Capitolo
5:
Turntablism pt. 1
Sapphire
non
poté evitare di rendersi il pranzo tre volte più amaro. Crystal era
stata
cattivissima nei confronti di Ruby, e probabilmente la sua parte
razionale le
dava ragione. Tuttavia, il ragazzo che era la causa della situazione in
cui
Hoenn annaspava aveva fatto in tempo ad impiantare nella sua testa un
grosso
dubbio. Aveva detto di doverlo fare per forza, aveva detto che era
l’unico modo
per tenere vivi tutti loro. Quanto di ciò che le era stato riferito era
vero?
Non
poteva
saperlo, o comunque non lo avrebbe mai scoperto facilmente. Eppure,
aveva la fievole impressione che un colloquio con Rocco l’avrebbe
aiutata a
comprendere qualcosa in più anche a proposito di Ruby e di ciò che era
accaduto
a Hoenn negli ultimi due anni. Non parlava con Rocco da parecchi mesi,
vuoi per
il suo recente trasferimento a Holon e vuoi per il fatto che Sapphire,
negli
ultimi tempi, era stata in movimento perpetuo tra le regioni. Aveva
visto città
costruite nella roccia, grotte scintillanti, montagne giganti e
innevate,
foreste intricate e selvagge. Pochi avrebbero creduto al fatto che la
risposta
a ogni suo malessere potesse averla una persona che lei conosceva fin
dalla
tenera età.
Certo,
persino
il sole poteva essere un’incognita, a quel punto. Eppure Sapphire si
sentiva bene a sperare.
La
ragazza
infilò il vassoio del self service nel carrello delle stoviglie
sporche. Abbandonò in fretta la mensa e tornò nella sua camera
all’ultimo piano.
La sua valigia era stata ricomposta quella mattina stessa e vegliava su
quella
stanza dall’alto del letto sfatto su cui era stata lasciata. Sapphire
voleva
andarsene al più presto, lasciare quel luogo e rivedere qualche faccia
amica.
Tuttavia sapeva bene che non avrebbe trovato i vecchi sorrisi su quelle
facce,
non avrebbe trovato serenità o gioia. E la cosa la spaventava. Dentro.
Fuori
era invece decisa e determinata.
Cinque
minuti
dopo, era nell’atrio dell’hotel. Era una bella giornata, torrida come le
precedenti, anche se il fumo e la polvere offuscavano un po’ il sole.
Tutti i
membri della squadra di Dexholder si presentarono in orario. C’era
l’inseparabile coppia Red-Yellow, la delicata Platinum, Crystal che non
si fece
alcun problema a non salutarla e Silver, serio e ombratile come al
solito.
Tutti pagarono il conto dell’hotel e lasciarono le chiavi delle stanze
alla
reception.
‒
Ci siamo tutti? ‒ furono le prime parole del rosso.
‒
Possiamo andare ‒ gli rispose Sapphire.
La
comitiva
partì alla volta di Altelia, città poco lontana da Vivalet, anch’essa
affacciata sulla costa. Sarebbero giunti lì in pullman che era, in quel
momento, il mezzo di trasporto pubblico più sicuro e meno affollato.
Stazioni,
porti e aeroporti pullulavano infatti di turisti nervosi e viaggiatori
stralunati.
Avrebbero impiegato più o meno due ore.
Nel
silenzio
generale, il gruppo si raccolse in corrispondenza di una fermata,
attese alcuni minuti per poi salire sull’extraurbano indirizzato verso
la loro
meta. Stranamente nessuno aveva seguito i loro movimenti all’uscita
dall’hotel,
persino i reporter e i giornalisti avevano iniziato a demordere, spinti
dalla
voglia di fuggire o dal bisogno di raccogliere servizi a proposito di
altre
novità in giro per la metropoli. Invece, quasi tutto il bus sgranò gli
occhi al
loro cospetto. Non uno, non due ma ben sei Dexholder tutti insieme.
