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Autore: Levyan    17/02/2017    0 recensioni
Due anni dopo gli eventi dello speciale Omega Ruby e Alpha Sapphire, molte cose sono cambiate. E molte vecchie conoscenza avranno modo di reincontrarsi ad Holon, un resort per Allenatori in cui tradizioni e leggende sono sostituite da comodità e attrazioni. Sarà necessario far fronte ad un nuovo pericolo. Purtroppo non tutti gli amici che si hanno accanto sono sempre quello che crediamo siano.
Ma la follia è come la gravità, basta solo una piccola spinta.
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Levyanbräu (Pokémon Adventures)'
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Capitolo 5: Turntablism pt. 1
 
 
Sapphire non poté evitare di rendersi il pranzo tre volte più amaro. Crystal era stata cattivissima nei confronti di Ruby, e probabilmente la sua parte razionale le dava ragione. Tuttavia, il ragazzo che era la causa della situazione in cui Hoenn annaspava aveva fatto in tempo ad impiantare nella sua testa un grosso dubbio. Aveva detto di doverlo fare per forza, aveva detto che era l’unico modo per tenere vivi tutti loro. Quanto di ciò che le era stato riferito era vero?
Non poteva saperlo, o comunque non lo avrebbe mai scoperto facilmente. Eppure, aveva la fievole impressione che un colloquio con Rocco l’avrebbe aiutata a comprendere qualcosa in più anche a proposito di Ruby e di ciò che era accaduto a Hoenn negli ultimi due anni. Non parlava con Rocco da parecchi mesi, vuoi per il suo recente trasferimento a Holon e vuoi per il fatto che Sapphire, negli ultimi tempi, era stata in movimento perpetuo tra le regioni. Aveva visto città costruite nella roccia, grotte scintillanti, montagne giganti e innevate, foreste intricate e selvagge. Pochi avrebbero creduto al fatto che la risposta a ogni suo malessere potesse averla una persona che lei conosceva fin dalla tenera età.
Certo, persino il sole poteva essere un’incognita, a quel punto. Eppure Sapphire si sentiva bene a sperare.
La ragazza infilò il vassoio del self service nel carrello delle stoviglie sporche. Abbandonò in fretta la mensa e tornò nella sua camera all’ultimo piano. La sua valigia era stata ricomposta quella mattina stessa e vegliava su quella stanza dall’alto del letto sfatto su cui era stata lasciata. Sapphire voleva andarsene al più presto, lasciare quel luogo e rivedere qualche faccia amica. Tuttavia sapeva bene che non avrebbe trovato i vecchi sorrisi su quelle facce, non avrebbe trovato serenità o gioia. E la cosa la spaventava. Dentro. Fuori era invece decisa e determinata.
Cinque minuti dopo, era nell’atrio dell’hotel. Era una bella giornata, torrida come le precedenti, anche se il fumo e la polvere offuscavano un po’ il sole. Tutti i membri della squadra di Dexholder si presentarono in orario. C’era l’inseparabile coppia Red-Yellow, la delicata Platinum, Crystal che non si fece alcun problema a non salutarla e Silver, serio e ombratile come al solito. Tutti pagarono il conto dell’hotel e lasciarono le chiavi delle stanze alla reception.
‒ Ci siamo tutti? ‒ furono le prime parole del rosso.
‒ Possiamo andare ‒ gli rispose Sapphire.
La comitiva partì alla volta di Altelia, città poco lontana da Vivalet, anch’essa affacciata sulla costa. Sarebbero giunti lì in pullman che era, in quel momento, il mezzo di trasporto pubblico più sicuro e meno affollato. Stazioni, porti e aeroporti pullulavano infatti di turisti nervosi e viaggiatori stralunati. Avrebbero impiegato più o meno due ore.
