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Autore: Salya    17/02/2017    6 recensioni
Tutto era maledettamente bianco. Quel bianco che da fastidio agli occhi, troppo chiaro, troppo luminoso, troppo bianco persino per qualcosa di bianco. Quel bianco che non è purezza, quel bianco che è follia. Un bianco macchiato dalle uniche ciocche di colore nero ferme lì, al centro di quella camera quadrata, sulla testa di un ragazzo troppo giovane per essere seduto a gambe incrociate sul pavimento imbottito di un luogo come quello. La verità, però, è che per certe cose non c'è età. Non è come il guidare o il bere, è come l'amore. Non c'è un'età giusta per amare così come non ce n'è una giusta per impazzire. Ma non c'erano pazzi, non in quella stanza.
[Doppia OTP, a seconda del punto di vista (?)]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Bianco
Tutto era maledettamente bianco. Quel bianco che dà fastidio agli occhi, troppo chiaro, troppo luminoso, troppo bianco persino per qualcosa di bianco. Quel bianco che non è purezza, quel bianco che è follia.  Un bianco macchiato dalle uniche ciocche di colore nero ferme lì, al centro di quella camera quadrata, sulla testa di un ragazzo troppo giovane per essere seduto a gambe incrociate sul pavimento imbottito di un luogo come quello. La verità, però, è che per certe cose non c'è età. Non è come il guidare o il bere, è come l'amore.  Non c'è un'età giusta per amare così come non ce n'è una giusta per impazzire. Ma non c'erano pazzi, non in quella stanza.  JungKook se ne stava lì, con le gambe incrociate e le guance rigate da lacrime amare che, se avesse potuto, avrebbe tinto rosso sangue solo per distruggere e macchiare quel bianco che si portava anche addosso; ma non era pazzo. No, non era pazzo. Non era pazzo. Se fosse stato pazzo lo avrebbe saputo. Se ne sarebbe accorto. Se fosse stato pazzo non avrebbero chiesto il suo aiuto. Se fosse stato pazzo lui non avrebbe provato a contattarlo per davvero. Perché era vero. Perché lo sentiva. Anche se premeva le mani pallide e bianche  sulle orecchie, lui continuava a sentire, perché non si può impedire di entrare a qualcosa che è già dentro. Un fischio, un grido d'aiuto oramai costante che, quando raggiungeva i suoi acuti, riusciva a far contorcere il giovane su se stesso, riusciva a farlo raggomitolare in un angolino morbido della stanza o a farlo alzare e correre contro la porta metallica per battere i pugni contro la sua imbottitura. E cominciava ad urlare in quei momenti. Si aggrappava all'unico piccolo rettangolino che gli permetteva di scorgere l'andirivieni degli infermieri in quel corridoio, ci infilava la bocca ed urlava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, con tutta la voce che aveva in corpo, lasciando che le parole graffiassero la gola, affogandogli l'anima in quello stesso rosso sangue che avrebbe voluto piangere via.  Affondò le dita fra i capelli scuri dividendoli in ciocche troppo grandi che avvolse e tirò cercando di aggrapparsi a qualcosa che, con la sua stabilità, potesse impedirgli di cadere ancora giù, ancora più in basso. Si era alzato di scatto anche quella volta, e come al solito aveva ripreso a scazzottare contro la porta, a pregare di essere tirato fuori di lì: non era quello il suo posto. Non era lì che doveva essere quando fuori, nel mondo, c'era bisogno del suo aiuto. Ma che aiuto poteva dare un pazzo? L'unico modo per aiutare il mondo era restare a marcire lì dentro, gli dicevano gli infermieri. Da quanto andava avanti? Da quanto tempo era rinchiuso lì?  Indietreggiò, si guardò intorno spaesato. Dov'era? Dove si trovava? Non era troppo tardi? No. Sentiva ancora. Riusciva ancora a sentire la voce che chiamava il suo nome. Doveva uscire, in un modo  o nell'altro. Doveva correre a salvarlo perché era ancora vivo ed aveva bisogno di lui.  Non poteva lasciarlo. Doveva andare. Le mani batterono l'ennesimo colpo sulla porta, dopo che ebbe preso la rincorsa per scagliarvisi contro e sul viso di JungKook un'espressione stupita prese vita nel sentirne il cigolio straziante, come un lamento. Si era aperta. La porta era aperta e quello era il momento perfetto per fuggire via. Non ci pensò due volte e l'aprì senza preoccuparsi di chi avrebbe trovato fuori, senza badare nemmeno al fatto che, proprio lì, in quei corridoi solitamente  popolati  dal personale ospedaliero, neanche un'anima dava segno della sua esistenza. Meglio per lui, però, perché gli fu maledettamente facile correre via. L'ospedale era vuoto. Non c'era nessuno. Le sue preghiere erano state ascoltate e, nonostante il suo peccato d'amore, gli era stata concessa la possibilità di salvare l'innocenza dell'amato. Non gli restava che trovarlo. Era lì, da qualche parte. Si mosse con passi brevi e veloci, poi cominciò a coprire distanze più lunghe, ma prima che la sua potesse diventare una vera e propria corsa l'ennesimo fischio lo fece accasciare a terra, contro una parete del corridoio in cui si trovava. Premette i palmi sulle orecchie, lo implorò di smetterla. «S-sto arrivando. Aspetta solo un altro po'. Res-..resisti». Fu così sottile il mormorio che uscì dalle sue labbra che quasi dubitò lui per primo di aver pronunciato quelle parole.
