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Autore: Antonio Militari    15/02/2017    0 recensioni
"Sa che cosa hanno in comune la maggioranza delle persone che commettono un omicidio?” Pausa quasi teatrale “quasi sempre non volevano commetterlo, e quasi tutti se ne pentono subito dopo” Altra pausa “Io non voglio commettere un omicidio”.
Joe S. Ramírez si ritrova improvvisamente catapultato in una realtà più grande di lui, dove tutta la sua concezione di morale verrà messa totalmente in dubbio da un'unica drammatica scelta.
La storia ha partecipato al contest: I Peccati Capitali, organizzato da Hannibal.L, classificandosi terza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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La storia ha partecipato al contest I Peccati Capitali organizzato da Hannibal.L, arrivando terza.
Ogni riferimento a persone o cose è del tutto casuale.
Le opinioni espresse all'interno della storia non rispecchiano necessariamente il pensiero dell'autore.

III
 
Ci vuole tanto, forse troppo, prima che Joe riesca a riprendersi, ma alla fine riesce a calmarsi. La decisione è semplice: si fiderà di Frank, forse è una pazzia, ma il discorso di quell’uomo lo ha convinto: nessuno vuole uccidere un altro essere umano. Passerà cinque minuti della propria vita preoccupandosi dell’esito della votazione, per poi andarsene con due milioni di euro in tasca, e un nuovo amico con cui condividere un’esperienza traumatica che, in futuro, magari li farà anche ridere.
Adesso sta seduto a terra, come ormai gli viene naturale, esattamente di fronte al televisore nero, fissandolo con gli occhi vuoti, come aspettando che un nuovo orrore ne esca, andando a sconvolgere la nuova situazione di equilibrio che è appena riuscito a creare nella propria mente. Come se gli stessero nuovamente leggendo la mente, il televisore si accende nuovamente, rimanendo bianco un momento, quindi si colora leggermente, rivelando un’immagine sfocata di un giardino.
Joe non può fare a meno di rabbrividire capendo che cosa sta succedendo: sullo schermo appare una macchia rosa, in movimento, dietro quello che sembra un pozzo, in un chiostro. Per la precisione si tratta del chiostro storico dell’Imperial College, dove non solo faceva il professore, ma aveva anche compiuto gli studi. La mano gli finisce automaticamente tra i capelli, mentre si rende conto che anche Frank l’avvocato sta guardando quelle immagini. Si è alzato in piedi e neanche se ne è accorto.
Sullo schermo l’immagine si è messa più a fuoco: rivelando una schiena, e un sedere. Si sente una risata vicino al microfono della telecamera, insieme ad una frase sbiascicata in un inglese ubriaco. La mano scende fino alla bocca, coprendola come ad impedire un silenzioso urlo. La schiena sullo schermo si gira. Non ha la barba, ma è perfettamente riconoscibile. È Joe. Joe Sentenza Ramírez, per l’esattezza, nel chiosco dell’università dove studiava, all’epoca, e dove ora insegna a ragazzini come lui. La donna invece non si muove, sdraiata sulla schiena.
Joe sorride. Non quello nella stanza, con gli occhi iniettati di sangue e pieni di lacrime, ma quello nello schermo, che cavalca la donna svenuta. Fa un cenno con la mano e fa avvicinare il ragazzo con la telecamera (William Daggett, all’epoca studente di Filosofia anche lui, ora Impiegato di banca, ubriacone cronico, due mogli, non contemporaneamente, ovvio, tre figli e quattro amanti, che porta a pranzo fuori davanti agli occhi di tutti. Sono ancora in contatto perché due dei figli sono nel suo corso).
Bill si avvicina, e non si risparmia i dettagli più concreti dell’atto, che i tipi che lo stanno trasmettendo non si sono presi la briga di coprire. È proprio un porno, se non fosse per un particolare: è tutto vero. “Ma è svenuta?” è la voce di Bill, nel video. Joe si copre le orecchie, perché sa già la risposta. Non passa una singola notte senza che non senta la propria voce pronunciare quelle parole cariche di scherno e derisione. Con le lacrime agli occhi vede il video finire con l’inquadratura del volto della ragazza.
