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Autore: happley    17/02/2017    1 recensioni
Marco/Gianluca, future what if - slice of life.
Vorrebbe prendere la mano di Marco, che al contrario è sempre calda; potrebbe farlo, anche se imbarazzante, perché non c’è nessuno in giro, nessuno li guarderebbe strano o li indicherebbe. Ma, per una volta, non è per questo che Gianluca si trattiene.
Nonostante sia stata una sua idea venire lì a guardare il mare, che oggi è increspato, tormentato, e sicuramente gelido, Marco sembra essere con la testa da tutt’altra parte.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gianluca Zanardi, Marco Maseratti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa fanfic è una what if? futura, ambientata dopo le tre serie originali; l'ho scritta basandomi su alcuni miei headcanon che avevano fatto la loro comparsa già in un'altra fic, E balliamo a piedi nudi... (che ho scritto e postato quasi tre anni fa). Per questo motivo, mi sembra doveroso darvi alcune note di riferimento per l'ambientazione di questa fic: 1) Marco e Gianluca sono studenti universitari al primo anno; 2) stanno insieme come coppia da un anno e si sono trasferiti a vivere a Roma a settembre (mentre la fic è ambientata tra novembre e dicembre); 3) Marco frequenta l'Accademia di Belle Arti, Gianluca studia Medicina; 4) la madre di Marco è napoletana e i suoi genitori vivono a Napoli; 5) Gianluca è nato il sedici novembre.


Gusci di conchiglie e paguri bernardi
 
 
 Quella su cui stanno camminando è una spiaggia del napoletano, un lido balneare che, a inizio dicembre, è deserto e vuoto, al punto che è quasi difficile immaginarselo brulicante di persone. Qualche attimo prima, una famiglia con un cane e qualche bambino è passata correndo, un paio di metri più in là, ma adesso a parte loro non c’è nessuno. A Gianluca, francamente, non dispiace questa solitudine.
 
Scendere a Napoli per le vacanze di Natale è stata un’idea di Marco, o meglio è probabilmente tutto un complotto del ramo materno della sua famiglia. E infatti, appena arrivati a casa dei nonni di Marco, Gianluca ha scoperto che, verso il venticinque, l’intera famiglia Maseratti dovrebbe raggiungerli là. Non è una gran sorpresa, né un dispiacere; i Maseratti sono il tipo di famiglia a cui piace cenare insieme nonostante siano tutti sommersi di impegni e non lascerebbero mai passare un’occasione di riunire l’intera famiglia per le feste. Specialmente non da quando Marco si è trasferito a Roma. A volte Gianluca si sente come se lo avesse ‘rubato’ alla sua famiglia, poi per fortuna si rende conto che è solo paranoia – la verità è che i Maseratti hanno adottato anche lui. Al tavolo dei nonni, a Natale, un posto spetta anche a lui. È una certezza rassicurante, come svegliarsi al mattino e trovare Marco già in piedi che gira per casa mezzo addormentato, come sapere che il compagno ritornerà in vita solo dopo aver fatto fuori l’intera macchinetta del caffè.
 
Camminare su una spiaggia da soli è una bella sensazione. Forse Gianluca sarebbe capace di godersela di più, se non facesse così freddo – tira un vento gelido, che smuove in modo quasi ipnotico i riccioli di Marco, gettandoglieli davanti agli occhi, sulle guance. I suoi capelli sono cresciuti ancora negli ultimi mesi, ma a lui non sembrano dare fastidio, non pare intenzionato a tagliarli. Gli danno un’aria selvaggia, un po’ come la criniera di un leone. Affondare le dita e tirarli è estremamente piacevole – ma questo pensiero porta con sé ricordi della notte precedente per cui Gianluca arrossirebbe troppo.
Affonda perciò il viso nella sciarpa annodata per bene attorno al collo, rimboccata nello spazio a v lasciato dalla zip della giacca a vento, che non si lascia mai tirare fin sopra. Le sue mani sono fredde come la morte, maledetta circolazione periferica bassa. Vorrebbe prendere la mano di Marco, che al contrario è sempre calda; potrebbe farlo, anche se  imbarazzante, perché non c’è nessuno in giro, nessuno li guarderebbe strano o li indicherebbe. Ma, per una volta, non è per questo che Gianluca si trattiene.
Nonostante sia stata una sua idea venire lì a guardare il mare, che oggi è increspato, tormentato, e sicuramente gelido, Marco sembra essere con la testa da tutt’altra parte.
Ecco, in questi giorni, Marco è insolitamente pensieroso... In un modo tutto suo, naturalmente, oscillando tra momenti di silenzio assoluto e scoppi di rumore assordante.
 
