Film > Miss Peregrine - La casa dei Bambini Speciali
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Autore: Soly_D    13/02/2017    2 recensioni
«Tu vuoi fare l’amore con me, Enoch?».
Quella domanda lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Mai Olive era stata così diretta in sessanta anni che la conosceva.
Accidenti, se ne era accorta allora. Enoch la scrutò attentamente in volto per capire cosa scatenasse in lei quella scoperta: non sembrava impaurita o arrabbiata, e nemmeno tanto sorpresa, solo curiosa.
Il ragazzo chiuse gli occhi. Fare l’amore, aveva detto Olive. Vederla completamente nuda, poterla stringere e sentirla tutta contro di sé, poterla baciare e toccare non solo sul volto e sul collo, ma anche sul petto, sull’addome e più giù, sempre più giù... Gli corse un brivido lungo la schiena e dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo pur di non mostrare quanto la sola idea di farla sua lo eccitasse come il ragazzino alle prime armi che effettivamente era.
[Enoch/Olive]
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Red
[like fire, blood and love]



Seconda parte


«Oggi non mi sento molto bene, Miss Peregrine. Credo che rimarrò a casa...».
Così si giustificò Olive quella mattina quando la direttrice notò che non si era preparata per uscire. Non le piaceva mentire, ma quello era l’unico modo che aveva per rimanere da sola con Enoch, lontano dagli occhi ingenui dei bambini e da quelli severi di Miss Peregrine. Quindi, per convincere ulteriormente la donna delle sue parole, Olive si portò una mano alla fronte con aria sofferente simulando un gran mal di testa. La sua piccola recita ottenne subito l’effetto sperato: Miss Peregrine le accarezzò una guancia con aria materna, visibilmente dispiaciuta. «Oh, cara, me ne ero già accorta ieri sera a cena», la informò, non sapendo che la mancanza d’appetito di Olive non era dovuta ad un malessere fisico ma a qualcosa di molto, molto più piacevole. «Vuoi che rimandiamo la nostra gita?», le propose.
«No, non è il caso... Andate voi, io rimarrò qui a riposare».
Miss Peregrine guardò i suoi allievi accalcati vicino alla porta d’ingresso: fremevano d’eccitazione per il programma di quella giornata – una breve vacanza al mare con tanto di picnic − e non sembravano minimamente intenzionati a rinunciare alla preziosa possibilità di uscire fuori dall’anello almeno per un giorno. Subito dopo lo sguardo della direttrice ricadde nuovamente su Olive e fu evidente che in cuor suo si sentiva molto combattuta sul da farsi: deludere i bambini o lasciare da sola una giovane diciassettenne malata?
La direttrice sospirò. «E se ti sentissi male? Se avessi bisogno di me?».
«Potrei rimanere io, qui con Olive».
Enoch, sguardo annoiato e mani infilate nelle tasche dei pantaloni, sbucò dal corridoio affiancando Olive. A Miss Peregrine brillarono gli occhi e i suoi dubbi sembrarono dissolversi nel nulla. «Oh, che gentiluomo è diventato il nostro Enoch!». Sorrise radiosa e gli batté una mano sulla spalla con aria compiaciuta. «Allora va bene, ci vediamo tra qualche ora. Se avete urgentemente bisogno di me, non esitate a contattarmi».
E così dicendo si voltò e raggiunse i bambini per uscire.


La porta dell’ingresso si chiuse con un leggero scricchiolio e le voci concitate dei bambini provenienti dall’esterno si affievolirono sempre di più, diventando solo un’eco in lontananza. In casa era calato il silenzio: nessuno che urlava, nessuno che si rincorreva per le scale, nessun rumore di giocattoli, pentole, attrezzi.
Olive fissava ancora la porta come in uno stato di trance. Aveva immaginato quel momento per tutta la notte ma improvvisamente sembravano mancarle le forze; non riusciva né a muovere un passo né tantomeno a parlare. Con la coda dell’occhio vide Enoch, fermo al suo fianco, ruotare un po’ il busto per guardarla in volto. Quando sentì la sua voce, Olive si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo e a ringraziarlo mentalmente per aver interrotto quel silenzio fin troppo imbarazzante.