Gente famosa,
gente importante. Un ragazzino seduto dietro al sedile che Silver decise
di
occupare aveva una luce talmente intensa negli occhi da far spavento.
Chiese
timidamente un autografo all’Allenatore dai capelli rossi mentre il
fratello
adolescente bolliva dall’imbarazzo. Il Dexholder di Johto abbozzò
un’espressione felice e scrisse il suo nome sul cinturino del PokéNet,
proprio
come il suo fan aveva chiesto. Non era di certo il primo autografo che
Silver
avesse mai concesso. Ma sicuramente il più strano. Tutto sommato era
felice di
vedere che la gente aveva ancora voglia di sorridere per esser riuscita
a
parlare con i propri idoli, anche dopo tutto ciò che era successo, anche
dopo
tutto il dolore. Cercò comunque di non farsi vedere dai suoi amici
mentre
passava la mano tra i capelli del ragazzino. Per Yellow il viaggio
scorse
tranquillo, tutto all’infuori di lei sembrava essersi inclinato di
quarantacinque
gradi: come ogni ragazza, trovava che la spalla del suo uomo fosse il
posto più
comodo su cui poggiare la testa. Red fissava invece l’asfalto che
scompariva
metro dopo metro sotto il loro mezzo di trasporto. Era inerte,
silenzioso. Cosa
assolutamente insolita per un Red. Crystal tenne tutto il tempo le
pupille
puntate sull’orizzonte: il mare a est dell’isola di Holon. Chiaro,
illuminato
dal sole che da lui si allontanava progressivamente. I riflessi della
luce
sull’acqua danzavano con le onde: loro non avevano paura di Rayquaza,
loro non
sentivano alcuna molletta stretta alle coronarie che impedisse al flusso
sanguigno di portare via il ricordo di Emerald. Scoprì presto che
fissare il
mare era l’unico modo per non strangolare il sedile che aveva davanti.
Platinum
era invece seduta accanto a Sapphire. La signorina Berlitz stava
sommariamente
raccontando alla sua ultima amica la storia vissuta a Sinnoh con gli
altri due
Dexholder locali, suoi amici. Pearl e Diamond, si chiamavano.
‒
Ah, sì, ho letto qualcosa su di loro da uno degli schedari di mio padre…
‒
Sapphire sembrava alla ricerca di qualcosa all’interno della sua
memoria.
‒
Strano, da quello che mi ha detto il Professor Rowan, raramente
condivide i
suoi dati e le sue ricerche con gli altri esperti regionali ‒ commentò
Platinum.
Sapphire
aveva
sprazzi e immagini di quelle poche righe che aveva appena avuto il tempo
di leggere molti mesi prima. Forse aveva fatto scorrere gli occhi su un
file
rimasto aperto sul monitor del genitore, forse aveva inavvertitamente
preso una
di quelle schede al posto di un foglio di suo personale interesse.
Ricordava
qualcosa a proposito di un idea, qualcosa come un progetto: “Arbor
Vitae”, le
pareva si chiamasse.
‒
Nah, tabula rasa ‒ si arrese. ‒ Che dicevi su di loro?
E
Platinum proseguì la narrazione della sua epopea. Le parlò della sua
regione,
depositaria delle più antiche leggende riguardanti Pokémon che
controllano
tempo, spazio, caos e ordine, le parlò dei laghi e di come questi
fossero la
dimora di spiriti puri che si narra avessero dato all’uomo la volontà,
la
sapienza e le emozioni. Sapphire aveva già sentito tutte queste cose,
durante
il suo rapido soggiorno a Sinnoh. Aveva impiegato quasi due mesi per
rastrellare ogni medaglia di quella regione. Ma lo aveva fatto col cuore
appesantito e la mente dispersa e impegnata a pensare ad altro. Scoprire
queste
cose da Platinum fu per lei agrodolce.
