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Autore: gigliofucsia    17/02/2017    0 recensioni
Ametista è una strega sotto copertura con un'allergia grave a tutto ciò che è sacro. Dopo il rogo della madre viene mandata in un orfanotrofio religioso. Se scoprissero i suoi poteri magici rischierebbe di morire come la madre, quanto tempo riuscirà a resistere?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

1 novembre 1869

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una campanella mi rimbombò nelle orecchie. Con la pelle d'oca aprì gli occhi. La guancia appoggiata sul vetro si era agghiacciata e la fotografia era caduta appoggiandosi vicino alla finestra. Una leggera alba rischiarava il cielo notturno.

 

«Ametista! Cosa ci fai alla finestra?» esclamò Suor Ambra, camminò verso di me con la candela accesa. Io mi massaggiai gli occhi impastati dal pianto notturno, «non riuscivo a dormire». Scesi dal davanzale. Sbadigliai. Non riuscivo a svegliarmi quella mattina. «Ho capito, ma non puoi metterti a dormire sulla finestra, Reve ha creato i letti per un motivo». In verità un artigiano ha creato quei letti. Ma comunque non badai a lei. Appoggiai la foto sulla scrivania. Guardandola per un po'. Suor Ambra aspettò la mia risposta per poco, poi esclamò «Hai capito?». Io risposi con un «si» anonimo. Poi cominciai a vestirmi.

Quando mi misi la giacca nera mi presi due secondi per pensare se era il caso di portarmi dietro le protezioni. I tappini per le orecchie e il naso, in caso di incenso e preghiere. Meglio di si.

Me le misi in tasca e uscì dalla stanza insieme agli altri.

Il peso sembrava evaporato durante la notte. L'alba mi aveva rinfrancato ma la stanchezza si faceva strada. «Stai meglio oggi?», era la voce di perla. «Cosa ci facevi alla finestra?», chiese Pirito. Io risposi «niente non riuscivo a dormire così mi sono messa lì per guardare fuori dalla finestra, non pensavo che mi sarei addormentata». Pirito esclamò «ah! Stai meglio comunque»Annuii. Giusto per dargli soddisfazione. In realtà il battesimo era una costante ansia.

 

La Làcolonia era un fiero edificio decorato di statue con un grande portone. Mi infilai i tappini nelle orecchie e nel naso.

Le porte si aprirono. Il cuore mi pulsava sempre più veloce. Brividi mi percorsero quando misi piede lì dentro. All'improvviso mi sentì pesante. Tutti ci sedemmo.

Sull'altare, don quarzo ci guardava fiero. Suor Giada, si era appena girata verso la platea. Mai mi ero sentita così in trappola. Mi trovavo davanti a cose che non avevo mai visto. Con gli occhi spalancati guardavo le vetrate colorate, i quadri e le immagini. Tutto ciò mi faceva prudere gli occhi.

Nonostante i tappi riuscivo a sentire la voce del prete. «Popolo di Reve, dio onnipotente».Un pesante silenzio cadde nella Làcolonia.

«Siamo qui riuniti per Reve, dio onnipotente. Ringraziamolo per la sua benevolenza».

Tutti si alzarono in piedi. Io li seguì. La preghiera non mi danneggio, ma i guai dovevano ancora arrivare. Fu alla fine della preghiera che Don Quarzo mi annunciò. Avrei voluto che quel momento non fosse mai arrivato.

«Oggi, una nuova fedele si unirà al gregge di Reve. Il cuore non aveva mai martellato così forte. «Si alzi in piedi Ametista». Con un tremolio incontrollato mi alzai. Con i pugni stretti camminai verso l'altare.

Stavo per entrare a far parte di una comunità che non mi avrebbe mai accettato. Per me il concetto di dio era assurdo, inoltre, il “manuale avanzato di cucina” in realtà era il “ manuale avanzato di Magia”

Avanzai sugli scalini del presbiterio. Don Quarzo mi voltò spingendomi davanti alla vasca battesimale. Un violento brivido mi corse lungo la schiena. Fissai tutta quell'acqua santa spalancando gli occhi. Suor Giada mi appoggiò una mano sulla scapola e mi spinse via. Io continuai a guardare finché la mia testa non disse “basta” e si voltò di scatto.