Nel silenzio generale, il gruppo si raccolse in corrispondenza di una fermata, attese alcuni minuti per poi salire sull’extraurbano indirizzato verso la loro meta. Stranamente nessuno aveva seguito i loro movimenti all’uscita dall’hotel, persino i reporter e i giornalisti avevano iniziato a demordere, spinti dalla voglia di fuggire o dal bisogno di raccogliere servizi a proposito di altre novità in giro per la metropoli. Invece, quasi tutto il bus sgranò gli occhi al loro cospetto. Non uno, non due ma ben sei Dexholder tutti insieme. Gente famosa, gente importante. Un ragazzino seduto dietro al sedile che Silver decise di occupare aveva una luce talmente intensa negli occhi da far spavento. Chiese timidamente un autografo all’Allenatore dai capelli rossi mentre il fratello adolescente bolliva dall’imbarazzo. Il Dexholder di Johto abbozzò un’espressione felice e scrisse il suo nome sul cinturino del PokéNet, proprio come il suo fan aveva chiesto. Non era di certo il primo autografo che Silver avesse mai concesso. Ma sicuramente il più strano. Tutto sommato era felice di vedere che la gente aveva ancora voglia di sorridere per esser riuscita a parlare con i propri idoli, anche dopo tutto ciò che era successo, anche dopo tutto il dolore. Cercò comunque di non farsi vedere dai suoi amici mentre passava la mano tra i capelli del ragazzino. Per Yellow il viaggio scorse tranquillo, tutto all’infuori di lei sembrava essersi inclinato di quarantacinque gradi: come ogni ragazza, trovava che la spalla del suo uomo fosse il posto più comodo su cui poggiare la testa. Red fissava invece l’asfalto che scompariva metro dopo metro sotto il loro mezzo di trasporto. Era inerte, silenzioso. Cosa assolutamente insolita per un Red. Crystal tenne tutto il tempo le pupille puntate sull’orizzonte: il mare a est dell’isola di Holon. Chiaro, illuminato dal sole che da lui si allontanava progressivamente. I riflessi della luce sull’acqua danzavano con le onde: loro non avevano paura di Rayquaza, loro non sentivano alcuna molletta stretta alle coronarie che impedisse al flusso sanguigno di portare via il ricordo di Emerald. Scoprì presto che fissare il mare era l’unico modo per non strangolare il sedile che aveva davanti. Platinum era invece seduta accanto a Sapphire. La signorina Berlitz stava sommariamente raccontando alla sua ultima amica la storia vissuta a Sinnoh con gli altri due Dexholder locali, suoi amici. Pearl e Diamond, si chiamavano.
‒ Ah, sì, ho letto qualcosa su di loro da uno degli schedari di mio padre… ‒ Sapphire sembrava alla ricerca di qualcosa all’interno della sua memoria.
‒ Strano, da quello che mi ha detto il Professor Rowan, raramente condivide i suoi dati e le sue ricerche con gli altri esperti regionali ‒ commentò Platinum.
Sapphire aveva sprazzi e immagini di quelle poche righe che aveva appena avuto il tempo di leggere molti mesi prima. Forse aveva fatto scorrere gli occhi su un file rimasto aperto sul monitor del genitore, forse aveva inavvertitamente preso una di quelle schede al posto di un foglio di suo personale interesse. Ricordava qualcosa a proposito di un idea, qualcosa come un progetto: “Arbor Vitae”, le pareva si chiamasse.
‒ Nah, tabula rasa ‒ si arrese. ‒ Che dicevi su di loro?
E Platinum proseguì la narrazione della sua epopea. Le parlò della sua regione, depositaria delle più antiche leggende riguardanti Pokémon che controllano tempo, spazio, caos e ordine, le parlò dei laghi e di come questi fossero la dimora di spiriti puri che si narra avessero dato all’uomo la volontà, la sapienza e le emozioni. Sapphire aveva già sentito tutte queste cose, durante il suo rapido soggiorno a Sinnoh. Aveva impiegato quasi due mesi per rastrellare ogni medaglia di quella regione. Ma lo aveva fatto col cuore appesantito e la mente dispersa e impegnata a pensare ad altro. Scoprire queste cose da Platinum fu per lei agrodolce.
“Volontà, conoscenza, emozioni…” stava pensando qualche momento dopo il termine di questa sua conversazione. Accanto a lei c’era ancora Platinum che, accompagnata dalla sua solita grazia, si era addormentata rannicchiata sul suo sedile.
“Volontà: parlare con lui, ora, subito… conoscenza: ben poco, ma abbastanza da dargli una sola possibilità per spiegarmi tutto... emozioni: meglio lasciar perdere…” ormai non lo negava neanche più a se stessa. Non ne aveva più voglia.