“Volontà,
conoscenza,
emozioni…” stava pensando qualche momento dopo il termine di questa
sua conversazione. Accanto a lei c’era ancora Platinum che, accompagnata
dalla
sua solita grazia, si era addormentata rannicchiata sul suo sedile.
“Volontà:
parlare
con lui, ora, subito… conoscenza: ben poco, ma abbastanza da dargli una
sola possibilità per spiegarmi tutto... emozioni: meglio lasciar
perdere…”
ormai non lo negava neanche più a se stessa. Non ne aveva più voglia.
La
corriera
corse traballando fino alle porte di Altelia. L’insegna che portava il
nome della città spuntava a lato della strada principale e sembrava
fatta di legno
perfettamente imbiancato. Sapphire ebbe appena il tempo di studiarla,
prima di
rendersi conto di esser stata catapultata in un altro periodo storico.
Strabuzzò gli occhi. Veniva da Vivalet, coi suoi edifici di vetro e le
sue
forme geometriche ma irregolari, ma si ritrovò immersa in una sorta di
paese
portuale mediterraneo appena uscito dal diciannovesimo secolo. Le strade
di
Altelia erano in mattoncini grigiastri e squadrati, le case sembravano
sorgervi
spontaneamente: il complesso urbano sembrava esser stato costruito tutto
nello
stesso momento, da alcune facciate dei palazzi che mai oltrepassavano i
tre
piani spuntavano morbidi reticoli di rampicanti e le viottole, tutte
poste ad
un’altezza differente a causa della natura irregolare del borgo, erano
striate
dalle ombre degli edifici che lentamente diventavano sempre più lunghe,
avvicinandosi sempre più alla riva del mare.
‒
Holon, signori… ‒ commentò qualcuno tra i Dexholder.
La
regione
non finiva mai di stupirli, per attirare il turismo di ogni tipologia,
era stata costruita da zero e mediava elementi provenienti da ogni dove,
nel
mondo. Tutto artificiale, tutto finto: boutique, negozi e luoghi di
ristoro,
era ciò che si trovava in quegli edifici, mai abitazioni familiari. E
forse era
proprio questo il suo fascino.
‒
Capisco perché Rocco abbia scelto di trasferirsi in questa città ‒
commentò
Sapphire, ammirando la piattissima distesa del mare che ricordava tanto
l’oceano a est di Hoenn del quale si aveva una vista mozzafiato dalla
sede
della Lega. “O necessita di questa vista per ricordarsi ogni giorno
della
sconfitta, o vuole solamente rimanere legato alla sua regione natale,
come se
temesse di dimenticarla” pensava la ragazza.
‒
Ragazzi ‒ Silver aveva con se una cartina, gentilmente dotata dal
simpatico
conducente.
In
un
quartiere poco più a sud, sorgeva un edificio costruito in pietra. La
targa
sulla statua alla sinistra della porta recava l’incisione:
“Palestra
di
Altelia
Capopalestra:
Rocco
Petri
Medaglia:
Tempra”
Accanto,
il
romboidale emblema della regione di Holon, la Poké Ball dalla forma
dell’isola. Nell’edificio, specificatamente nella sua stanza, il suo
ufficio
personale, sedeva un uomo dai capelli celesti e la carnagione pallida.
Aveva
una sottile camicia bianca di lino che si insinuava negli stretti
pantaloni
viola, un tempo parte di un vestito più elegante. Alle dita molteplici
anelli,
quasi tutti semplici cerchi metallici e neutri, senza pietre o
iscrizioni.