È cominciata così, a Roma, un venerdì mattina di fine Novembre:
Rientrando a casa, Gianluca capisce subito che qualcosa non va. Il loro appartamento al terzo piano è invaso dalla musica delle casse sparata a tutto volume, al punto che nemmeno si capisce che canzone sia. Ma probabilmente non ha importanza; a volte Marco ha semplicemente bisogno di non sentire i propri pensieri.
Gianluca chiude la porta di casa dietro di sé e rimane immobile per qualche momento, indeciso su come agire. Per un momento, la preoccupazione di cosa direbbero i vicini occupa i suoi pensieri; mentre litiga con la zip rotta della felpa, però, gli torna in mente quella notte in cui la signora del piano di sopra ha deciso di rivedere l'intera collezione di dvd di ‘Sentieri’, tenendo la tv ad un volume così alto che la sigla della fiction ha letteralmente aggredito i loro timpani fino alle tre del mattino. Se venisse della musica di Marco, potrebbero rinfacciarle quell'episodio, quindi non importa.
Vagamente rassicurato, ma ancora turbato dal sospetto che ci sia qualcosa che non vada, Gianluca lascia perdere la zip e va a cercare Marco seguendo la musica.
Lo trova chiuso nella propria camera – sta saltando sul posto, apparentemente ballando con foga, scuotendo i folti riccioli rossi. Prevedibilmente, non si accorge di lui, non lo sente entrare. Gianluca non lo chiama, ma preferisce piuttosto restare sulla porta ad aspettare che Marco si volti, cosa che puntualmente accade pochi minuti dopo: Marco fa una sorta piroetta, i loro occhi si incrociano.
Gianluca solleva le sopracciglia in un'implicita domanda, Marco risponde mutamente, sillabando con le labbra: "È un'emergenza", il che francamente non chiarisce nulla.
La parola emergenza per Marco ha una vasta accezione, spazia dall'assenza di Gocciole nel mobile ad un progetto che non riesce a finire, dal colore che non si mischia e addensa come vuole ad una scucitura nella sua felpa preferita. E, a volte, c'entrano i sentimenti. Questa è la cosa più difficile da risolvere, perché non si può mica andare al supermercato e chiedere un pacco di felicità (puoi chiedere solo le Gocciole, che comunque ci si avvicinano, ma non è proprio la stessa cosa).
Marco si lamenta sempre delle cose insignificanti, quasi in modo giocoso (soprattutto se irritano Gianluca), ma dei problemi seri non parla. E, considerando che Gianluca non è bravo a offrire conforto senza imbarazzarsi mortalmente, la situazione può andare avanti per giorni o mesi.  Devono decisamente lavorare su quel punto, decide Gianluca. In questi casi, lui può solo aspettare che Marco guarisca da solo. È irritante – Gianluca odia sentirsi inutile, odia gli sprechi di tempo, odia girare attorno alle cose – ma necessario: Marco non sopporta di tenersi dentro le cose a lungo, dopo un po' le lascia scomparire o semplicemente le butta fuori per dare priorità ad altri problemi. Un po' come quando getta via l'acqua sporca dei pennelli e la sostituisce con quella pulita. E deve farlo spesso, altrimenti rischia di distrarsi e bere acquerelli; una lavanda gastrica non è in cima alla lista di priorità di nessuno dei due.  

Il problema è che, pur sapendo di poter solo aspettare, Gianluca è già stanco. La sua pazienza è agli sgoccioli. Vorrebbe prendere la mano di Marco, vorrebbe costringerlo a guardarlo negli occhi, vorrebbe fargli dire tutto ciò che gli passa per la testa; o, forse, vorrebbe soltanto prenderlo a calci, spintonarlo in acqua, affogarlo. Marco è sempre stato in grado di scatenare in lui la più vasta e contraddittoria gamma di sentimenti esistenti. Forse è perché lo ama.  Forse è per questo che non è mai riuscito a dirglielo, ti amo. Stanno insieme da un anno, tra alti e bassi, ma Gianluca non glielo ha mai detto, né si sente pronto a farlo; ha fatto già molta fatica ad arrivare fin qui, ad accettare la propria sessualità, a capire di non aver fatto una scelta. E poi, a scegliere: perché l’omosessualità non è una scelta, ma scegli con chi viverla. Come gli eterosessuali. Come tutti.
 