La corriera corse traballando fino alle porte di Altelia. L’insegna che portava il nome della città spuntava a lato della strada principale e sembrava fatta di legno perfettamente imbiancato. Sapphire ebbe appena il tempo di studiarla, prima di rendersi conto di esser stata catapultata in un altro periodo storico. Strabuzzò gli occhi. Veniva da Vivalet, coi suoi edifici di vetro e le sue forme geometriche ma irregolari, ma si ritrovò immersa in una sorta di paese portuale mediterraneo appena uscito dal diciannovesimo secolo. Le strade di Altelia erano in mattoncini grigiastri e squadrati, le case sembravano sorgervi spontaneamente: il complesso urbano sembrava esser stato costruito tutto nello stesso momento, da alcune facciate dei palazzi che mai oltrepassavano i tre piani spuntavano morbidi reticoli di rampicanti e le viottole, tutte poste ad un’altezza differente a causa della natura irregolare del borgo, erano striate dalle ombre degli edifici che lentamente diventavano sempre più lunghe, avvicinandosi sempre più alla riva del mare.
‒ Holon, signori… ‒ commentò qualcuno tra i Dexholder.
La regione non finiva mai di stupirli, per attirare il turismo di ogni tipologia, era stata costruita da zero e mediava elementi provenienti da ogni dove, nel mondo. Tutto artificiale, tutto finto: boutique, negozi e luoghi di ristoro, era ciò che si trovava in quegli edifici, mai abitazioni familiari. E forse era proprio questo il suo fascino.
‒ Capisco perché Rocco abbia scelto di trasferirsi in questa città ‒ commentò Sapphire, ammirando la piattissima distesa del mare che ricordava tanto l’oceano a est di Hoenn del quale si aveva una vista mozzafiato dalla sede della Lega. “O necessita di questa vista per ricordarsi ogni giorno della sconfitta, o vuole solamente rimanere legato alla sua regione natale, come se temesse di dimenticarla” pensava la ragazza.
‒ Ragazzi ‒ Silver aveva con se una cartina, gentilmente dotata dal simpatico conducente.
 
In un quartiere poco più a sud, sorgeva un edificio costruito in pietra. La targa sulla statua alla sinistra della porta recava l’incisione:
“Palestra di Altelia
Capopalestra: Rocco Petri
Medaglia: Tempra”
Accanto, il romboidale emblema della regione di Holon, la Poké Ball dalla forma dell’isola. Nell’edificio, specificatamente nella sua stanza, il suo ufficio personale, sedeva un uomo dai capelli celesti e la carnagione pallida. Aveva una sottile camicia bianca di lino che si insinuava negli stretti pantaloni viola, un tempo parte di un vestito più elegante. Alle dita molteplici anelli, quasi tutti semplici cerchi metallici e neutri, senza pietre o iscrizioni. Rocco era solito giocare con quello dell’indice destro, quando era nervoso. E da qualche giorno, l’anello non conosceva pace. L’uomo afferrò il bicchierino di liquore che era sulla scrivania e lo mandò giù tutto d’un sorso. Un calore gli pervase le viscere, a partire dalla gola e dallo stomaco. Sbloccò il cellulare e inviò due messaggi ad un contatto il cui avatar era una bella donna bionda in bikini che si faceva il bagno nelle acque di Spiraria, a Unima. Si alzò in piedi, sistemò il colletto della camicia e si avviò verso l’atrio ancora prima che un campanello squillasse, acre e robotico, nell’aria silenziosa della palestra.
Dietro la porta trovò sei ragazzi, tutti diversi, tutti uguali. Riconobbe quella che avrebbe dovuto salutare per prima, quella che ricordava meno peggio. Aveva gli occhi celesti come lo zaffiro orientale e i capelli castani raccolti in una coda. Fece i convenevoli nei confronti degli altri e chiese educatamente qual buon vento portasse quella schiera di ragazzi.
‒ Non proprio “buon” vento ‒ rettificò Sapphire, che sembrava quella più indicata per parlare con un ex Campione di Hoenn.
‒ Già, ho visto tutto il caos degli ultimi avvenimenti ‒ Rocco fece loro cenno di entrare e sistemarsi, li fece sedere tutti nell’ufficio. La stanza era spaziosa e le veneziane permettevano un’illuminazione fresca ma diffusa, di sedie ce n’erano già abbastanza. ‒ Abbiamo raccolto quasi mille anime in preda al terrore, la città ha conosciuto tanta gente nuova.
‒ Siamo qui per farti alcune domande ‒ spiegò Sapphire.
‒ Tutte quelle che volete, e io che mi aspettavo che prima o poi qualcuno sarebbe entrato per la medaglia ‒ sorrise, ironico.
