A
bro story
Ah,
come sei
ingenua Kasumi! Davvero tanto, tanto ingenua!
Davvero
la
maggiore delle sorelle Tendo credeva che un viaggio di allenamento in
montagna
potesse risolvere le cose fra lui e Ryoga, dopo quello che era successo
al
monte Hooh? Secondo lei sarebbero tornati a Nerima saltellando a
braccetto come
se niente fosse successo?
Li
aveva visti
tornare dalla Cina estremamente taciturni l'uno con l'altro, e sapendo
che in
fondo erano amici per la pelle alla ragazza dispiaceva moltissimo
vederli così
distanti. Così aveva candidamente consigliato loro un
allenamento intensivo -
forzato - per rinforzare la loro
amicizia.
Ranma
sorrise
amaramente per le aspettative di Kasumi, mentre osservava con interesse
il
giovane amico ritornare con un po' di legna da ardere raccolta nel
folto del
boschetto e ravvivare il fuoco.
Con
tutta
probabilità finiremo per ammazzarci, noi due!
La
sua vicinanza
lo faceva sentire un po’ a disagio, tanto più che
triste com’era poteva
benissimo scatenarsi su di lui senza pensarci due volte.
Fu
solo quando
Ryoga si allontanò in direzione della sua tenda che il
respiro di Ranma si
regolarizzò. Ryoga era tornato nella sua tenda, forse per
sistemare il suo
sacco a pelo. D’altronde, anche lui lo aveva lasciato chiuso
per cominciare gli
allenamenti.
Rimestò
lo
stufato che stava preparando, notando con piacere che l'aspetto era
anche
migliore di tutti quelli cucinati da sé nella sua vita.
Akane non avrebbe
saputo fare neanche la metà della delizia che aveva davanti.
Anzi, se ci fosse
stata lei avrebbe voluto cucinare a tutti i costi, facendoli vomitare
per il
resto della loro permanenza fuori porta. E quel fesso di Ryoga glielo
avrebbe
lasciato fare, cercando di non vomitare per farla contenta.
Mille
a zero per
me, Akane!
Quasi
riusciva a
vederla, con le guance gonfie per la rabbia, rispedirgli ogni rimbrotto
possibile e immaginabile per potere anche solo pagarlo con la stessa
moneta, né
più né meno.
Niente
a che
vedere con quell'Akane disidratata, in fin di vita.
Una
forte
stretta al cuore lo indusse a scacciare la brutta sensazione
scompigliandosi i
capelli con le mani.
Non
erano rare
le occasioni in cui Ranma perdeva il filo dei suoi pensieri ritornando
alla
notte in cui credeva Akane morta. Era un'immagine così reale
che sembrava quasi
di sentire il suo corpo minuto fra le sue braccia, ancora inerte.
Ritornò
immediatamente ad un ricordo decisamente più sereno, per
esempio alla sera
prima della sua partenza. Aveva scambiato due parole con Ryoga, e a lui
aveva
regalato uno dei suoi magnifici sorrisi: e Ranma l’aveva
ricambiata d’istinto, perso
fra i suoi occhi bruni come la terra colmi di affetto e le sue labbra
rosse e
morbide. Avrebbe voluto baciarle, quelle labbra, tirando
così fuori ciò che
teneva nascosto per tanto tempo - forse pagando con la vita, visto
com’era
fatta Akane -, ma c’erano troppe persone intorno, e quello
era un momento che
doveva essere solo loro.
Un
brivido
piacevole gli sfrecciò per la spina dorsale, mentre con un
sorriso appena
accennato pensò a come aveva fatto una ragazza che di
femminile aveva solo la
gonna a farlo sentire così innamorato.
Maschiaccio
che
non sei altro.
"Che
hai da
ridere?"
Sorpreso
nel bel
mezzo dei suoi pensieri più intimi, Ranma sollevò
di colpo la testa.
