studiò le sue amiche, un
gruppetto disparato di diseredate, e pensò che era spontaneo
e naturale che
fossero unite, che fossero proprio loro le sue compagne di ventura e
nessun
altro.
Nella sua infanzia
avvicinarsi ad
altri bambini le era stato impossibile: qualcosa in lei inquietava chi
le stava
attorno, e la fama di sua madre l’aveva resa avversa ai suoi
coetanei. La
chiamavano “la regina dei pezzenti”, per i suoi
abiti splendidi e l’aspetto regale
così in contrasto con l’ambiente in cui era nata e
cresciuta, e per lungo tempo
solo Ynyr era stato il suo scudo contro la cattiveria degli altri
ragazzi. Poi,
aveva conosciuto Kea, quarta di sette fratelli, tutti
all’apparenza normali,
completamente diversi da lei che pareva estranea alla propria famiglia.
Da
quando era venuta alla luce, suo padre l’aveva osservata come
un’intrusa e
aveva iniziato a maltrattare la madre, che in paese da quel momento non
aveva
più goduto di buona fama. Per questo, anche la sua migliore
amica era sempre
stata respinta, e trovarsi per loro era stato semplice come respirare.
Era stata
però Marion, che si era
stanziata in paese insieme ad un gruppo di gitani erranti, a creare un
legame
fra loro e le gemelle, adottate dal panettiere a cui Sianna rubava le
focacce e
cresciute come figlie sue nonostante tutto. Nessuna di loro rientrava
nei
canoni di ciò che era socialmente accettabile, per questo
forse, era normale
che si fossero trovate e che nel tempo il loro legame si fosse
rafforzato
spontaneamente.
«Come
mai non hai provato ad
origliare quello che avevano da dirsi?» domandò
infine Lisanda, poggiando il
viso tondo nelle mani a coppa.
«Non
avrei potuto, mia madre mi
conosce abbastanza, sa prendere i suoi provvedimenti»
Iris
accennò un sorriso malizioso
«Sbatti quei begli occhioni che ti ritrovi, e Henry ti
dirà ogni cosa»
«Sempre
che ci sia qualcosa da
sapere» specificò Kea «Vorrei ricordarti
Sianna, che hai il brutto vizio di
viaggiare molto con la fantasia»
«Ti dico
che è successo qualcosa,
è stato come una stretta allo stomaco, io lo so che
c’è qualcosa che non va»
Ma anche ad
esserne certa, era
consapevole al contrario delle altre, di come Henry e Daniel sapessero
essere
ermetici quando non desideravano lasciar trasparire nulla.
«Dici
che verranno oggi?» domandò Lisy dopo un istante
di ponderato
silenzio.
Sarebbe stato
scontato, normalmente, vederli comparire all’orizzonte, se
fosse stato un giorno qualunque di una visita qualunque i ragazzi
l’avrebbero
trascorso con loro, ma Sianna sentiva che non si sarebbero mostrati.
«No, non
vengono» la precedette Mari, inclinando il capo
all’indietro per
perdersi a contemplare le fronde tinte di un blu cupo. Il sole stava
calando,
era già pomeriggio inoltrato e le poche ore di luce a loro
concesse si erano
consumate. Le bancarelle del mercato iniziarono in ordine sparso ad
essere
rischiarate con le lanterne colorate, le persone nei dintorni si erano
diradate.
Presto, si
sarebbero accese le luci dei lampioni e le fiammelle sottili e
calde avrebbero illuminato le vie, dando un nuovo volto, più
intrigante e
magico, al paesino.
«Qualcuno
di voi ha visto Ynyr? Oggi è sparito»
«Io»
asserì la gitana con un sorriso «Stava
bighellonando al mercato, credo
abbia combinato qualche disastro. Non ho capito bene, ma stava
scappando»
Sianna si
lasciò sfuggire una risata
«Com’è che non mi meraviglia? Gli
tolgo gli occhi di dosso per qualche ora e lui distrugge il
mondo!»
«Senza
di te ha la noia facile» borbottò Lisanda
«è una vera seccatura,
quando vuole sa essere un moccioso»
Iris le
afferrò un orecchio e lo tirò bruscamente
«Ma sentitela, come fa la
dura. Poi te lo trovi davanti e le gambe ti si sciolgono. Almeno non
dire
niente!»
