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Autore: Birra fredda    13/02/2017    2 recensioni
Nathan era rincasato anche quella notte all’alba. Matt lo aveva sentito chiaramente rientrare e lo aveva sentito inciampare in successione nei primi due gradini che portavano al primo piano della casa. Così era andato ad aiutarlo.
Lo aveva trovato in preda al panico seduto in fondo alla scalinata, con addosso una puzza di marijuana non indifferente e l’alito di chi ha bevuto decisamente troppo.
“Papà sto bene, torna a dormire” gli aveva detto suo figlio, con la voce strascicata, guardandolo con degli occhi rossi e gonfi da far impressione.
Adesso lo osservava dormire.
Lo aveva preso tra le braccia come faceva con sua moglie e sua figlia quando voleva dimostrare loro ch’era forte come a trent’anni, lo aveva portato in camera sua, spogliato di scarpe e jeans per farlo stare più comodo, e lo aveva messo a letto.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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Non tornarono presto, ovviamente.
Anzi, non tornarono affatto.
Proprio quel pomeriggio aveva fatto ritorno ad Huntington Beach un vecchio amico di Patrick che aveva passato gli ultimi mesi nel carcere minorile per spaccio e tentativo fallito di derubare un negozio di alimentari. Patrick era felicissimo e trascino Connor e Nathan in ogni angolo delle zone più malfamate di HB per trovarlo, dato che aveva saputo che era stato rimesso in libertà ed era immediatamente tornato a lavorare, dando anche assaggi gratis ai vecchi clienti che non si era scordati di lui.
Per la prima volta, Nathan provò la droga iniettata nelle vene. Non lo aveva mai fatto prima, nonostante le insistenze dei suoi amici, perché gli aghi non gli piacevano molto e aveva troppa paura, ma quella sera era già abbastanza fatto e protestò davvero pochissimo, quando un tizio dai contorni sfocati gli mise il laccio emostatico attorno al braccio e lo bucò.
“Nate!”
Un paio di schiaffi raggiunsero la sua faccia.
“Terra chiama Nathan.”
Un altro schiaffo.
Il ragazzo aprì lentamente gli occhi e mise a fuoco il viso di suo zio Brian. Si rese conto di essere allungato a terra, sull’asfalto, quindi si mosse velocemente per mettersi seduto, ma una fitta alla testa glielo impedì.
“Non così in fretta, ragazzino” lo canzonò l’uomo. “Ti aiuto” continuò, afferrandolo per le braccia e tirandolo lentamente su fino a farlo sedere.
“Che ore sono?” chiese in un soffio.
“Decisamente tardi” rispose suo zio. “Ma almeno Johnny ha trovato Connor, quindi chiamo Zacky e gli dico che per pranzo ce la facciamo. Andiamo?” chiese alla fine, sfoderando un sorriso.
Spontaneamente, Nathan chinò lo sguardo alla ricerca del segno che aveva sul braccio dopo essersi bucato. Anche un miope senza occhiali l’avrebbe visto, quel segno, ma suo zio no. O aveva finto di non vederlo. Non lo stava sgridando né gli aveva rivolto anche solo un vago sguardo di rimprovero. Qualcosa non andava.
“Sì, andiamo” rispose piano il ragazzo, lasciandosi aiutare per mettersi in piedi.
Aveva dormito sull’asfalto, quindi sentiva tutto il corpo indolenzito e aveva la schiena a pezzi. Il mal di testa e il senso di nausea non aiutavano.
Camminando verso l’auto si rese conto che ricordava pochissimo, della notte appena trascorsa. Ricordava vagamente di aver vomitato una volta, ricordava tante risate, il corpo di Connor stretto al suo, il sorriso di Patrick, ricordava che a un certo punto la testa si era fatta troppo pesante, davvero troppo, e così si era steso a terra e aveva deciso che era arrivato il momento di dormire. Ma non era abbastanza.