Non appena ebbe la forza di rialzarsi, aggrappandosi a quel muro troppo liscio e privo di appigli, si trascinò qualche passo più avanti fino a tornare a camminare sulle proprie gambe, nonostante il perenne fischio nella sua testa gli donasse un equilibrio fin troppo precario.
Guardò in ogni angolo, visitò ogni ala di quell'ospedale e setacciò ogni stanza indisturbato. Erano tutti spariti da quell'edificio e questo gli permise di  vagare con calma, senza fretta, ma nonostante questo i risultati che ottenne furono pessimi. Non c'era nessuno, neanche colui che stava disperatamente cercando. Eppure era lì, poteva sentirlo. Non era pazzo, lui. JungKook non era pazzo e sapeva che il suo angelo era lì da qualche parte, in attesa di essere trovato. Aprì una porta, la oltrepassò e scoprì una rampa di scale che portava ai piani superiori. Un altro fischio lo fece accasciare sui primi scalini, un urlo gli fece vibrare il petto, ma le mani tremanti, piuttosto che coprire le orecchie come erano solite fare, si avvolsero intorno alla ringhiera e permisero al giovane di tirarsi su. JungKook cominciò a correre verso l'alto, divorò scalino dopo scalino che quasi pareva volare, sebbene non avesse alcun paio d'ali. Non più almeno.  Strappate via con violenza, lasciate morire lontano dal corpo, appassite  come margherite sradicate e lasciate essiccare al sole. Il giovane angelo era stato punito per l'amore impuro che ancora si portava nel cuore e lontano dal paradiso era stato condannato a vivere la sua vita come un comune essere umano, confinato su quell'inferno terrestre che profumava di solitudine. Lo aveva pagato a caro prezzo quell'amore ed ora non aveva più nulla da perdere, ma solo da guadagnare. Si era assunto la totale responsabilità, ma mai avrebbe immaginato che il suo compagno sarebbe corso da lui con l'intento di salvarlo, finendo per essere, suo malgrado, colui che andava salvato. Arrivato in cima spalancò la porta e si precipitò fuori, nelle violente folate di vento che avevano smosso la natura, strappato foglie deboli e sollevato quelle morte, e si guardò intorno portando un braccio sulla fronte per farsi da scudo. Avanzò a difficoltà, ma nulla gli avrebbe impedito di raggiungere la figura angelica che aveva scorto dall'altro lato del terrazzo.  Si avvicinò abbastanza da poter vedere il suo viso, riconoscere la sua statura. Esisteva. Non era pazzo. Non era pazzo ed avrebbe voluto urlarlo a tutto il mondo, ma allora si che sarebbe stato poco credibile. L'angelo che aveva tormentato i suoi giorni e la sua testa con le proprie grida di aiuto era proprio lì, davanti a lui, e nell'esatto momento in cui il sorriso apparve sulle labbra di un TaeHyung consapevole, oramai, di essere in salvo, il cuore del povero JungKook mancò un battito. Nella sua testa, più nessun fischio.  Gli unici suoni che ancora si udivano erano quello del vento che soffiava e quello delle foglie che, sotto la sua forza, si sbriciolavano diventando polvere.  L'angelo aveva smesso di gridare, aveva smesso di chiedere aiuto: era in salvo. Le ciocche scure sul capo del ragazzo ondeggiarono mosse dal vento mentre, passo dopo passo, avanzava in direzione di quella figura angelica che, coi polsi e le caviglie legati da pesanti catene, era in attesa del suo salvatore. Non aveva alcuna ferita, non c'era sangue. Tae era bianco, puro e meraviglioso come lo aveva sempre ricordato. Fu facile liberarlo, però, e forse anche fin troppo. Era bastato sfiorare il ferro scuro di cui erano fatti gli anelli intrecciati, e questi si erano aperti ricadendo in terra con un gran frastuono, liberando, così, ciò che tenevano prigioniero. Il più piccolo dei due angeli -o ciò che ne restava- non si rese neanche conto di essere riuscito nella sua impresa se non quando le braccia del biondo si strinsero intorno al suo  collo e le ali altrui lo avvolsero per cullarlo in un calore consolatorio che aveva, da tempo, dimenticato. Come se volessero cancellare ogni singolo istante di quegli ultimi giorni. Come se volessero risanare le sue ferite e prendersi cura di lui.