 

La suora mi condusse in una piccola stanza. Mi fece mettere una tunica bianca. Sentivo mormorii sommessi dei fedeli. Pensavo che fosse questa la sensazione che aveva provato mi madre prima di essere condotta al palo. Tutta me stessa mi stava gridando di scappare eppure ero ancora lì, e stavo per cominciare. Quando le preghiere finirono, Suor Giada mi ricondusse fuori.

La visuale mi si aprì su tutto l'edificio. Vedevo gli archi acuti e gli sguardi fissi del “gregge di Reve” come un peso.

Quarzo fece il suo discorso solenne. Giada mi immerse i piedi nell'acqua santa. Loro cominciarono a perdere di sensibilità. Mi fece sedere. La testa divenne un uragano.

Ad un tratto la suora mi spinse giù. Un ondata di acqua santa mi sommerse.

In quel tremendo secondo sperimentai la morte. Tutto era nero. Non mi sentivo più.

Una luce mi travolse. Riemersi. Ripresi il controllo del mio corpo. Non riuscivo ad aprire gli occhi. Le gambe mi cedevano. Gli arti tremavano e il mio respiro era debole. Suor Giada mi reggeva. Una volta fuori dalla vasca qualcuno mi lancio un asciugamano.

Io raddrizzai di poco la schiena. Ascoltando il canto della platea. Afferrai l'asciugamano con la mano che mi tremava. Asciugai gli occhi che rimasero serrati. Suor giada mi ricondusse nella stessa stanza di prima.

 

Quando ci si sveglia nel cuore della notte, i tuoi occhi rimangono serrato, il tuo corpo barcolla ma continui a camminare. Fu così che arrivai dietro al divisorio.

Mi adagiai al muro con il respiro corto. Il mio corpo si muoveva con una lentezza esasperante. Ma dopo tutto avevo fatto bene a prendere l' antisacro, anche se avevo dormito poco e male, il poco effetto che ha avuto mi aveva salvato.

Dopo un po' i miei occhi si riaffacciarono sul mondo. Mi alzai e mi cambiai. Mi sentivo ancora molto debole. Le mie gambe non sembravano reggere il mio peso. Non mi serviva uno specchio per capire che avevo un aspetto orribile. Quella condizione mi avrebbe perseguitato per giorni.

Mi stavo rimettendo la giacca. La porta si spalancò. Sentì suor Giada mormorare . Poi tolsi un tappo e la voce di suor Ambra rimbombò in tutta la stanza, « Esagerata! Sarà stata l'emozione, anche a me è venuta la tremarella quando mi sono battezzata. Adesso bisogna che lei assista alla messa» e sentì la porta richiudersi. Io contrassi i muscoli. Raddrizzai la schiena e uscii allo scoperto. Suor Giada mi fissò penetrante. Avanzò verso le braccia verso la tunica bianca. La consegnai. Poi la suora si fece da parte.

Con la debolezza che mi tirava a terra uscì dalla stanza. Avanzando lungo le mura ritornai al mio posto. Ormai era fatta. Ora facevo parte di una religione.

 

Sospirando guardavo la solita poltiglia sul piatto. Mi sorreggevo la fronte arricciando il naso. Mi portai una cucchiaiata piena alla bocca e inghiottì. Quella roba verde e densa mi scese in gola . Scossi la testa e rimisi il cucchiaio nella ciotola quasi piena.

La mia mente era ancora nella vasca di acqua santa.

Giada suonò la campanella. Mi alzai insieme agli altri. Tutti portammo i piatti in cucina e li lavammo, compresi quelli degli adulti che erano la parte più faticosa del lavoro. Ero arrivata da un giorno e già non sopportavo più quella situazione. Poi Ambra ci portò nel corridoio. Esso si affollò in pochi secondi.

Saremo stati un centinaio. Messi in file da dieci. Giada camminava con gli occhi fissi su di noi. All'improvviso si fermò. Puntò il dito su una ragazzina dicendo «questa fila si occuperà di pulire i tappeti», Ad ogni fila di orfani diede un compito. Alla mia fila toccò la raccolta delle foglie nel pero. Ci staccammo dagli altri ragazzini e ci dirigemmo fuori dal corridoio.