“Mi dispiace,” dice Marco ad un tratto. “Non sono di grande compagnia oggi ed è pure stata una mia idea, quella di venire qui. Hai freddo?”
Gianluca lo guarda. Male.
“Certo che ho freddo, che cazzo di domande sono?” borbotta, ma il suo tono irritato strappa soltanto una leggera risata a Marco, che scuote il capo e gli tende la mano. Per un momento Gianluca è tentato di rifiutare (l’idea di schiaffeggiarlo è terribilmente allettante), invece cede ed accetta, perché è un debole e ha freddo e soprattutto possono tenersi per mano, finalmente.
“Da piccolo venivo spesso qui in vacanza. Mi piaceva correre sulla spiaggia… Comunque, correre lungo i canali a Venezia è ugualmente divertente, soprattutto con un pallone da calcio. Mi manca giocare a calcio a Venezia, sai? Mi mancano i tempi della nazionale… Gli allenamenti erano terribili, dopo mi facevano malissimo le gambe, i muscoli… Ma mi manca lo stesso…”  
Marco sta parlando a vanvera: lo fa spesso, quando è nervoso. Gianluca sa benissimo cosa prova riguardo al calcio. Del resto, vale lo stesso anche per lui. L’esperienza della nazionale è stata il punto massimo, il realizzarsi di molti sogni, ma poi è finita: in seguito, entrambi hanno deciso di intraprendere una strada diversa da quella che lo sport offriva loro. In realtà, Marco non ha smesso del tutto di giocare, solo che è diventato un hobby come gli altri, un modo per passare il sabato sera con gli amici che si è fatto nella capitale; Gianluca, invece, avendo scelto di studiare Medicina, ha praticamente annientato la nozione di tempo libero e di vita sociale fino a tarda nottata.
“Mi dispiace che non giochi più,” mormora Marco.
“Anche a me. Mi manca giocare, ma non ho tempo,” replica Gianluca, tenendo lo sguardo basso sulla sabbia. La costa è coperta di gusci di conchiglie frantumate, gusci di paguro bernardo attorcigliati, pezzetti di alghe secche, cocci di bottiglie levigate, stecchetti sporchi di leccalecca e gelati, pietruzze – un’accozzaglia di oggetti viventi e non che fa un rumore scricchiolante sotto le loro scarpe.
“Mi dispiace che tu ci abbia rinunciato,” dice Marco e, prima che Gianluca possa rispondere, aggiunge: “Mi dispiace che tu abbia rinunciato a tante cose.”
Non stanno più parlando del calcio, questo è chiaro.
Gianluca alza il viso e lo fissa, accigliato. Marco ricambia con uno sguardo scuro, rassegnato e malinconico.
“Non ti hanno chiamato per farti gli auguri, vero?” chiede, e fa male che non ci sia bisogno di esplicitare il soggetto, né la vera ragione di quella domanda indubbiamente retorica. Gianluca avverte subito un sapore amaro in bocca.
 
(Il sedici novembre, ha aspettato per tutto il tempo una chiamata, o almeno un messaggio, da parte dei propri genitori.
Invano.)
 
“Gianluca, mi dispiace,” ripete Marco. Gianluca sbatte le palpebre, ritornando al presente, infastidito dagli occhi che bruciano per quel sottile velo di lacrime e dal fatto che la sua gola sia roca. Si schiarisce la voce, prima di parlare.
“No… È solo una cosa a cui devo abituarmi, immagino,” sbotta.
Stavolta è Marco ad abbassare il viso; i riccioli che gli cadono sulla fronte lo rendono ancora più stupidamente attraente agli occhi di Gianluca, che adesso sta pian piano cominciando a capire perché Marco sia stato così pensieroso nelle ultime settimane.
Ora che ci pensa, il giorno in cui l’ha trovato chiuso in camera, con la musica a tutto volume, era soltanto pochi giorni dopo il sedici.
Per questo, quando Marco cerca di lasciare la sua mano, Gianluca ci si aggrappa.
Hanno fatto tanta fatica per arrivare fin qui.
Soprattutto perché, se Gianluca ha accettato di essere fatto in un certo modo, lo stesso non si può dire dei suoi genitori. Decidere di andare a vivere con Marco a Roma è stato lo strappo definitivo, è da quattro mesi che Gianluca non li sente. Dopo il suo compleanno, ha cominciato a chiedersi se lo chiameranno mai più.
Non ha mai pensato che Marco potesse farsi la stessa domanda.
 
