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Autore: Francine    17/02/2017    3 recensioni
Spagna, Febbraio 1979.
In un paese che si sta risvegliando dalla dittatura franchista, un giovane Shura si rifugia alle pendici dei Pirenei - lì dove è diventato Santo di Athena e dove inizia il Cammino di Santiago - per ritrovare se stesso e placare la mente dagli incubi e dai dubbi che lo tormentano dalla Notte degli Inganni.
Ma esiste davvero un angolo di pace per colui che ospita Excalibur nel proprio braccio?
Pre Episode G
Prima pubblicazione: 12.01.2006
Versione riveduta e corretta.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Orreaga - Roncesvalles
 

   
I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi.
Johann Wolfgang von Goethe
 
 




Quando la voce di Javier assomiglia in maniera inquietante ad una pentola di fagioli che borbotta sul fuoco, lui sa che non deve porre tempo in mezzo e scattare. Così abbandona la penna in mezzo al quaderno, lo chiude e si affaccia dalla balaustra che delimita il soppalco in cui si trova la sua stanza: dieci metri quadrati scarsi, roventi d’estate e freddi d’inverno, dove trovano posto un letto in ferro battuto, una sedia ed un baule malmesso, piazzato sotto l'abbaino che buca il tetto spiovente, lo stesso che lo costringe a camminare chinato per non sbattere la testa contro le travi.
Nel baule non ci sono vestiti: quelli sono stati riposti in due capienti ceste di vimini, sistemate sotto il letto. Il baule straripa di libri. Di ogni argomento e genere, tutti quelli che Javier gli ha imposto durante gli anni dell’addestramento.
«Essere un Santo non fa di te un selvaggio o un ignorante», gli ha detto, ficcandogli tra le mani un tomo erto quando un mattone. E lui non se l'è mai sentita di ribattere. Anche perché con Javier c'è poco da discutere: gli è sufficiente mezza parola per farlo filare spedito come se stesse in perenne e precario equilibrio sul filo del proverbiale rasoio, in bilico su di un baratro irto di chiodi acuminati.
Che diamine avrà, adesso?, si domanda affacciandosi nella stanza comune dove il fuoco arde allegro nel camino.
«Dicevi a me, maestro?»
«Certo che dicevo a te! Con chi pensi che stessi parlando? Da solo, come fanno i pazzi?»
Quel piccolo madrileno strafottente!
Sarà alto sì e no un metro e settanta, magro come un chiodo, le guance stranamente tonde su un volto scavato, naso adunco e con la punta rossa, mani grandi e nervose e un paio di taglienti occhi neri sotto due cespugli incolti sale e pepe che osa definire sopracciglia. C'è sempre qualcosa che non gli aggrada, che gli fa comunque storcere la bocca sottile e sfuggente. 
Vecchio scorbutico!, pensa, alzando le sopracciglia come a raccogliere un pochino di pazienza.  «Potresti ripetere?»
«Ho detto che c’è da andare a fare la spesa. E visto che mi sei piombato in casa senza avere il buon gusto di avvertire, sarai tu a scendere in paese!»
Così non dovrai uscire, vero?
Shura alza la testa e stiracchia lentamente i muscoli del collo. Pazienza. Con Javier è superflua ogni discussione, e se ne frega del fatto che l'allievo sia diventato un Santo d’Oro, mentre lui non ha mai vestito neanche uno straccio d'armatura.
«Puoi essere la dea Athena in persona, ma qui la gerarchia è sacra. Io comando e tu stai sotto. E fine delle discussioni», gli ha detto non appena ha guadagnato l'Armatura del Capricorno.
L'allievo supera il maestro, ma sempre allievo rimane, si dice Shura infilandosi gli scarponi da neve. Un po' come un figlio resterà sempre e comunque un figlio.
Recupera la sciarpa abbandonata sulla sedia, i guanti, il cappello e scende la scala a chiocciola in legno. Il piumino lo attende appeso dietro alla porta d’ingresso. Fare un salto al villaggio gli farà bene. E forse la smetterà di rimuginare su Aiolos e sui fatti di quella notte disgraziata più spesso del dovuto. E del necessario. Arriva persino a sognarsela, quella notte, attimo per attimo, con una dovizia di particolari da fare invidia ad un film. 