‒ Sì tratta di Ruby.
Rocco era stato avvertito da una sua collega che sei ragazzi particolarmente telegenici erano diretti verso la sua città e che una di loro lo conosceva bene. L’uomo aveva ipotizzato cosa mai potesse chiedergli una ragazza come Sapphire, ma la soluzione non gli era piaciuta, per questo si mostrò sorpreso nel sentir nominare il nome del ragazzo, attuale Campione di Hoenn e suo successore.
Tutti aspettavano con ansia una sua reazione che non fosse il silenzio. Lui valutava se offrire da bere o no. Decise di sì.
E mentre ognuno degli ospiti sorseggiava un liquame diverso dal proprio bicchiere, Rocco pensava a cosa potessero cercare di tanto importante oltre quella piccola pallina che era nella sua testa e che rimbalzava da mesi sulla sua ghiandola del buon senso, causandogli un fastidio ossessivo e costante.
‒ Ruby sapeva dell’attacco di Rayquaza, prima che questo si facesse vivo ‒ argomentò Sapphire.
‒ E vi ha detto che la soffiata è arrivata da me ‒ continuò la frase Rocco.
‒ L’ho dedotto.
Rocco annuì, comprendendo che Sapphire stava facendo riferimento a qualcosa di cui avrebbe voluto parlare in privato. ‒ Insomma, mi è arrivata una voce e ho riferito a Ruby quello che avevo sentito…
‒ Rocco, per favore ‒ Sapphire lo guardò negli occhi. ‒ Ho bisogno di informazioni precise, quello che è successo non può essere ignorato.
L’uomo indugiò per alcuni istanti. Dodici occhi puntati su di lui, ogni coppia curiosamente colorata corrispondentemente al nome del suo possessore. Sapeva che di lì a poco avrebbe fatto la cosa giusta e avrebbe parlato. E si stava odiando per questo.
‒ Zero è folle, Campione responsabile e serio, grande genio del leading e della lotta Pokémon, ma ha una mente che sembra dover esplodere da un momento all’altro. Sono stato allertato da una persona che è stata capace di bloccare i suoi progetti di distruzione fino ad un certo punto, ma non è stata in grado di fermarlo quando ha pensato di scatenare Rayquaza. A quel punto ha deciso di dirlo a me, perché io avvertissi Ruby ‒ spiegò sommariamente.
Ai Dexholder sembrava uno spiraglio di sipario aperto.
‒ Il nome di questa persona, Rocco ‒ non era una domanda, quella di Sapphire.
‒ Kalut, una delle persone più vicine a Zero, forse una delle poche menti che riesca a comprendere la sua follia.
‒ Che strano nome ‒ osservò Platinum.
‒ Hai detto che ha impedito più volte a Zero di uccidere ‒ proseguì Sapphire.
‒ Quella è la sua missione.
‒ Obbedisce agli ordini di qualcuno? ‒ Sapphire sembrava capire l’antifona della situazione.
Rocco sorrise nostalgicamente. ‒ Kalut non obbedisce agli ordini di nessuno, ma sta prestando la sue capacità a servizio della giustizia.
Tutti i Dexholder si guardarono titubanti, avevano ricevuto parecchie informazioni in poco tempo, i loro cervelli continuavano a rielaborare. Solo Sapphire teneva gli occhi gelidamente puntati su Rocco: aspettava che il discorso tornasse a toccare Ruby. Ma Rocco lo aveva capito, e non voleva parlare davanti a tutti.
‒ È tutto… ‒ scrollò le spalle il Capopalestra.
 
Centinaia di chilometri più a sud ovest, a Ciclamipoli batteva forte il sole. Sarebbe stato possibile cuocere una bistecca sulla rovente pista di atterraggio del Boeing targato Hoenn Airways che aveva trasportato Green e Gold. I due erano stati sbalzati di un fuso orario, il che voleva dire che si trovavano un’ora indietro rispetto ai loro amici che ancora si trovavano a Holon. Due volte avevano letto sull’orologio “ora di pranzo” e due volte Gold aveva pranzato. La prima volta in aereo, con uno dei buonissimi e convenientissimi pasti di linea, la seconda all’aeroporto, con una focaccia gigante, altrettanto salata. Green si era chiesto quanti dannati stomaci avesse.
‒ Quindi direzione Torre dei Cieli?
‒ Esattamente.
I due spiccarono il volo non appena furono fuori dall’aeroporto, Gold su Togekiss e Green su Charizard.
