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Autore: PervincaViola    13/02/2017    1 recensioni
{Prima classificata parimerito al Contest 'Raccontatemi di loro' indetto da tatsuei e giudicato da Hedoniste}
Per quanto scorbutico, pigro e scontroso Lovinito potesse mostrarsi, a un faccino così carino Antonio avrebbe potuto perdonare qualsiasi cosa.
{SpaMano ♥ | 5 flash | Rating giallo because of Lovino}
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Di addii, blocchi da disegno e pomodori adorabili


 
 
Campo di pomodori

Il campo in cui lavoravano era una piantagione di pomodori che si estendeva per quella che pareva un'infinità, sino all'orizzonte; era rosso brillante e verde intenso contro il bianco spumoso e il ceruleo terso del cielo: Antonio non aveva bisogno d'altro per sorridere al sole. Non era così per Lovino, evidentemente, che aveva indossato un broncio da manuale sin dalle prime ore del mattino.
«Perché cazzo dobbiamo lavorare così tanto, bastardo?» si risentì infatti, dopo nemmeno mezza giornata di lavoro, e Antonio lo trovò incredibilmente adorabile con le babbucce sporche di terra, il viso arrossato per la fatica e una cesta colma di succosissimi pomodori tra le braccia.
«Perché per i tomates ne vale la pena, Lovinito» trillò con gioia, indicando entusiasta gli ortaggi, e non seppe resistere all'impulso di scompigliare i capelli color cannella del bambino, che rispose con una smorfia ben poco convinta. «E poi la siesta sarà più bella, vedrai!»
Forse era davvero l'aria calda a renderlo di buonumore, insieme alla brezza leggera che soffiava tra i sentieri che si snodavano fra gli arbusti, o forse era solo il ridacchiare davanti all'impegno di Lovino che sudava sotto il sole – o tutto o niente, non esistevano mezze misure, per lui era così. Per questo Antonio finse di non notare che si defilava assai prima del previsto, scomparendo tra i frutteti che circondavano la piantagione. Lo scovò che sonnecchiava sotto le larghe e scure foglie di un fico e Antonio si ritrovò a ringraziare il suo stizzito rifiuto atto a non indossare un cappello di paglia intrecciata: con le labbra sporche di polpa rossa e le guance paffute leggermente scottate, il viso di Lovino sembrava davvero un pequeño tomate. E, per quanto scorbutico, pigro e scontroso Lovinito potesse mostrarsi, a un faccino così carino Antonio avrebbe potuto perdonare qualsiasi cosa, dall'essere così sboccato al continuo sfidare la sua autorità.
Gli si sdraiò vicino e sfregò piano la punta del nasino di Lovino con il proprio, dimenticando completamente il campo e i pomodori e le ceste di vimini abbandonate sotto il sole. Avrebbe potuto perdonargli tutto, davvero.


 
Tramonto

Tornava sempre al tramonto, nonostante Carlos amasse ripetere che sul suo impero il sole non tramontava mai. Tornava sempre al tramonto, perché il cielo e il mare ingoiavano il colore del fuoco e nell'aria satura di luce brillante, dalla prua della caravella, la costa sembrava sempre più vicina di quanto in realtà non fosse.
Tornava sempre al tramonto, perché sapeva che ad attenderlo, sul molo di Barcellona, ci sarebbe stato un bambino testardo, imbronciato e adorabile – e Lovino detestava che lo si facesse aspettare.
«Sei in ritardo, bastardo» brontolò, infatti, non appena gli fu di fronte, e Antonio non ebbe bisogno di voltarsi verso ovest per sapere che il sole si era già sciolto dietro la linea dell'orizzonte.
«Hai ragione» assentì, sorridendo e facendo leva sui talloni per chinarsi alla sua stessa altezza. «Ti sono mancato?» aggiunse, sornione.
Lovino arrossì, incrociò le braccia e gonfiò le guance, alla maniera che era solito fare quando una domanda scomoda lo coglieva di sorpresa. «No» sbuffò infine, ma i suoi occhi d'ambra erano insolitamente lucidi e gridavano a gran voce l'esatto opposto – qualcosa che, Antonio lo sapeva, non sarebbe stato disposto ad ammettere neppure sotto tortura.
«Lo sai quanto mi sei mancato tu, invece?» gli chiese allora, piegando leggermente il capo e regalandogli un buffetto sulla fronte. «¡De tal manera!» rivelò, allargando le braccia il più possibile e scoppiando a ridere, e poi si chinò in avanti ad abbracciare Lovino, il quale si lasciò sollevare e stringere senza opporre la solita resistenza.
Tornava sempre al tramonto, perché il giorno si spegneva e la stanchezza rendeva Lovino molto più docile e accondiscendente: solo sentendolo sbadigliare nella sua divisa e avvertendo le sue braccia stringersi piano attorno al suo collo, Antonio sapeva di essere davvero tornato a casa.