Rocco era solito giocare con quello dell’indice destro, quando era
nervoso. E
da qualche giorno, l’anello non conosceva pace. L’uomo afferrò il
bicchierino
di liquore che era sulla scrivania e lo mandò giù tutto d’un sorso. Un
calore
gli pervase le viscere, a partire dalla gola e dallo stomaco. Sbloccò il
cellulare e inviò due messaggi ad un contatto il cui avatar era una
bella donna
bionda in bikini che si faceva il bagno nelle acque di Spiraria, a
Unima. Si
alzò in piedi, sistemò il colletto della camicia e si avviò verso
l’atrio
ancora prima che un campanello squillasse, acre e robotico, nell’aria
silenziosa della palestra.
Dietro
la
porta trovò sei ragazzi, tutti diversi, tutti uguali. Riconobbe quella
che
avrebbe dovuto salutare per prima, quella che ricordava meno peggio.
Aveva gli
occhi celesti come lo zaffiro orientale e i capelli castani raccolti in
una
coda. Fece i convenevoli nei confronti degli altri e chiese educatamente
qual
buon vento portasse quella schiera di ragazzi.
‒
Non proprio “buon” vento ‒ rettificò Sapphire, che sembrava quella più
indicata
per parlare con un ex Campione di Hoenn.
‒
Già, ho visto tutto il caos degli ultimi avvenimenti ‒ Rocco fece loro
cenno di
entrare e sistemarsi, li fece sedere tutti nell’ufficio. La stanza era
spaziosa
e le veneziane permettevano un’illuminazione fresca ma diffusa, di sedie
ce
n’erano già abbastanza. ‒ Abbiamo raccolto quasi mille anime in preda al
terrore, la città ha conosciuto tanta gente nuova.
‒
Siamo qui per farti alcune domande ‒ spiegò Sapphire.
‒
Tutte quelle che volete, e io che mi aspettavo che prima o poi qualcuno
sarebbe
entrato per la medaglia ‒ sorrise, ironico.
‒
Sì tratta di Ruby.
Rocco
era
stato avvertito da una sua collega che sei ragazzi particolarmente
telegenici erano diretti verso la sua città e che una di loro lo
conosceva
bene. L’uomo aveva ipotizzato cosa mai potesse chiedergli una ragazza
come
Sapphire, ma la soluzione non gli era piaciuta, per questo si mostrò
sorpreso
nel sentir nominare il nome del ragazzo, attuale Campione di Hoenn e suo
successore.
Tutti
aspettavano
con ansia una sua reazione che non fosse il silenzio. Lui valutava
se offrire da bere o no. Decise di sì.
E
mentre ognuno degli ospiti sorseggiava un liquame diverso dal proprio
bicchiere, Rocco pensava a cosa potessero cercare di tanto importante
oltre
quella piccola pallina che era nella sua testa e che rimbalzava da mesi
sulla
sua ghiandola del buon senso, causandogli un fastidio ossessivo e
costante.
‒
Ruby sapeva dell’attacco di Rayquaza, prima che questo si facesse vivo ‒
argomentò
Sapphire.
‒
E vi ha detto che la soffiata è arrivata da me ‒ continuò la frase
Rocco.
‒
L’ho dedotto.
Rocco
annuì,
comprendendo che Sapphire stava facendo riferimento a qualcosa di cui
avrebbe voluto parlare in privato. ‒ Insomma, mi è arrivata una voce e
ho
riferito a Ruby quello che avevo sentito…
‒
Rocco, per favore ‒ Sapphire lo guardò negli occhi. ‒ Ho bisogno di
informazioni precise, quello che è successo non può essere ignorato.
L’uomo
indugiò
per alcuni istanti. Dodici occhi puntati su di lui, ogni coppia
curiosamente colorata corrispondentemente al nome del suo possessore.
Sapeva
che di lì a poco avrebbe fatto la cosa giusta e avrebbe parlato. E si
stava
odiando per questo.
‒
Zero è folle, Campione responsabile e serio, grande genio del leading e
della
lotta Pokémon, ma ha una mente che sembra dover esplodere da un momento
all’altro. Sono stato allertato da una persona che è stata capace di
bloccare i
suoi progetti di distruzione fino ad un certo punto, ma non è stata in
grado di
fermarlo quando ha pensato di scatenare Rayquaza. A quel punto ha deciso
di dirlo
a me, perché io avvertissi Ruby ‒ spiegò sommariamente.