Fa caldo, anche se l'estate è finita. Il Silenzio del Santuario è rotto dalla voce del Sommo Sion che lancia l'allarme mentre le sirene ululano, squarciando il riposo notturno.
«Tradimento! Aiolos ha profanato il Grande Tempio e ora sta fuggendo con la bambina!»
Maite lo sveglia di soprassalto, gli occhi allargati dalla paura e la bocca socchiusa, stringendo le parole tra i denti. E quando lui le chiede: «Che è successo!», nel dialetto di Burgos, lei balbetta qualcosa che si colora del tamburellante ritmo caraibico: «Il Nobile Aiolos… ha… ha rapito l'Infante!», questo dice l’Attendente della Decima Casa, frastornata dagli avvenimenti.
Alzarsi ed indossare l’armatura è un unico gesto.
«Il Sacerdote ti vuole parlare», aggiunge la donna, torcendosi nervosamente le mani e facendosi più volte il segno della croce.
Lui scatta, che altro puoi fare quando il Sacerdote ti manda a chiamare? Così percorre le scale a due a due, superando Aquario e Pesci, ed entrando dritto di filato nella Tredicesima Casa.
Dev’essere un incubo. Un incubo impossibile, si ripete, passo dopo passo, battito dopo battito. Ma le parole del Sacerdote sono una secchiata d’acqua ghiacciata che non lascia adito a fraintendimenti.
«Aiolos ha tradito. Ha rapito Athena, per ucciderla. Fermalo, Shura.»
E lui lascia tutto, lanciandosi all'inseguimento, ignorando un Milo terrorizzato e il piccolo Aiolia con gli occhi sgranati dalla paura. Segue i rumori di lotta e le voci contrastanti dei soldati; c'è un solo modo per uscire dal Santuario senza passare per il negozio di Agathê: i monti. E quello è il suo territorio.

Eccolo, dev'essere Aiolos quella figura attorniata da un gruppo di soldati. Non indossa l'Armatura, e stringe un fagotto tra le braccia. Athena. Lui si avvicina. Deve convincerlo, deve convincerlo a desistere da quel comportamento assurdo e a tornare indietro; è ancora in tempo, e lo sa. Se c'è stato un malinteso – perché solo di malinteso può trattarsi! – il Sommo Sion sarà più che disposto a chiarirsi. Deve solo ascoltarlo, affidargli la bambina e tornare indietro. Con lui. Al Santuario. I periodi no, quelli di forte stress, capitano a tutti, sarà successo anche a lui; Aiolos avrà preso di sicuro una cantonata. Forse… forse ha frainteso, ecco, sì; ha capito male il compito che spetta al tutore di Athena. Magari deve aver pensato che fosse suo preciso compito prendere con sé la bambina, e magari la stava solo portando da un'altra parte.
Ma la risposta di Aiolos spezza ogni speranza.
Quello sguardo tranquillo è di chi sa di essere nel giusto, quel sorriso, splendente e terribile insieme, di chi non ha nulla da perdere, ma tutto da vincere. Un martire che va verso la gloria. O un suicida che vede la fine delle sue pene.
No, non c’è stato alcun malinteso.
Il suo tentativo di impedirgli di spingere oltre quella follia, il colpo dato con Excalibur alle gambe di Aiolos per fermarlo. E salvarlo, prima che sia troppo tardi. E sangue, tanto sangue cremisi che gli annebbia la vista invadendo ogni cosa, dando ad Aiolos la possibilità di svanire nel nulla.

Il risveglio è sempre brusco e accompagnato da un grido e dal guardarsi le mani, dal controllare che non vi sia sopra nemmeno una singola macchiolina di sangue. Risiedere al Santuario amplifica questo genere di sogni. Il Sacerdote ha prescritto a tutti loro dei decotti da assumere la sera per dormire otto ore filate senza pensare ad Aiolos, alla caccia all'uomo, alla delusione. E per mitigare il senso di sospetto con cui si guardano l'un con l'altro i Santi d’Oro. Si sono create delle piccole isole felici. Alleanze. Affinità elettive, le chiama il Sacerdote. Milo e Camus. Death Mask e Aphrodite. Shaka, trincerato dietro il suo algido distacco. E Aldebaran, che la saudade si mangia vivo, giorno dopo giorno.
«Chi si assomiglia, si piglia», direbbe il Sommo Sion; e al Sacerdote questa situazione va più che bene. Ha del prodigioso come tutti i Santi d’Oro facciano letteralmente a gara per essere zelantemente conformi alle Leggi del Santuario. Che lo facciano per sviare sospetti? E su cosa? Iniziano a circolare strane voci al Grande Tempio; forse, il daimon che si è impossessato di Aiolos, costringendolo a rapire la bambina, circola ancora indisturbato tra le colonne di marmo bianco?