«Ehi ma
l’hai guardato? Perché è il fratellino
di Sianna, se no un pensierino
qui è scappato a tutte, non fate finta di no!»
«Lisy,
Lisy, con te mi arrendo. Vado a cercarlo, e se scopro qualcosa
domani vi racconto»
Si congedarono con
un cenno della mano, e Sianna non imboccò la strada di
casa ma una via che serpeggiava in salita sul fianco della montagna. La
strada
lastricata, inizialmente accompagnata da case eleganti degli abitanti
più
facoltosi del paese, scivolava in un sentiero sempre più
isolato che conduceva
alla fine ad uno sperone che sovrastava il piccolo borgo. Da quella
posizione
privilegiata, era possibile ammirare Glenn Dubhar dall’alto e
la sera,
nell’oscurità, le infinite fiammelle che
prendevano il posto della pallida luce
solare sembravano un mare di stelle, come guardare un cielo al
contrario.
Di solito, quello
era il luogo preferito da Ynyr, era lì che trascorreva il
sottile lasso di tempo che divideva il giorno dalla notte e a volte le
concedeva di condividere con lui quel silenzio. Cosa pensasse non le
era dato
saperlo, né aveva mai voluto chiederlo, perché
con suo fratello aveva imparato
che domandare non premiava. Si accontentava di sdraiarsi accanto a lui
e di
tenergli la mano.
Quando giunse sul
dirupo l’oscurità si era ormai infittita e di
Ynyr, con
sua sorpresa, non c’era alcuna traccia. Si sedette
nell’erba umida per
riprendere fiato e guardarsi un po’ attorno. Probabilmente il
fratello era
rientrato, ma non si spiegava come non lo avesse incontrato mentre
ripercorreva
la strada al contrario.
La perla di Kii,
adagiata sul suo seno, emanava un lucore opalescente e
sinistro nel buio, la accarezzò piano con le dita lunghe e
sottili e pensò che
quella giornata aveva in sé veramente qualcosa che la
turbava senza che
riuscisse a darsene ragione. La mano sinistra, su cui palmo svettava la
cicatrice traslucida di una luna in fase calante, le pizzicava, un
bruciore
leggero ma costante, che stava diventando un tormento difficile da
ignorare.
Henry e Daniel
erano stati assenti a lungo, durante la loro ultima
permanenza si erano trattenuti solo pochi giorni, e per questo si
sentiva
stranita, non si aspettava certamente dai due amici tanta compostezza e
quell’atteggiamento pieno di segreti, soprattutto non dal suo
migliore amico.
Una mano si
posò senza preavviso sulla sua spalla e Sianna
sentì il cuore
salirle in gola insieme ad un urlo di terrore. Scattò con un
balzo di fianco e
cadde sdraiata a terra, proteggendosi istintivamente con le braccia il
viso
incrociò gli occhi del suo assalitore che stava sorridendo,
e all’urlo seguì
un’imprecazione.
«Ma che
diamine ti passa per la testa, vuoi farmi venire un attacco di
cuore?»
Il ragazzo
sollevò con la punta del dito indice il cappellaccio di iuta
a
rivelare la chioma castana chiara che gli nascondeva parte del volto.
William
era un bel ragazzo, ma c’era qualcosa in lui che non la
rassicurava, forse solo
a causa delle parole pregiudiziose di suo fratello nei riguardi del
giovane
sacerdote.
«Mi
hanno mandato a cercarti, devi rientrare subito a casa»
«Cosa
saresti, una badante?» si rimise in piedi scocciata e si
ripulì il
vestito dalla polvere sbattendo la gonna con le mani.
«Ne
senti il bisogno?» ammiccò lui, sembrava divertito
ma l’oscurità
mangiava ogni sua espressione e rendeva la situazione per lei piuttosto
imbarazzante.
«Tante
grazie, ma non ho certo bisogno del tuo aiuto per tornarmene a casa
mia, la strada la conosco benissimo» gli fece una smorfia
infantile e pensò di
allontanarsi in modo molto teatrale e sentito, giusto per fare la
sostenuta,
quando al primo passò si bloccò realizzando una
banale ovvietà che le era sfuggita.