Ai
Dexholder
sembrava uno spiraglio di sipario aperto.
‒
Il nome di questa persona, Rocco ‒ non era una domanda, quella di
Sapphire.
‒
Kalut, una delle persone più vicine a Zero, forse una delle poche menti
che
riesca a comprendere la sua follia.
‒
Che strano nome ‒ osservò Platinum.
‒
Hai detto che ha impedito più volte a Zero di uccidere ‒ proseguì
Sapphire.
‒
Quella è la sua missione.
‒
Obbedisce agli ordini di qualcuno? ‒ Sapphire sembrava capire l’antifona
della
situazione.
Rocco
sorrise
nostalgicamente. ‒ Kalut non obbedisce agli ordini di nessuno, ma sta
prestando la sue capacità a servizio della giustizia.
Tutti
i
Dexholder si guardarono titubanti, avevano ricevuto parecchie
informazioni in
poco tempo, i loro cervelli continuavano a rielaborare. Solo Sapphire
teneva
gli occhi gelidamente puntati su Rocco: aspettava che il discorso
tornasse a
toccare Ruby. Ma Rocco lo aveva capito, e non voleva parlare davanti a
tutti.
‒
È tutto… ‒ scrollò le spalle il Capopalestra.
Centinaia
di
chilometri più a sud ovest, a Ciclamipoli batteva forte il sole. Sarebbe
stato possibile cuocere una bistecca sulla rovente pista di atterraggio
del
Boeing targato Hoenn Airways che aveva trasportato Green e Gold. I due
erano
stati sbalzati di un fuso orario, il che voleva dire che si trovavano
un’ora
indietro rispetto ai loro amici che ancora si trovavano a Holon. Due
volte
avevano letto sull’orologio “ora
di
pranzo” e due volte Gold aveva pranzato. La prima volta in aereo,
con uno
dei buonissimi e convenientissimi pasti di linea, la seconda
all’aeroporto, con
una focaccia gigante, altrettanto salata. Green si era chiesto quanti
dannati
stomaci avesse.
‒
Quindi direzione Torre dei Cieli?
‒
Esattamente.
I
due spiccarono il volo non appena furono fuori dall’aeroporto, Gold su
Togekiss
e Green su Charizard.
E
in poco tempo scorsero in lontananza un’ombra lunga e sottile che
sembrava
congiungere la terra con le nuvole. Di tutti i diversi popoli che
avevano
camminato sulle terre e navigato sulle acque di Hoenn, Braille, Alfa e
Draconidi, il monumento poteva esser stato eretto in qualsiasi momento
della
storia.
‒
Eccola là! ‒ esclamò Gold perché Green lo sentisse nonostante il
frastuono
causato dallo sferzare dell’aria sui loro corpi che volavano a velocità
elevatissime.
‒
Quanti piani sono?
Cinquanta,
sapeva
bene Gold, ma era anche informato circa il brutto avvenimento che ne
aveva mozzato la cima. Sta di fatto che non conosceva il numero preciso.
‒
Tanti ‒ rispose.
Il
Capopalestra
di Smeraldopoli e il Dexholder di Johto giunsero insieme
all’isolotto su cui la torre si erigeva. L’architettura era maestosa,
costruita
in una pietra calcarea di colore giallognolo, a pianta triangolare ed
elevata
oltre la linea visibile. Con i piedi sulla sabbia dell’isolotto, i due
Allenatori si sentivano estremamente piccoli.
‒
Era la dimora di Rayquaza, e il Pokémon è stato svegliato qui ben due
volte,
dal team di ricercatori finanziato dai Berlitz, undici anni fa, e dal
Lino che
era accompagnato dal padre di Ruby, sei anni fa. In corrispondenza
dell’evento
del meteorite che rischiava di distruggere la terra, due anni fa,
Rayquaza si è
invece destato da solo, pare che abbia distrutto lui i piani più alti.