«Tieni», e la mano di Javier entra nel suo campo visivo. «Sono solo due cose.»
Infila il piumino, stringe il nodo della sciarpa e prende la lista che Javier gli ha trascritto su un pezzo di carta con la sua grafia nitida: ce n'è abbastanza da sfamare un intero reggimento di cavalleria di ritorno da quaranta giorni passati nel deserto!
«E mi raccomando! Gauloises Blondes senza filtro!»
Sa che è perfettamente inutile ricominciare con la solfa del mens sana in corpore sano. Discutere con lui, specie se ha già deciso di fare una determinata cosa, equivale a prendere a testate un muro di cemento armato. Si caccia in tasca soldi e lista. Gli dirà che all'Emporio non erano ancora arrivate.
«E vedi di non fare il furbo! Il mese scorso Nahia ne aveva sei pacchetti, e quel tipo di sigarette le fumo solo io!»
M'ha fregato!, pensa uscendo incontro ad un refolo d'aria gelida.



Orreaga-Roncesvalles dorme placido in fondo alla vallata.
Se non fosse per le colonne di fumo, che s'innalzano dai comignoli in cima ai tetti, sembrerebbe un piccolo presepe in miniatura. La neve è caduta in abbondanza quest'anno e, fino al limitare dell'abitato, sarà alta cinquanta centimetri buoni. La casa di don Antoni, il maestro elementare di Auritz, è la prima che s'incontra dopo la curva con il cartello che indica la distanza da Santiago de Compostela; il suo tetto d'ardesia buca quel bianco accecante, la staccionata di legno verde andrà sistemata ad aprile e il cortile interno colle cordicelle dello stenditoio vuoto che sembrano tanti fili di ragnatela ghiacciati.
Supera altre due case, non senza aver salutato con un cenno la figlia maggiore di don Antoni, Jolanda, che l'osserva da dietro le tendine della finestra della cucina, e si ritrova nel Calle principale, che attraversa il paese da Nord a Sud e sbuca nell'unica piazza del borgo. S'intravede già la Chiesa della Collegiata, gli ostelli che accolgono i pellegrini e l'Emporio Generale di Nahia che svetta forte dei suoi due piani di mattoni giallo ocra proprio di fronte alla chiesa di san Giacomo.
Don Gaizka, il padrone sulla carta dell’unico negozio del paese, ha gestito l'Emporio fino a quando non ha deciso di averne abbastanza e di voler passare le sue mattinate a leggere il giornale, seduto sullo stesso barile di aringhe sott'olio su cui ha passato buona parte della propria infanzia. Nahia gestisce il negozio da una dozzina d'anni, dopo il matrimonio con Andeka, che si occupa dello smistamento della posta, due stanze più in là.
Il suono dei suoi passi sul selciato, coperto da un sottile strato di ghiaccio, non è passato inosservato tra i pellegrini che iniziano il Camino in quella fredda mattina d'inverno, e la notizia del suo ritorno in paese s'è sparsa per l'aria assieme all'odore della zuppa di cavolo nero dell’ostello.
Ecco perché quando il campanello dell'Emporio tintinna con voce argentina annunciando il suo ingresso, l'unica ad esserne realmente sorpresa è la piccola Alazne, appena rientrata da scuola, le calosce ancora indosso. Si volta, sgrana i suoi occhioni neri e realizza in un secondo che è tornato Ruy.
Gli corre incontro e il serio Shura ha avuto a mala pena il tempo di abbassare la sciarpa da davanti la bocca che si ritrova con la ragazzina aggrappata al suo braccio che gli strilla «Kaixo, Ruy!».
«Alazne, lascialo respirare», le dice Nahia sistemando meglio la mantella color ruggine sul suo vestito blu e andandogli incontro. Due baci sulla guancia e poi lei gli sorride, aggiungendo: «Scusala, Ruy, ma lo sai anche tu quanto ti sia affezionata!».
«Non ti preoccupare, Nahia…», le risponde liberandosi della ragazzina e carezzandole la testa castana. Ruy. Qui al villaggio continuano ad usare il suo nome di battesimo. Shura se lo lascia alle spalle non appena esce dal Santuario. E anche questo contribuisce a farlo sentire a casa. «Kaixo, chica!», risponde lui, togliendosi quella scimmietta di dosso. «Ci siamo fatte grandi, eh?»
«Come stai, ragazzo?»
Don Antso, sindaco del paese nonché proprietario dell’unico albergo – banderuola che si piega seguendo il vento più forte, per dirla con Gaizka – si avvicina, le mani a stringere i lembi del panciotto blu, con le guance rosse come al solito. Ha posato il giornale non appena l'ha visto entrare e si è avvicinato con la faccia sorridente di chi sta ripassando un discorso preparato da tempo, ma che non ha provato a sufficienza.
«Tutto bene, grazie. E voi?»

