Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tada Nobukatsu    14/02/2017    0 recensioni
Eccoti qua! Sai, mi aspettavo una tua visita. Ho visto come lo guardi, ho letto la curiosità e il disagio nei tuoi occhi. Hai bisogno di una guida, non è così? Un guida per poter leggere i pensieri del capitano Levi, perché vedere costantemente quel suo sguardo freddo, come se disprezzasse ogni cosa, ti turba. È normale, lui è fatto così. Ma, vedi, Levi in realtà è più semplice di quello che sembra e, che tu ci creda o no, nemmeno lui è immune ai sentimenti profondi di affetto. Posso assicurartelo, io c'ero, l'ho visto con i miei occhi.
Per il momento però tutto ciò che ti serve sapere è che ci sono tante cose che Levi può disprezzare, ma tra queste quelle assolutamente da evitare sono tre: lo sporco, il colore rosso e le Calendule.
Sii tenace, non demordere e avrai la meglio, perché, vedi, alla fine Levi ha il cuore tenero.
Adesso però siediti e lascia che ti racconti una storia...
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Senza anima


Il cigolio della carrucola era diventato quasi un rumore di sottofndo, mentre davanti ai suoi occhi non facevano che scorrere segni e crepe. I mattoni di quel muro erano davvero vecchi, corrosi dalle intemperie e dal tempo, non era certo difficile immaginare perché ci fosse bisogno di così tanta manutenzione. Quando il grigiore dei mattoni invecchiati lasciò spazio al primo azzurro del cielo, gli occhi d Mari andarono spalancandosi, chiedendosi quali meraviglie ci fossero al di sotto di esso. La delusione la colpì malamente quando vide un altro muro a coprire l'orizzonte: il Wall Maria. Solo case e alberi, lo stesso identico scenario ovunque guardasse. La stessa identica gabbia.
«Avanti! Seguitemi!» ordinò il capitano Ludwing al gruppo di reclute che con lui si sarebbe occupato di sostenere alcuni lavori di manutenzione del muro.
«Beh, fa il suo effetto, non c'è che dire» commentò Brown, uno dei cadetti scelti da Ludwing per quel noioso lavoro di routine ma che avrebbero dato un po' di esperienza in più a quelle mele acerbe.
«Già! Guarda che panorama» gli diede corda Annalise, una ragazza alta tanto quanto mascolina, perfino nel taglio di capelli.
«Si vede solo il muro» si intromise Mari, benchè certamente nessuno avesse chiesto il suo parere. Lo sguardo abbassato, le sopracciglia corrucciate e il tono di voce avvilito con cui aveva parlato non lasciava spazio a fraintendimenti: qualcosa la turbava.
«Cosa succede? Ti è morto il gatto?» la punzecchiò Paul. Un ragazzetto basso e dalla folta chioma scura, tanto ispida da sembrare un riccio.
«Paul! Razza di insensibile, non lo sai che lei ci è cresciuta in mezzo ai gatti?!» l'ammonì Annalise.
«Ah! Sul serio?» sobbalzò Paul, dimostrando che veramente non sapeva niente e la sua voleva solo essere un'ingenua battuta. «E quindi sai parlare il gattese? Dimmi! Che significa "miao miao miao"?»
«Sei idiota per caso?» chiese Brown, alzando un sopracciglio.
«Significa "sei un'idiota, l'hai solo fatto arrabbiare"» sospirò Mari, accelerando il passo e cercando di allontanarsi da quei tre.
Brown si fermò, chinando a testa da un lato e guardando la rossa con l'aria di chi ha appena visto passare un folle.
«Non diceva sul serio, vero?» chiese poi a Annalise, che aveva assunto la stessa identica espressione stralunata. «È così da quando siamo partiti. Chissà che le è successo» aggiunse poi.
«Non state lì impalati! Forza, abbiamo del lavoro da fare!» li richiamò Ludwing e questo li costrinse a rimettersi in cammino. Mari proseguì a testa bassa. Dalla mente non riusciva a togliersi le immagini della chiacchierata avvenuta quella mattina stessa con Levi, rammaricandosi e colpevolizzandosi di come fossero andate le cose. Il desiderio di ottenere una sua approvazione l'aveva spinta a impegnarsi tanto, poteva dire di aver trovato un motivo più forte al "desiderio di volare come lui" che la spingesse a inseguire l'Armata Ricognitiva con tanto affanno: lei voleva essere con lui. Ma erano bastati dieci minuti a distruggere tutto.
"Non ho nessuna intenzione di portarmi appresso un cadavere che cammina" aveva detto con tale astio e convinzione che pensare e sperare in un suo ripensamento era diventato sempre più difficile.