"Niente",
rispose Ranma. "Vedo che ti sei deciso a parlare! Bravo Ryoga!"
Si
diede una sonora
pacca sul ginocchio prima di alzarsi e rovistare nel suo zaino in cerca
delle
ciotole, sentendo su di sé lo sguardo scuro del suo amico.
Nonostante
avesse un atteggiamento abbastanza calmo, era evidente che Ryoga aveva
qualcosa
da ridire sulla situazione che si era creata: Ranma e Akane ritornati
sani e
salvi da una missione suicida; Ranma e Akane sul punto di sposarsi -
cerimonia
che tutti indistintamente, sposo compreso, hanno mandato a monte; Ranma
e Akane
tornati a quel fidanzamento turbolento che non riusciva mai a metterli
d’accordo.
C’era
come una
sorta di frattura, di cui non si sapeva precisamente quale fosse la
causa,
ammesso che ce ne fosse una.
Messe
così le
cose, Ryoga non aveva intenzione di portarsi dietro il suo rivale,
tanto quanto
Ranma non aveva voglia di passare anche solo un paio di giorni e di
notti
lontano da casa Tendo.
Era
troppo
presto separarsi da Akane.
Insomma,
era
scampata alla morte praticamente per una questione di secondi, e Ranma
avrebbe
preferito stare con lei, per vederla mangiare, studiare, allenarsi nel
dojo, sorridere
alle sue sorelle e alle sue amiche, magari anche per farla arrabbiare,
piuttosto che essere in compagnia di un suino che gli rinfacciava con
una buona
dose di collera repressa il suo risentimento.
Ce
l’aveva con
lui. Sempre, ma da quando alla colpa della sua maledizione si
aggiungeva anche
l’amore per la stessa ragazza le cose diventavano meno
gestibili.
Era
stato Ranma
a salvare la vita di Akane, a rinunciare alla Nannichuan per lei, ad
averla
stretta a sé nel momento in cui lei aveva tentato goffamente
di abbracciarlo. E
Ryoga non accettava il fatto che non fosse stato lui a fare tutto
questo. Non
accettava che le cose fra loro potessero evolversi, mettendolo
automaticamente
da parte.
Si
fermò di
colpo, lasciando le ciotole a mezz'aria.
Cosa
vedevano
gli occhi degli altri da quando erano tornati dalla Cina? Certo, c'era
ancora
tanta incomprensione fra lui e Akane - in tutta franchezza Ranma non
aveva
neanche fatto niente per far sì che si arrivasse ad una
risoluzione definitiva -
ma dopo il matrimonio fallito non c'erano state avvisaglie particolari,
né in
positivo né in negativo.
Semplicemente,
avevano ripreso la loro solita vita in mano, occupandosi di scuola, di
amici rompiscatole
e di arti marziali.
O
era lui che
non aveva afferrato la differenza?
Certo,
forse c’erano
molti più sguardi complici, guardarla negli occhi non
sembrava così
tremendamente imbarazzante come prima, ma tutto ciò non
scongiurava i soliti litigi
per le solite motivazioni: gelosia - di lei,
sempre e solo di lei -, appellativi
non proprio concilianti - soprattutto da parte sua - e a causa dei suoi
orribili piatti.
Ranma
inizialmente si era ripromesso che non l’avrebbe
più presa in giro, ma d’altro
canto farlo significava recuperare quella normalità
interrotta. Perché per
quanto si sforzasse Ranma non riusciva più a vedere le cose
con il suo solito
atteggiamento scanzonato. La paura della morte di Akane, il vuoto
provato
spesso gli facevano perdere la cognizione della realtà, ben
diversa da quella
che gli si era spalancata durante quella terribile avventura.
Spuntarono
delle
lacrime premature agli angoli dei suoi occhi, e lui le
ricacciò indietro con fastidio.
A cosa serviva rimuginare ancora, se doveva farsi del male in quel modo?
