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Autore: sofimblack    16/02/2017    0 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Per la serie “Boh, io ce provo”, ecco a voi il mio personalissimo contributo a Death Note… argh. Perché mi sono lanciata in questa cosa folle e masochista?! Bella domanda. Beh, in ogni caso per me - come per tipo tutto il fandom o quasi, immagino - la morte di Elle è stata un brutto colpo, perciò ho voluto provare a rielaborare tutta la vicenda sin dai suoi inizi… anche se le storie (si sa) ad un certo punto fanno un po’ come vogliono, perciò staremo a vedere. La mia ff si svilupperà seguendo due filoni principali: il caso Kira e le relative indagini (a partire dal capitolo 3) e lo strano rapporto L/Rae, cercando una specie di equilibrio tra le due cose che già so che non troverò mai T_T. 

Ok, ora la smetto perché, giustamente, vi avrò già annoiati con tutte ‘ste ciance e non è carino tormentare la gente in questo modo. Buona lettura ^^ ~

Un ringraziamento particolare va a Ram92 (anche lei è autrice qui su EFP!) che mi ha aiutata con un luuuungo consulto investigativo, utile soprattutto dal capitolo 8 in poi. Thank you my dear!

 

 

I
Prologo

 

 



 

Novembre


 

 

R

 

Un sottile filo di fumo danzava pigro verso il cielo, lasciandosi dietro quel che restava di una sigaretta spenta male. Il cielo era coperto come sempre… d’altronde aspettarsi una giornata di sole a Novembre, nello Hampshire, era da veri ingenui. Rae era tornata dentro al negozio in fretta, nonostante non ci fosse alcun cliente: era un tardo mercoledì mattina, molti erano ovviamente a lavoro o a scuola. Scostò rapidamente una ciocca di capelli che col vento le era finita sulle labbra, appiccicandosi al burrocacao, mentre con l’altra mano si tormentava una pellicina del pollice. Si avvicinò ad una delle tante cassette di legno colme di vinili scegliendo senza alcuna esitazione uno dei suoi preferiti, Ummagumma. Le piaceva il progressive anni ’70, ma più in generale amava la musica tutta: adorava ascoltarla, suonarla, studiare le copertine dei vari album, scoprire nuovi artisti; trovare lavoro in un negozio di musica era stato un vero colpo di fortuna. Quando ci pensava quasi le scappava da ridere: coi suoi jeans grigi stretti ed il sapore del tabacco ancora in bocca lei era un cliché fatto e finito. “Ragazza abbandona tutto e tutti va a vivere da sola, trova un lavoro nel negozio di dischi della città e passa lì le sue giornate leggendo, fumando e bevendo tè.” Fine. Tutto molto British, Indie, Alternative eccetera.
A dire il vero, se davvero fosse stata la protagonista di un qualche film, il regista avrebbe dovuto impegnarsi decisamente di più: al momento conduceva una vita piuttosto monotona… anche se in realtà le andava bene così. Anzi, le andava decisamente bene così. Aveva scelto di trasferirisi proprio in quella cittadina tranquilla e non, ad esempio, a Londra o Liverpool per un motivo preciso: ne aveva passate fin troppe e, probabilmente, anche solo per combattere e gestire tutto quello che aveva dentro non le sarebbe bastata una vita intera. Ne aveva abbastanza di qualsiasi cosa, della gente, del “dover fare” e soprattutto dei ricordi.
Lo sapeva benissimo, la sua era stata una fuga bella e buona, una vigliaccata in piena regola: se ne era andata lasciandosi alle spalle le brutte compagnie e tutto quello che ne derivava, i suoi pochi amici, perfino suo padre. Già, suo padre. Portò il pollice alle labbra, iniziando a mangiucchiarsi nervosamente l’unghia. In realtà pensare a lui, dopo tutto quello che era successo… impossibile. Era una specie di tabù nella sua testa. Non era ancora pronta per rifletterci su, nonostante fossero passati degli anni... anzi, forse non lo sarebbe mai stata: sentiva che era un qualcosa di più grande di lei. Erano ferite profondissime che non si sarebbero cicatrizzate mai.


Pochi minuti prima, come faceva ogni singola mattina, era uscita fuori dal negozio e si era appoggiata allo stipite della porta, accanto al posacenere. Con calma aveva tirato fuori il tabacco, si era girata una sigaretta, l’aveva accesa e semplicemente se ne era stata lì, ad osservare. 
Faceva proprio parte di lei, la faccenda dell’osservare. Fin da bambina, nonostante fosse molto socievole, capitava spesso che passasse ore intere per conto suo persa nei propri pensieri, nel proprio mondo, mentre guardava quello che aveva attorno con un’intensità quasi insostenibile. Guardava le persone, le guardava negli occhi notando ogni particolare, immaginando qualcosa ed intuendo molto, spesso mettendole a disagio. Lo aveva sempre fatto. Tutto la incuriosiva, la cosa più impensabile poteva scatenarle qualcosa dentro… ed inoltre le piaceva capire. Magari le sfuggivano le cose più ovvie e lampanti, eppure Rae aveva un modo di guardare dentro le persone quasi inquietante. Era una sorta di sesto senso, una profondità intrinseca che non le si scollava mai di dosso, unita ad un'intuitività fuori dal comune.
Kathelyn, una delle sue pochissime amiche, le diceva sempre che nel mondo esistono due categorie di persone, quelle leggere e quelle pesanti. E non c’entravano nulla l’intelligenza, la pedanteria o l’effettivo peso corporeo… semplicemente era un modo di vedere ed affrontare le cose. E lei, aggiungeva Kathelyn ogni volta, era la persona più "pesante" che conoscesse; dicendolo, quasi non sapeva quanto effettivamente avesse ragione.