«Non sono pazzo. Ti ho trovato.»
Portò le mani sulle guance del ragazzo e con gli occhi fotografò bene il suo viso. Ne percorse ogni centimetro, ne ridisegnò ogni lineamento, terrorizzato dall'idea di poterlo dimenticare di nuovo. Avrebbe voluto imprimere a fuoco sulla propria pelle quel volto, così da poterlo vedere semplicemente abbassando lo sguardo, ma si ritrovò troppo occupato a specchiarsi in quegli occhi scuri e puri per pensare a qualsiasi altra cosa.  Il maggiore, dal canto suo, con il sorriso dolce in cui s'erano distese le sue labbra, rassicurò l'altro, gli carezzò il viso.
«Mi hai trovato, amore mio. Non lasciare che ci separino ancora.»
«Non lo permetterò» e non perse tempo prima di suggellare con un tenero bacio quella promessa, per quanto tenero possa essere il bacio di un amore proibito. Le labbra di JungKook si scontrarono con le altrui quasi con violenza, come se temessero una scomparsa improvvisa delle altre, le catturarono  e si schiusero per permettere un contatto più profondo. «Dobbiamo andare..» mormorò  sulla bocca del più grande, prima di prendere le sue mani e tirarlo via. Dovevano andarsene da lì. Dovevano fuggire lontano, dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Dovevano arrivare più giù, ancora più giù. Entrambi presero a scendere le scale di corsa, stringendosi la mano, le dita intrecciate per impedire che potessero essere separati. Arrivarono al piano più basso in un batter d'ali e si fermarono sull'ultimo scalino per maledire l'assenza di un continuo che portassere giù, dritto all'inferno. Ritornarono all'interno dell'ospedale, attraversarono un lungo corridoio completamente nero. Non era in quel modo che JungKook ricordava l'edificio, non così scuro, ma cosa importava in quel momento? Non conosceva nessuna di quelle camere completamente vuote e mai aveva percorso quei corridoi così inanimati, ma a lui non importava perché poteva sentire il calore della mano di TaeHyung ben stretta  nella propria. Tutto il resto perdeva valore e significato. Si gettò nella prima stanza che trovò sulla propria destra, trascinandovi anche l'angelo e richiudendo dietro di sé la porta imbottita. Riprese a respirare solo in quel momento, più tranquillo, più al sicuro. Si voltò verso il più grande e, comparato al suo, il bianco delle pareti circostanti pareva nero. TaeHyung era il bianco più bello che avesse mai visto. Sorrise, aveva il fiatone, ma non sarebbe mai potuto essere troppo stanco per stringerlo, dunque non ci pensò due volte prima di far scivolare le braccia intorno al collo del biondo.
«Qui non ci troveranno facilmente. Siamo troppo giù. Troverò un posto più sicuro, ma per ora...»