«Non ti
hanno mandato… ti ha
mandato» inarcò un sopracciglio e impresse nella
piega della bocca tutto il suo
disappunto.
William
scrollò le spalle «Cosa te lo fa
credere?»
«Che sai
perfettamente di chi sto parlando Will, e conosci questo posto.
Mia madre non lo sa, nemmeno Henry ne è a
conoscenza»
Il sacerdote
sollevò le braccia in segno di resa
«Già, mi ha mandato tuo
fratello»
«E
perché di grazia non si è fatto vivo
personalmente?» ringhiò, ma non era
arrabbiata con William: era Ynyr ad averla in qualche modo seccata,
condividendo senza uno straccio di motivo un segreto che era
appartenuto a loro
per tanto tempo.
«Perché
vostra madre ha voluto così. E ci ha anche espressamente
ordinato
di riportarti indietro subito»
Marilien aveva una
tendenza al dispotismo, non solo con i suoi stessi
figli, con chiunque, era abituata a impartire ordini e ad essere
ubbidita. Per
questo la gente aveva paura di lei, era una donna forte, indipendente,
e
qualcosa di lei lasciava un’impressione di spietata
crudeltà: una donna senza
un uomo, che non necessitava di un uomo,
in un paesino così isolato era una realtà
inconcepibile. Tuttavia, quella
richiesta non aveva senso.
«È
davvero successo qualcosa mentre venivate qui»
«Sianna,
rientriamo»
«Non
voglio che mi dici cosa. Ho solo bisogno che mi confermi che non sto
delirando. Che questa strana sensazione è reale»
William
chinò il capo e la tesa del capello oscurò
definitivamente il suo
volto «Se ti dico di sì ti deciderai a
seguirmi?»
Sianna contrasse
la mascella, in un moto di stizza «Solo se è
vero»
«Sì»
sospirò il sacerdote, passandosi una mano sul collo
«Sì, e ora
preferirei non dover restare qui, mi sentirei più tranquillo
al riparo»
Si morse il labbro
inferiore, poi annuì.
Il ragazzo le
diede le spalle e si avviò lentamente, per darle il tempo di
metabolizzare la sua confessione e di seguirlo, e Sianna
guardò quella mantella
marrone rigida e pesante muoversi, il bavero che gli nascondeva il
collo, i
bordi slabbrati che strisciavano al suolo, guardò la sua
schiena per qualche
istante: avrebbe voluto chiedere di più.
Gettò
un’ultima occhiata oltre il precipizio, ad ammirare con
confusa
inquietudine i contorni, appena marcati nella notte, delle montagne
all’orizzonte, nere più del cielo che era
rischiarato da una grande luna,
sanguigna di un riflesso aranciato. E mentre i suoi occhi cercavano i
flebili
raggi lunari, una nube sinistra ne offuscò la luce
spettrale: un solo, breve
istante che la colpì con una scarica di panico,
un’energia dolorosa che le
percorse le membra e sembrò concentrarsi come un marchio a
fuoco sul palmo
della mano sinistra. Si afferrò il polso e strinse forte le
dita, in un gesto
istintivo che non poté lenire il bruciore.
«Will»
gridò, richiamando l’attenzione del ragazzo
«Will, hai visto?»
William non si
avvicinò, si voltò a guardarla, e la sua voce
risultò
stranita e estraniante, senza l’accompagnamento di
un’espressione «Cosa?»
Per un momento,
Sianna pensò di dirgli che aveva visto qualcosa. Poi
però,
si sentì sciocca.
«Niente,
arrivo»
Lo raggiunse con
una leggera corsa, ed insieme attraversarono la rada
macchia boscosa che circondava il sentiero e imboccarono la strada del
rientro.
Entrambi non fecero nulla per riempire il vuoto silenzio che li stava
accompagnando e Sianna si perse nella contemplazione delle abitazioni
tanto
familiari cercando di trarne un senso di sicurezza: i tetti bassi e
spioventi,
i comignoli, le piccole finestrelle e l’edera e il muschio
sulle facciate
mangiate dall’umidità.
Quando giunsero
sulla soglia di casa sua, William non entrò, si
limitò a
congedarsi, lasciandola se possibile solo più frastornata.