Per sua fortuna ha risposto dirigendosi verso il bancone e porgendo a Nahia la lista della spesa. Quel tranquillo «E voi?» pronunciato per squisita cortesia ed educazione, più che per un reale interesse, ha dato al sindaco la scusa per partire con un lungo comizio elettorale, più un monologo a voler essere cavillosi, sul tempo, sul clima, sull'economia che ristagna da quando a Madrid siede Juan Carlos, su una strana malattia che colpisce le bestie che si sta propagando da Saint Etienne fino oltre i Pirenei, sul fatto che il paese si sta spopolando… le solite cose, insomma.
Lui si limita ad annuire, ad intervenire con frasi di circostanza quando don Antso glielo concede – deve pur riprendere fiato – tutto preso com'è dal non smarrire il filo del discorso e dal non scoprire troppo presto una buona mano.
Nahia ci sta mettendo un po' troppo tempo, per i suoi gusti: va bene che Javier ha scritto una lista valida per restare a piedi caldi per tutto l'inverno ed oltre, ma gli sembra che la donna prenda volutamente del tempo per mettere insieme tutto quello che è scritto sul foglietto. E non vuole che questa lentezza, insolita per una persona energica come Nahia che è rimasta a lavorare fino a due ore prima di sfornare Alazne, non sia un mezzuccio per dare al sindaco il tempo necessario per entrare casualmente in argomento. E il sindaco lo trova, il momento adatto, mentre Nahia posa sul bancone carne secca e formaggio di capra.
«Adesso che sei qui devi assolutamente partecipare alla Festa di Carnevale! Si terrà domani sera, Martedì Grasso, nei locali della parrocchia. Ci saranno balli e canti, e, dulcis in fundo, l'elezione della Reginetta della Neve. Non puoi mancare, e sappi che non accetterò un no come risposta tanto facilmente.»

Ecco. Alla fine l'ha sputata fuori la proposta che Ruy rifiuta immediatamente: presentarsi alla festa con il tarlo di Aiolos che lo tormenta da un po' troppo tempo, non è la scelta migliore.
«Sono spiacente, don Antso, ma sono venuto fin quassù per sottopormi ad un allenamento intensivo. Purtroppo sono costretto, mio malgrado, a rifiutare il vostro cortese invito.»
Sente le occhiatacce che gli sta lanciando Nahia trapassargli la schiena ed aprirsi un varco nel suo petto.
«E come ti sbagli?», commenta lei, posando una scatola di fiammiferi svedesi sul bancone.
Ruy tace. Sa che a darle corda Nahia sarebbe capace di vendere congelatori agli eschimesi; non è dell’umore giusto per partecipare ad una festa. Sarà per la prossima volta, pensa, attendendo paziente che lei finisca di armeggiare con la lista della spesa.
Ma Nahia non molla.
«Guastafeste che non sei altro», gli dice, posando un paio di scatolette di carne in gelatina. Lo tratta ancora come se fosse il marmocchio pelle e ossa che è arrivato da Burgos una decina di anni fa. «E pensare che qualcuno, qui, non vedeva l'ora di farsi vedere con il suo bel costume indosso, vero Alazne?»
Questo è scorretto!, dardeggiano gli occhi di Ruy, ma Nahia prosegue come se niente fosse. Anzi, dal suo sguardo nocciola traspare la voglia di continuare la discussione, non appena don Antso avrà avuto la cortesia di togliere il disturbo.
«Ho detto di no», ribatte, col suo tono più severo, quello che fa filare dritto la marmaglia che affolla il Santuario.
Nahia gli rivolge un sorrisetto, come a dire «Ma davvero?».
Lui la ignora. Ha sentito Alazne immobilizzarsi come una statua di sale, e questo non è un bene. Non sopporta vedere una donna che piange, anche se è una bambina. Si sente impotente.
«Eddai, Ruy…», pigola la bambina.
«Alazne…» Non piangere. Non. Piangere. Nonpiangerenonpiangerenonpiangere… «Alazne, devo allenarmi. Mi dispiace», e fa un passo avanti, verso il bancone.
«Eddai….»
Ruy sbuffa. «Vedremo.» Che non è un sì, ma neppure un no. «Non ti prometto niente, ma vedremo. Ok?»
La ragazzina stringe la stoffa fredda dei suoi jeans pesanti mentre annuisce con gli occhi rossi.
«Forza, signorina. A lavarsi le mani, ché è ora di pranzo», le dice Nahia battendo le mani. Alazne tentenna. Rivolge un ultimo sguardo a Ruy, poi saluta don Antso ed infila la porta del retrobottega con le calosce indosso e lo zainetto in spalla.

