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Autore: Esarcan    16/02/2017    1 recensioni
Le partite a scacchi elfici spesso sono più cruente della loro controparte umana.
Genere: Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scacco Matto


Le urla dei soldati erano attutite dalle spesse mura bianche e scintillanti, che arrogantemente ignoravano i tentativi dell’esercito assediante di far breccia: esse non sembravano temere nulla, poiché non tremavano nemmeno sotto le violente esplosioni che vi si abbattevano, ad intervalli regolari, da più di dieci minuti. Al loro interno, però, il terrore dilagava prendendo la consueta forma di una folla di persone allarmate che, nel bel mezzo della notte, si erano catapultate al di fuori delle proprie dimore per localizzare la fonte del trambusto. 

Dall’alto del balcone del palazzo la regina poteva vedere le poche guardie rimaste all’interno della città tentare di calmare i cittadini, i cui gemiti terrorizzati raggiungevano le sue orecchie puntute. «Quello sciocco... Quando imparerà il valore della cautela?» si chiese mentre osservava gli ultimi soldati uscire dal grande portone di ferro bianco, guidati da re Gaelin. Il piano di suo marito era semplice: sapeva che gli elfi delle tenebre volevano la sua testa più di ogni altra cosa, perciò avrebbero lasciato in pace la città per inseguirlo. Però, se l’avessero preso, Elinor sapeva che sarebbe stato tutto perduto, sapeva che non ci sarebbe stato un successore al Trono Bianco e sapeva che l’oscurità avrebbe divorato la sua razza. Perciò quando si voltò, sferragliando nella sua candida armatura, lo sguardo si posò istintivamente sul grande mosaico di piastrelle d’oro che raffigurava la Bianca Mano del Creatore. Quella visione le diede una piccola speranza ricordandole dell’ultima risorsa che avevano a disposizione, ma quella piccola infusione di fiducia venne presto diluita nella consapevolezza del sacrificio necessario. Decise che quella strada sarebbe stata da intraprendere solo nella più disperata delle situazioni, se ogni altra soluzione avesse fallito. 

Le sporadiche guardie del castello s’inchinarono mentre la regina guadagnava l’uscita, ben lungi dal tentare di fermarla: erano ben consci della capacità che si nascondevano dietro il suo volto innocente marchiato da tatuaggi e sapevano che l’armatura che indossava non era un’elaborata finzione dettata dalla formalità. Elinor era compiaciuta nel vedere come il rispetto nei loro sguardi non era soverchiato dal timore che sicuramente incuteva e, non per la prima volta, sperava di meritarsi la loro ammirazione. Una volta all’esterno delle mura ci sarebbero state sicuramente occasioni per rendersi utile, ma il suo obbiettivo principale era recuperare Gaelin. Anche se si fosse trovata davanti l’intero esercito degli elfi delle tenebre era abbastanza determinata da spedirli tutti dal loro dio blasfemo, la Mano Nera del Creatore, e ne sarebbe stata felice. Nessuno si sarebbe frapposto fra l’ira della regina e il suo obbiettivo, la mano di Elinor si strinse sull’elsa della spada con tale forza che le dita pallide diventarono rosse. 

I cittadini, ancora comprensibilmente agitatati, si quietarono e la folla si divise in due per far spazio al passaggio della regina, che procedeva imperterrita verso la Porta del Creatore. Tutti si profusero in inchini e riverenze quasi fosse una giornata qualsiasi e non notte fonda con un esercito nemico alla porta di casa, ma la formalità era tenuta in gran considerazione dagli elfi della luce: era ciò che li distingueva dai loro selvaggi cugini, oltre al colore della pelle. Eppure una guardia si avvicinò alla regnante con un braccio proteso, quasi volesse afferrarle un braccio. «Mia signora...» cominciò il giovane elfo in tono preoccupato, ma un’occhiata gelida di Elinor gli fece desistere dal continuare e cadde al suolo in un profondo inchino.