Fu sua madre a
spalancare la porta con troppa energia, facendola sussultare per lo
spavento e
la sorpresa.
«Entra,
immediatamente» la collera permeava le sue parole e quel tono
insolito.
Non
è solo rabbia, è paura.
Ha
paura
Lo comprese
immediatamente, appena incrociò gli occhi verdi, duri come
pietre opache, di Marilien.
Mosse il suo
assenso con uno scatto repentino del capo e si affrettò a
chiudersi la porta alle spalle. Ynyr era già accomodato su
una delle poltrone
della sala, sprofondato fra i cuscini con atteggiamento annoiato, e il
viso,
sostenuto pigramente dalla mano, era rivolto al tavolino che proprio
lui aveva
ribattezzato “delle ramanzine”.
Sianna lo
raggiunse e si sistemò sul bracciolo libero della medesima
poltrona, per sentire al suo fianco la presenza rassicurante del corpo
di Ynyr.
«Cosa
sta succedendo?» gli bisbigliò urtandolo appena
con il gomito. Il
fratello sollevò gli occhi freddi su di lei:
l’aria indifferente celava in
realtà una perplessità che Ynyr non voleva
mostrare, troppo orgoglioso forse di
manifestare della curiosità.
«È
da quando sono tornato che fa così» rispose
accennando a Marilien, che
inquietamente restava vicino alla soglia e osservava
l’esterno dal vetro della
finestra «Pensavo le fosse arrivata voce della discussione
che ho avuto oggi,
ma mi sbagliavo»
Sianna
corrugò la fronte, esasperata. Era dunque per quello che
Mari lo
aveva visto allontanarsi con urgenza dal mercato, era probabilmente
arrivato di
nuovo alle mani con qualcuno, non se ne meravigliava, suo fratello era
un’attaccabrighe senza speranza.
Il rumore della
serratura, e poi la porta scattò di nuovo, e stavolta fu
Korakas a palesarsi, con il fiato pesante.
«Come
è la situazione?»
L’anziana
le lanciò un ammonimento con lo sguardo «Devi
venire, è urgente»
Marilien
deglutì a stento e solo allora parve ricordarsi di loro
«Dovete
ascoltarmi attentamente» esordì fissandoli da
lontano, senza avvicinarsi «Non
uscite da qui per nessuna ragione, finché non
torneremo»
Sianna si
aggrappò alla casacca di Ynyr quasi senza accorgersene
«Mamma,
che ti prende?»
Ynyr
coprì la sua domanda bisbigliata alzandosi in piedi di
scatto «Non mi
piace questa situazione» dichiarò con forza, le
labbra strette ridotte ad una
fessura collerica.
Marilien
sussultò ancora, ma si riprese in fretta e non
rimbeccò suo
fratello, nonostante difficilmente tollerasse quei modi irrispettosi.
«Ynyr,
controlla tua sorella, fidatevi di me e restate qui finché
non
torneremo a prendervi. È troppo pericoloso, dobbiamo essere
certi che sarete al
sicuro. Quindi non azzardatevi a fare qualcosa senza di noi»
Se ne
andò lasciando il tonfo del legno che sbatteva contro il
muro come
eco delle sue parole. Allora Sianna, allibita, cercò
certezze in Ynyr e si
sentì smarrita quando riconobbe in lui la medesima
insicurezza, una maschera
che non si addiceva al viso di quel ragazzino arrogante.
«Cosa
facciamo?»
«L’hai
sentita» disse lui sospirando frustrato «Aspettiamo
e quando
torneranno le costringeremo a dirci cosa diamine le è preso
per comportarsi in
questo modo»
Sianna
annuì ancora e prese un leggero respiro «E tu
invece, cos’hai
combinato? Un’altra rissa?»