 
Blocco da disegno

Antonio si lasciò cadere sul divano, sorridendo. Con i polpastrelli carezzò distrattamente la copertina impolverata fra le sue mani: era stato il suo primo regalo al piccolo Lovinito, un blocco da disegno con la fodera verde bottiglia e le pagine rilegate. In un primo momento, Antonio aveva sperato che il Meridione avesse ereditato almeno in parte la vena artistica che aveva contraddistinto i suoi avi, Magna Grecia prima e Roma poi. La verità era però che l'amore per l'arte era divenuta una prerogativa di Feliciano, e non di Lovino: troppo impulsivo per la pittura, troppo impaziente per la scultura. Chissà, forse erano le gocce di sangue arabo dentro di lui... Antonio se lo era chiesto spesso, pur non facendosene un cruccio. Certo non possedeva il tocco artistico del fratello e Lovino stesso sembrava esserne consapevole, poiché non ad anima viva aveva concesso di vedere le sue creazioni – eppure quel blocco da disegno era stato suo compagno inseparabile per mesi interi, finché un giorno era sparito, di punto in bianco, e entrambi avevano finito per dimenticarsene. Chissà come, quel blocco era stato nascosto in soffitta e lì era rimasto per secoli.
Curioso, lo aprì con delicatezza. I primi fogli mostravano bozze di ritratti, schizzi disegnati con mano veloce e poco avvezza: Antonio riconobbe gli occhi verdi di Belgio e il sorriso convincente di Olanda, e poi un uomo muscoloso, una lupa e due bambini. Sfogliando le pagine, i soggetti cambiarono, protagonisti divennero i paesaggi: Antonio sorrise con tenerezza davanti a quello che era indubbiamente un infinito campo di pomodori, dopo una veduta sull'alba di Madrid e una caravella stagliata contro il cielo.
«Ehi, bastardo. Ho fame» lo richiamò d'improvviso una voce conosciuta, e Antonio sollevò lo sguardo, in tempo per osservare Lovino entrare nella stanza, gettargli un'occhiata annoiata e poi immobilizzarsi sul posto. Il suo viso si fece paurosamente scarlatto. «Ma che cazz-».
«¡Que lindo!» ridacchiò lo spagnolo e si affrettò a scorrere le pagine, prima che Lovino potesse impedirglielo. Scoprì che l'ultima parte del blocco era dedicata alla stessa figura maschile, disegnata con mano più sicura: un navigatore con una bussola, un corsaro che brandiva una sciabola, un gentiluomo con una larga camicia di lino e i capelli scuri raccolti in una bassa coda. Antonio inclinò la testa, aggrottò le sopracciglia; gli occhi gli si fecero grandi di stupore quando realizzò che si stava specchiando in decine e decine di ritratti di se stesso, così com'era secoli prima. «Oh, mi Lovinito» riuscì a mormorare, con voce grondante affettuosa commozione, prima che un tornado lo investisse in pieno.
«Dammi subito quel coso, maledetto!» strillò l'italiano, al culmine dell'imbarazzo e con il rossore che virava al viola, strappandogli il blocco da disegno dalle dita.
«Lo sapevo che mi hai sempre voluto bene anche tu, mi querido» continuò invece Antonio, con espressione sognante e coprendosi il volto con le mani, mentre l'altro si dirigeva verso la porta a grandi passi.
Lovino si voltò appena, lanciandogli un'occhiata assassina. «Crepa, stronzo».


 
Sangue finto

Aveva imparato a riconoscerne l'olezzo ferrigno quando era ancora un bambino e l'impero spagnolo dominava il mondo: quello del sangue era un odore che aveva impregnato gli abiti di Antonio ai tempi dei conquistadores, e prima ancora dell'Inquisición. Era sempre stato Lovino a medicargli, spaventato a morte, ferite orribili dopo le interminabili battaglie contro il bastardo inglese; e, ora che si ritrovava a curarlo di nuovo, lo faceva semplicemente imbestialire il fatto che bastardo spagnolo mentisse spudoratamente affermando che quello sui suoi vestiti fosse del fottuto sangue finto.
«Si può sapere» sibilò, trattenendosi a stento dall'urlare e detergendo senza la minima delicatezza una ferita sull'avambraccio dello spagnolo, da cui sgorgava quello che indubbiamente non era sangue finto. «Che cazzo hai combinato?»
«Non è niente, Lovinito, davvero» cercò di sorridere Antonio, da sotto le trapunte ricamate nel suo letto, ma evidentemente il ringhio d'avvertimento dell'italiano fu un monito sufficiente per farlo desistere dalla sua stupida recita. «Ho risolto la questione con Francis... Mi mancavi troppo» ammise con semplicità, e davanti a quello sguardo e a quelle parole Lovino s'irrigidì e sentì sfumare all'istante tutta la rabbia. Perché, all'improvviso, realizzò che il sangue sui suoi abiti era frutto dello sforzo atto a liberarlo da quel Murat e che ancora una volta Antonio cercava di non fargli pesare la sua debolezza; e intuendo tutto questo avvertì gli occhi bruciare e le labbra incurvarsi pericolosamente all'insù, senza poter fare nulla per impedirlo. E quella era una delle volte in cui aveva paura che Antonio lo conoscesse troppo bene, che sapesse leggergli nel pensiero, perché non c'era alcuna esitazione nel modo in cui stava sorridendo con tenerezza davanti ai suoi occhi liquidi.
«Sei un idiota, un completo deficiente!» strepitò, sfregando energicamente le palpebre con il dorso della mano, e non oppose resistenza quando la presa gentile di Antonio lo trascinò sotto le coperte, quando sprofondò nel suo caldo abbraccio e le sue labbra trovarono quelle di lui.
«Non piangere» lo consolò, sottovoce, strofinando piano il naso contro il suo collo, e Lovino comprese che gli ultimi rimasugli di dignità rimastagli dopo le sconfitte contro i bastardi francesi erano definitivamente andati in frantumi.
«Non sto affatto piangendo, bastardo!» replicò, socchiudendo gli occhi e ignorando le dita che gli lambivano delicate le gote umide e arrossate, e giurò a se stesso che mai gli avrebbe rivelato quanto anche lui gli fosse mancato.
«Stai sorridendo, allora, mi amor?» ridacchiò lievemente Antonio, nonostante tutto, e Lovino si limitò a soffiare un insulto, lasciando scivolare le mani sotto la casacca dell'altro – tra le sue braccia, tra i suoi baci, quelle sui suoi vestiti parevano davvero solo chiazze di colore.


