Titolo: Alredy Over
Serie: One Piece
Personaggi: Zoro, Sanji, Nami, Usopp, Robin,
Chopper
Genere: Generale, Malinconico
Rating: Giallo
Avvisi: What if, One-shot
Timeline: Nessuna in particolare, a quando
l’ultimo membro della ciurma era ancora Nico Robin.
Note: Mia prima fanfiction su One Piece,
mh. Scritta in un momento di ispirazione particolarmente angst. Non è una nonsense, ma viaggia in quella direzione.
Il titolo
è preso dalla canzone Alredy Over - Red
Alredy Over
Usopp
aveva sbattuto il palmo della mano sul tavolo della cucina così forte
che Chopper si era irrigidito di scatto, curvando le spalle e abbassandosi il
viso, come se temesse che un rumore troppo forte potesse fargli male davvero.
«Dobbiamo
andare avanti!» aveva esclamato, mostrando quella particolare
intraprendenza –rabbia frustrazione e ancora rabbia- che la ciurma di
Cappello di Paglia scorgeva raramente, alla quale non sapeva dare risposta.
Nami aveva
distolto lo sguardo, con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati. Aveva
una smorfia imbronciata sul viso e non apriva bocca da un bel po’,
preferendo lasciare che gli altri lo facessero al suo posto.
Ma neanche
gli altri parlavano.
Solo lo
spadaccino, in piedi dall’altra parte del tavolo, aveva detto qualcosa
–qualcosa di estremamente stupido e totalmente logico, a dire il vero-
dopo ore di ostinato silenzio.
«Non
ha senso mollare adesso!» aveva continuato il cecchino, con una nota di
disperazione nella voce. “Non lo
fare.” Sembravano dire i suoi occhi. “Non farci questo.”
Poi aveva
si era voltando verso il cuoco, con le braccia aperte, indicando sfacciatamente
l’ex-cacciatore di pirati. «Diglielo anche tu, Sanji!»
Zoro aveva
impercettibilmente alzato gli occhi al cielo, piegando il viso di lato. Come se
gliene fregasse qualcosa.
Era una
scena un po’ triste. Un po’ patetica, come vedere un pesce fuor
d’acqua che tenta disperatamente di respirare, di vivere, boccheggiando e
agitandosi in preda al panico.
Robin
aveva lo sguardo basso, a sua volta, impassibile. In piedi affianco al cuoco,
osservava distrattamente la punta della sua sigaretta accendersi di rosso e le
spirali di fumo oscillare verso l’alto. La cenere cadeva sul pavimento
lucido della Merry, ma Sanji non sembrava intenzionato
ad aspirarne neanche una boccata.
Chopper
stava ancora lì, seduto sulla panca, a tremare in silenzio.
Zoro
scosse la testa. Aveva perso abbastanza tempo.
«Io
me ne vado.» ripetè, questa volta accompagnando la frase al
movimento. Le spade oscillarono e sbatterono tra di loro, silenziosamente.
«Non…»
il cecchino sembrava in preda al panico. Si voltò nuovamente verso i
pirati, con le braccia aperte, come a voler evidenziare la follia di quella
situazione. «Ragazzi! Fate qualcosa, dannazione!»
«Ehy.»
Sanji si alzò in piedi, impassibile, e si portò la mano destra
alla bocca, stringendo tra i denti la sigaretta bianca. Robin fu colta alla
provvista e sbattè un paio di volte le palpebre, alzando il viso.
Lo
spadaccino si fermò –glielo doveva, si disse, almeno quello glielo
doveva- e, poggiando un braccio sulle impugnature delle katane, si volto di
poco.
Vide gli
occhi del cuoco, e quelli dell’archeologa. Vide gli occhi di Usopp, e il
viso ostinatamente voltato da un’altra parte di Nami.
Si
soffermò per un attimo ancora sulla navigatrice, come pensieroso. Ma
Chopper alzò mento naso e corna, incrociando per riflesso il suo
sguardo.
Non
sembrò neanche vederlo.
A quel
punto la renna non ce la fece più. Scese dalla panca di legno con un
salto veloce e corse via, lasciandosi dietro un forte rumore di zoccoli che
sbattevano per terra. Riecheggiarono e poi sparirono.
Usopp lo
chiamò per nome, tendendo una mano e serrando le dita a pugno quando si
rese conto che era troppo tardi, ma lui non si
voltò.
Stava
andando a pezzi, stava andando a pezzi tutto quanto. Era frustrante, era
doloroso. Si sentiva come quella volta che aveva mangiato la terza rumble ball,
a casa del dottore, solo che in quel
momento ricordava tutto, sapeva
tutto.
Nami aveva
la nausea.
«Usopp
ha ragione.» aveva continuato il cuoco, con voce piatta, riprendendo a
parlare. Lo spadaccino, in tutta risposta, si piegò impercettibilmente
in avanti e abbozzò un sorriso gelido.