«Io vado nella mia stanza», annunciò il ragazzo con voce atona, senza lasciar trapelare nessuna emozione [in questo era molto più bravo di lei, che invece si ritrovava ad arrossire e farfugliare parole sconclusionate per un semplice complimento]. «Tu raggiungimi quando ti va...», aggiunse, lasciandole immaginare il seguito della frase. Olive comprese perfettamente: con quelle parole Enoch la avvertiva che aveva preso sul serio la sua indecente proposta del giorno prima, che forse la desiderava con una certa urgenza ma che sarebbe stato paziente per lei, concedendole tempo e spazio a sufficienza per prepararsi.
Olive gli fu grata per questo, quindi gli rivolse un breve sorriso, senza guardarlo veramente in volto. «Va bene, a dopo».
Enoch si allontanò e Olive si diresse a sua volta nella propria stanza. Si fece un lungo bagno rilassante e indossò il vestito verde, il suo preferito da quando Enoch le aveva fatto notare, borbottando, che si intonava ai suoi occhi.  Non che importasse molto, dato che per la maggior parte del tempo sarebbe stata nuda − oh, sentiva le guance bollenti al solo pensiero − ma Olive ci teneva ad apparire perfetta per Enoch, anzi ci teneva al che tutto forse perfetto come l’aveva sognato. Si pettinò i capelli, si diede un’ultima occhiata allo specchio e infine si sedette sul letto, lisciando con le mani le pieghe del vestito per perdere un po’ di tempo prima di raggiungere Enoch.
Rifletté a lungo, senza accorgersi del tempo che trascorreva. Si chiese se non fosse troppo presto, dato che lei e Enoch stavano insieme solo da pochi mesi, ma il pensiero che Jake ed Emma l’avessero già fatto la rassicurò notevolmente. Emma gliel’aveva confessato un po’ di tempo prima e Olive era quasi saltata dalla sedia, scandalizzata e rossa come un peperone. Eppure, a distanza di appena un mese da quella scoperta, anche il suo rapporto con Enoch si era evoluto verso quella nuova e importante direzione per la vita di coppia. Non importava da quanto si amassero, ma quanto effettivamente si amassero, e Olive era certa che non avrebbe mai amato nessuno come amava Enoch. E soprattutto, sapeva di essere totalmente ricambiata.
Si chiese, poi, se non fossero troppo giovani per farlo, ma in realtà lo sarebbero stati per sempre – eterni diciassettenni, nel fisico e nelle mente − e quindi cosa importava? L’età, nel loro caso, era davvero un numero. Si chiese anche se avrebbe fatto male, se le sarebbe piaciuto, se a Enoch sarebbe piaciuto, quanto sarebbe durato, cosa sarebbe successo dopo e tante altre domande a cui non avrebbe potuto dare una risposta se non dopo aver vissuto quell’esperienza.
Quando lo sguardo di Olive ricadde sull’orologio, si accorse che erano già passate un paio d’ore da quando lei e Enoch si erano separati. Chissà se lui nutriva i suoi stessi dubbi, chissà se anche lui si sentiva impaurito ed emozionato al tempo stesso, chissà se quell’attesa lo stava rendendo impaziente. Non volendo farlo aspettare ancora, Olive si alzò dal letto e uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio fino a giungere in prossimità della camera di Enoch.
Arrivata di fronte alla porta, prese un respiro profondo raccogliendo tutto il coraggio che possedeva e bussò con determinazione.
«È aperto», rispose Enoch dall’interno. Olive abbassò la maniglia e aprì la porta, trovando il ragazzo seduto sul letto con la schiena poggiata contro la testiera di legno. Il suo profilo era illuminato solo dalla flebile luce dell’abat-jour sul comodino mentre il resto della stanza era in penombra. L’atmosfera le sembrò particolarmente calda e intima.
«Ehi», lo salutò, indugiando sulla porta.
«Ehi», rispose Enoch e si sistemò sul bordo del letto, per poi farle segno di sedersi al suo fianco. Olive lo raggiunse con passo lento e si accomodò sul materasso, le mani strette in grembo per l’agitazione. I loro gomiti e le loro ginocchia si sfioravano.