E in poco tempo scorsero in lontananza un’ombra lunga e sottile che sembrava congiungere la terra con le nuvole. Di tutti i diversi popoli che avevano camminato sulle terre e navigato sulle acque di Hoenn, Braille, Alfa e Draconidi, il monumento poteva esser stato eretto in qualsiasi momento della storia.
‒ Eccola là! ‒ esclamò Gold perché Green lo sentisse nonostante il frastuono causato dallo sferzare dell’aria sui loro corpi che volavano a velocità elevatissime.
‒ Quanti piani sono?
Cinquanta, sapeva bene Gold, ma era anche informato circa il brutto avvenimento che ne aveva mozzato la cima. Sta di fatto che non conosceva il numero preciso. ‒ Tanti ‒ rispose.
Il Capopalestra di Smeraldopoli e il Dexholder di Johto giunsero insieme all’isolotto su cui la torre si erigeva. L’architettura era maestosa, costruita in una pietra calcarea di colore giallognolo, a pianta triangolare ed elevata oltre la linea visibile. Con i piedi sulla sabbia dell’isolotto, i due Allenatori si sentivano estremamente piccoli.
‒ Era la dimora di Rayquaza, e il Pokémon è stato svegliato qui ben due volte, dal team di ricercatori finanziato dai Berlitz, undici anni fa, e dal Lino che era accompagnato dal padre di Ruby, sei anni fa. In corrispondenza dell’evento del meteorite che rischiava di distruggere la terra, due anni fa, Rayquaza si è invece destato da solo, pare che abbia distrutto lui i piani più alti. Se è tornato a riposare prima dell’attacco a Vivalet, sicuramente lo ha fatto qui e quindi colui che lo ha svegliato con la Gemma Verde, deve averlo fatto all’ultimo piano di questa torre.
Green rimase sorpreso. ‒ Hai studiato, Gold ‒ ironizzò.
‒ Ultimo piano, ti si tapperanno le orecchie e sarà difficile respirare ‒ concluse lui tornando in groppa al suo Pokémon volante.
Green lo imitò e dopo una vertiginosa salita i due tornarono a poggiare i piedi sulla diroccata cima della torre. Avevano patito un gelo infernale e più di una volta avevano rischiato di cadere, comprendendo la ragione per cui tutti la scalavano a piedi, quella costruzione, o alla peggio la attraversavano in volo passando per l’interno. Green non mancò di far notare a Gold la stupidità della loro ultima azione. Ma si interruppe quasi subito. I due tremavano ancora per la temperatura artica e per le sferzanti correnti che si sfogavano a quell’altitudine, quando una bruttissima immagine attirò i loro sguardi.
Una capanna formata da alcuni pennuti bianchi e neri si agitava caoticamente in un angolo. Erano dei Mandibuzz, Pokémon saprofagi.
‒ Stanno mangiando ‒ affermò Green con sicurezza.
‒ Ora c’è da capire che cosa ‒ proseguì Gold.
E presto la risposta apparve chiara quanto prevedibile. I Dexholder mossero alcuni passi verso il banchetto e in un istante gli uccellacci svolazzarono via, come dinnanzi alla presenza di un predatore. Comparve quello che fino a due secondi prima era oggetto del loro beccare e strappare: un cadavere indubbiamente umano sdraiato sulla pancia spolpato per la maggior parte. Parecchie ossa erano scoperte e in determinate zone la necrosi era già avanzata. Gold si prese un attimo, mentre Green ebbe un sussulto. I due si avvicinarono per studiare il corpo, osservarono la nuca scorticata su cui forse una volta erano spuntati dei capelli, la schiena piena di buchi dalla quale puntavano scapole e spina dorsale, le cosce che avevano offerto la maggior quantità di carne agli spazzini.
‒ Che cosa orribile… ‒ commentò Green.
Ma il peggio doveva ancora venire agli occhi di entrambi. Solo dopo alcuni minuti di contemplazione notarono che, strette attorno alle caviglie e ai polsi del cadavere, c’erano dei fitti nastri di ragnatela che lo ancoravano al terreno.
‒ Significa… ‒ Gold digrignava i denti. ‒ che lui era ancora vivo quando gli uccelli hanno iniziato a cibarsi…
‒ Cominciando dalla schiena, la sua agonia è stata prolungata all’inverosimile.
‒ Giriamolo ‒ suggerì ad un certo punto il ragazzo di Johto.