Ripresa
la
calma, tornò da Ryoga con passi moderati. Il giovane Hibiki
era seduto sul
tronco consunto che avevano trovato e trascinato fino all'accampamento,
e
osservava le fiamme del fuoco acceso. Muoveva le gambe freneticamente,
come se
volesse scappare via da quel posto.
Avrebbe
voluto
consigliargli di andarsene se ne aveva voglia, ma Ranma non aveva
intenzione di
allontanare nessuno. Ryoga gli aveva salvato la vita quando ormai Ranma
era
arrivato al punto di volerla perdere.
Un
amico del
genere era prezioso.
"Dispiace
anche a me stare qui, ma rendiamo la cosa meno tesa, va bene?"
puntualizzò,
continuando a controllare la cottura dello stufato.
"Sono
qui
solo perché me lo ha chiesto Kasumi, e a Kasumi non si nega
niente,
chiaro?"
Ranma
fece
spallucce. "Non è che se te lo chiede lei devi fare una cosa
che non vuoi,
non ti pare?"
"Che
cafone! Fai schifo!"
"Avresti
potuto rifiutare. Ah, dimenticavo: ti saresti intrufolato nel letto di
Akane,
ma in fondo in fondo non te la senti, nevvero?" rise il ragazzo con il
codino, spintonandolo con il gomito ripetutamente. “Senza
contare che sai bene
che mi da’ un fastidio della malora saperti nel suo letto,
sotto le sembianze
di porco o meno, questo non te l’ho mai nascosto. Faresti
bene a sapere che non
sono più disposto a sopportarlo.”
Hooh,
abbracci,
pianti: erano tutte parole che stranamente erano diventate dei veri e
propri
tabù per Ranma. Ma non lo era affatto fare capire a Ryoga
che ad Akane non
avrebbe rinunciato. Immaginarlo mentre strusciava il suo muso sul seno
di Akane
come già faceva in sua presenza lo mandava letteralmente in
bestia.
“Quasi
mai” precisò il giovane Hibiki.
“Che
vorresti
dire?” ringhiò Ranma sulla difensiva.
“Che
non avevi
tanto da protestare quando eri tu a tradirla.”
“Io
non ho mai
tradito Akane, così come lei non ha mai tradito me. Non ha
mai accettato le tue
moine, o sbaglio?”
Ryoga
ammutolì,
riflettendo suo malgrado su tutte le volte che aveva cercato il suo
amore con
il cuore in mano senza risolvere granché.
Era
ancora arduo
ammettere la sua gelosia davanti a lei, ma quando Ranma era solo con
Ryoga
chissà come quel sentimento si scatenava senza nessuna
remora. Ryoga era sempre
stato un elemento molto pericoloso per il suo rapporto già
dannatamente
traballante con Akane: era gentile, romantico - molto più di
Akane stessa, la
cosa era alquanto divertente -, soprattutto aveva sempre saputo dare
una
definizione ai suoi sentimenti per lei, mentre lui era stato spesso
molto più
insicuro su questo aspetto. Sì, certo: l’orgoglio
e la presunta debolezza
derivante dalle emozioni giocavano una carta vincente sulla sua
personalità;
tuttavia la ragione dominante era la paura di sentire il suo cuore
spezzarsi.
Akane
non aveva
tardato a diventare il suo punto fermo, e seppure involontariamente
aveva messo
radici dentro di lui. Gli aveva dato qualcosa di raro che lui non aveva
mai
chiesto o voluto. Ed era qualcosa di veramente forte, più
forte della sua
passione per le arti marziali, più forte del suo desiderio
di ritornare un uomo
a tutti gli effetti.
Se
per un
malaugurato caso tutto ciò si fosse rivelata una chimera,
lui avrebbe smesso di
respirare.
Forse
anche per
Ryoga era così, e forse era per questo che lo capiva
più di chiunque altro,
oltre ad Akane. Avevano gli stessi segreti da mantenere. Ecco
perché non era
imbarazzate o compromettente litigare con lui solo ed unicamente per
Akane.