«Allora... ehm... ne sei sicura?», le chiese incerto Enoch.
Olive sollevò lo sguardo, specchiandosi negli occhi scuri del ragazzo. «Sì», rispose. Ed era vero: ci aveva riflettuto a lungo ed era giunta alla conclusione che non esisteva il momento adatto per fare l’amore, ma che ogni momento poteva essere quello adatto se si trattava di vero amore.
«Hai paura?», le chiese ancora Enoch, facendosi più vicino.
Olive si morse il labbro inferiore. «Un po’», ammise.
«Anche io». Enoch allungò una mano verso la sua e intrecciò le loro dita. Olive si ritrovò a desiderare di poter sentire la pelle di Enoch sotto i polpastrelli, ma i suoi guanti protettivi glielo impedivano: se lo avesse toccato a mani nude anche solo per pochi secondi, lui si sarebbe scottato e lei non se lo sarebbe mai perdonato, per cui le andava bene anche così. Si sarebbe accontentata di immaginare, come sempre, la consistenza della sua pelle.
«Ci guideremo a vicenda, allora», concluse Enoch.
Olive annuì e lui si sporse per baciarla. Nel momento in cui la ragazza risentì le labbra di Enoch sulle proprie dopo mezza giornata di astinenza, i dubbi e le paure sembrarono attenuarsi; ricambiò il bacio con ardore e allacciò le braccia intorno al collo di Enoch, stringendolo contro di sé in un abbraccio mozzafiato. Gli occhi chiusi, le bocche che si modellavano a vicenda, le lingue che si cercavano e rincorrevano affannosamente come in un gioco: ogni tanto Olive si allontanava, per poi sorridere non appena lui la riacciuffava, mordendole teneramente le labbra, reclamandole solo sue.
Olive si era quasi dimenticata del vero motivo per cui si trovassero lì in quel momento, quando avvertì una mano di Enoch posarsi sul suo ginocchio e risalire lungo la coscia, al di sopra della stoffa del vestito, proprio come aveva fatto il giorno prima. Era grande e tiepida, Olive poteva sentirla impaziente e avida di esplorare il suo corpo. Questa volta, però, Enoch non si limitò alle carezze: raggiunse con le dita il fianco di Olive e lo strinse nel palmo della mano, quasi volesse marchiarlo, penetrare con i polpastrelli attraverso la stoffa, fin dentro la pelle; quando gli sembrò abbastanza, virò verso l’alto, sfiorandole audacemente l’addome e il petto. Contemporaneamente Olive avvertì le labbra del ragazzo spostarsi lungo una guancia, lasciando una scia di baci umidi dalla mandibola fino al collo. Sospirò deliziata e d’istinto piegò la testa, facilitandogli il passaggio.
«Credo... che dovremmo.... spogliarci», le ricordò Enoch tra un bacio e l’altro.
Olive immaginò come sarebbe stato facile, per lui, portare entrambe le mani al bordo del suo bel vestito e sfilarglielo con un unico movimento fluido. La possibilità di rimanere nuda davanti ai suoi occhi da un momento all’altro la imbarazzò terribilmente e pensò che avrebbe preferito di gran lunga farsi trovare già in intimo dentro il letto, come se le coperte avessero potuto farle da scudo e da sostegno. In realtà, volente o nolente, prima o poi Enoch l’avrebbe comunque vista senza veli, ma Olive non voleva affrettare le cose. Si tirò indietro e poggiò i palmi aperti sul petto del ragazzo che le rivolse uno sguardo confuso per la brusca interruzione.
«Puoi voltarti, per favore?», gli chiese, sentendosi arrossire. «Così possiamo spogliarci senza... imbarazzo».
«Come vuoi». Enoch si staccò da lei e Olive ne approfittò per alzarsi e girare intorno al letto, andandosi a sedere dalla parte opposta a quella di lui. Ora Enoch le dava le spalle, fissando la parete davanti a sé, proprio come gli aveva chiesto.
«Non sbirciare», gli disse.