«Per ora possiamo stare qui..? Jungkook-ssi, mi dispiace..a causa mia..» con la punta delle dita spostò i capelli scuri ed umidi appiccicati alla fronte del minore, ma non fece in tempo a finire la frase che venne interrotto. No, non era colpa sua. Non c'era nessuna colpa. Amare non era una colpa e loro si amavano soltanto. Quelle parole fecero sorridere il più grande ed il cuore dell'altro, davanti a quella tenerezza, riprese a battere con così tanta veemenza che avrebbe potuto seriamente squarciargli il petto. Ma a squarciargli il petto fu la fitta che provò nel vedere il sorriso di TaeHyung spegnersi con una velocità innaturale ed il suo labbro inferiore tremare, poco prima che lo sguardo di entrambi scendesse verso il basso alla ricerca di qualcosa che potesse fargli capire cosa stesse succedendo. Tutto ciò che videro fu del sangue. Del colore rosso macchiava il bianco di Tae, distruggendo la sua purezza e tutti gli sforzi che avevano fatto per arrivare sino a lì. L'angelo perse l'equilibrio, ma il minore lo afferrò prima che stramazzasse al suolo scivolando, poi, con le ginocchia contro l'imbottitura del pavimento mentre stringeva fra le proprie braccia il suo compagno. Scuoteva il capo JungKook; con occhi spalancati fissava il viso angelico del più grande, il cui colore scaricavasi lentamente ad ogni goccia di rosso che defluiva via dal suo corpo; con  mani tremanti premeva sulla ferita al centro del suo petto che, comparsa dal nulla, stava uccidendo tutto ciò che ancora gli restava. Premeva, ma il sangue non smetteva di fuoriuscire. Come era successo? Non importava. Quella ferita c'era e non aveva importanza il perché. Gli occhi si riempirono di lacrime al punto che fu impossibile trattenerle, così come la bocca si riempì di grida. Goccioline trasparenti e salate rigavano il volto di JungKook correndo verso il basso per morire sul corpo di TaeHyung che, presto, le avrebbe raggiunte; l'aria, graffiante, violentava la sue corde vocali perché producessero voce, grida.  Non voleva essere lasciato. Non voleva stare da solo. Non voleva perderlo, non di nuovo.  Non importava quanto pregasse, il biondo non dava alcun segno di ripresa, sembrava, anzi, sempre più debole, ma, da qualche parte dentro di sé, trovò la forza di sollevare un braccio e poggiare una mano sulla guancia del più piccolo, sporcandola inevitabilmente del proprio sangue.
«Jung-..JungKook-ssi.. non permettere che ti facciano dimenticare. Non...non dimenticare mai chi...sei. Non..dimenticarti di noi..»
Perché non voleva essere dimenticato. Perché non voleva che il suo JungKook fosse condannato a vivere una vita a caso, su quella terra maledetta, sentendosi incompleto per un passato che gli era stato negato e non avrebbe potuto ricordare. Perché non voleva che chiamassero il suo piccino con un nome che non gli apparteneva per evitare che qualsiasi ricordo potesse  riaffiorare. Voleva essere ricordato. Voleva che almeno JungKook, fra i due, potesse ricordare tutto ciò che di bello erano stati insieme.  Riuscì a sorridere per un'ultima volta quando il minore, fra lacrime e singhiozzi, riuscì a prometterglielo, perché la promessa di un angelo era sacra e nemmeno il più immenso dei poteri avrebbe potuto costringerne la rottura. Il biondo riuscì ad ottenere un ultimo bacio prima di chiudere gli occhi e svanire lentamente fra le braccia del suo amato che, invano, provò ad afferrarlo e trattenerlo con sé.
TaeHyung era scomparso e le urla di JungKook avevano raggiunto acuti disumani, sebbene le sue labbra fossero ben sigillate. Indietreggiò, spaventato dal sangue che cominciava a cancellarsi dal pavimento. Persino le sue mani ora erano pulite, ma lui non voleva. Non voleva. Quello era il sangue di TaeHyung. Il suo TaeHyung. Scosse il capo con forza, premette i palmi delle mani sulle orecchie. Si guardò intorno spaesato, cercando di capire dove si trovasse.
