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Autore: Edward    02/06/2009    10 recensioni
[Mugiwara-centric] [Angst] [no-pairing]
Fosse stato un altro giorno –fosse stato un altro momento, un’altra ora- Rufy e Usopp lo avrebbero guardato con tanto d’occhi e avrebbero esclamato un “oooh” di bassa ammirazione, seguiti da un Chopper confuso e una Robin ridacchiante.
Ma era quel giorno, e i Mugiwara non poterono far altro che rimanere in silenzio.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Sanji
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Usopp aveva sbattuto il palmo della mano sul tavolo della cucina così forte che Chopper si era irrigidito di scatto, curvando le spalle e abbassandosi il viso, come se temesse che un rumore troppo forte potesse fargli male davvero

Titolo: Alredy Over

Serie: One Piece

Personaggi: Zoro, Sanji, Nami, Usopp, Robin, Chopper

Genere: Generale, Malinconico

Rating: Giallo

Avvisi: What if, One-shot

Timeline: Nessuna in particolare, a quando l’ultimo membro della ciurma era ancora Nico Robin.

Note: Mia prima fanfiction su One Piece, mh. Scritta in un momento di ispirazione particolarmente angst. Non è una nonsense, ma viaggia in quella direzione.

Il titolo è preso dalla canzone Alredy Over - Red

 

 

 

 

Alredy Over

 

 

 

Usopp aveva sbattuto il palmo della mano sul tavolo della cucina così forte che Chopper si era irrigidito di scatto, curvando le spalle e abbassandosi il viso, come se temesse che un rumore troppo forte potesse fargli male davvero.

«Dobbiamo andare avanti!» aveva esclamato, mostrando quella particolare intraprendenza –rabbia frustrazione e ancora rabbia- che la ciurma di Cappello di Paglia scorgeva raramente, alla quale non sapeva dare risposta.

Nami aveva distolto lo sguardo, con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati. Aveva una smorfia imbronciata sul viso e non apriva bocca da un bel po’, preferendo lasciare che gli altri lo facessero al suo posto.

Ma neanche gli altri parlavano.

Solo lo spadaccino, in piedi dall’altra parte del tavolo, aveva detto qualcosa –qualcosa di estremamente stupido e totalmente logico, a dire il vero- dopo ore di ostinato silenzio.

«Non ha senso mollare adesso!» aveva continuato il cecchino, con una nota di disperazione nella voce. “Non lo fare.” Sembravano dire i suoi occhi. “Non farci questo.”

Poi aveva si era voltando verso il cuoco, con le braccia aperte, indicando sfacciatamente l’ex-cacciatore di pirati. «Diglielo anche tu, Sanji!»

Zoro aveva impercettibilmente alzato gli occhi al cielo, piegando il viso di lato. Come se gliene fregasse qualcosa.

Era una scena un po’ triste. Un po’ patetica, come vedere un pesce fuor d’acqua che tenta disperatamente di respirare, di vivere, boccheggiando e agitandosi in preda al panico.

Robin aveva lo sguardo basso, a sua volta, impassibile. In piedi affianco al cuoco, osservava distrattamente la punta della sua sigaretta accendersi di rosso e le spirali di fumo oscillare verso l’alto. La cenere cadeva sul pavimento lucido della Merry, ma Sanji non sembrava intenzionato ad aspirarne neanche una boccata.

Chopper stava ancora lì, seduto sulla panca, a tremare in silenzio.

Zoro scosse la testa. Aveva perso abbastanza tempo.

«Io me ne vado.» ripetè, questa volta accompagnando la frase al movimento. Le spade oscillarono e sbatterono tra di loro, silenziosamente.

«Non…» il cecchino sembrava in preda al panico. Si voltò nuovamente verso i pirati, con le braccia aperte, come a voler evidenziare la follia di quella situazione. «Ragazzi! Fate qualcosa, dannazione!»

«Ehy.» Sanji si alzò in piedi, impassibile, e si portò la mano destra alla bocca, stringendo tra i denti la sigaretta bianca. Robin fu colta alla provvista e sbattè un paio di volte le palpebre, alzando il viso.

Lo spadaccino si fermò –glielo doveva, si disse, almeno quello glielo doveva- e, poggiando un braccio sulle impugnature delle katane, si volto di poco.

Vide gli occhi del cuoco, e quelli dell’archeologa. Vide gli occhi di Usopp, e il viso ostinatamente voltato da un’altra parte di Nami.

Si soffermò per un attimo ancora sulla navigatrice, come pensieroso. Ma Chopper alzò mento naso e corna, incrociando per riflesso il suo sguardo.

Non sembrò neanche vederlo.

A quel punto la renna non ce la fece più. Scese dalla panca di legno con un salto veloce e corse via, lasciandosi dietro un forte rumore di zoccoli che sbattevano per terra. Riecheggiarono e poi sparirono.

Usopp lo chiamò per nome, tendendo una mano e serrando le dita a pugno quando si rese conto che era troppo tardi, ma lui non si voltò.

Stava andando a pezzi, stava andando a pezzi tutto quanto. Era frustrante, era doloroso. Si sentiva come quella volta che aveva mangiato la terza rumble ball, a casa del dottore, solo che in quel  momento ricordava tutto, sapeva tutto.