Enoch non rispose, ma Olive capì che aveva afferrato quando lo vide sfilarsi il maglione. Allora si fece coraggio e a sua volta portò le mani tremanti al bordo del vestito per toglierselo.


Enoch si tolse prima il maglione, poi la camicia, i pantaloni e le calze, rimanendo solo con i boxer addosso. Nel mentre, non potè fare a meno di ruotare un po’ il viso per guardare Olive con la coda dell’occhio. Ne intravide solo il profilo in penombra: la linea delicata del collo, la spalla nuda, il braccio. In sottofondo Enoch udì un leggero fruscio di vestiti e coperte, e lo stomaco gli si contorse piacevolmente al solo pensiero di cosa sarebbe successo di lì a poco, ma si impose di essere paziente. Per lei, per la sua Olive.
«Puoi voltarti».
Quando Enoch si voltò completamente, Olive si era già infilata nel letto. Da sotto la coperta sbucavano solo la sua testolina rossa poggiata sul cuscino e le sue braccia guantate. A Enoch non sfuggì lo sguardo curioso che Olive rivolse al suo petto scoperto per poi distogliere immediatamente gli occhi e la trovò a dir poco adorabile. Sorrise mentre si infilava anche lui tra le coperte. In quel comodo letto ad una piazza e mezza ci stavano in maniera decisamente perfetta: né troppo distanti, né troppo appiccicati. Semplicemente vicini.
«Eccoci qui... », sussurrò Olive per riempire il silenzio.
Enoch si schiarì la gola, imbarazzato. «Già».
Rimasero a guardare il soffitto per un tempo che parve infinito finché Enoch capì che era compito suo rompere il ghiaccio. Si limitò a voltare il viso di lato, incontrando gli occhi dolci di Olive, e allungò il collo per baciarla. Solo un bacio a stampo, leggero, delicato, che gli diede ulteriore coraggio per circondare la schiena di Olive con le braccia e attirare tutto il suo corpo verso di sé. La baciò sulle labbra, sul mento, sul collo, sulle clavicole, godendo dei suoi sospiri leggeri, e poi la circondò con le gambe per portarsi al di sopra di lei, sostenendosi con i gomiti sul cuscino.
Stretti sotto le coperte, in quella posizione i loro corpi aderivano completamente l’uno all’altro: nonostante avessero ancora addosso la biancheria intima, Enoch poteva sentire chiaramente i piccoli seni della ragazza schiacciati contro il proprio petto, i loro bacini che si sfioravano ad ogni movimento, le loro gambe che si toccavano fino a raggiungere un incastro perfetto. Enoch era semplicemente estasiato. Olive appariva così piccola, così fragile tra le sue braccia, ma lui sapeva bene quanta forza si nascondesse in quel corpicino delicato, in quelle mani costantemente rivestite di lattice. Si soffermò con lo sguardo sul volto di Olive per imprimersi bene nella mente quel momento tanto intimo e speciale: i capelli rossi sparsi sul cuscino come tante piccole fiamme, gli occhi sgranati e lucidi, le guance rosse e le labbra dischiuse per riprendere fiato. Quella visione gli provocò piccole fitte al bassoventre che si intensificarono quando avvertì il proprio nome uscire dalla bocca di Olive, la voce strozzata dall’emozione. «E-Enoch....».
Non ci vide più: la zittì con un nuovo bacio, più lungo e intriso di passione, che si protrasse dal collo fino al solco tra i seni. Leccò e mordicchiò quella pelle morbida e profumata finché non avvertì Olive armeggiare con il gancetto del reggiseno e sfilarselo con coraggio, lasciandolo cadere fuori dal letto. Di colpo Enoch si ritrovò di fronte agli occhi i seni della ragazza, piccoli e tondi, e pensò che fossero perfetti da stringere tra le proprie mani e da baciare. Avrebbe voluto dirle tante cose: che era bellissima, che la amava, che gli sarebbe piaciuto prolungare quel momento in eterno. Ma Olive gli sfiorò la bocca con le dita, bloccandolo. «N-non dire niente, ti prego», disse, e premette una mano sulla nuca del ragazzo per spingerlo contro di sé e fargli poggiare la testa sulla propria spalla, come per impedirgli di guardarla troppo intensamente e troppo a lungo. Enoch avvertì i capezzoli turgidi di Olive solleticargli il petto e capì che era semplicemente troppo imbarazzata, troppo emozionata, troppo eccitata anche solo per parlare. Come lui, del resto.