Marciammo su scale strette e ampi corridoio con suor Ambra. Infine la suora spalancò l'ennesima porta e un gelido vento ci investì. Lì sentì rabbrividire. Io mi chiusi il cappotto nero e uscì.

L'aria mattutina mi gelò le narici. Il cielo stava per dipingersi di azzurro e il vento fischiava fra i tetti del convento.

Camminammo in fila indiana sbucando fuori da un arco. Calpestammo l'erba umida del cortile interno e oltrepassammo i cancelli. Un'aperta campagna si aprì davanti ai miei occhi. Mi chiedevo se, da quel momento in poi non avrei visto solo campi.

In silenzio guardai le staccionate di legno, i muretti coperti d'edera e i sentieri di ghiaia. Lungo la strada non mancarono le statue sacre, che non migliorarono il mio umore.

Varcammo un cancelletto di legno aperto. Attraversammo gli alberi da frutto. Le foglie ingiallite cadevano volteggiando. Foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi.

Mi consegnarono un rastrello e tutti si misero a fare cumuli di foglie. Per me fu abbastanza dura. Sentivo su di me tutta la pesantezza del battesimo.

«Come? Già stanca?» esclamò Pirito sempre con il sorriso sulle labbra. Io annuii e, sospirando, mi fermai, «sono stanca». Fu in quel momento che arrivò Perla con la carriola a prendere le foglie. « già di mattina?» disse Pirito. Perla esclamò «Ha dormito sulla finestra». Pirito sghignazzò «si! Scherzavo». Io ricominciai a lavorare. Perla se ne andò. Pirito mi disse «Hai degli occhi davvero particolari, non avevo mai visto degli occhi così violetti». Per un attimo presi paura. Sapevo il colore dei miei occhi sarebbe stato il primo indizio sulla mia vera natura, ma purtroppo non avevo modo di mascherarli. «Ti piacciono?» chiesi «mia mamma diceva che sono rari». Lui spalancando gli occhi per pochissimo rispose «Sì non sono affatto male».

Il colore dei miei occhi era già stato interpretato male in passato, senza però rivelare niente sulla mia vera natura Perché la gente non si facevano troppe domande. Ma era vero che «Nessuno me l'aveva detto prima». Pirito rispose «Beh cose così rare sono spesso interpretate male dalla gente, c'era una mia amica che veniva presa in giro perché aveva i capelli biondi. Ma io non sono bigotto tranquilla».

Quelle parole scaldavano il cuore. Era la prima volta che incontravo una persona aperta di mente. Forse avrei potuto aprirmi un po' di più con questo ragazzino. «beh, neanche io sono molto religiosa..» Il suo sorriso sparì e i suoi occhi si spalancarono «n-non dirlo in giro ma, non avrei voluto battezzarmi » mormorai. Mi rivolse quello sguardo per un attimo. Il mio cuore ricominciò a pulsare con una certa forza mentre voltavo lo sguardo verso il rastrello. Lui fece altrettanto e rispose sorridendo «n-neanche io ad essere sincero. Avrei voluto rifiutarmi ma avevo paura di essere preso per un eretico. Sai Quando entri in un orfanotrofio e di punto in bianco ti programmano il battesimo senza chiederti niente, dai per scontato che non puoi rifiutarti». Io annuì tirando un sospiro di sollievo.

 

Lavorammo tutto il giorno. Una volta finito un lavoro ci portammo da un'altra parte. La mia testa era in confusione c'erano alcune cose che non andavano.

«Sembra che siamo solo noi a lavorare però» dissi a pirito strappando le erbacce dal tronco di un pero. Fu perla a rispondermi «È solo un'impressione. I preti e le suore stanno lavorando per le nostra anime al terzo piano».

Aveva un tono così convinto che non potei fare a meno di sghignazzare. Non tanto per l'idiozia ma per il gatto che gli ecclesiastici stavano pensando sul serio di star lavorando per noi. Quando in realtà non facevano altro che scaricarci il lavoro addosso. «Cos'hai da sghignazzare?» chiese Pirito ridendo insieme a me. Io risposi « niente! È che questa mi sembra una buona scusa per non far nulla».