In un delicato gesto, le dita della mano destra andarono a chiudersi su se stesse, cercando il contatto con la stoffa di quel fazzoletto che si ostinava a portare legato alla mano benchè ormai la ferita fosse chiusa. Le dava sicurezza, averlo con sè. Era un dono a cui non avrebbe voluto mai rinunciare. Com'era stato gentile la sera che si era preoccupato di andarla a cercare, com'era stato gentile quando la prima volta, nel bosco, le aveva detto di essere stata brava, e quanto era stato gentile nel fermarsi a insegnarle qualche tecnica di combattimento. La sua schiena che si allontanava in volo, il suo sguardo di astio e disapprovazione, dopo averla urtata, stavano sfumando come gesso su una lavagna strofinata con insistenza. Sarebbe riuscita a riottenerli, quei gesti? O questa volta le avrebbe portato rancore per sempre?
Che persona complicata era Levi e quanto sapeva essere stupida lei!
Sospirò, portandosi la mano fasciata al petto, solo per poter avvicinare quel pezzo di stoffa al cuore. Avrebbe provato a chiedergli perdono, avrebbe provato a rimediare, ma era difficile accettare tutto quell'astio dopo che finalmente aveva ottenuto dei sorrisi da parte sua. Non le interessava più dimostrare che avesse ragione, non le interessava più costringerlo a comprenderla, ma desiderava solo... solo che le scompigliasse ancora i capelli. Il tocco apparentemente burbero, ma sorprendentemente delicato in verità, delle sue dita che le accarezzava la cute, infiltrandosi tra le sue ciocche. Un soffio di vento fece quello che aveva appena desiderato: là sopra il vento era più forte che altrove e spesso bisognava fare grande forza con le gambe per riuscire a contrastarlo.
"Se si chiude gli occhi, si riesce a percepire il soffio del vento sulla pelle, la melodia degli uccellini, la morbidezza al tatto di un prato, il profumo di un fiore... e il dolore sparisce come per magia."
Strinsele dita contro la stoffa della sua camicia e fece come lei stessa aveva detto: chiuse gli occhi. Il soffio del vento era pungente contro la sua pelle, non morbido come aveva sperato e sempre sognato. Sotto le sue mani, sotto i suoi piedi, c'era solo ruvida e fredda roccia. Non riusciva a percepirlo il tocco del prato. Ispirò l'aria, sperando in almeno i profumi, ma percepì solo l'odore della pietra e del metallo.
Perché non ci riusciva? Perché non riusciva più a farla quell'incredibile magia dove riusciva a eliminare tutto il dolore? Per anni era stato così semplice quando voleva scappare dalla fogna in cui viveva, quando voleva scappare dal tocco di quelle mani sudaticce e violente.
Fece un profondo respiro, cercando di calmare il cuore in petto che scoprì battere più forte del previsto. Ma niente, era come una maledizione. Il dolore non se ne andava neanche con la più potente delle immaginazioni.
Fu in quel momento che lo sentì: suoni gutturali, sembravano quasi urla, una sfida a chi imprimeva più forza nelle corde vocali. Provenivano da sotto le mura, versante esterno, tra le case di quella città che l'anno prima apparteneva agli uomini ma in cui ora invece primeggiavano solo Giganti.
Mari aprì gli occhi e senza pensarci oltre, corse verso l'estremità esterna del muro.
Doveva vederli, doveva vederli bene, scrutare loro negli occhi, coglierne i segreti e apprenderne come sopravvivere. Doveva farlo non per se stessa, ma per comprenderlo. Comprendere Levi e la sua ira.
«Mari!» richiamò Annalise, terrorizzata, quando la vide scattare verso il bordo.
«Si butta?» chiese Paul ingenuamente, curioso, forse inquietantemente speranzoso.
Ludwing si voltò ad osservare i cadetti che si era portato appresso per il lavoro, chiedendosi perché facessero tutto quel baccano, e vide appena in tempo Mari arrivare al bordo e inchiodare, fermandosi a guardare sotto di sè. Sobbalzò, spaventato all'idea che la ragazza avesse potuto per un attimo pensare al suicidio, ma poi si ricordò di Levi che gli aveva chiesto di portarsela per "mostrarle i giganti". Non ne aveva mai visto uno, e tutto ciò che desiderava fare era colmare quella lacuna.
Mari, dall'alto delle mura, osservò gli esseri che sotto di sè si dimenavano, arrancando sulla pietra scivolosa, e allungavano le braccia verso il cielo nella vana speranza di raggiungere le proprie prede. Come dicevano i libri, ce n'erano di alti e di bassi, dall'anatomia più o meno simile e lo sguardo assente. Il corpo di alcuni sembrava disgustosamente sproprzionato o disarticolato, ma alla fine non erano poi tanto diversi dagli esseri umani.
Si inginocchiò sul bordo, avvicinandosi un po' nella loro direzione e continuò ad osservarli. Il cuore in petto le batteva forte, mentre realizzava quanto fossero terrificanti e, soprattutto, reali. Niente ombre, niente mostri nell'oscurità, solo la pura verità.
«Chi siete, voi?» chiese lei, sovrappensiero.
E si buttò.
Le urla di Annalise partirono all'unisono di quelle di Brown e del capitano Ludwing, che invece chiamarono il suo nome, prima di correre verso di lei nella vana speranza di riuscire ad afferrarla e impedirle la caduta.