Aveva troppi vuoti, troppi buchi neri, e non andava bene.
“Dico a tuo padre che ti sto riportando a casa?” domandò Brian a suo nipote mentre lo aiutava a salire in auto. Nel ragazzo lampeggiò un bagliore di terrore.
“No” disse velocemente, seccamente. “Per favore, posso restare da te e Zack oggi?” chiese poi, ammorbidendo il tono di voce.
Non avrebbe dovuto annuire. Matt gli aveva detto di non farlo, di non prendersi in casa Nathan solo perché lui e Val avevano deciso che doveva cominciare a cavarsela da solo. Non avrebbe dovuto dirgli che andava bene, ma si disse che se lo lasciava restare solo per un pranzo non sarebbe finito il mondo. O forse sì, conoscendo il suo cantante, ma a Matt prima o poi sarebbe passata e quel ragazzino aveva bisogno di un po’ di sostegno.
“Certo, ma mandiamo un messaggio ai tuoi” gli disse. “Non voglio rischiare la morte.”
Almeno, lo fece ridere.
Brian mandò un messaggio a Matt, dicendogli che aveva trovato suo figlio salvo e abbastanza sano, che sarebbe rimasto da loro a pranzo e sicuramente lo avrebbe rispedito a casa verso ora di cena. Non uccidere né me né lui, se ti riesce, grazie, concluse, insieme a un cuore rosa.
Mentre andavano verso casa, chiamò Zack e gli disse che stava tornando con Nathan, mentre Johnny stava riportando Connor. Sarebbero rimasti tutti per pranzo, quindi avrebbe fatto bene a cucinare per tante persone.
In quel momento, Nathan pensò che aveva una nausea tale che avrebbe quasi preferito tornare a casa sua piuttosto che mangiare, ma poi si disse che tornare a casa era peggio ed era meglio stare zitti.
In auto non parlarono, perlopiù perché Brian aveva un auricolare nell’orecchio in cui Zacky stava sbraitando che era tardi per dirgli di cucinare per delle persone in più, non era pronto e non poteva avvisarlo così all’ultimo minuto. Ma anche perché Nathan si sentiva immensamente in colpa. Si era bucato, cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo. Si era bucato, suo zio l’aveva visto e non aveva detto nulla. Ma lo aveva fatto comunque. E se i suoi genitori fossero venuti a saperlo non gliel’avrebbero mai perdonato, si sarebbe riconfermato essere il pessimo figlio che si dimostrava essere da un po’. Non voleva essere così. Davvero, voleva essere migliore.
Se non altro, Connor era ridotto peggio di lui.
Se ne rese conto immediatamente, Nathan, mentre parcheggiavano l’auto davanti casa. Johnny da solo non ce la faceva a trascinarlo, quindi Nicole era andato ad aiutarlo. Benché fossero in due, sembrava comunque molto faticoso trascinare un peso quasi morto, e per la prima volta il ragazzo notò quanto lo sguardo di suo zio apparisse allarmato dalla situazione. L’uomo non perse mai il controllo, però, come invece faceva suo padre. Non si affrettò per entrare in casa, non urlò, non gli tremarono le mani mentre lo prendeva in braccio suo figlio né la voce quando gli disse che lo avrebbe portato a letto per riposare.
Connor aveva un lembo di maglietta sporco di vomito, un buco nel braccio, pupille ancora come spilli, pelle lattea, puzzava e non riusciva a stare neanche seduto da solo. Eppure suo padre non si incazzò. Era preoccupato, d’accordo, ma lo si capiva solo dai suoi occhi, altrimenti sembrava normalissimo. Lo sollevò tra le braccia, lo portò nella sua camera da letto, lo spogliò, gli mise una t-shirt pulita e gli rimboccò le coperte con tanto di bacio sulla fronte.
Nathan non se ne capacitava.