Era
naturale
come dare un calcio in faccia a Kuno.
“No,
mai”
sussurrò Ryoga senza espressione, abbassando la testa.
“Se
hai voglia
di ammazzarmi, fa’ pure. Ma Akane non la prenderebbe affatto
bene. Preferisce
uccidermi lei, con le sue dolci manine”
puntualizzò con sarcasmo, agitando le mani con falsi
movimenti raffinati.
“Ah”,
rise amaramente il suo interlocutore “non sai che le sue mani
sono
dure come una vera artista marziale? Dovresti, dato che da lei ricevi
così
tante botte!”
Ranma
fu disturbato dal fatto che lui rimarcasse sulla differenza di
trattamento che la ragazza spesso riservava ai due. Mentre Ryoga dalle
sue mani
riceveva da lei ogni premura possibile - senza contare le migliaia di
carezze
che si prendeva in veste di P-chan - poteva quasi immaginare come,
oltre la
leggera peluria da maiale, Ryoga sentisse la ruvidezza delle sue palme
-; lui
il più delle volte ne sperimentava il potere distruttivo.
“Sì,
tante” rimbeccò Ranma fingendo di pensarci su
“ma non ricevo solo
quelle, se è a questo che stai pensando!”
Ryoga
si voltò verso di lui, osservandolo con
un’espressione così
stralunata che a Ranma faceva quasi ridere. Povero maiale.
“C...
come?”
“Avanti”,
proseguì il ragazzo con il codino “non penserai
che ci siano
stati solo un paio di abbracci fra noi due?”
Stava
bluffando deliberatamente, giusto per poter vedere un po’ di
vita
su quella faccia abbattuta dalla rassegnazione.
Però
c’erano sul serio delle volte in cui lei, superando
l’imbarazzo
prima di lui, faceva qualcosa che lui non si aspettava. Quando lo
incoraggiava
o quando era preoccupata per lui, Akane era capace di gesti di profonda
tenerezza davanti ai quali Ranma non sapeva come comportarsi. Ne
rimaneva
imbambolato, letteralmente, e non sapeva cosa fare - se risponderle con
calore,
se risponderle con distacco. Ma la maggior parte delle volte diventava
un pezzo
di granito, e la testa si svuotava, riempiendosi di Akane, del valore
inestimabile di quei gesti, della consapevolezza che in fondo,
nonostante lei
non facesse altro che scannarlo dalla mattina alla sera, combattiva
com’era, doveva
volergli bene. Doveva amarlo. Altrimenti perché glielo aveva
chiesto, il giorno
delle nozze mancate?
Non
credeva che si potesse sacrificare in quel modo solo per la
Nannichuan. L’avrebbe rubata, piuttosto. Perché
Akane non avrebbe mai sposato
qualcuno che non amava per cedere un po’ d’acqua,
tanto meno avrebbe obbedito
così umilmente a suo padre solo per fare piacere a lui e a
Ranma.
Inoltre,
non aveva motivo di legarsi a qualcuno per la sua eredità di
artista marziale. Lei era sicura di poterlo mandare avanti da sola, e
anche
Ranma ne era convinto: quella ragazza che non sapeva cucinare e che
aveva una
paura matta dei film dell’orrore era una vera forza della
natura, e ogni giorno
che passava diventava sempre più forte e abile nel
combattimento.
“Akane
è troppo dolce e pura per fare cose simili!”
esclamò il giovane
con la bandana, sul punto di esplodere. Doveva aver pensato
chissà cosa,
proprio ciò che Ranma voleva.
Ecco,
ci siamo!
Un paio di pugni prima di cena non sarebbero male!
Assaporando
già la sconfitta del suo avversario e i suoi muscoli
piacevolmente indolenziti per il combattimento che sicuramente stava
per
cominciare, Ranma sfoggiò un sorrisetto sornione, cercando
la cosa che avrebbe
potuto irritarlo di più.