Tutto era ancora maledettamente bianco. Quel bianco che dà fastidio agli occhi, troppo chiaro, troppo luminoso, troppo bianco persino per qualcosa di bianco. Quel bianco che non è purezza, ma follia. Un bianco macchiato dalle uniche ciocche di colore nero ferme lì, al centro di quella camera quadrata, sulla testa di un ragazzo troppo giovane per essere sul pavimento imbottito di un luogo come quello. La verità, però, è che per certe cose non c'è età. Non è come il guidare o il bere, è come l'amore.  Non c'è un'età giusta per amare così come non ce n'è una giusta per impazzire. Ma non c'erano pazzi, non in quella stanza.  JungKook se ne stava lì, con le gambe incrociate e le guance rigate da lacrime amare che, se avesse potuto, avrebbe tinto rosso sangue solo per distruggere e macchiare quel bianco che si portava anche addosso; ma non era pazzo. No, non era pazzo. Non era pazzo. Se fosse stato pazzo lo avrebbe saputo. Se ne sarebbe accorto. Se fosse stato pazzo non avrebbero chiesto il suo aiuto. Se fosse stato pazzo lui non avrebbe provato a contattarlo per davvero. Perché era vero. Perché lo sentiva ancora. Anche se premeva le mani pallide e bianche  sulle orecchie, lui continuava a sentire, perché non si può impedire di entrare a qualcosa che è già dentro. Un fischio, un grido d'aiuto oramai costante che, quando raggiungeva i suoi acuti, riusciva a far contorcere il giovane su se stesso, riusciva a farlo raggomitolare in un angolino morbido della stanza o a farlo alzare e correre contro la porta metallica per battere i pugni contro la sua imbottitura. TaeHyung era vivo. Era ancora vivo. Stava gridando, chiedeva il suo aiuto. Doveva correre da lui. Si aggrappò all'unico piccolo rettangolino che gli permetteva di scorgere l'andirivieni degli infermieri apparsi nuovamente in quel corridoio, ci infilò la bocca ed urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, pregando di essere tirato fuori. Nonostante gli occhi ricolmi di lacrime, riuscì a scorgere la figura  completamente bianca dell'ennesimo infermiere che si avvicinava alla sua stanza ed improvvisamente si zittì. Chiuse la bocca e restò a contemplare silenziosamente i lineamenti che, passo dopo passo, prendevano forma su quel viso che si rivelò essere fin troppo familiare. Il suo TaeHyung era lì, era vivo ed il sorriso si aprì come un sipario fra le lacrime che JungKook aveva sul volto. Da quel rettangolino osservò il viso angelico del suo amato, ma quando lo sguardo gli cadde sulla targhetta che c'era sul petto altrui, un urlo gli morì in gola. "Park Jimin".
Deglutì a vuoto, era confuso. Se avesse avuto ancora le sue ali, se le sarebbe giocate entrambe: quello era TaeHyung, il suo angelo. Schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, ma la voce di quel ragazzo fermò sul nascere qualsiasi suono avesse intenzione di uscire.
«Non dovresti piangere, Yoongi. Qui sei al sicuro».




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•[Salya's corner]• 

Allora, da premettere che -accidenti, ma perché ogni volta devo premettere qualcosa? CHE POI E' SEMPRE LA STESSA COSA- non credo negli angeli e roba varia,  è successo che guardando Shadowhunter (la serie tv) mi son detta "Angeli? Ma sì, dai. Una ff ci sta". 
L'obiettivo principale di questo scritto è quello di lasciarvi col dubbio. Di lasciarvi una sensazione di incompletezza che non colmerò neanche io, come autrice -dato che non posso, perché sto messa peggio di voi, dopo averla scritta-. Non c'è un vero e proprio motivo per questa mia scelta e questo mi fa provare un senso di incompletezza ancora più grande. Volevo che non si capisse praticamente nulla. 
TaeHyung e JungKook sono realmente due angeli caduti? Si, potrebbero esserlo davvero. JungKook potrebbe essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico perché considerato un pazzo che crede d'essere un angelo (dato che la promessa che ha fatto, essendo sacra, gli ha impedito di dimenticare), mentre TaeHyung, come il minore, è stato privato delle sue ali e confinato sulla terra, ma, dato che lui non ha fatto alcuna promessa, anche della memoria. Questo spiegherebbe perché sulla sua targhetta c'è un nome diverso e perché ha chiamato il suo amato con un nome che non era il suo. Dunque, gli angeli caduti JungKook e TaeHyung sono intrappolati sulla terra nei panni di "Jimin" e "Yoongi" (che sono solo nomi, in questo caso, eh).
E' tutto frutto della mente folle di uno Yoongi innamorato? Si, potrebbe essere così. Un paziente di un ospedale psichiatrico innamorato dell'infermiere che si prende cura di lui immagina una fuga, crea un mondo completamente diverso in cui, invece che paziente da salvare, è un eroe che salva. I nomi "TaeHyung" e "JungKook" in questo caso sarebbero solo frutto dell'immaginazione di Yoongi, qualcosa di non reale, qualcosa che gli permetta di sfuggire completamente da quella realtà perché, nella sua pazzia, lui è consapevole del fatto che "Yoongi" e "Jimin" sono troppo distanti per potersi amare, e dunque crea "JungKook" e "TaeHyung". 
In parole povere, a seconda della vostra OTP o del vostro gusto, potete scegliere la versione che più vi aggrada. Io, che sono una YoonKook shipper, vado a piangere nel mio angolino a cercare di capire per quale motivo non c'è la mia OTP qua dentro. Bah. 
Ad ogni modo, non so se sono riuscita nel mio intento, ma mi piacerebbe ascoltare i vostri pareri sinceri.
  
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