La smorfia
d’Ynyr si trasformò istantaneamente in un sorriso
ferino
provocatore «Lo sai che sono una persona espansiva, mi piace
donare il mio
affetto al prossimo»
«Già,
non oso immaginare il tuo “affetto” che effetto
abbia avuto sul quel
povero sventurato»
Ynyr
ridacchiò, le andò vicino passandole una mano fra
i capelli prima di
sfregare con energia, arruffando la sua chioma già di per
sé scompiglia «Su quei
poveri sventurati, intendi? Non
preoccuparti, il mio amore rende gli animi docili, sorellina. Non
dovresti
dubitare mai di me»
«Sì,
sei alla stregua di un santo, lo pensano tutti»
Il fratello
sfoderò la sua espressione più tenera, per
ammorbidirla, e
Sianna si ritrovò a sollevare gli occhi al soffitto pensando
che con lui poteva
solo perdere, era troppo bello e consapevole del suo ascendente sugli
altri per
sperare di spuntarla con lui.
«Chiamami
quando “la strega” torna»
le disse calcando quell’appellativo che usava spesso, in
maniera ironica, per
provocare loro madre.
Confermò
con uno sbuffo e lo seguì con lo sguardo mentre saliva le
scale e
spariva alla sua vista, lasciandola sola. Scivolò nella
poltrona finalmente
libera e vi si accoccolò come faceva da bambina: avrebbe
preferito che Ynyr
rimanesse con lei, perché sentiva una morsa gelida allo
stomaco che le rendeva
difficile persino deglutire, ed un disagio inspiegabile le si stava
insinuando
sotto il costato, quasi rarefacendo l’aria che le entrava nei
polmoni, le
sembrava di annaspare.
Cercò
di combattere quelle sensazioni negative e, ad occhi serrati,
riuscì
a scivolare in uno spiacevole dormiveglia. Si svegliò di
soprassalto, non seppe
neanche lei dopo quanto tempo, a causa di un assordante frastuono
proveniente
da fuori.
Balzò
in piedi, come non si fosse appena svegliata, e corse alla finestra,
spalancando l’imposta di legno accostata. Nel buio, il
bagliore delle lingue di
fuoco protese verso il cielo con i loro colori troppo vividi la
accecarono, la
vampata di calore le bruciò le guance, una patina umida le
impastò gli occhi e
si portò una mano al volto per proteggersi.
Erano le grida ad
averla svegliata, urla così strazianti da riempire ogni
silenzio, e Sianna scoprì di non essere in grado di muoversi
per il timore.
«Sianna!»
Si
aggrappò allo stipite di legno e lo strinse con tutte le sue
forze, fino
a farsi male. In quel frastuono le era parve di sentire il suo nome, ma
non le
importava, il panico l’aveva inchiodata al pavimento, le
gambe le stavano
cedendo e fu costretta ad accasciarsi con la spalla contro il muro per
non
crollare.
«Sianna
maledizione!»
Ynyr
l’afferrò bruscamente per il braccio e la
costrinse a voltarsi. Era
così inerme in quel momento, che gli si accoccolò
semplicemente contro il
petto, alla ricerca di un punto stabile a cui affrancarsi.
La stanza si stava
riempiendo di fumo e il suo odore acre le bruciò il
respiro.
«Perché
non rispondevi? Stupida, ero preoccupato da morire! Stai bene,
vero?»
Le prese il viso
fra le mani e Sianna si aggrappò alle sue braccia e
cercò
nelle sue iridi azzurre la razionalità che sentiva
sfuggirle. Seguì la forma
snella del polso e la mano nervosa del fratello, trovò le
sue dita magre, serrate
con troppa forza sul suo volto, e le strinse a sua volta, annuendo
disperatamente. Ynyr era lucido, i suoi tratti inflessibili ed eterei
erano la
sua sola, solida certezza, per questo Sianna non esitò a
seguirlo quando il
ragazzo le agguantò il polso e la trascinò con
sé, spalancando la porta.
Si misero a
correre, il calore che aveva avvertito non era niente in
confronto a ciò che l’attendeva fuori. Il fumo
annebbiava le strade invase di
persone, la temperatura insostenibile le imperlò la fronte
di sudore che già le
entrava negli occhi, offuscandole la vista.