Pirito spalancando gli occhi esclamò «ah!...». Poi lo vidi allungare lo sguardo verso suor Ambra poi si avvicinò a me. Prese fiato, mi guardò intrecciando le mani.

Io lo guardai con le palpitazioni. Non lo conoscevo a si era impallidito. Riaprì di nuovo le labbra come per dire qualcosa ma poi la richiuse. «Tutto a posto?» chiesi. Lui scuotendo la testa disse «si! ma...». Io mi avvicinai «cosa?». Lui rispose tutto d'un fiato «tu non credi a dio?».

Sentì il cuore battere un colpo violento contro il torace.

Avevo un amico di famiglia che aveva gli occhi di un moro normale una volta. Un giorno io vidi bruciare nelle fiamme con l'accusa di stregoneria. Mia madre mi disse che aveva rivelato ad un suo amico di non credere in dio e lui l'aveva denunciato per avere il suo posto all'azienda. Quella storia mi è rimasta sempre impressa. Anche se all'epoca ero troppo giovane per capire cosa significasse, mi sono sempre interrogata su questo fatto perché quell'amico di famiglia era quella persona che mi dava l'idea di padre.

In quel momento avrei voluto dire la verità ma non sapevo se... quanto avrei voluto che mia madre fosse lì. Decisi di chiudere gli occhi e di tacere.

Pirito balbettò quasi sussurrando «a-anche io non ci credo». Sentì il petto riprendere fiato. Lo guardai spalancando gli occhi. Lui la pensava come me, una persona come lui non volevo lasciarmela scappare. Mi avvicinai ancora di più «noi la pensiamo allo stesso modo, diventiamo amici?».

Lui spalancò gli occhi « volevo chiedertelo io. È la prima volta che incontro qualcuno che la pensa come me».

 


 

Quando mi sedetti al tavolo sentì tutte le mie membra rilasciare tutta la fatica. Dopo la quarta cucchiaiata mi convinsi a forza che quella poltiglia non era poi così male. Pur sapendo che non era nemmeno paragonabile a quello che si permettevano gli adulti. Avevo chiesto a Pirito il programma del pomeriggio e lui mi rispose che dopo pranzo avremmo fatto lavori manuali per altre quattro ore, poi ci sarebbero state tre ore di studio con Giada, verso sera era in programma la messa serale, poi la cena, dopo aver lavato i piatti saremmo andanti a dormire. Io sbuffai. Il solo pensiero di alzarmi e ricominciare a lavorare mi faceva venir voglia di scappare. Ma non mi lamentai quando mi mandarono a lavorare.


 


 

«Sì ma io non ce la faccio più, sono al limite!» esclamai. Mi misi a sedere afferrandomi la testa pulsante. Pirito, pulendosi le mani piene di cenere disse «stringi i denti che mancano solo cinque minuti alle 17»

Io mi guardai intorno. A parte il simbolo sacro sulla parete e letti bianchi, non vedevo nulla che potesse assomigliare ad un orologio. «Come lo sai?» chiesi. Lui indicò la finestra. Io mi voltai e vidi che oltre i vetri della finestra opposta alla nostra, c'era un orologio a pendolo. «Ah!» esclamai con debolezza.

Pirito sorrise, «è da un po' che sono qui». La domanda sorse spontanea, «Come mai sei qui?». Lui abbassò lo sguardo. I suoi occhi si fecero lucidi. Mentre stringeva la stoffa dei pantaloni, gli angoli delle labbra si alzarono con un andamento molto forzato.

Io deglutì. Pirito mormorò «è... una lunga storia». Avevo la sensazione di aver fatto una domanda troppo personale, «Se non vuoi raccostarla non sei obbligato» mormorai.

«No! Dopo tutto tu mi hai raccontato la tua ieri» mormorò Pirito ricominciando a lavorare. Perla le afferrò la spalla incoraggiandolo. Lui le annuì e disse «Io vengo da una città che si chiama Formith. Si trovava in uno stato in guerra da molto tempo per motivi religiosi e mio padre una volta finita tornò ed era cambiato. Era diventato violento. Un medico ci disse che tutto ciò era dovuta a una commozione celebrale e che l'operazione sarebbe stata rischiosa e costosa. La famiglia non aveva un soldo quindi decidemmo di tenercelo così.