Ruy attende che si spenga l'eco dei passi della ragazzina, e poi scocca un'occhiata di fuoco alla giovane donna che lo sta fronteggiando con le mani conserte.
«Non è leale ricorrere ad una bambina!», le sibila mantenendo a stento la calma. Non vuole che Alazne li senta discutere.
«Ma sentitelo un po', questa pulce! Non è leale! Con che faccia lo dici quando sei tu che ci costringi a ricorrere a certi mezzucci!», borbotta la donna mentre prende un prosciutto affumicato e ne taglia alcune fette che poi dispone dentro della carta per alimenti. «Ormai ti vediamo così di rado da non sapere più di che colore hai gli occhi! Quando sei qui, ti degni di fare un salto a prendere due cose da mangiare, e ti rintani con Javier e le capre sui monti! Non è normale, Ruy! O debbo forse pensare che Javier abbia argomenti più convincenti?»
«Che cosa?» urla, mentre per lo spavento Alazne, al piano di sopra, stringe con forza la salvietta di lino con cui si stava asciugando le mani.
Il sindaco prende la giacca, la infila e saluta frettolosamente.
«Beh, se vuoi unirti a noi, Mercedes ne sarebbe contenta! Sai dove trovarci, e spero che cambierai idea! E adesso, se volete scusarmi, la mia signora e le mie belle figliole», e calca la voce sull'ultima parola, «mi stanno aspettando per pranzare!», ed esce dalla porta senza che i due si accorgano di nulla, tutti presi come sono dalla loro discussione.
«Hai sentito bene», replica Nahia aggiungendo al cumulo della spesa di Ruy due scatolette di aringhe affumicate, piselli secchi e un pacchetto di naftalina. «Non. È. Normale!»
«Per me lo è! Ricordati che non sono un ragazzo qualsiasi, io!»
«E io insisto nel dire che non è normale! Sarai anche un Santo d’Oro, o qualsiasi altra diavoleria tu sia, non lo so e non voglio saperlo. Ma hai solo sedici anni, Ruy! Quando hai intenzione di vivere la tua gioventù? A cinquant'anni?»
«Nahia…» riesce a dire, quando vorrebbe risponderle Sarà un miracolo, arrivarci, a cinquant'anni!, ma capisce che deve ingoiare, anche se a forza, quelle parole.
«No, Ruy! Ascoltami bene tu!», lo zittisce, convinta che stia per ribatterle la solita solfa sul suo compito e quel fastidioso blablabla sul dovere che le ripete ogni volta. «Sarai anche un Santo, ma prima di tutto sei un ragazzo. Posso capire che non ti vadano le quattro oche che razzolano in paese, ma ti prego, fammi un favore: trovati una bella chica e goditi la tua gioventù!»

Nahia si è avvicinata a lui posandogli le mani sulle spalle: si è fatto grande, il bambino pelle e ossa che è apparso un bel giorno assieme a Javier. Adesso è un ragazzo alto, quasi quanto il suo Andeka, con un velo di barba sul mento e sopra le labbra. Guarda, guarda… Vorrà dire che gli regalerò un buon rasoio elettrico!, si dice mentre esamina di sfuggita il viso di Ruy, contenta di aver trovato un regalo per il suo compleanno. Se Ruy credeva che la questione fosse ormai passata in cavalleria, si sbaglia di grosso.
«Mi prometti, almeno, che ci penserai, Ruy?»
E lui, alla fine, annuisce, convinto che altrimenti lei non gli permetterà di uscire dal negozio.
«Bueno, Nahia, ci penserò, ma non ti prometto altro, può essere benissimo che mi richiamino da un momento all'altro…»
«Proprio per questo, devi approfittare di ogni momento buono per divertirti, no?»
« …e quindi non so cosa farò domani, né dove sarò», prosegue ignorando l'intervento falloso di lei. «Posso soltanto prometterti di pensarci, niente di più», conclude prendendole le mani e liberandosi le spalle.
«Più cocciuto di una capra! Tanto lo so che non verrai! Ma fallo almeno per Alazne! Adesso che sa che sei qui, vorrà assolutamente che tu vada alla festa e alla processione con lei!»
«Nahia…» L'avvisa di non ricominciare; adesso come adesso, non si tratterrebbe più, Alazne o no.
«Ok, ok! Io te l'ho detto! Ora decidi per conto tuo, ma tieni a mente che Alazne ci resterebbe male.»
«Questo è scorretto!»
«Lo so. Ma noi donne non giochiamo pulito, non te l’hanno mai detto? A proposito. È arrivato il nuovo disco di Julio Iglesias, t'interessa?»
«Julio Iglesias!? Mi hai preso per mia nonna?», ribatte, sollevato da quel cambio repentino di discorso. «Mi avessi detto l’ultimo disco degli Stones…»
«Aspetta, fammi pensare… sì, mi sembra che i Magi abbiano lasciato qualcosa per te», e Nahia sparisce sotto il bancone. Ruy sente che sta rovistando tra miliardi di cose messe da parte, e s'affaccia per vedere che stia combinando. «Ecco qua! Gaspar in persona si è raccomandato di tenerlo qui in attesa del tuo ritorno», e così dicendo gli porge un pacco dall'inconfondibile sagoma quadrata.
Ruy lo prende, se lo rigira tra le mani e lo scarta curioso; Nahia si gusta gli occhi di lui allargarsi dalla sorpresa quando scopre il viso di Mick Jagger truccato da donna.
«Some Girls!», esclama lui rigirandoselo tra le dita.
«Può andar bene? Il signore è soddisfatto?», gli chiede poco prima di ricevere un forte abbraccio ed un fraterno bacio sulla guancia.
«Eccome! Quanto ti devo per la spesa?»