«Il
fatto che tu sia d’accordo con lui non implica che abbiate ragione
entrambi.» replicò, secco.
Fosse
stato un altro giorno –fosse stato un altro momento, un’altra ora-
Rufy e Usopp lo avrebbero guardato con tanto d’occhio e avrebbero
esclamato un “oooh” di
bassa ammirazione, seguiti da un Chopper confuso e una
Robin ridacchiante.
Ma era quel giorno, e i Mugiwara non poterono
far altro che rimanere in silenzio, mentre Sanji si lasciava sfuggire un verso stizzito nell’abbassare una mano con un
movimento veloce. «Piantala di comportarti come un moccioso.»
ribattè, in un mezzo ringhio. «Se te ne vai, non provare a
tornare.»
Nico Robin
lanciò un’occhiata lenta al cuoco, che la ignorò,
ostinatamente. Lo stava provocando, era chiaro.
Lo
spadaccino avrebbe voluto rispondere due cose, differenti per definizione e
significato, ma si limitò a dirne una soltanto, la più
importante.
«Potrei
tornare solo in un caso specifico.» cominciò, tranquillamente.
«E, visto che non accadrà mai, io, adesso, me ne vado.»
E, in
ordine di reclutamento, sarebbe comunque stata Nami a diventare Capitano.
Nessuno
disse più niente. Zoro si voltò, per l’ultima volta, e uscì
dalla cucina della caravella, con passo deciso.
Nella
stanza rimasero solo il cuoco e la navigatrice, l’archeologa e il
cecchino. Quest’ultimo indugiò ancora un attimo, con le lacrime
agli occhi, e tornò a fissare il cuoco.
“E’ colpa tua.” Avrebbe voluto dirgli, ma il suo
sguardo trasmetteva abbastanza odio rabbia e disperazione da risparmiargli quel
compito ingrato. Poi indietreggiò, una, due
volte, e prese a correre, come un bambino un po’ capriccioso che si era
appena visto negare il permesso dai genitori.
Zoro se ne
era andato.
Qualche
ora più tardi, lontano dalla Merry e dal porto, l’ex-cacciatore di
pirati era ancora lì, seduto per terra nell’angolo più
profondo di una grotta piccola e umida, lunga e bagnata.
L’acqua
cadeva dall’alto, a piccole gocce, andando a formare pozze grandi come
ruote di carro. Zoro si era seduto affianco ad una di esse, fissando senza
enfasi la parete davanti a se. C’erano due pezzi di legno, poggiati
contro la roccia fredda.
Ci aveva
messo poco per trovare quel posto, a dire il vero. Nonostante il suo senso
dell’orientamento andasse un tantino per i fatti suoi, gli era bastato
seguire l’istinto per trovarlo. Era stato lui a portarlo lì, era
stato lui e pensare di nascondere il più possibile quel posto. Lo
sentiva qualcosa di suo, di personale.
Una goccia
d’acqua gli cadde sulla spalla, ma non se ne curò. Sarebbe rimasto
lì, ancora un po’. Qualche minuto ancora, il tempo di abituarsi
all’idea.
“Qualche attimo
ancora.” si
disse “Qualche attimo ancora e poi
uscirò da qui.”
Ancora
più tardi, scoccata da poco la mezzanotte,
Erano
andati tutti a dormire, malgrado gli eventi di quel
giorno. Chopper si era nascosto nella stiva, tra i barili di birra e acqua, con
le rampe piegate contro il petto e le mani serrate sulla piccola visiera del
cappello, calato con ostinazione sul naso blu.
Usopp
aveva smesso di cercarlo da poco, e si era addormentato per terra, vicino all’albero
maestro. Aveva un’espressione corrucciata sul viso e sembrava agitato,
gli occhi gonfi di pianto.
Sanji e
Robin erano rimasti nello studio quasi tutta la sera, in silenzio. Lei beveva
una tazza di caffè e lui fumava, fissando impassibile il pavimento di
lagno lucido.
Poi era
passato del tempo, ed erano andati a dormire.
Erano
stanchi, tutti quanti.
Lei invece
era rimasta lì, tutto il tempo. Con il capo poggiato contro la parete e
il viso piegato di lato. Avrebbe voluto alzarsi andare dall’altra parte
della nave, salendo veloce le scale e inspirando a pieni polmoni l’odore
pungente dei mandarini, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla.
Perché
Nami era ancora lì, nella cucina della Merry. Fissava davanti a se,
cercando, da ore, una spiegazione a quella situazione. Perché non era
possibile, era del tutto illogico.
Ma per
quanto si sforzasse, la conclusione a cui era arrivata era una sola. Era andato tutti a pezzi.
Rufy era
morto, e Zoro se ne era andato.
Cominciarono
a pizzicarle gli occhi e la punta del naso, mentre imbronciava
involontariamente la bocca e tendeva tutti i muscoli, sbattendo una volta
soltanto la testa contro il muro, piano.
Poi,
cominciò a piangere.
Alredy Over
End