«Col tempo pero la cosa divenne insostenibile. A mia madre venne l'idea di scappare. Mio padre lo seppe e la uccise. Il governo, a quel punto decretò che i miei genitori non erano idonei a crescermi e mi mandarono qui ».

Io non sapevo cosa pensare. Con sincerità dissi «Mi dispiace, in alcuni paesi orientali è possibile annullare il matrimonio, lo sai?». Perla spalancando gli occhi esclamò «davvero?». Pirito si limitò ad annuire « se a Formith ci fosse stata questa libertà si sarebbe risolto tutto».

«Era brava?» chiesi. Lui disse «aveva i suoi difetti, forse un po' troppo puntigliosa, ma era di certo migliore di mio padre».

Giusto per curiosità chiesi a Perla della sua storia. «È ora di andare a lezione». Io mi alzai spolverandomi le mani alla meglio. Vedevo nelle ore di lezione un'occasione per rilassarmi. Mi alzai e seguì i miei amici nel corridoio. La suora che suonava la campanella scomparve dietro una porta.

Perla e Pirito procedevano spediti. All'improvviso sentì la mano vibrare con violenza. Dopo qualche istante smise. Sapevo cosa significava. Dopo pochi secondi la sentì vibrare di nuovo. Mi posai la mano sugli occhi e li chiusi. Davanti a me apparve Suor Ambra. Le sue mani viaggiavano tra i miei vestiti e le tasche della valigia. Sentì il cuore in gola. Non pensavo che sarebbero stati così meschini da controllarmi. Dentro a quella valigia c'era la mia vita: l'antiallergico, il diario parlante, L'orologio controlla-tempo.

La suora toccò il libro sul comodino, lo guardò e lo posò al suo post. Poi tirò fuori il mio orologio, lo guardò e lo ributtò nella valigia. L'ultima cosa che sollevò fu la chiave del mio diario. Una chiave in metallo nero con la testa a teschio. Questa la prese e se la mise in tasca. Richiuse la valigia e uscì dalla stanza. Non gliel'avrei fatta passare liscia, nessuno ruba la mia roba senza le conseguenze.


 

Dopo aver salito l'ennesima rampa di scale, uscì nel corridoio del secondo piano e vidi una porta aperta. Dentro era appena entrato un ragazzo. Con calma mi diressi verso l'aula.

Non ebbi il tempo per guardare l'aula. Suor Giada mi chiamò «Ametista sei in ritardo! Oggi all'ora di cena aiuterai suor Ambra in cucina». Io rimasi senza parole. La mia testa si svuotò perché non riuscivo a capire se ero davvero in ritardo! Oggi all'ora di cena aiuterai suor Ambra in cucina!». Io rimasi senza parole. «Scusate ma a me non sembra proprio di aver fatto questo grande ritardo» ribattei.

Giada mi guardò con il fuoco negli occhi «non accetto discussioni». Sembrava che ce l'avesse con me. Non mi sentì di contraddirla, anche se sentivo di essere stata trattata in modo ingiusto. Misi le mani avanti ed annuì.

L'aula era lunga e stretta. Al suo interno , coppie di banchi erano appiccicati alle pareti. Dietro la cattedra, c'era la lavagna e sopra di essa, il solito simbolo sacro. Gli diedi un'occhiata per sbaglio e dovetti distogliere lo sguardo.

Odiavo essere seguita da quegli sguardi anonimi. Erano molti per una classe normale. Vidi un banco vuoto vicino a Pirito e mi ci sedetti. Era vicino alla finestra, un posto perfetto.

La soddisfazione di sedermi dopo ore di lavoro fu incalcolabile. Mi sentivo un po' rincuorata. Io ero una persona fatta per il lavoro mentale non fisico.

Suor Giada cominciò a spiegare. Io stavo ancora analizzando la punizione di Giada perché c'era qualcosa che non mi tornava. «Come hai fatto a trovare la classe giusta?» chiese Pirito sottovoce. «È stato un caso, ma lei è sempre così o...».