“Infatti,
sono stato io a...”
“A
fare cosa?” ringhiò di rimando Ryoga.
“A
baciarla!”
Per
un istante Ranma non sentì più il respiro del suo
amico, ma poco
dopo sembrò che non avesse detto assolutamente niente. Ryoga
assottigliò gli
occhi in segno di poca convinzione, mentre si affrettava a fargli
intendere che
no, che sicuramente non c’era stato alcun bacio.
“Non
ci casco due volte, idiota!”
“Eh?”
“Me
l’hai già detta, questa stronzata. Se ci avessi
provato, Akane ti
avrebbe spedito su Marte.”
Stava
già ridacchiando, Ryoga, rincuorato dal fatto che avrebbe
potuto
giocare le sue ultime carte prima di mollare definitivamente, quando
Ranma tentò
ancora di stuzzicarlo, stavolta andandoci giù pesante.
“Ma
non ci siamo mica fermati lì!”
“Basta!”
Un
balzo, e Ryoga gli fu addosso in men che non si dica.
Finalmente!
Con
agilità sovrumana Ranma lo evitò di un soffio,
saltando a sua volta
all’indietro finché non fu ad una distanza che gli
avrebbe permesso di iniziare
un vero combattimento. Ma Ryoga nuovamente lo raggiunse, deciso a non
dargli
tregua, e con un potente calcio caricò
l’avversario. Ranma però gli afferrò la
gamba appena in tempo, ma fu costretto a lasciargliela
perché Ryoga ruotò su se
stesso per liberarsi e preparare un altro colpo, stavolta con
l’uso delle mani.
Ranma parò un colpo, due, tre e provò a colpirlo
con la tecnica delle castagne,
anche se non tutti i colpi andarono a segno. Ryoga schivava con una
velocità altrettanto
impressionante, sottraendosi poi dalla sua mercé e attivando
il suo Colpo del Leone.
Una
luce immensa, seguita a ruota da un potente boato, illuminò
l’intera radura per secondi che parevano interminabili,
finché Ranma si sentì
in briciole, letteralmente, e la potenza del colpo, diradandosi,
lasciava
spazio ad una grossa voragine nel terreno semi-roccioso.
Ciò
che rimaneva era un Ranma fumante dalla testa ai piedi,
semicosciente, i resti della cena ormai sparsa chissà dove e
la sola luce fioca
della luna che rischiarava il profilo di Ryoga.
“Ry...
o… gaaaa...!”
Era
arrabbiato, e maledettamente triste, ma Ranma era troppo dolorante
per preoccuparsi di questo.
“Te
la sei cercata.”
“Ghaaaaa...”
“Non
sono in collera con te perché Akane ti ama.”
Ranma
si riprese di colpo.
Ryoga
era fatto così: diretto, senza tanti preamboli, Ranma lo
sapeva.
Ma che ammettesse così serenamente di
essere perfettamente consapevole
che Akane lo considerasse solo un amico, questa era da segnare.
Rotolò
di lato con fatica, sollevandosi piano da terra, mentre la voce
ormai priva di energia del suo interlocutore stava perdendo sempre
più tono.
“Sono
arrabbiato perché la vita è ingiusta!”
Va
bene, Ryoga,
adesso mi stai spaventando!
Il
cervello di Ryoga era andato in tilt, e Ranma non ci teneva proprio
a stare a sentirlo. Sarebbe dovuto rimanere nel dojo, lo sapeva.
“Se
proprio devi fare questi ragionamenti strani è meglio che me
ne
vada!”
Ranma
si alzò di malagrazie e rientrò nella tenda, per
poi uscirne
qualche secondo dopo armato di una torcia con la precisa intenzione di
smontare
il suo giaciglio. Non ne poteva più davvero.
Sentì
addosso lo sguardo indagatore dell’amico mentre con solerzia
quasi maniacale preparava lo zaino da viaggio e se lo caricava sulle
spalle.