Nami aveva la nausea.

«Usopp ha ragione.» aveva continuato il cuoco, con voce piatta, riprendendo a parlare. Lo spadaccino, in tutta risposta, si piegò impercettibilmente in avanti e abbozzò un sorriso gelido.

«Il fatto che tu sia d’accordo con lui non implica che abbiate ragione entrambi.» replicò, secco.

Fosse stato un altro giorno –fosse stato un altro momento, un’altra ora- Rufy e Usopp lo avrebbero guardato con tanto d’occhio e avrebbero esclamato un “oooh” di bassa ammirazione, seguiti da un Chopper confuso e una Robin ridacchiante.

Ma era quel giorno, e i Mugiwara non poterono far altro che rimanere in silenzio, mentre Sanji si lasciava sfuggire un verso stizzito nell’abbassare una mano con un movimento veloce. «Piantala di comportarti come un moccioso.» ribattè, in un mezzo ringhio. «Se te ne vai, non provare a tornare.»

Nico Robin lanciò un’occhiata lenta al cuoco, che la ignorò, ostinatamente. Lo stava provocando, era chiaro.

Lo spadaccino avrebbe voluto rispondere due cose, differenti per definizione e significato, ma si limitò a dirne una soltanto, la più importante.

«Potrei tornare solo in un caso specifico.» cominciò, tranquillamente. «E, visto che non accadrà mai, io, adesso, me ne vado.»

E, in ordine di reclutamento, sarebbe comunque stata Nami a diventare Capitano.

Nessuno disse più niente. Zoro si voltò, per l’ultima volta, e uscì dalla cucina della caravella, con passo deciso.

Nella stanza rimasero solo il cuoco e la navigatrice, l’archeologa e il cecchino. Quest’ultimo indugiò ancora un attimo, con le lacrime agli occhi, e tornò a fissare il cuoco.

“E’ colpa tua.” Avrebbe voluto dirgli, ma il suo sguardo trasmetteva abbastanza odio rabbia e disperazione da risparmiargli quel compito ingrato. Poi indietreggiò, una, due volte, e prese a correre, come un bambino un po’ capriccioso che si era appena visto negare il permesso dai genitori.

Zoro se ne era andato.

 

 

 

Qualche ora più tardi, lontano dalla Merry e dal porto, l’ex-cacciatore di pirati era ancora lì, seduto per terra nell’angolo più profondo di una grotta piccola e umida, lunga e bagnata.

L’acqua cadeva dall’alto, a piccole gocce, andando a formare pozze grandi come ruote di carro. Zoro si era seduto affianco ad una di esse, fissando senza enfasi la parete davanti a se. C’erano due pezzi di legno, poggiati contro la roccia fredda.

Ci aveva messo poco per trovare quel posto, a dire il vero. Nonostante il suo senso dell’orientamento andasse un tantino per i fatti suoi, gli era bastato seguire l’istinto per trovarlo. Era stato lui a portarlo lì, era stato lui e pensare di nascondere il più possibile quel posto. Lo sentiva qualcosa di suo, di personale.

Una goccia d’acqua gli cadde sulla spalla, ma non se ne curò. Sarebbe rimasto lì, ancora un po’. Qualche minuto ancora, il tempo di abituarsi all’idea.

“Qualche attimo ancora.” si disse “Qualche attimo ancora e poi uscirò da qui.”

 

 

 

Ancora più tardi, scoccata da poco la mezzanotte, la Merry era ancora ormeggiata al molo. Oscillava, lentamente, a tratti. Il mare era calmo, nero come la pece, silenzioso.

Erano andati tutti a dormire, malgrado gli eventi di quel giorno. Chopper si era nascosto nella stiva, tra i barili di birra e acqua, con le rampe piegate contro il petto e le mani serrate sulla piccola visiera del cappello, calato con ostinazione sul naso blu.

Usopp aveva smesso di cercarlo da poco, e si era addormentato per terra, vicino all’albero maestro. Aveva un’espressione corrucciata sul viso e sembrava agitato, gli occhi gonfi di pianto.

Sanji e Robin erano rimasti nello studio quasi tutta la sera, in silenzio. Lei beveva una tazza di caffè e lui fumava, fissando impassibile il pavimento di lagno lucido.

Poi era passato del tempo, ed erano andati a dormire.

Erano stanchi, tutti quanti.

Lei invece era rimasta lì, tutto il tempo. Con il capo poggiato contro la parete e il viso piegato di lato. Avrebbe voluto alzarsi andare dall’altra parte della nave, salendo veloce le scale e inspirando a pieni polmoni l’odore pungente dei mandarini, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla.

Perché Nami era ancora lì, nella cucina della Merry. Fissava davanti a se, cercando, da ore, una spiegazione a quella situazione. Perché non era possibile, era del tutto illogico.

Ma per quanto si sforzasse, la conclusione a cui era arrivata era una sola. Era andato tutti a pezzi.

Rufy era morto, e Zoro se ne era andato.

Cominciarono a pizzicarle gli occhi e la punta del naso, mentre imbronciava involontariamente la bocca e tendeva tutti i muscoli, sbattendo una volta soltanto la testa contro il muro, piano.

Poi, cominciò a piangere.

 

 

 

 

Alredy Over

End

 

   
 
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