Pirito scosse la testa dicendo «Devi fare attenzione con lei» mi girai verso il mio compagno di banco alzando un sopracciglio. «Basta un minuto di ritardo e ti mette in punizione». Io annuii.

«Ametista!» esclamò la suora. Mi alzai «si». Lei indicò la lavagna. Sopra vi era scritto in gesso uno scioglilingua. «Leggi questa frase» disse. Io presi un bel respiro «Se il coniglio gli agli ti piglia prendigli gli agli e togligli gli artigli»

Suor Giada spalancò gli occhi. La classe era stupita. Pirito iniziò ad applaudire e tutti lo seguirono. Non mi sembrava il caso di farmi un tale onore. Infatti la suora gridò di fare silenzio e tutto tornò muto.

Cancellando la lavagna con la spugna disse« sai leggere anche questa?». Prese il gessetto e scrisse un'altra frase, mi stava sfidando? Sembrava molto più difficile di quella prima. Con calma,mi dissi. Invece avevo le ginocchia che mi tremavano e il cuore con le palpitazioni.

«Una puzzola puzzona spezza un pezzo di... pazza pezza che puzza di pozzo... che spazzola una pezza spazzata», tutto sommato l'avevo detto bene. Vidi la suora infastidita.

Tutte le tre ore di lezione furono come un'interrogazione. Per me cose simili erano basilari ma per gli orfani a quanto pareva no. Guardavo fuori dalla finestra e ogni folta che finiva la spiegazione la domanda era rivolta a me.

Il mio stomaco brontolava da ore. Stavo resistendo solo perché vedevo vicina l'ora di cena, quando mi ricordai della punizione di Giada sbuffai. Quando sentimmo la campana della làcolonia suonare le otto di sera, tutti uscimmo dalla classe con Suor Giada diretti verso la cappella. Nonostante le tre ore seduta mi sentivo ancora pesante. Mi trascinai veloce verso la làcolonia per la messa serale poi andammo alla mensa.

Passammo davanti alla porta della cucina e Suor Giada mi disse «Tu entri qui dentro». Da quella stanza veniva un profumino. Cercando di non badarci entrai. Cera fumo dappertutto. L'aria era satura di odori e vedevo suore andare avanti e indietro.

Mi chiusi la porta alle spalle. Suor Ambra uscì dalla nebbia e pulendosi le mani con uno straccio , mi disse « Come mai qui? Sei stata punita da Giada scommetto» Non mi lasciò parlare. «Va beh non importa, vai da suor Acquamarina che ti insegna a preparare la Sbobbola, la colazione dei campioni. È laggiù non perdere tempo. Mi diede due pacche sulle spalle e poi se ne andò.

Io non sapevo cosa dire. Mi diressi verso la suora indicata e lei mi rivelò la ricetta della poltiglia che mangiavano gli orfani ogni giorno. Era una zuppa, dentro c'era di tutto. Lo consideravano un pasto completo.

Stavo tagliuzzando le verdure per il giorno dopo. Tutte le suore erano andate via tranne Ambra. Quando finì suor Ambra mi disse di aspettare lì e poi se ne andò.

Io mi sedetti. Non c'erano parole per raccontare la mia stanchezza. Sentivo anche una forte nostalgia di casa mia. All'improvviso arrivò suor Ambra che posò una grossa mela rossa sul tavolo. «Tieni» mi disse. Io la guardai con un sopracciglio alzato, «non hai mangiato nulla» aggiunse la suora.

A me risultava strano che la suora mi offrisse la mela «mangiare fuori orario è contro le regole» me l'aveva detto Perla questa mattina. Lei spalanca la porta e dice «Non puoi andare a letto a stomaco vuoto, forza mangiala». Io mi trovai davanti ad una grossa indecisione. Il mio stomaco chiedeva aiuto e quella mela mi faceva gola.

Ambra insistette «Non lo verrà a sapere nessuno sta tranquilla» e detto questo se ne andò. Maledissi la suora per avermi tentato con quella mela. Mi alzai e la presi in mano. L'acquolina mi saliva. La voce che mi attirava verso quella mela era sempre più suadente.