“Cosa
stai facendo?” chiese Ryoga palesemente spaesato.
“Torno
a casa.”
“Adesso,
nel bel mezzo della notte?”
“Voglio
tornare a Nerima il prima possibile, e levarmi un certo maiale
di torno.”
Mosse
i primi passi in direzione del sentiero che scendeva verso la
vallata, senza dare la possibilità a Ryoga di raccogliere il
suo bagaglio e seguirlo.
“Ti
manca di già, non è vero?”
Ranma
abbassò il capo, cercando di schermarsi
dall’occhiata
inquisitoria del compagno.
Avrebbe
voluto rispondergli che sì, Akane già gli
mancava, e che non
voleva separarsi da lei pochi giorni dopo averla salvata da morte certa
- anche
dopo averla letteralmente abbandonata all’altare senza
spiegarle che se non ci
fossero state le loro rispettive famiglie, i rispettivi spasimanti e
soprattutto la Nannichuan di mezzo l’avrebbe sposata anche in
pigiama - ma fu
il suo silenzio a parlare per lui.
La
luna stava ormai tramontando quando ripresero il cammino verso casa.
Entrambi
procedevano a passo lento, in silenzio e a testa bassa,
ciascuno cercando di mettere ordine nella propria mente.
Dal
canto suo, Ranma avrebbe voluto che fra lui e Ryoga non ci fosse
così tanto contrasto. Certo, era il primo a divertirsi
quando lo provocava, e
in fondo questo atteggiamento non aiutava granché. Ma quando
si fermava a
considerare il suo rapporto con Ryoga - ultimamente lo faceva molto
più
frequentemente - gli sembrava troppo limitato definirlo amico.
C’era
davvero tanto in comune, a dirla tutta spesso nei suoi
comportamenti Ranma ci si ritrovava tanto: dalle reazioni alle sfide
agli
imbarazzi che avevano il potere di congelarli letteralmente, con il
passare del
tempo l’uno aveva trovato nell’altro uno strano
appoggio del quale, per quanto
freddo e fastidioso, non ci si può fare a meno. Il
più delle volte questa
affinità sfociava in una vera e propria
competitività, e per i motivi più
disparati.
Non
mancavano però le occasioni in cui collaboravano fra di loro
ed in
cui si salvavano a vicenda, ed erano anche molto numerose. E quelle
erano
esperienze molto più importanti che stare ad urlarsi contro
e a considerarsi
rivali.
Amici?
No, noi
due siamo come fratelli.
Ranma
non aveva mai utilizzato questa parola per qualcuno. Avvertì
l’unicità
di quella presa di coscienza. Ma, diamine, non poteva dargli la
soddisfazione
di fare il sentimentale.
Il
sentimentale
è lui, non io!
“Io
non voglio litigare con te, che questo ti sia chiaro. Siamo amici
noi due, se non sbaglio” disse Ranma. Si aspettava che dopo
una cosa del genere
Ryoga negasse fino alla morte di considerarlo amico suo, ed il fatto
che non
ricevette alcuna risposta lo incoraggiò a proseguire.
“E siamo anche molto
simili.”
Ryoga
sussultò, e per la prima volta dopo ore si concesse di
guardare
Ranma negli occhi, il quale sorrise.
“Sarà
per la prossima volta, va bene?”
Il
giovane Hibiki annuì, mentre cominciava pian piano ad
albeggiare.
Tornarono
nel pomeriggio.
Non
si erano mai fermati.
In
cucina c’erano Kasumi e Nabiki e un’altra ragazza
che Ranma
riconobbe come Akari.
Proprio
quello che ci voleva, pensò Ranma.
“Oh,
Ranma, Ryoga!” esclamò Kasumi, sbalordita.
“Già di ritorno?”
Evidentemente
non credeva che tornassero così presto. Dopotutto,
avevano previsto che il viaggio di allenamento durasse almeno una
settimana, e
Ranma non aveva pensato ad una bugia da poterle raccontare.