La strada del ritorno è in salita. Non nevica, ma il sole è ancora troppo debole per sciogliere tutto quel bianco accecante. Nahia l'ha caricato come un somaro: tre buste, piene zeppe di scatolame e conserve, e due pacchetti che porta in una mano, traboccanti di sigarette, detersivi e altre lattine di cui ignora l'origine e lo scopo. L'unica cosa che gli preme, ora come ora, mentre il vento gli sferza la faccia, è mettere qualcosa sotto i denti: l'odore di salsiccia arrosto e zuppa di cavolo nero ed orzo gli ha smosso l'appetito. Sì, ha proprio voglia di mangiare, magari ascoltando il disco che gli ha regalato Nahia, sempre se il giradischi di Javier non sciopererà. Avanza spedito tra la neve che gli abbraccia i polpacci e che cade con tonfi attutiti dai rami stracarichi degli abeti. La baita è vicina, un chilometro al massimo; si vede già il fumo nero che si alza tra il bianco del bosco e l'azzurro pallido del cielo. Ancora due svolte e sarà a casa. Sente un odore caldo e dolce arrivare a lambirgli le narici, mentre il suo stomaco protesta non troppo gentilmente. E allora corre, alla massima velocità, con i pacchi che non si accorgono di aver percorso pochi metri a velocità curvatura.
L'odore dei fagioli cotti con aglio, rosmarino, pancetta è un richiamo a cui non riesce a resistere. 


27 Febbraio 1979. 
Martedì Grasso.
Il paese di Orreaga si è svegliato di buonora per spalare la neve caduta durante la notte. Gli uomini di don Antso coordinano i lavori: c'è chi sparge il sale grosso lungo la strada principale, chi ne sistema altro in grandi sacchi ai margini dell'asfalto, chi controlla le luci appese da un capo all'altro del Calle Sancho VII, che conduce direttamente alla Collegiata e al museo.
Quest'anno il sindaco è riuscito a mettere le mani su un lotto di dodici decorazioni luminose, a forma di stella a sei punte, che si vanta di aver acquistato ad un prezzo stracciatissimo. Forse, come sussurrano le vecchie pettegole, quelle stelle che si accendono ad intermittenza, l'una autonoma rispetto all'altra, non sono che il fondo di magazzino di uno dei tanti cugini di don Antso, il quale le ha acquistate convinto di poterle riutilizzare anche per le festività.
Il paese è in pieno fermento, la processione di questa sera è vista dalla gente di Orreaga come un'occasione per fare bisboccia assieme agli altri paesi che dormono abbarbicati sulle pendici dei Pirenei lungo l'Itinerario di Carlo Magno, e che una volta all'anno si riversano in quel borgo abitato da una manciata di anime.
Bancarelle di dolci, chincaglierie assortite, pesci in bocce di vetro e altre cianfrusaglie stazionano davanti alla chiesa di San Giacomo, in fondo al paese e alla passeggiata di mezz'ora buona che parte dalle spalle della chiesa e raggiunge Auritz più a valle.
A nord, invece, si trova il passo dove Orlando e i suoi sarebbero stati attaccati dai Baschi per vendicare il sacco di Pamplona. Baschi, non Saraceni; gli storici di mezzo mondo concordano nel definire così le popolazioni che a Roncisvalle sterminarono la retroguardia franca affidata al conte Rholand in quel 15 Agosto dell'anno del Signore 778; gli spagnoli, invece, tentennano ancora, divisi come sono tra le direttive franchiste, i cui echi difficilmente si spegneranno come un fuoco di paglia, e le rivendicazioni degli storici internazionali.