In un attimo si
ritrovò risucchiata dalla folla, compressa fra
più corpi,
il braccio di suo fratello si stava tendendo sempre di più e
Sianna già non
riusciva più a scorgere la sua schiena. Le troppe urla
coprivano il suo
disperato tentativo di richiamare Ynyr e per quanto non smettesse di
provarci,
scorticandosi la gola ancora e ancora, suo fratello procedeva
stringendola
tanto forte da farle male. Temeva che quella tensione le avrebbe
dislocato una
spalla, cercò di dimenarsi, per farlo voltare, ma era troppo
debole, estraniata
da se stessa, come se quel disastro non si stesse consumando realmente
davanti
ai suoi occhi. Le grida di terrore, le abitazioni preda delle fiamme
come torce
accese, l’eccessivo calore e la confusione, c’erano
emozioni così forti intorno
a lei, così soverchianti, che realizzò di non
poterle gestire, di star perdendo
il controllo del proprio corpo.
Alzò in
un ultimo, apatico gesto lo sguardo al cielo, e in quella notte di
luna rossa, ancora una volta, vide un’ombra oscurare i raggi
lunari. Un’altra
scossa, come fuoco liquido, le percorse ogni terminazione nervosa e si
raccolse
nella mano che suo fratello stringeva con tanta prepotenza. Il dolore
inaspettato le fece cedere le gambe ed un urlo lacerato le
graffiò la gola, per
il contraccolpo la presa d’Ynyr venne meno e Sianna si
ritrovò a terra, in
balia di una folla impazzita che la colpì senza
pietà.
Le imprecazioni e
le urla si mescolavano al pianto dei bambini, le persone
incespicavano urtandola, qualcuno inciampò e cadde malamente
disteso, in pochi
attimi fu calpestato e i suoi lamenti si spensero in un mormorio
indistinto. La
macchia di sangue si stese sotto il suo corpo fino a raggiungerla e a
inzupparle il vestito, le pietre divennero scivolose, molti slittarono
e altri
ruzzolarono venendo mangiati da quell’ammasso di carne e
terrore compresso.
Una ginocchiata,
colpendola con particolarmente forza alla testa, la fece
capitolare e si ritrovò a carponi, a lottare per non
svenire, per restare
presente a se stessa, perché lo sapeva che se le braccia
avessero ceduto anche
lei sarebbe morta calpestata da quella miriade di persone raccolte in
un fiume
in piena privo di raziocinio.
«Sianna!»
Tra i gemiti e le
voci che si sovrapponevano in pianti e suppliche, le
parve di sentire indistintamente il suo nome, urlato da qualcuno che
non riuscì
a vedere né identificare, e sperava davvero che fosse suo
fratello, voleva solo
buttarsi tra le braccia di Ynyr ma un’altra ginocchiata al
costato la fece
accasciare: non le permettevano di rialzarsi e la stavano distruggendo.
Il
panico le stava portando via il respiro, non poteva chiedere aiuto e
comunque
quella poca coscienza che ancora le restava le permetteva di
comprendere da sé
che nessuno l’avrebbe notata.
Poi, un tuono
improvviso, un sibilo lontano ed una casa scoppiò in un
ventaglio
di schegge che colpì indistintamente gli abitanti. Un uomo
le cadde riverso
addosso, un frammento di legno grande quanto un braccio conficcato in
testa, e
Sianna urlò, dando sfogo a tutto il suo orrore, ma ormai le
braccia avevano
ceduto, era bloccata da quel peso morto e dalle ferite, aveva respirato
troppo
fumo e la mano continuava ad emanare fitte di rovente dolore.
Grida acute e
singhiozzi le riempirono le orecchie, si rannicchiò
più che
poté sotto il cadavere, usandolo come scudo, non voleva
pensare che fosse un
corpo, non voleva credere che, probabilmente, sotto tutto quel sangue
che le
colava addosso ci fosse un volto che aveva conosciuto bene.
Il peso delle
persone che, calpestando il morto, la comprimevano con
brutalità al lastricato, schiacciandole la guancia contro la
pietra viscida di
sangue, la stava soffocando, si affrancò con le unghie al
terreno fino a
spezzarsele, qualcuno le calpestò le dita e non riusciva a
trattenere i
singhiozzi e le lacrime per il male che la stava attanagliando e la
paura che
le comprimeva l’esofago le ripeteva che sarebbe morta senza
poter nemmeno
provare a fuggire, e non avrebbe rivisto Ynyr.
«Iris!
Tieni Marion, non lasciarla!»