Se è
tornato a riposare prima dell’attacco a Vivalet, sicuramente lo ha fatto
qui e
quindi colui che lo ha svegliato con la Gemma Verde, deve averlo fatto
all’ultimo piano di questa torre.
Green
rimase
sorpreso. ‒ Hai studiato, Gold ‒ ironizzò.
‒
Ultimo piano, ti si tapperanno le orecchie e sarà difficile respirare ‒
concluse lui tornando in groppa al suo Pokémon volante.
Green
lo
imitò e dopo una vertiginosa salita i due tornarono a poggiare i piedi
sulla
diroccata cima della torre. Avevano patito un gelo infernale e più di
una volta
avevano rischiato di cadere, comprendendo la ragione per cui tutti la
scalavano
a piedi, quella costruzione, o alla peggio la attraversavano in volo
passando
per l’interno. Green non mancò di far notare a Gold la stupidità della
loro
ultima azione. Ma si interruppe quasi subito. I due tremavano ancora per
la
temperatura artica e per le sferzanti correnti che si sfogavano a
quell’altitudine, quando una bruttissima immagine attirò i loro sguardi.
Una
capanna
formata da alcuni pennuti bianchi e neri si agitava caoticamente in un
angolo. Erano dei Mandibuzz, Pokémon saprofagi.
‒
Stanno mangiando ‒ affermò Green con sicurezza.
‒
Ora c’è da capire che cosa ‒ proseguì Gold.
E
presto la risposta apparve chiara quanto prevedibile. I Dexholder
mossero
alcuni passi verso il banchetto e in un istante gli uccellacci
svolazzarono
via, come dinnanzi alla presenza di un predatore. Comparve quello che
fino a
due secondi prima era oggetto del loro beccare e strappare: un cadavere
indubbiamente umano sdraiato sulla pancia spolpato per la maggior parte.
Parecchie ossa erano scoperte e in determinate zone la necrosi era già
avanzata. Gold si prese un attimo, mentre Green ebbe un sussulto. I due
si
avvicinarono per studiare il corpo, osservarono la nuca scorticata su
cui forse
una volta erano spuntati dei capelli, la schiena piena di buchi dalla
quale
puntavano scapole e spina dorsale, le cosce che avevano offerto la
maggior
quantità di carne agli spazzini.
‒
Che cosa orribile… ‒ commentò Green.
Ma
il
peggio doveva ancora venire agli occhi di entrambi. Solo dopo alcuni
minuti
di contemplazione notarono che, strette attorno alle caviglie e ai polsi
del
cadavere, c’erano dei fitti nastri di ragnatela che lo ancoravano al
terreno.
‒
Significa… ‒ Gold digrignava i denti. ‒ che lui era ancora vivo quando
gli
uccelli hanno iniziato a cibarsi…
‒
Cominciando dalla schiena, la sua agonia è stata prolungata
all’inverosimile.
‒
Giriamolo ‒ suggerì ad un certo punto il ragazzo di Johto.
‒
Cosa?
‒
Giriamolo, voglio vederlo in volto ‒ ripeté.
Green
non
poteva immaginare di doverlo fare davvero. Ma si convinse. Charizard,
facendo attenzione a non dare fuoco al corpo, bruciò le ragnatele che lo
tenevano prono. Gold lo ribaltò e, nel farlo, il braccio destro del
corpo
rimase a terra, troncandosi all’altezza della spalla. Ai due apparve
l’altro
lato della medaglia. Un torace intatto, un bacino privo di qualsiasi
graffio,
un volto pallido e su cui il dolore aveva scavato un’espressione
orribile, ma
ancora perfettamente integro.
‒
Oh Cristo… ‒ esclamò Green.