Ad Alazne, tutto questo non interessa.
Nahia ha visto che quest’oggi sua figlia è stata più assente del solito. Svagata. Lontana anni luce dalle salviette di cotone da piegare, dai compiti e da Orreaga stessa. La sua testa è stata altrove per tutto il giorno, inchiodata all'orlo e alle balze del suo vestito di taffettà azzurro. Alazne ha voluto truccarsi. L’ha quasi preteso. E a Nahia, quest’anno, ha fatto uno strano effetto passare il solito velo di cipria sul viso della sua bambina, assieme all’ombretto e ad un accenno di rossetto. S’è fatta grande. Immagina quali pensieri attraversino la testa di sua figlia, e se una parte di lei le ricorda di quando lanciava palle di neve mirando sempre e solo alla schiena di Andeka, un’altra vorrebbe che sua figlia restasse la sua bambina. Solo per un altro po’.
Nahia si stringe nelle spalle mentre osserva Alazne incontrarsi con Sokorri e dirigersi insieme verso la parrocchia. Sono le sei e mezzo e fa freddo. Un freddo cane. È stata costretta ad infagottarla nel suo piumino giallo sole, nascondendo il suo bellissimo vestito. Avrebbe tanto voluto indossare il cappotto bianco che usa la domenica per andare a messa, in modo da poter fare un'entrata degna di una vera principessa, ma Nahia è riuscita ad infilarla a forza nel piumino prima ancora che potesse aprire bocca per protestare. Si sente così scema e così ragazzina, lei lo capisce, ma sempre meglio che una polmonite coi fiocchi. 
Per fortuna, il concorso si tiene al caldo, pensa la donna. E si dice che è il caso di chiudere l’Emporio. Tanto, per stasera non verrà più nessuno. Ma quando alza gli occhi dall’orologio, lui è lì.
La guarda, imbarazzato, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. È arrivato alla chetichella, scivolando in paese mentre tutti entravano in parrocchia per la sfilata dei costumi.
«Che ci fai tu qui?», gli chiede facendolo entrare. «Hai cambiato idea?»
«Non avresti qualcosa che mi faccia passare inosservato, per favore?», le risponde ignorando quello sguardo divertito che gli fa rimpiangere di non essersene rimasto a casa, al calduccio davanti al camino, e di aver dato retta al suo buon cuore.
Nahia ridacchia.
«Costumi della tua taglia non ne ho, avrei dovuto ordinarli a novembre. Vediamo un po' se abbiamo qualcosa per il nostro eroe!»
«Ma che hai capito? Non voglio un costume, mi basta anche un cappello», protesta, sprofondando ancor di più le mani nelle tasche sformate dei pantaloni.
«Eppure, faresti un figurone vestito come un toreador!», e prosegue a sfotterlo per un bel pezzo, fino a quando non si ricorda di quella scatola di cartone, in fondo allo scaffale. «Aspetta, forse ho qualcosa per te», gli dice salendo sulla scala.
Lui la osserva da sotto, curioso come un gatto.
«Ecco qui», dice Nahia mostrandogli una mascherina di plastica nera, utile per coprire il contorno occhi. «E attento agli uomini del Viceré, don Diego de la Vega!»


Entra in parrocchia per ultimo, nascosto tra la folla, ed esce poco prima degli altri. Attende che tutti passino, poi scende in strada. Nessuno bada a lui. Raggiunge Alazne, in coda alla processione, le passa accanto e la afferra per una spalla.
«Gabon, principessa!», la saluta, rallentando il passo e guardando davanti a sé. «Sta zitta per carità, non voglio che don Antso si accorga della mia presenza!»
«Perchè?»
«Oh, lo sai anche tu com'è fatto! Mi tratterebbe come se fossi l'attrazione principale e mi costringerebbe a sfilare accanto a sua figlia. E io Mercedes non la sopporto!»
Ad Alazne brillano gli occhi.
«Come mai?», gli domanda sottovoce, afferrando il suo braccio sinistro. «Eppure dicono che sia la ragazza più bella da qui fino a Iruña!»
«Fino a Iruña? Che esagerazione!», e Alazne fissa il suo profilo. «Che sia bella, non lo metto in dubbio, ma non la sopporto. Un'antipatia a pelle, ma non so come spiegartelo. Un mio compagno direbbe che non mi fa sangue
«Sangue
«Significa che qualcuno ti è simpatico dal primo momento che lo vedi, che crei un legame forte con quella persona, come se aveste lo stesso sangue. Capisci? E con Mercedes e la sua famiglia questo non succede.»
E io?, vorrebbe chiedergli.  Io ti sono simpatica, vero?, ma si trattiene dal porgli quella domanda inopportuna. Adesso le basta solo passeggiare con lui sotto la neve ammonticchiata ai lati del percorso.