In uno degli
ultimi barlumi di presenza, mentre sentiva la coscienza
spossata scivolare nel nulla, le parve di riconoscere la voce di
Lisanda nel
tumulto.
Forse
sono qui vicino.
Forse,
quando il disastro è
scoppiato, sono venute a cercarmi
Non lo avrebbe mai
saputo, non l’avrebbero potuta vedere nemmeno volendo e,
per quanto lo desiderasse, non aveva modo di palesare la sua posizione,
non ne
aveva la forza, era spezzata e l’unico motivo per cui ancora
era viva era
grazie a quel cadavere che si era frapposto fra lei e la calca. Le
parve ancora
di udire il suo nome, ma tutte le sue percezioni erano ridotte ad un
brusio
sommesso e vago e persino il dolore ormai si era ritirato, la sua mente
si era
distaccata dal suo corpo e l’unica cosa che percepiva ancora
con chiarezza era
solo costante e sottile bruciore alla mano sinistra.
Chiuse gli occhi e
si lasciò scivolare nell’oblio, senza opporsi.
Una voce, un suono
vago, distante.
Ed il suo nome,
ripetuto in una cantilena che rimbombava in un’eco nella
sua testa, ma era come una fioca fiammella sommersa dal buio che
lentamente
andava spegnendosi. A tratti risorgeva unicamente per essere
inghiottita di
nuovo dall’oscurità.
Credeva ormai di
non poter sentire più nulla, quando il peso enorme che la
comprimeva al suolo venne d’improvviso a mancare. Il corpo
era stato spostato,
eppure nessuno la stava calpestando e d’istinto i polmoni si
aprirono in un
doloroso respiro, a cercare d’incamerare più aria
possibile che le causò un
eccesso di tosse.
Si
portò la mano martoriata alla bocca, si restrinse come un
feto e tossì
ancora liquido denso e viscoso. Qualcuno non aveva smesso di vomitare
parole,
ma tutto si confondeva nel chiasso e nelle grida sbraitate di paura e
collera e
un sibilo sinistro le riverberava nelle orecchie ovattando ogni cosa.
Finché
una mano non si affrancò alla sua e la sollevò di
forza.
«Resistete!
Dovete resistere!»
E ancora
«Sianna! Sianna aiutami! Devi rialzarti! alzati!»
Le palpebre erano
incollate, appiccicose di pianto, realizzò mentre le
sollevava
a fatica insieme al proprio corpo, lottando contro il sonno che
l’aveva
ghermita per rimettere a fuoco la situazione. Sfocate dalla patina
umida,
riconobbe i volti delle amiche come in sogno, strette attorno a lei in
una
catena che cercava di non farsi trascinare via, per concederle almeno
quei
pochi secondi necessari a farla rialzare. Era la mano di Kea, quella
stretta
attorno al suo polso, era il suo viso sudato, macchiato da un rivolo di
sangue
lungo la tempia e colmo di orrore a scrutare i suoi occhi alla ricerca
di
lucidità.
Furono pochi
secondi che le parvero dilatati in interi minuti, ma che in
realtà si consumarono nel rumore di un’altra
esplosione, un boato che sovrastò
ogni parola. La resistenza delle gemelle e di Marion venne a mancare
sotto una
nuova spinta, e compresse l’una sull’altra si
ritrovarono a seguire il flusso,
aggrappandosi l’una alle vesti dell’altra per non
smarrirsi.
Come
l’avessero trovata, che cosa stesse accadendo, con quale
forza erano
riuscite ad impuntarsi per prestarle aiuto, erano interrogativi che
scivolarono
via rapidi come si erano formati. Sianna sentiva solo che non doveva
perdere
conoscenza, doveva distogliere l’attenzione dal dolore
perforante che le
ustionava la mano come stesse stringendo braci ardenti.
Si
guardò attorno disperatamente, il viso che quasi premeva
contro la
schiena della persona che la precedeva -non riusciva a distinguere
nemmeno se
fosse uomo o donna- nella speranza di riacciuffare l’immagine
di suo fratello,
mangiata da numerosi volti indistinti.
Urlò il
suo nome fino a scorticarsi la gola riarsa, graffiata da tutto il
fumo inalato e dal calore bruciante che le toglieva il respiro,
urlò sapendo
che Ynyr non avrebbe mai potuto sentirla. Cercò allora di
scivolare verso il bordo
della strada, per non essere più trascinata e avere almeno
una speranza di
salvarsi.