‒
L’hai riconosciuto?
Silenzio.
E
un cenno di assenso.
Si
trattava
di Murdoch, il Superquattro di Holon che, su ordine di Zero, avrebbe
scatenato Rayquaza contro Vivalet.
‒
Parla Red ‒ rispose con voce seria il Campione di Kanto.
‒
Abbiamo un qualcosa che dovreste assolutamente vedere ‒ disse Green.
‒
Lì a Hoenn?
‒
Qui a Hoenn.
Tutti
i
Dexholder e Rocco fissavano Red, che aveva ricevuto una chiamata nel bel
mezzo della loro conversazione. Lo videro alzare le sopracciglia,
aggrottarle,
impallidire, appoggiarsi allo schienale della sedia come se potesse
avere un
mancamento da un momento all’altro.
‒
Va bene, grazie, riferisco anche agli altri, ottimo lavoro ‒ riagganciò
balbettando.
Tenne
gli
occhi fissi nel vuoto, Red, mentre riferiva a tutti i presenti ciò che
Green e Gold avessero trovato sulla cima della Torre Dei Cieli.
‒
Morto… ‒ mormorò Rocco. ‒ Non può essere una coincidenza, sono sicuro
che è
stato lui a controllare Rayquaza… perché mai qualcuno avrebbe dovuto
ucciderlo
in modo tanto brutale?
‒
Non ne ho idea, siamo sicuri che sia stato un delitto efferato e non una
sorta
di suicidio o sacrificio rituale? ‒ suggerì Platinum, stupendo tutti.
‒
Magari lo sforzo cui è stato costretto per tenere Rayquaza sotto la
propria
volontà lo ha ucciso ‒ tentò Silver.
‒
Ragazzi ‒ intervenne Green, che era ancora in linea, in vivavoce
dall’apparecchio
di Red. ‒ era legato al terreno e sul volto aveva ancora l’espressione
del
dolore, questa non può essere altro che un esecuzione.
Ognuno
tacque.
‒
Rimane solo… il motivo per cui questo Murdoch avrebbe meritato una morte
tanto
atroce ‒ riprese Sapphire.
‒
Forse proprio perché è stato lui a causare quel disastro? Non diamo per
scontato di avere dalla nostra parte solo gente per bene… ‒ intervenne
Crystal,
attirando ogni sguardo su di sé. ‒ Magari qualcuno ha ben pensato di
amministrare la propria giustizia e vendicare le centinaia di morti ‒
proseguì.
La
sua
voce, che era diventata molto simile ad un sibilo dal momento della
morte
di Emerald, suonò tagliente e gelida.
‒
Dando per scontato che, su ordine di Zero, sia lui il vero colpevole del
risveglio
di Rayquaza ‒ ripartì Green. ‒ chi poteva essere a conoscenza di questo
fatto?
‒
Io, e vi posso assicurare che non farei mai una roba del genere ‒ disse
Rocco.
‒ E Zero stesso ‒ l’uomo riversò il peso del corpo all’indietro con
tutta
l’aria di volerli lasciar ragionare, senza intervenire per un po’.
‒
Aspetta, Kalut? ‒ tentò Sapphire. ‒ Hai detto di aver ricevuto da lui la
soffiata, è il tipo capace di perpetrare simili azioni? ‒ domandò.
‒
Non lo so, ma non penso…
‒
Inseriamolo in lista sospettati, per ora ‒ suggerì Red, cominciando poi
a
spiegare a Green chi fosse costui.
‒
Anche Ruby conosceva i piani di Murdoch ‒ sibilò Silver, tenendo gli
occhi
fissi su Crystal. ‒ E lui era l’unico ad essere già salito sulla Torre e
a
conoscerla a fondo.
Tutto
tacque,
il brusio che si era levato si dileguò nell’etere. Un brivido di
sospetto gelò la schiena di ognuno.