Ruy non si sente poi così a disagio come temeva. Tutti hanno notato il suo arrivo, ma nessuno ha fatto la spia a don Antso o ai suoi uomini, e dentro di sé il giovane Capricorno ringrazia la discrezione degli abitanti di Orreaga, Auritz ed Erro che lo hanno salvato dal sindaco, il quale l'avrebbe trascinato a forza in testa al corteo.
Le maschere sfilano sotto le stelle luminose e quelle reali che bucano il cielo nere pece; è una processione curiosa quella che segue il crocifisso, don Julio e don Antso, permettendo a Zorro, la Regina Isabella, Sinbad il marinaio, Carmen e Don José e le Gitane di sfilare assieme.
«Come mai non hai partecipato alla gara di costumi? Secondo me avresti vinto...»
«Non mi andava...»
«Ma allora perché ti sei vestita e truccata?», le chiede mentre il cuore di Alazne fa le capriole. L'ha notato allora! «Donne! Siete molto più belle senza tutto quel cerone puzzolente addosso!», conclude dopo aver atteso una risposta che non arriva.
Seguono pian pianino la folla, raggiungendo la fine del sentiero tra la neve alta e l'inizio del bosco di abeti imbiancato. Il boato dei fuochi d'artificio, sparati più a monte, fa alzare la testa a tutto il paese, mentre il sindaco e la sua famiglia si pavoneggiano per la riuscita della festa.
Ruy si sente bene. Si è alzato insieme al sole ed ha passato la giornata a svolgere le mille incombenze che gli ha affidato Javier; i sogni continuano anche qui, ma è solo quando un primo fuoco esplode altissimo in cielo, in una nuvola di luce verde smeraldo, che ripensa all'amico che l'ha deluso, tradito e ingannato.
E la sua mente gli pone una domanda.

Com'è possibile che il Sommo Sion non si sia accorto di niente ed abbia scelto ugualmente Aiolos come suo successore?
 

 









Note:  ed eccoci al secondo capitolo. Mi sono presa un po' di libertà, trattandosi di un'opera di fantasia e non di un documentario di Ulisse.

Orreaga/Roncesvalles è un comune di trenta anime nella provincia della Navarra, in quella terra di confine in cui l'alloglossa basca la fa da padrona. Orrega è la prima tappa che si incontra in Spagna lungo il Cammino di Santiago, che dalla Francia porta fino a Finisterre, lungo la costa atlantica.
C'è un paese più a nord, di circa quattrocento anime, ma la prima, vera tappa dove registrarsi lungo il cammino e far mettere il primo bollino è Orreaga.

La cittadina è formata da una Collegiata, che funge anche da ostello gratuito, e un paio di alberghi. C'è poi la chiesa di San Giacomo (e come ti sbagli?) e basta. Si tratta di un borgo che vive in funzione del suo ruolo di prima tappa del Camino. Io mi sono permessa di darle una rimpolpata; magari, era un filo più abitata alla fine del franchismo, e s'è andata spopolando più tardi...

Kaixo significa "ciao" in basco, così come Gabòn significa "buonasera".

Il franchismo impose a forza l'uso del castigliano in tutte le alloglosse di Spagna, ma le differenze dialettali sono sopravvissute alla dittatura, ché, come diceva Dante, quando la mia casa va a fuoco, uso il dialetto. E considerando che il basco nemmeno fa parte della famiglia delle lingue indoeuropee, immagino che la resistenza sarà stata molto più strenua, nelle case delle persone.

Circa la storia del daimon che avrebbe preso possesso della mente di Aiolos, posso dirvi che è la scusa ufficiale che Saga, nei panni del Sommo Sion, ha rifilato a Shura. Trovate la spiegazione completa qui.

Siccome sono una cattiva persona, ho scelto Rodrigo, come nome di battesimo del nostro Capricorno. Ogni riferimento a Rodrigo Diaz de Vivar non è puramente casuale e anzi, assolutamente intenzionale. E da prima che la Shiori ci presentasse El Cid, aggiungo io.  
   
 
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