Dunque, come stavamo dicendo, quella mattina prima di rientrare in tutta fretta nel suo negozio Rae se ne era rimasta lì, a fumare come sempre, assorta nel suo mondo ma comunque attenta. Un tizio di fretta, circa trent’anni addosso e l’aria sciupata, un accenno di calvizie e scarpe che scricchiolavano. Una coppia di amiche di almeno quarant’anni, una troppo impegnata a ridere per accorgersi dello sguardo preoccupato dell’altra… ma no, per fortuna quella macchina aveva inchiodato all’ultimo, facendo attraversare incolume una ragazza disattenta, accompagnata dal proprio cane ma troppo distratta dalla musica per notare di aver rischiato la vita. Tre distinti signori in giacca e cravatta discutevano animatamente tra loro in attesa di un taxi, la cameriera del bar di fronte le fece un cenno di saluto mentre serviva un gruppetto di sporadici turisti.
Un ragazzo alto all'incirca della sua stessa età, i folti capelli di un nero impossibile che, spettinati, gli erano finiti davanti agli occhi, le spalle curve e le mani in tasca.
Lui fu il solo ad accorgersi di lei e del suo silenzioso studio dell’umanità. E quando incontrò il suo sguardo, Rae sentì una stranissima sensazione nello stomaco, improvvisamente ipnotizzata da due occhi profondi e scuri. Era uno sguardo diverso dagli altri. Uno sguardo di quelli che mai aveva incontrato in tutta la sua vita, che non esprimeva il minimo disagio davanti al suo esame attento ma che bruciava, bruciava quanto il suo.

 

L

 

Novembre. Mercoledì. Cielo pesante.
Lui se ne stava tornando alla Wammy’s House, camminando in modo apparentemente distratto ma in realtà costantemente vigile. Ad ogni passo la sua mente incamerava un nuovo dettaglio, memorizzando ogni particolare in modo così naturale che ormai non ci faceva quasi più caso.
Era abituato a gestire enormi quantità di informazioni contemporaneamente e, se anche non stava lavorando a qualche caso, faceva ormai parte di lui notare tutto. In verità, più che una deformazione professionale, quello era il motivo per cui lui era il detective migliore in circolazione. Anzi, i tre migliori. Una lieve folata di vento lo sfiorò, facendolo rabbrividire per l’ennesima volta dentro la sua maglia bianca di cotone, troppo leggera per la stagione. Non se ne era curato granché prima di uscire, troppo preso dai suoi pensieri… ma a dire il vero era molto strano anche solo il fatto stesso che fosse uscito, di nascosto, quasi come un ladro. Aveva letto che camminare attivava alcune aree del cervello che aumentavano le sue capacità logiche, ma la verità è che gli piaceva passeggiare per la cittadina, le poche volte che poteva farlo.
Da una delle tasche dei jeans tirò fuori un lecca lecca. Arancia. Lo scartò con cura, piegando l’involucro ormai vuoto a metà e poi di nuovo a metà prima di buttarlo via, lo mise in bocca e sospirò soddisfatto, mentre sentiva il sapore di frutta e zucchero sciogliersi sulla sua lingua.
Fu in quel momento che, sentendosi osservato, incrociò uno sguardo strano… uno sguardo diverso dagli altri, eppure non pericoloso. Sentì una stranissima sensazione nello stomaco. Vide degli occhi in cui non c’era disagio, non c’erano imbarazzo o curiosità morbosa, o magari pregiudizio… o anche solo aspettativa, quella con cui tutti lo ascoltavano alla Wammy’s. Non c’era nulla di tutto quello che ormai si era abituato a leggere sui volti della gente nella quale si imbatteva.
No, lì c’era un qualcosa di profondo, di inesplorato, e la cosa lo incuriosì. Passò oltre strascicando i piedi nelle scarpe consumate, continuando per la sua strada con noncuranza, interrompendo quel contatto durato poco più di qualche secondo e analizzando ogni dettaglio nella sua mente.
Lei era una ragazza giovane, doveva avere all’incirca la sua età e lavorare nel negozio di dischi. Non era lì per comprare né per aspettare qualcuno che se ne stava dentro: era senza giacca e non prestava la minima attenzione all’interno del negozio - segno che doveva essere vuoto. Fumatrice, unghie mangiate, inquieta. Quindi doveva esserci qualcosa che la logorava da un po’, nonostante l’aria tranquilla e quella sensazione di sicurezza che emanava. Non era propriamente bella, non somigliava al prototipo di donna che film e riviste proponevano… eppure aveva uno strano fascino, con quei lineamenti particolari ed il mondo negli occhi.
Analizzò con metodo e curiosità ogni nuova sensazione che si era scatenata in lui, come se stesse affrontando un esperimento scientifico. Poi, per quel giorno, non ci pensò più.

 

 

Eccoci qua, dopo questa specie di prologo… in realtà la storia sarà molto più complessa di così -ho già paura/ansia da prestazione sigh - ed i capitoli decisamente più lunghi. Scrivere di Elle cercando di restare IC sarà mega difficile, così come rendere la trama che ho in mente in modo sensato… non avendo mai scritto storie investigative/gialli/ecc credo sia un bel banco di prova! Comunque se state ancora leggendo i miei discorsi paranoici… beh, grazie! ^^ Spero di non deludere le aspettative (ma magari invece vi fa già schifo e allora nulla)… insomma, la smetto, a presto ~

 

sofimblack

  
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