Accampò un
sorrisetto di scusa, mentre l’argomento veniva subito
accantonato grazie alla
presenza della bella allevatrice di suini.
“Guardate
chi c’è!” si affrettò a dire
Nabiki, spostando l’attenzione
verso Akari, che nel frattempo agitava la mano in segno di saluto.
Ryoga era
ancora nel bel mezzo dei suoi pensieri, e Ranma dovette dargli uno
spintone per
ritornare alla realtà.
Ryoga
incespicò, imprecò contro l’amico, per
poi rivolgere d’istinto la
sua attenzione verso la ragazza che nel frattempo lo stava salutando
con
calore.
“Ciao,
Ryoga!” disse Akari con un sorriso a trentadue denti.
“Sono
tanto felice di vederti!”
Ranma
vide Ryoga fermarsi ed arrossire improvvisamente, prendere un
sospiro e correre tutto contento verso Akari senza neanche liberarsi
del peso
dello zaino.
“Akari!
Ma che bellissima sorpresa!”
Le
prese le mani sotto lo sguardo dolce di Kasumi e quello incuriosito
di Nabiki incurante di ogni altra cosa.
Ranma
abbozzò un sorriso. Non si sarebbe mai abituato ai suoi
repentini
cambi d’umore.
Lo
seguì con passo più moderato, osservandosi
attorno cercando al
contempo di non dare nell’occhio. Aveva colto
l’occasione di tornare a casa
Tendo e l’unica persona che voleva vedere non
c’era. Forse Akane era uscita con
le sue amiche, o semplicemente era in un’altra stanza.
“Ranma?”
Nabiki
intercettò i suoi occhi, e con la testa fece un cenno verso
la
sua sinistra.
Il
dojo.
Si
precipitò verso il vialetto che portava al dojo, dimentico
della
stanchezza, del peso sulle spalle, della opprimente sensazione di
lontananza.
Sentì
delle feroci urla man mano che si avvicinava e, aprendo le porte
del dojo, scorse il profilo sottile di Akane che con abilità
dava calci, pugni,
affondi ad un nemico che solo lei poteva vedere e percepire, con la
fronte
imperlata di sudore ed il fiato corto.
Ranma
deglutì, il viso letteralmente in fiamme. Sperò
che non fosse poi
così agitato, o tutto avrebbe preso inesorabilmente una
piega che voleva
assolutamente evitare.
Si
sfilò lo zaino per poggiarlo a terra, addossandosi lui
stesso contro
la parete incrociando le braccia al petto.
“È
inutile che ti alleni, rimarrai sempre una schiappetta!” la
canzonò.
Akane
lo udì e senza pensarci troppo caricò un destro
in direzione
della sua faccia, che il ragazzo con il codino parò
perfettamente.
Sempre
lei. Sempre la solita testarda orgogliosa che non perdeva
occasione di battersi, o semplicemente di coglierlo alla sprovvista.
Provò
a colpirlo ripetutamente senza che Ranma incassasse nessuno dei
suoi pugni, e questo la fece arrabbiare sul serio, perché
l’esasperazione la
portò a giocare sporco, tagliandogli velocemente ogni
possibilità di difendere
il viso per potergli dare un sonoro schiaffo sulla guancia.
“Ahia!”
Ranma
si massaggiò la faccia, rendendosi conto che Akane aveva
ripreso
posizione, pronta a cominciare un combattimento. Da quando era
così abile?
“Che
bella accoglienza! È così che si
saluta?” borbottò lui, le
sopracciglia aggrottate. Avrebbe voluto ricevere un bentornato - un misero
ciao,
non voleva mica... un abbraccio - ma Akane non si
sarebbe lasciata andare
tanto facilmente.
Quelle
erano situazioni più
delicate, più pericolose; di conseguenza lei ovviamente era
più tesa. Quando
lui era sano e salvo non c’erano più inibizioni
che la facessero desistere da
quei gesti così dolci e sentiti.