Nel momento in cui raggiunse l’alto arco che incorniciava i possenti portoni lucenti, l’ennesima esplosione riempì l’aria. Un’improvvisa ondata di rabbia sommerse la sua apprensione per il re e appena il soldati aprirono la porta quel tanto che bastava perché potesse infilarcisi, si fiondò all’esterno sospinta dal vento dell’ira. “Come osano questi selvaggi attaccare la nostra città sacra?” pensò mentre sguainava la lama fulgida della sua spada. La sollevò verso l’altro e lanciò un grido di battaglia. I pochi gruppi di avversari che non erano partiti all’inseguimento del re s’immobilizzarono e all’unisono si voltarono verso la fonte dell’urlo acuto. I maghi nemici non lasciarono che la sorpresa li rallentasse per molto e l’aria tra loro ed Elinor si riempì di sfrigolanti palle di fuoco. La regina tracciò un fendete nel vuoto e dalla punta della sua arma scaturì un baluginante arco di luce, che si scagliò contro i magici proiettili nemici. L’esplosione risultante scagliò zolle di terra in tutte le direzioni e sollevò un fitta nube di polvere. Elinor approfittò della temporanea cecità degli stregoni avversari per occuparsi della carica di fanteria che la stava raggiungendo alla sua destra. Quando il primo soldato arrivò ad un braccio di distanza, scudo alzato, convito di travolgerla con la forza della massa, la regina si limitò ad abbassare la spada con entrambe le mani sul terreno. Nel momento in cui la punta della lama toccò la terra, una mezzaluna di spuntoni roccia sorse intorno alla guerriera, scalzando i neri elfi delle tenebre o impalandoli in alcuni casi.

 Con un balzo felino Elinor scavalcò la sua rocciosa protezione e decimo quello che rimaneva degli attaccanti. Stava per conficcare la spada nel petto di un soldato svenuto quando un lampo nero si abbatté sul muro di pietra, frantumandolo, e l’onda d’urto la spedì gambe all’aria. Rimbalzò sull’arido terreno due volte prima di riuscire a rimettersi in piedi, appena in tempo per gettarsi di lato evitando un secondo proiettile arcano. Il potente attacco andò a schiantarsi sulle mura dietro di lei, lasciando una prima cicatrice frastagliata sull’antica egida. Era quando affrontava questo genere di avversari che Elinor rimpiangeva di non avere uno scudo. Trasse un respiro profondo. Non aveva tempo da perdere contro un nemico con quel tipo di potere, ma nemmeno poteva lasciare la città indifesa di fronte ad esso. Improvvisamente le venne un’idea, forse ispirata dal comportamento incauto del marito: chiaramente aveva attirato l’attenzione del nemico, ora doveva solo stuzzicarne l’aggressività. Non doveva dimenticarsi che stava combattendo selvaggi mal organizzati. 

Un lampo nero trapassò la cortina di polvere, disperdendola e quasi colpendo Elinor, che finalmente poté individuare la fonte dei suoi problemi. Il suo cuore mancò un battito. Di fronte a lei l’imponente figura di un’elfa delle tenebre ricoperta di pellicce che teneva sollevato un bastone intagliato, incoronato da un’inquietante sfera completamente nera. Raramente la regina degli elfi della luce aveva incontrato difficoltà sul campo di battaglia, aveva senso che la sua controparte la tenesse in scacco in questo modo. Dalle alte torri della città qualcuno scagliò dei globi iridescenti contro l’alta figura d’ebano, ma appena prima di colpirla deviarono improvvisamente; colpirono i maghi vicini prima che questi potessero difendersi e ne rimasero solo ceneri fumanti.