Sullo schermo nero alcune parole con un carattere semplice, colorate di bianco: Emy Fuller, 22 anni, morta suicida.
Non c’è bisogno di specificare altro. Lei non era consenziente: l’avevano drogata per passare una ‘serata divertente’. L’idea della telecamera era stata di William, ma a metterla materialmente era stato lui. Credevano che farsi la più santarellina del corso, facendole passare una serata pazza sarebbe stato divertente, e poi lei li avrebbe ringraziati. Invece lei non si era presentata più all’università per le due settimane successive, fino a quando non l’avevano trovata impiccata a casa. Sola. Senza aver lasciato neanche un biglietto.
Quel video non lo aveva fatto sparire, perché si sentiva in colpa, e voleva una prova che continuasse a ricordargli che cosa aveva avuto il coraggio di fare. Non avrebbe mai potuto immaginare che lo avrebbero potuto utilizzare dei pazzi maniaci della scienza!
Lo schermo torna bianco, e ci rimane per qualche secondo, probabilmente per dargli il tempo di riprendersi dallo shock appena subito, quindi torna a colorarsi, stavolta con una definizione ottima, quasi professionale. È un’aula di tribunale, con una platea bella nutrita, il giudice e tutta la giuria in ghingheri. E lì, in piedi al centro della sala, in giacca e cravatta, Frank McBain, nel bel mezzo di un’arringa difensiva.
“E non dovete dimenticare la presunzione d’innocenza!” Si mette a camminare dando le spalle alla giuria “Un principio basilare nella nostra giurisdizione che i miei colleghi dell’accusa cercano di farvi dimenticare.” Si ferma e si volta di tre quarti verso la giuria, facendo finta di ragionare “Il mio collega, per l’esattezza, ha fatto un ottimo lavoro nel dimostrare che la testimone non aveva motivo di mentire circa il come si sono svolti i fatti, e questo può anche essere vero.” Altra pausa “Poi ha fatto una gran fatica per riuscire a spiegare il come il mio cliente, King Freeman, un uomo di rispettabile reputazione, abbia avuto l’opportunità di raggiungere la vittima, stuprarla, e quindi di soffocarla fino alla morte, per poi tornarsene a casa, a bere con quattro amici.
“Tutto questo noi lo capiamo e probabilmente anche voi riuscirete a farvi l’immagine dell’assassino spietato, senza scrupoli, con movente e occasione.” Si ferma un attimo per dare la possibilità alla giuria di elaborare il fatto. “Tuttavia non è proprio così, e ora vi spiego perché: si dice che il mio cliente avesse un movente, e questo può essere vero per l’omicidio, dato che doveva impedire alla ragazza di dire tutto in giro. Ma in questo modo non stiamo dando per scontato che l’aveva già stuprata?” Altro momento di pausa “Che movente aveva per stuprare una ragazzina così? Che movente aveva per commettere un crimine così efferato, di rovinare la vita a quella che, a tutti gli effetti, è una bambina, anzi era.
“Chi ha commesso un tale crimine è un disturbato di mente, un uomo che presenta un grave disturbo di affetto, e non è il caso di King, uno che si è sempre fatto in quattro per la sua famiglia e per il suo paese” Le pause nel discorso sono misurate e tutt’altro che fastidiose “Ma a questo punto torniamo alla presunzione di innocenza: mancano prove fisiche, DNA, foto, impronte digitali e tutto il resto. Pensateci bene, prima di condannare un uomo solo sulla base di una singola testimonianza, perché rischiate di uccidere un innocente.”
Il video termina con la schermata nera, e le scritte bianche: King Freeman era colpevole, fu assolto per merito del suo avvocato.
Anche qui non c’era bisogno di specificare: Frank lo sapeva, e aveva accettato lo stesso un caso semplicissimo che si sarebbe risolto da solo, pur di far carriera. Frank e Joe erano due assassini.
   
 
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