‒ Cosa?
‒ Giriamolo, voglio vederlo in volto ‒ ripeté.
Green non poteva immaginare di doverlo fare davvero. Ma si convinse. Charizard, facendo attenzione a non dare fuoco al corpo, bruciò le ragnatele che lo tenevano prono. Gold lo ribaltò e, nel farlo, il braccio destro del corpo rimase a terra, troncandosi all’altezza della spalla. Ai due apparve l’altro lato della medaglia. Un torace intatto, un bacino privo di qualsiasi graffio, un volto pallido e su cui il dolore aveva scavato un’espressione orribile, ma ancora perfettamente integro.
‒ Oh Cristo… ‒ esclamò Green.
‒ L’hai riconosciuto?
Silenzio. E un cenno di assenso.
Si trattava di Murdoch, il Superquattro di Holon che, su ordine di Zero, avrebbe scatenato Rayquaza contro Vivalet.
 
‒ Parla Red ‒ rispose con voce seria il Campione di Kanto.
‒ Abbiamo un qualcosa che dovreste assolutamente vedere ‒ disse Green.
‒ Lì a Hoenn?
‒ Qui a Hoenn.
Tutti i Dexholder e Rocco fissavano Red, che aveva ricevuto una chiamata nel bel mezzo della loro conversazione. Lo videro alzare le sopracciglia, aggrottarle, impallidire, appoggiarsi allo schienale della sedia come se potesse avere un mancamento da un momento all’altro.
‒ Va bene, grazie, riferisco anche agli altri, ottimo lavoro ‒ riagganciò balbettando.
Tenne gli occhi fissi nel vuoto, Red, mentre riferiva a tutti i presenti ciò che Green e Gold avessero trovato sulla cima della Torre Dei Cieli.
‒ Morto… ‒ mormorò Rocco. ‒ Non può essere una coincidenza, sono sicuro che è stato lui a controllare Rayquaza… perché mai qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo in modo tanto brutale?
‒ Non ne ho idea, siamo sicuri che sia stato un delitto efferato e non una sorta di suicidio o sacrificio rituale? ‒ suggerì Platinum, stupendo tutti.
‒ Magari lo sforzo cui è stato costretto per tenere Rayquaza sotto la propria volontà lo ha ucciso ‒ tentò Silver.
‒ Ragazzi ‒ intervenne Green, che era ancora in linea, in vivavoce dall’apparecchio di Red. ‒ era legato al terreno e sul volto aveva ancora l’espressione del dolore, questa non può essere altro che un esecuzione.
Ognuno tacque.
‒ Rimane solo… il motivo per cui questo Murdoch avrebbe meritato una morte tanto atroce ‒ riprese Sapphire.
‒ Forse proprio perché è stato lui a causare quel disastro? Non diamo per scontato di avere dalla nostra parte solo gente per bene… ‒ intervenne Crystal, attirando ogni sguardo su di sé. ‒ Magari qualcuno ha ben pensato di amministrare la propria giustizia e vendicare le centinaia di morti ‒ proseguì.
La sua voce, che era diventata molto simile ad un sibilo dal momento della morte di Emerald, suonò tagliente e gelida.
‒ Dando per scontato che, su ordine di Zero, sia lui il vero colpevole del risveglio di Rayquaza ‒ ripartì Green. ‒ chi poteva essere a conoscenza di questo fatto?
‒ Io, e vi posso assicurare che non farei mai una roba del genere ‒ disse Rocco. ‒ E Zero stesso ‒ l’uomo riversò il peso del corpo all’indietro con tutta l’aria di volerli lasciar ragionare, senza intervenire per un po’.
‒ Aspetta, Kalut? ‒ tentò Sapphire. ‒ Hai detto di aver ricevuto da lui la soffiata, è il tipo capace di perpetrare simili azioni? ‒ domandò.
‒ Non lo so, ma non penso…
‒ Inseriamolo in lista sospettati, per ora ‒ suggerì Red, cominciando poi a spiegare a Green chi fosse costui.
‒ Anche Ruby conosceva i piani di Murdoch ‒ sibilò Silver, tenendo gli occhi fissi su Crystal. ‒ E lui era l’unico ad essere già salito sulla Torre e a conoscerla a fondo.
Tutto tacque, il brusio che si era levato si dileguò nell’etere. Un brivido di sospetto gelò la schiena di ognuno.
   
 
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