L’ennesimo lampo nero sfrecciò nel cielo impattando sulla torre e lasciandone poco più di un moncherino bruciato, ponendo fine ad ogni speranza di copertura a cui Elinor poteva aspirare. Anche da quella distanza poteva percepire lo sguardo della regina nera, come roventi spilli d’onice che le tormentavano le carni. Rapida cominciò a correre verso una macchia scura all’orizzonte, che doveva essere il grosso dei due eserciti. Un raggio di pura oscurità scaturì dal bastone della sua nemica e tracciò una linea sul terreno appena dietro di lei, seguendola. Un solo passo falso e l’avrebbe raggiunta, a quel punto dubitava che la sua armatura l’avrebbe protetta. Continuò la sua corsa intorno all’elfa nera finché il raggio non si assottigliò e scomparve; Elinor si girò verso di lei e si esibì in un potente affondo, la sua spada fu circonfusa da un bagliore etereo che si concentrò in una sottile lancia di luce. L’incantesimo colpì la nemica in pieno, questa gridò mentre il bastone le sfuggiva di mano e si conficcava nel terreno a una decina di metri di distanza. Mentre la regina nera si stava ancora rialzando Elinor scattò verso di lei, per intercettarla prima che si riappropriasse della sua arma. Con ampie falcate coprì rapidamente la distanza che le separava, ma il braccio della sua avversaria era già teso verso il bastone. Con un unico fendete la regina bianca taglio il braccio della nemica, che urlando fece scattare l’altra mano da sotto le pellicce. Un macabro pugnale d’osso si conficcò nel fianco destro di Elinor, tagliando la candida armatura come fosse burro e macchiandola di rosso carminio. Anche se scioccata la regina bianca colpì una seconda volta, decapitando l’elfa nera.

Veloce estrasse il pugnale dalla ferita, ma prima che potesse esaminarlo si tramutò in polvere. Uno strano dolore, diverso dai normali tagli, le inondò il corpo togliendole il fiato. Ora aveva davvero poco tempo: il pugnale era maledetto e probabilmente Elinor non avrebbe visto l’alba. Ancora una volta corse verso il re, non più certa di quanto aiuto potesse dare, ma decisa a dare la vita per quanto poco potesse valere. 

Lo sguardo cominciava ad annebbiarsi quando sentì i primi suoni della battaglia: il clangore delle spade, i nitriti dei cavalli, le urla di terrore ed i gemiti di dolore. Poi lo scorse, Gaelin, sulla cima di una collina circondata dalle forze nemiche. Con le sue ultime energie Elinor lanciò un fendente nel mezzo del conflitto, che fu seguito da grida di orrore. Con la strada sgombra raggiunse Gaelin, ma prima che potessero rivolgersi anche solo una parola il re nero fuoriuscì dai soldati dietro di lui e affondò la spada. Elinor si frappose fra i due, la lama la trapassò, ma lei afferrò l’elfo delle tenebre e con le sue ultime forze voltò lo sguardo verso Gaelin e mormorò «Sacrificio.»

Il re bianco, lo sguardo colmo di comprensione e lacrime trafisse Elinor e il re nero.

Quando i suoi occhi si chiusero fu come se fosse strappata dal suo corpo, il suo spirito venne sollevato e poté vedere il campo di battaglia d’alto: gli elfi delle tenebre che si arrendevano, il loro re sconfitto. Elinor galleggiò verso l’alto, i suoi capelli corvini che si muovevano come se immersi nell’acqua. E poi la vide, una mano bianca luminosa che la trascinava lontano dalla terra, verso la superficie di un lago rovesciato. O era lei ad essere sempre stato sul fondo? Le gocce di sangue della ferita continuavano ad infrangersi su quello strano specchio d’acqua. Appena prima di attraversare quell’oscuro confine poté sentire una voce cantilenare: «Sacrifica qualcosa per ottenere qualcos'altro, perdi per vincere, muori per nascere. Nell’opposto la verità, nella verità la menzogna, nella luce le tenebre. Opposti. Uguali.» E poi, più nulla.

   
 
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