Mi sforzai di pensare. L'unico pericolo che correvo nel mangiare quella male era che qualche suora mi vedesse e punisse. Per il resto, mi avrebbe solo giovato. Non sapevo se era il caso di correre i rischi o no.

In quella stanza non c'era nessuno. Fuori era buio pesto e con tutta probabilità stavano per mettersi a dormire. Ma era probabile che per puro caso qualcuno avrebbe potuto scoprirmi. Per non correre rischi era meglio lasciarla lì. Però la fame era troppa. Non ero al sicuro lì dentro.

La lasciai sul tavolo. Mi avviai verso la porta e afferrai la maniglia.

Il mio stomaco si strinse. Mi voltai verso quella mela succulenta che mi attirava come una calamita. Accidenti a quella suora maledetta, se non me l'avesse offerta sarebbe stato tutto più facile. Aprì la porta. Nel corridoio non c'era nessuno. Osservai la cucina. Volendo c'era un ripostiglio. Se avessi fatto veloce non si sarebbe insospettito nessuno , ma era comunque un rischio.

Scossi la testa e mi decisi ad andarmene. Avevo il piede sulla soglia, quando mi voltai piano verso la mela.

La tentazione era forte. Ma io volevo evitare i guai. Ne avevo già passati troppi. Mi convinsi ad uscire da quella cucina e a chiudermi la porta alle spalle. Andai verso il dormitorio cercando di non pensare a quella mela. Più volte mi venne la tentazione di tornare indietro a prenderla ma riuscì a trattenermi. Imprecando in modo incontrollato entrai nel dormitorio.

Mi ritrovai dentro ad una guerra di cuscini. La battaglia era accesa. Piume svolazzavano in aria. Urla e risate rimbombavano nella stanza.

Io ridendo per la sorpresa Cercai di attraversare la stanza con le braccia alzate per proteggermi dai cuscini. Per fortuna la guerra si combatteva tutta al centro e una volta superato quel punto era tutto molto tranquillo. Indossai il pigiama e mi sdraiai a letto.

Il mio stomaco protestò tanto da farmi male. Quando avrei voluto essere a casa, con la mia mamma. Mi chiesi cosa avevo fatto di male per meritare questo.

«Com'è andata?» chiese la voce di Pirito. Io non sapevo cosa rispondere.« Non è tanto la punizione ma il fatto che mi hanno fatto saltare la cena. Poi Suor Ambra mi ha offerto una mela, mi stavo quasi abituando quando me l'ha messa davanti. Ho combattuto per trattenermi. Anche adesso mi verrebbe la tentazione di correre e riprenderla».

In quel momento Perla esclamò «Non ha accettato la mela di Suor Ambra?!Perché?». Senza pensare risposi «non voglio mettermi nei guai il primo giorno, vuoi dire che non è la prima volta che la offre a qualcuno?».

Pirito si appoggiò sul comodino «si, lo fa sempre ma è la prima volta che qualcuno la rifiuta». Pirito aveva toccato il libro di magia avanzata. Si voltò e lesse il titolo «Ti piace la cucina?» chiese. «Il libro è di mia madre. A me piace leggere».

Pirito prese il libro e lo sfogliò,«anche a me, ma io mi interesso di libri di medicina, libri che qui non ci sono, anche io me li sono portati da casa».

«Io avevo abbastanza spazio per metterci solo tre libri, mi è dispiaciuto tanto lasciare tutti gli altri a casa mia, sai per caso se c'é una biblioteca qui dentro?». Lui annuì convinto « al terzo piano, ma è zona vietata ai bambini, ed è inutile dire che con l'orario che abbiamo non c'é uno spazio per sgattaiolare lì . Io ci vado solo a notte fonda».

«Sei un ribelle» esclamai sorridendo. Lui scosse la testa «no! Sono solo un ragazzino con una forte sete di conoscenza». Io chiesi «C'è almeno qualcosa di interessante?» Speravo di trovare qualche romanzetto senza pretese da leggere. Ma Pirito sghignazzò «Libri di Teologia, favole su Reve e il diavolo. Roba buona solo per farsi due risate. Tu non immagini le idiozie che la gente crede di sapere. Ho letto roba del tipo: “Per avere la salvezza non devi mangiare il pollo perché ti fa diventare gay” roba da morire dalle risate».