Uniti da un tacito accordo, si tolsero rispettivamente i boxer e le mutandine, sfiorandosi a vicenda e lasciandosi sfuggire qualche gemito, un po’ per sbaglio e un po’ perché lo desideravano davvero. A quel punto Enoch si accorse che c’era ancora qualcosa che li divideva: i guanti di Olive si frapponevano tra le loro pelli, impedendo loro di appartenersi completamente.
«Togliti i guanti», le sussurrò in un orecchio. Voleva sentire le sue dita bollenti sul proprio corpo, almeno una volta, solo una.
Lei sgranò gli occhi, visibilmente allarmata. «Ti brucerò...».
«Tu non mi faresti mai del male, Olive». Le accarezzò una guancia e le sorrise, fermamente convinto delle proprie parole: credeva in Olive, nel suo amore incondizionato e nella sua capacità di controllarsi apposta per lui.
Olive si arrese con un sospiro. «Ci provo». Cominciò a sfilarsi i guanti, un dito dopo l’altro, lasciando finalmente scoperte le mani, e li gettò fuori dal letto, accanto agli altri vestiti. Infine poggiò le braccia sul cuscino, ai lati della testa, come a volerle tenere lontane da Enoch per non scottarlo, ma lui le raggiunse subito con le proprie, intrecciando perfettamente le loro dita. Poi, vedendola preoccupata, la baciò per rassicurarla: le sue mani erano molto calde, ma si trattava di un calore sopportabile, forse perfino... piacevole. Enoch ci trovò un che di eccitante e si ritrovò a fremere dalla voglia di spingersi maggiormente contro di lei, di farle sentire con quanta intensità la desiderava, tuttavia si impose di stare fermo, di non affrettare i tempi. L’ultima cosa che voleva era spaventarla.
«Olive...», la chiamò impaziente.
«S-sì», rispose semplicemente lei, guardandolo negli occhi.
Enoch poggiò la fronte contro quella della ragazza. I loro respiri caldi e affannati si mescolarono, i nasi si sfiorarono, le labbra si incontrarono di nuovo a metà strada.
Quando furono entrambi pronti, Enoch affondò piano dentro di lei e fu quanto di più bello avesse mai provato in vita sua.


Olive non ebbe il coraggio di guardare, quindi chiuse gli occhi e si concentrò solo sulle sensazioni: Enoch che la sovrastava con tutto il suo corpo, che le stringeva i fianchi in maniera quasi spasmodica, che alternava baci e carezze in attesa di prenderla.
Il cuore sembrava volerle esplodere nel petto e il battito cardiaco le rimbombava fin dentro le orecchie, stordendola. Era sempre stata immune alla sensazione di calore, ma in quel momento avvertiva un caldo asfissiante più o meno dappertutto − sulle guance, sulle mani, al bassoventre, tra le gambe − e aveva terribilmente paura di non riuscire a controllare il fuoco che ardeva in lei, bruciando inevitabilmente Enoch. Paura che scomparve nell’esatto momento in cui si ritrovò ad accoglierlo dentro di sé, sostituita da un dolore acuto che la colpì come un fulmine a ciel sereno. Si irrigidì all’improvviso, stringendo le mani di Enoch con una forza tale da rischiare di spezzargli le dita, mentre calde lacrime si accumulavano agli angoli dei suoi occhi. Si chiese se fosse normale provare tanto dolore e invidiò Enoch che, a giudicare dallo sguardo liquido di piacere e dai gemiti strozzati, sembrava invece godere con la stessa intensità con cui lei stava soffrendo. Tuttavia Olive non avrebbe voluto essere in nessun altro posto: solo lì, tra le braccia di Enoch, si santiva felice, completa, nonostante la sua prima volta non stesse procedendo come l’aveva ingenuamente immaginata.