La porta di una
casa in fiamme venne sfondata dall’interno ed un uomo
corroso dal fuoco ne uscì urlando atrocemente, creando uno
spostamento
istintivo delle persone che aprì un leggero, piccolo varco.
Sianna vi si
sospinse, seguita dalle ragazze di cui sentiva ancora la presa sulla
veste.
Agghiacciata,
guardò quella che ormai era solo la sagoma di un essere
umano
consumarsi lentamente sul ciglio della strada, l’odore di
carne cotta la prese
alla gola e le causò un conato.
Alzò
gli occhi al cielo, deglutendo piano per non rimettere, e in quel
momento si accorse, con sgomento, di ciò che stava per
accadere.
Sugli speroni
delle montagne che circondavano il villaggio, che l’avevano
sempre protetto, si accesero come inquietanti lumini sospesi nel vuoto,
come
centinaia di nuove, piccole stelle, delle luci. Fu questione di un
attimo, il
tempo che Sianna ci mise per gridare con tutta la sua voce
«Abbassatevi!»
Centinaia di
frecce infuocate vennero scagliate all’unisono e si
abbatterono sulla popolazione ammassata nella via principale facendo
sollevare
al cielo strazianti lamenti di dolore.
Quella sofferenza
travolse Sianna come un’onda alta, sbattendola a terra,
boccheggiante e senza fiato. Con uno strattone si liberò
dalla presa di Kea. Si
portò le mani al viso, conficcò ciò
che restava delle proprie unghie nella
carne e cadde in ginocchio, senza più fiato per respirare.
Le guance erano
bagnate di lacrime per un male che non le apparteneva, ma da cui non
riusciva a
scindersi, un male che la torceva in spasmi che le percuotevano ogni
muscolo,
facendola tremare visibilmente di angoscia.
In
quell’ultimo momento disperato, quando pensava di accasciarsi
contro il
freddo acciottolato, a ridosso del muro di una casa, sentì
ancora una volta
qualcuno tendersi verso di lei e liberarla dalla gabbia di dita dietro
la quale
si stava nascondendo per non dover vedere.
Una mano
s’intrecciò alla sua, una mano familiare, nervosa
e affusolata, forte
di tendini tesi e scattanti, una mano che con un solo tocco
dissipò i
sentimenti altrui, scacciandoli con la sua calma serena.
«Resta
presente Sianna! Sianna, non svenire!»
La voce calda
d’Ynyr la risvegliò, riconobbe il suo volto
sbattuto e
ferito, sfigurato dalle contusioni e dal sangue e, prima di rendersene
conto,
si era già lanciata verso di lui, si era aggrappata alle sue
spalle con la
forza della disperazione. Schiacciati contro la parete di pietra non
riuscivano
a muoversi, ma perlomeno la folla era meno forte e non poteva
trascinarli con
sé.
«Qualunque
cosa succeda, non lasciare la mia mano»
Si guardarono
negli occhi per un lungo, surreale istante, e in
quell’inferno, con la sua piega ferina e sbilenca, Ynyr le
sorrise.
Anche Sianna
riuscì a sorridergli.
ANGOLO AUTRICE
Rieccomi, dopo una vita!
Essendo io emblema d’insicurezza e
problematicità e
avendo ricevuto poco riscontro tra i lettori, avevo deciso di lasciar
perdere,
ma questa storia ce l’ho in testa praticamente tutti i giorni
e ci impazzisco. Per
questo, grazie anche alla dose di autostima fornita gentilmente da una
mia
amica, ho deciso di riprovare.
È passato molto tempo, ma spero di
ritrovarvi tutti e se
ci fosse qualche nuovo venuto, beh, benvenuto! Stavolta,
cercherò di essere
meno assenteista, non sono mai troppo costante, ma farò uno
sforzo.
Recensire è gratis e fa la gioia delle
persone (e magari
le aiuta anche a migliorare un pochino, che qui la passione
è grande ma la
capacità un po’ meno!), perciò se vi
viene in mente qualunque cosa da dirmi,
ditela e ne sarò felicissima!
A presto