Mari si ammorbidì, lasciandosi trascinare giù dalla forza di gravità, premurandosi solo di mantenere sempre un contatto visivo con le creature che si facevano sempre più grosse sotto di sè. Cercava risposte, cercava qualcosa che neanche lei sapeva cos'era. Però il cuore ardeva.
"Ma cosa saprai fare quando ti troverai davanti il tuo "gatto mangiatore di carne"? Avrai tempo e forza di soppesare paure e desideri?"
Roteò rapidamente e fece scattare il suo meccanismo per il movimento tridimensionale. L'arpione si conficcò nel muro e presto il cavo bloccò la caduta della ragazza a pochi metri prima di raggiungere i mostri sotto di sè. Si voltò, tornando a guardarli, quasi con aria di sfida, mentre loro si allungavano e cercavano di afferrarla. A bocche aperte, come bestie, si affaccendavano... ma nei loro occhi primeggiava il vuoto.
«Siete terrificanti» commentò Mari.
Sopra di lei le voci dei suoi compagni la raggiunsero nell'eco della valle. La chiamavano, le dicevano di tornare su, il capitano la minacciò di punirla severamente per il colpo di testa. Ma Mari restava immobile, come se non percepisse e non vedesse altro che quelle bocche gigantesche che nell'aprirsi sembravano tanto dei sorrisi. Le mani, le enormi mani, che grattavano contro la roccia e cercavano di raggiungerla. Gli occhi vuoti, le cui palpebre neanche sbattevano. Un urlo gutturale la raggiunse, riuscendo a distogliere la sua attenzione e puntarla su un nuovo gigante. Aveva corso per raggiungerli e riuscì a notarlo appena in tempo per vederlo balzare nella sua direzione. Mari fece scattare il meccanismo, permettendogli di trascinarla su appena in tempo per non essere afferrata. Quando era arrivato? Se non l'avesse visto e non avesse reagito per tempo sarebbe stata presa e divorata. La sua sicurezza per la distanza ottimale che sentiva di avere era stata stracciata in un istante. Per quante altre persone doveva essere andata così? Quanti erano morti perché non erano riusciti a notarli o reagire per tempo? Quanti avevano abbandonato dolorosamente quel mondo pensando "è stata colpa mia"?
Il cavo si riavvolse rapidamente e Mari in pochi secondi fu di nuovo al sicuro sopra il muro, tra i suoi compagni. Le ginocchia si ammorbidirono e lei si accasciò, inginocchiandosi, improvvisamente indebolita, ma Ludwing le impedì di toccare terra. L'afferrò per il colletto e avvicinò il proprio viso al suo, urlando con gli occhi furiosi: «Hai idea del pericolo che hai corso? Ti è dato di volta il cervello?»
«Mi dispiace» bofonchiò lei, senza però esserne realmente turbata. Il suo sguardo ora sembrava vuoto proprio come quello dei giganti. «Ho capito.»
Una frase che forse non aveva niente a che vedere con quanto stava accadendo, ma che si riallacciava a quello stesso filo di pensiero che l'aveva spinta a buttarsi. Ma Ludwing, che non si trovava dentro quella testa, non poteva saperlo.
«Quando torneremo ci penserà l'istruttore Keith a darti una punizione esemplare! Questo tuo comportamento sconsiderato, se attuato in esterno, avrebbe potuto mettere in pericolo tutti noi! Ha ragione Levi! Ti manca la disciplina! Mandarti lì fuori sarebbe un rischio per tutti!»
A sentire quel nome Mari parve rianimarsi appena, ma tutto ciò che cambiò fu solo il suo sguardo, ora addolorato.
«Mi dispiace» mormorò.
«Sciocca sconsiderata!» ringhiò Ludwing lanciando via la ragazza, contro gli altri compagni. Brown, vedendosela arrancare contro, la bloccò per le spalle, impedendole di caderle addosso. «La prossima volta che hai questi colpi di testa assicurati di non sopravvivere, così da non complicare ulteriormente la vita a chi ti sta attorno! Non perdiamo altro tempo, abbiamo del lavoro da fare!» disse ancora il comandante e voltandosi tornò a procedere lungo il muro.
«Dimmi, sei pazza?» chiese Brown.
«Startene rinchiusa sottoterra con i gatti ti ha mandato in fumo il cervello ragazza mia» disse Annalise, contrariata per quanto appena successo. Odiava essere ripresa dai superiori e per quanto non fosse stata rivolta a lei il rimprovero, sapeva che ora il capitano Ludwing era di pessimo umore e qualsiasi sgarro sarebbe stato pagato caro. Brown lasciò andare Mari e la superò, seguendo il resto dei suoi compagni dietro al capitano. I sensi di colpa e il dispiacere per una tale situazione si fecero sentire nel petto di Mari, ma non si pentì di quanto successo. Lei doveva vedere, doveva capire. Era necessario e loro questo non l'avrebbero mai potuto comprendere.

   
 
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