Olive era stretta e calda, le sue pareti interne lo torturavano in maniera languida e carezzevole. Enoch avrebbe voluto spingere più forte e più velocemente, arrivare fino in fondo. Avrebbe voluto soddisfare quell’istinto animale che gli sconquassava il bassoventre, ma Olive sembrava sul punto di scoppiare a piangere e quella visione gli provocò una morsa dolorosa al petto. Si chinò verso di lei, sfiorandole un lato del viso con la punta del naso nel tentativo di distrarla con le carezze.
«Sto facendo del mio meglio, Olive... te lo giuro».
Olive strizzò gli occhi pieni di lacrime. «Lo so, mi serve solo un po’ di...». Non completò la frase, ma Enoch capì che le serviva tempo per abituarsi alla dolora intrusione. Serrò la mascella e strinse i pugni sul cuscino, imponendosi di stare fermo per non provocarle ulteriore dolore.
«Aggrappati a me», soffiò sulle sue labbra.
Olive scosse la testa come una bambina. «No... ti lascerò i segni sulla pelle... E-Enoch, davvero... non riesco più a controllarmi».
Enoch se ne era accorto, le mani di Olive sembravano andare a fuoco. «Non importa», le disse.
Con un sospiro Olive gli legò le gambe intorno al bacino e le braccia intorno al collo. Tastò con le dita tremanti la pelle della sua nuca, delle sue spalle, della sua schiena. Enoch notò quanto quel tocco fosse fin troppo leggero, timoroso.
«Rilassati, ti prego», la implorò. Olive annuì e respirò lentamente ad occhi chiusi, più e più volte. Finalmente Enoch la sentì più morbida e arrendevole tra le proprie braccia e allora spinse un altro po’, poi di nuovo e ancora, ignorando la sensazione di bruciore provocata dai polpastrelli di Olive sulla sua pelle. La ragazza sobbalzava ad ogni spinta, affondando le unghie nelle sue spalle e nella sua schiena. Enoch sperò che stesse provando almeno una goccia del piacere che avvertiva lui e, quando arrivò fino in fondo, varcando il limite che segnava la purezza di Olive, capì che lei era finalmente sua, la sua donna, sua e di nessun altro.


Con un gemito mal soffocato, Enoch ricadde sfinito sul corpo di Olive, la testa abbandonata sul suo petto che si alzava e abbassava freneticamente. Si concesse solo pochi secondi per ascoltare il suo battito cardiaco veloce come un treno in corsa e poi sollevò il mento per guardarla negli occhi: piangeva, Olive, e le sue guance erano rigate di lacrime, eppure non c’era traccia di tristezza nei suoi occhi. Enoch le asciugò il viso con il dorso della mano.
«Come stai?».
«È stato...». Olive sbatté le palpebre, lo sguardo perso e un sorriso appena accennato. «Oddio... non lo so».
Enoch sorrise a sua volta, trovandosi perfettamente d’accordo con il commento di Olive. Dietro quel “non lo so” si nascondeva un intero mondo, un’immensa gamma di emozioni e pensieri che non potevano essere comunicati con le parole ma solo con i gesti e gli occhi: dall’incredulità alla consapevolezza di averlo fatto sul serio, dalla sensazione di completezza a quella di felicità ovattata per essersi riusciti a dimostrare dedizione totale e reciproca, ma soprattutto la certezza di poter affrontare un’intera vita insieme, mano nella mano.
Enoch si issò sui gomiti per poter baciare Olive in maniera più comoda ma, quando il suo sguardo ricadde tra i loro corpi sudati ancora stretti l’uno all’altro, poco ci mancò che si mettesse a urlare.
Era sporco di... sangue. C’era sangue dappertutto: su se stesso, tra le cosce di Olive, tra le pieghe delle lenzuola. Toccò con le dita la macchia di sangue sul materasso, ancora umida. Lo spavento invase il suo cuore, stordendolo, offuscandogli la vista, tanto che gli parve di vedere quella piccola macchia espandersi sempre di più, imbrattandogli tutte le mani. Si guardò inorridito le dita sporche di sangue e si allontanò da Olive con uno scatto improvviso. L’aveva trattata alla stregua delle sue bambole per puro piacere personale. Con che coraggio era arrivato a tanto? Si sentiva un mostro.