(Non ha mai pensato che Marco potesse credere di essere stato lui, a rubarlo alla sua famiglia.)
 
Ora come ora, anche Gianluca vorrebbe una canzone con cui riempirsi le orecchie e la bocca e la testa fino a scoppiare, così da non dover sentire più la voce dei propri pensieri; invece, su quella spiaggia regna il silenzio, accompagnato solo dal sibilo del vento e dallo scricchiolio delle conchiglie rotte. Per una volta, Gianluca decide di essere lui a rompere il silenzio.
“Io sto bene,” afferma, deciso, e regge lo sguardo di Marco quando lui alza il volto di scatto. Gli occhi verdi di Marco sono cerchiati di rosso.
“Sicuro?” chiede Marco. Gianluca passa il pollice sul dorso ruvido della sua mano, disegnando rilassanti motivi circolari.
“Mm. Forse non benissimo. È stato un duro colpo… ma avevo quasi smesso di pensarci.”
“Ah… mi dispiace di aver ritirato fuori questa cosa, allora.”
Gianluca lo guarda senza espressione.
“Se ti scusi ancora una volta, ti butto a mare.”
Marco ridacchia e si strofina il naso con il dorso della mano libera, guadagnandosi una smorfia disgustata.
“Ti prego, asciugati il naso in modo normale.”
“Non ho fazzoletti.”
Gianluca alza lo sguardo al cielo, ma fortunatamente è il tipo di persona che porta sempre con sé un pacchetto di fazzoletti, quindi rovista per un attimo nella tasca della giacca e gli ficca in mano i Tempo. Marco li prende con gratitudine, ma scuote le loro mani con un sorriso.
“Mi lasci un attimo?” chiede, ride. Gianluca arrossisce, sbuffa, gli lascia la mano e gli tira uno schiaffo sulla spalla.
Mentre Marco si soffia rumorosamente il naso, Gianluca si volta a osservare il mare. I pensieri gli si affastellano nella mente come le piccole onde che si avvicinano alla riva, accavallandosi una sull’altra, sospingendosi a vicenda, in un vibrare di schiuma.
“Il risentimento dei miei, l’astio che provano verso di noi… pensi che scompariranno mai?” domanda, la sua voce carica di rassegnazione.
Marco accartoccia il fazzoletto sporco tra le mani, se lo ficca in tasca, poi tira su col naso e segue lo sguardo di Gianluca verso l’acqua.
“Beh, sono già scomparse un sacco di cose,” commenta. “Le skittles, gli ziti lunghi, i tetrapak di cartone del latte…”
“Stai seriamente paragonando i sentimenti ai tetrapak del latte?” Gianluca si acciglia, ma Marco scoppia in una nuova risata, leggermente più allegra delle precedenti, il che è un sollievo.
“Perché no? Le cose cambiano, Gianlu,” dice in tono tranquillo, “e le persone sono quelle che cambiano di più.”
Il miracolo è avvenuto, l’acqua sporca è stata cambiata, ancora una volta.
 E Gianluca vuole prendergli di nuovo la mano, per passeggiare sulla spiaggia.



 
**C'era una volta una mela...**
In realtà, non so precisamente cosa dire e come pormi a proposito di questa fanfic. Avevo iniziato a scriverne una bozza già l'anno scorso, tuttavia non avevo mai portato a termine il progetto. Ho sempre avuto questa idea fissa in testa, di rappresentare il lato malinconico, realistico della coppia e mettere per iscritto tutti i miei headcanon. E ne ho ancora altri, che non sono riuscita ad inserire, perché la storia finisce (?) ma i problemi che devono affrontare no. Non ho l'arroganza di affermare con precisione cosa voglia dire essere gay in Italia. Ognuno ha la propria storia da raccontare. Nei miei headcanon, Gianluca è quello dei due che ha avuto maggiore difficoltà ad accettarsi. È stato un po' uno shock quando, rileggendo le mie vecchie fic sulla coppia, mi sono accorta che Gianluca ha sempre avuto questa sorta di omofobia interiorizzata, come se questa fosse stata una mia convinzione ancora prima di realizzarlo coscientemente. Probabilmente, anche se sono maturata, sono ancora molto ingenua su certi argomenti. 
Spero che sia stata una buona lettura e ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui :')

         Roby


   
  
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