Johnny e Zacky parevano neanche farci caso, dato che chiacchieravano e scherzavano allegramente davanti ai fornelli. E altrettanto Nicole, che stava cercando un angolo di frigo in cui nascondere il pezzo di torta avanzato dal giorno prima per poterlo riesumare dopo pranzo e mangiarlo prima che qualcuno lo trovasse prima di lei.
Sembravano vivere in una bolla, come in quei film in cui tutto sembra vero e finto contemporaneamente, non si sa cosa si sta guardando e non si capisce quasi nulla finché non si vede il film per la quinta volta. Sembravano tutti immersi in un mondo migliore di quello che c’era realmente, un mondo in cui probabilmente Connor era lì con loro in cucina e saltellava allegramente da una parte all’altra.
“Come sta Connor?” chiese Nathan a suo zio, quando lo vide tornare in sala.
“Ha solo bisogno di riposare” rispose Brian, stringendosi appena nelle spalle. “Quando si mangia?” chiese poi, spostando lo sguardo dal nipote al compagno, che si era affacciato a sua volta dalla cucina sentendolo parlare.
A quel punto, Nathan scattò.
Ci aveva provato, a far finta di niente. Aveva provato a comportarsi come tutti loro, vivendo nelle nuvole, ma non ci era riuscito. Aveva anche provato ad ignorarli e a fingere che si comportassero normalmente, ma non si comportavano normalmente e lui non riusciva a capacitarsene.
“Tuo figlio si è palesemente bucato e tu dici che ha solo bisogno di dormire?” chiese, con una punta isterica nella voce, guardando suo zio dritto negli occhi.
Zack, che stava per dire che era quasi pronto, richiuse di colpo la bocca. Il silenzio calò su tutti loro come se fosse divenuto tangibile, come una nube nera che, dal cielo, piomba di punto in bianco in un salotto disordinato.
Nathan si maledisse immediatamente. Voleva sicuramente dire quello che aveva effettivamente detto, ma non avrebbe mai voluto dirlo in quel modo. Rispettava suo zio e gli era grato di averlo, in quel caso, tenuto fuori dai guai con i suoi genitori. Non voleva offenderlo o insultarlo, voleva solo capire se c’era qualcosa che non sapeva e cosa gli passava per la testa, nulla di più. Non pretendeva che s’incazzasse come si incazzava suo padre, questo di sicuro non l’avrebbe mai augurato a nessuno, figuriamoci a suo cugino Connor a cui voleva un bene immenso, voleva solo che suo zio si assumesse la responsabilità di suo figlio, perché cazzo era suo padre ed era suo dovere farlo. In ogni caso, non avrebbe mai voluto dire quello che era venuto fuori dalla sua bocca, e di certo non avrebbe mai voluto dirlo con un tono di voce così rabbioso e denso di superiorità.
“Non volevo…” cercò di abbozzare, mentre tutti gli sguardi erano puntati verso punti indefiniti della stanza. Eccetto quello di suo zio, che lo fissava dritto negli occhi.
“Forse hai bisogno di dormire anche tu” sentenziò Brian dopo un lungo silenzio. Nathan era ancora molto imbarazzato dalla situazione e sentiva il corpo bollire e le guance rosse. Annuì appena, chinando lo sguardo.























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Ebbene, sono ancora viva! Ho avuto un po' di problemi personali per così dire, un gran bel blocco dello scrittore e la sessione invernale. Ma ora sono qui. Il capitolo c'era già da un po' ma non mi convinceva il finale, che ho modificato per giorni prima di decidermi a pubblicare (finalmente) il seguito della storia.
Non me la sento di far promesse che non posso mantenere, ma spero sinceramente che questa long prosegua perché mi intriga e voglio vedere dove potrebbe portarmi.
Quindi grazie a tutti quelli che ancora si ricordano di questa piccola storia partorita dalla mia mente mai troppo sana, spero stiate bene e vi auguro una buona serata,
Birra Fredda
  
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