«O-Olive», mormorò senza fiato. «Oddio, tutto questo sangue... è colpa mia... io... non volevo!».
Si sfregò una mano contro l’altra nel tentativo di far andare via il sangue, ma risultò tutto inutile. Sembrava appiccicato alla pelle, un marchio indelebile che non sarebbe andato più via e gli avrebbe ricordato per sempre di aver ferito Olive volontariamente.
«Enoch», lo richiamò lei con voce ferma, afferrandogli le mani. «Calmati, non è successo nulla. Sto bene, davvero. Guarda meglio». Gli accarezzò le dita con fare materno e Enoch, rilassandosi, si accorse che non erano affatto imbrattate di sangue. C’era solo un’unica piccola macchia di colore rosso sbiadito stampata sul materasso che con un po’ di detersivo sarebbe potuta andare via. Si era semplicemente immaginato tutto a causa della paura, proprio come quando era piccolo, ai tempi in cui non era ancora in grado di controllare i propri poteri e a volte vedeva cose che non esistevano.
Si passò una mano sul viso, esasperato, perché Olive aveva comunque sofferto e questo non poteva cancellarlo. «Olive, mi dispiace tanto».
«Non fa niente. Ti ho fatto del male anche io». Olive allungò una mano verso di lui e gli indicò con le dita le bruciature che gli aveva lasciato sulla pelle. «Qui...». Una sul braccio. «...Qui...». Una sul petto. «E anche qui». Una sulla spalla. Gli sorrise ugualmente nella maniera più naturale possibile. «Siamo pari, vedi?». Infine gli accarezzò una guancia per tranquillizzarlo. «Vedrai che la prossima volta andrà meglio».
Enoch si lasciò sfuggire la prima cosa che gli passò per la mente in quel momento.
«Ti amo». E non ci fu bisogno di tante spiegazioni.
Olive sgranò gli occhi, ora umidi di felicità. «Anche io, Enoch».
Si abbracciarono e si baciarono un’ultima volta, lentamente, suggellando così quel momento unico che apparteneva solo a loro. Successivamente andarono a lavarsi e cambiarono le lenzuola per non destare sospetti in Miss Peregrine, infine tornarono sul letto di Enoch e si stesero l’uno tra le braccia dell’altro, addormentandosi subito dopo, esausti ma infinitamente felici.
Di quella prima volta Enoch e Olive si sarebbe ricordati un tripudio di rosso.
Rosso come il fuoco che sgorgava dalle mani di Olive e aveva lasciato le impronte sulla pelle di Enoch.
Rosso come il sangue che aveva fatto capitolare Enoch, ma che altro non indicava se non la loro completa unione.
Rosso come l’amore: temuto, incerto, sofferto da una parte, ma altrettanto forte, immenso, smisurato dall’altra.


Quando Miss Peregrine tornò a casa, trovò Enoch e Olive addormentati sul letto di lui.
Non si era affatto bevuta la storia di Olive, ma aveva preferito lasciare a lei e Enoch un po’ di spazio per stare da soli, per conoscersi e amarsi in ogni modo umanamente possibile. Era stata giovane anche lei e sapeva perfettamente quanto potesse essere forte il desiderio d’amore alla loro età. Semplicemente se lo meritavano entrambi: l’amore era l’unica cosa in grado di riempire le loro esistenze immortali.
Baciò le fronti dei suoi due allievi, uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle proprie spalle.
“I miei bambini stanno crescendo...”, pensò asciugandosi una lacrima impigliata tra le ciglia.













Note dell'autrice:
Spero che questa seconda parte vi sia piaciuta. Inutile prendersi in giro: la prima volta per le ragazze fa male, eppure risulta indimenticabile se lo si fa con la persona che si ama e spero di averlo trasmesso con questa mia storia.
Grazie a chi legge e vorrà lasciarmi un breve commento ♥
La storia non finisce qui. Ho deciso di aggiungere un terzo capitolo, quindi mi risentirete molto presto :)
Soly Dea

  
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