Infatti, io scoppiai a ridere, «Non è proprio il mio genere» risposi. «M tu ci stai ore in biblioteca o te li porti dietro?». Lui alzò le spalle «be me li porto dietro, se mi beccassero lì dentro mi chiuderebbero in cantina per una settimana».

Io sghignazzando risposi «esagerato!» Perla si intromise « Invece non sta affatto esagerando. Una volta mi sono alzata durante la notte per cercare il bagno e mi hanno fatto passare il resto della nottata in cantina, non è stata un esperienza piacevole».

Io non potevo crederci «dici sul serio?». Tutti e due annuirono «Te lo assicuro» disse Perla. «Queste suore sono fuori di testa» dissi spalancando gli occhi.

«Comunque rispetto per la fede» ci ammonì Perla. Io fui la prima a rispondere « Io non mi burlo della vostra fede, per me ognuno ha il diritto di credere a quello che vuole ma non potete nemmeno pensare di condannare delle persone sulla base di un dio su cui non avete uno straccio di prova». Perla sembrò convinta.

Il mio stomaco si attorcigliò borbottando. All'improvviso una voce sconosciuta mi interpellò « Ti sei fatta vedere oggi!» Davanti a me erano apparse tre persone. Un ragazzo alto e biondo dallo sguardo arrogante; una ragazza, un poco più bassa, mora, dall'atteggiamento altezzoso e un ragazzino dell'età di Perla, dalla pelle cerea, i capelli corvini e lo sguardo ansioso.

Quello che aveva parlato era il biondo. «Chi siete?» chiesi al gruppo. Il biondo rispose «io sono Alessandrito, e loro Gemma e Eliodoro. Tu invece ti chiami Ametista giusto? Il tuo nome è stato ripetuto diverse volte oggi, ormai è impossibile scordarlo».

Io alzai le spalle «beh, è il mio primo giorno, non sapevo che le suore fossero così severe».

«Secondo me sei tu che sei un po' ribelle» disse Gemma. Io non le davo torto «può darsi ma non mi sembra di aver fatto qualcosa di sbagliato, sono solo arrivata un po' in ritardo».

Il ragazzino, Eliodoro abbassò lo sguardo intrecciando le dita. Alessandrito sghignazzando disse « Ma a parte gli scherzi, cosa facevi sul davanzale dalla finestra?». Il mio sorriso si sciolse «non riuscivo a dormire, così mi sono messa sul davanzale per guardare fuori e mi ci sono addormentata».

Lui alzò il sopracciglio toccandosi il mento «A me pareva di aver sentito piangere», la sua espressione mutò. Un ghigno le parve sul volto. Io deglutì . Mi misi seduta facendo attenzione a mascherare la rabbia che mi saliva lungo la bocca dello stomaco. Affari la foto di mia madre e la guardai «Non è colpa mia, se è successo» sentì le dita prendere la forma della cornice.

Pirito rivolse a Alessandrito uno sguardo rimproverativo, «dovevi proprio dirlo? Anche io l'ho sentita ma non sono così arrogante da rinfacciarglielo». Il biondo raddrizzo la schiena «cosa c'é di arrogante? É lei che si è dimostrata debole» ribatté.

«E che male c'é?» rispose Pirito «Dopo tutto anche io ho pianto il primo giorno non è una cosa per cui si deve sentire in colpa».

Mentre io continuavo a sfiorare la foto con un buco nel cuore più doloroso nella fame, Gemma ribatté «Noi lo facciamo per il bene, la vita non è facile deve essere forte». Quella era una scusa bella e buona.

«Non ve ne dovrebbe fregare nulla della mia vita» dissi con tono fermo.

La porta si spalancò. Suor Ambra entrò. «Tutti a letto!». La conversazione si fermò lì, tutti si fermarono mettendosi a letto. Io mi misi sotto le coperte,appoggiando la foto sul comodino in modo che mi guardasse. E mi addormentai.

 
  
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