 
Addio

«Me ne vado, bastardo».
Antonio nascose un sorriso. Succedeva spesso, negli ultimi tempi, che Lovino se ne uscisse con un improvviso addio, complici le insurrezioni che sempre più frequentemente agitavano le sue terre. La prima volta che era accaduto, più di vent'anni prima, aveva rischiato una sincope che quasi l'aveva condotto all'altro mondo; la seconda volta si era gettato di peso su un Lovino furente, implorando il suo pequeño tomate di non abbandonarlo; la terza volta, con le lacrime agli occhi e un fazzoletto bianco alla mano, l'aveva osservato allontanarsi mentre sbraitava bestemmie.
«Che hai da sorridere tanto, idiota?» si accigliò Lovino, assottigliando lo sguardo e stringendo la presa sulla propria borsa con aria minacciosa, e Antonio dovette reprimere l'impellente desiderio di abbracciarlo. Perché succedeva spesso che Lovino se ne uscisse con improvviso addio, ma altrettanto repentinamente questo finiva per diventare un momentaneo arrivederci: Lovino tornava, oh, tornava sempre. Poteva allontanarsi per qualche ora, persino per una giornata intera, ma verso sera il suo broncio e le sue lamentele erano di nuovo tutte per lui – e Antonio aveva sviluppato una sorta di insana adorazione per queste sue tenerissime ribellioni adolescenziali.
«Ripensavo all'ultima volta che te ne sei andato... Non mi avevi neppure salutato, ricordi?» domandò lo spagnolo con voce innocente, rammentando come, quella volta, Lovino fosse ritornato dopo appena due ore, il viso infuocato e l'aria oltraggiata.
«Adiós, allora, testa di cazzo!» ringhiò l'italiano, con fare talmente serio – e per questo involontariamente comico – che il sorriso di Antonio si allargò ancora di più.
«Yo te quiero también, lo sai» gli urlò dietro, con allegria, prima la porta di casa si chiudesse con un sonoro tonfo dietro le spalle di Lovino.

Tornò appena dopo il crepuscolo, come sempre; con le guance rosse per la sconfitta, gettò la propria sacca a terra e s'infilò sotto le lenzuola senza dire una parola. Antonio sorrise nel buio, sentendo il materasso cedere sotto il nuovo peso, avvertendo il calore arrendevole del corpo snello accanto al suo.
«Sono contento che tu sia tornato, Lovinito» gli sussurrò, un braccio allungato a circondargli la vita e le labbra a cercare il suo collo, e sorrise ancora una volta percependo che si abbandonava contro di lui.
«Taci, fottuto bastardo».




 
Angolino della Vì:
Prima SpaMano, yay :3 Ultimamente sono una delle mie OTP, quindi ne ho approfittato per divertirmi buttare giù queste piccole flash! Tra l'altro, non sono un'esperta di spagnolo, perciò potrei aver fatto degli strafalcioni: nel caso, segnalatemeli senza problemi!
Una recensione fa sempre piacere *lancia cioccolato per domani* :3

Noticine di storia assai inutili:
Carlos è ovviamente l'imperatore Carlo V, cui è attribuita la frase ‘Sul mio impero non tramonta mai il sole’.
Ho inserito Magna Grecia tra gli avi ‘artistici’ di Lovino perché, a conti fatti, l'arte romana fu essenzialmente arte greca.
Murat è Gioacchino Murat, che durante l'età napoleonica fu incoronato re di Napoli proprio da Napoleone; con la Restaurazione, a Napoli tornò la dinastia regnante spagnola.
Le ‘ribellioni adolescenziali’ sono, nella mia testa, le insurrezioni che scoppiarono nel Regno delle Due Sicilie a partire dal 1820; nell'ottica della Spamano, Lovino vuole l'indipendenza ma non riesce a fare a meno di Spagna ah, l'amore

 
   
 
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