Ora
sembrava che volesse soltanto qualcuno con cui allenarsi. E lui
capitava a puntino.
“Sono
occupata. Che ci fai qui? Dov’è Ryoga?”
Ranma
mise il broncio di fronte a quelle domande. Subito a pensare a
Ryoga!
“È
dentro, con Akari. A proposito, perché sei qui e non con le
altre
ragazze?”
“Non
voglio saltare gli allenamenti.”
Già,
dal giorno dei ritorno dalla Cina Akane dava tutta se stessa nelle
arti marziali, tanto e anche più intensamente delle prime
volte in cui si
chiudeva nel dojo con lui.
“Ti
stai allenando davvero duramente, Akane. Il tuo corpo ne
risentirà
se non stacchi la spina per un giorno” commentò
lui.
“Voglio
migliorare, Ranma.”
Una
constatazione chiara, eppure carica di quell’angoscia che
Ranma aveva
conosciuto nel momento in cui credeva che Akane non potesse essere
salvata.
Anche lui aveva pensato di non essere abbastanza per lei, ed aveva
deciso che
doveva diventare l’uomo che Akane meritava.
Se
non poteva annullare la sua maledizione, almeno poteva farla sentire
al sicuro - anche se Akane sapeva cavarsela - e renderla orgogliosa di
lui.
“Lo
vedi che sai perfettamente di essere una pappamolle?” la
schernì
per sdrammatizzare.
La
ragazza sfoggiò un sorriso tirato, che a Ranma
sembrò quasi triste. “Ah,
è così? Allora le vuoi proprio, le
botte!”
“Beh,
anche io voglio migliorare” disse infine, per tornare verso
un
piano più moderato. Allo sguardo interrogativo della
fidanzata si grattò la
testa, indeciso su cosa dire. “Credo di essermi lasciato un
po’ andare!”
Ridacchiò
un poco, cercando disperatamente di nascondere quel che
realmente pensava.
Come
posso dirti
così su due piedi che mi sono ripromesso di migliorare per
te?
“Hai
proprio ragione! Se ti sei fatto colpire così
facilmente!”
Rise
di gusto, mentre il ragazzo con il codino visibilmente offeso si
avvicinava pericolosamente a lei.
Piccola
vipera!
Io sto cercando di rimediare a quel che ho detto per non farti sentire
da meno
e tu mi prendi in giro!
La
rincorse, ascoltando la musica delle sue risate, finché
raggiungendola
la afferrò per un braccio, tagliandole ogni via di uscita.
Esausta, Akane gli
fece un cenno di resa e si lasciò scivolare lungo la parete
fino a sedersi.
Chiuse gli occhi, e Ranma la osservò, dimenticando
immediatamente il dispetto
fattogli per poter dare spazio alla visione delle labbra della
fidanzata, di
come fossero appena incurvate in un sorriso stanco, e delle gambe esili
avvolte
dalle sue braccia.
Era
piccola, Akane, e raggomitolata in quel modo lo era ancora di
più.
“Avete
litigato, tu e Ryoga, non è vero? Non vi sareste mai sognati
di
interrompere un allenamento fra le montagne.”
Non
è che avessero proprio litigato... La situazione non era
delle
migliori, ecco.
Però!
La
perspicacia a volte non ti manca!
Aveva
capito che qualcosa era andata storta, ma forse lei neanche
sapeva che Ryoga era così follemente innamorato di lei al
punto da essere...
com’era? In collera con la vita? Sì,
qualcosa del genere.
Le
sue paturnie
filosofiche non le capirò mai.
“Non
me lo vuoi dire?” chiese lei, osservandolo con occhi curiosi.
“È
complicato...”
Bella
scusa.
Non
poteva essere più semplice di così, invece.
“Va
bene, non te lo chiederò più.”
Dalla
casa provenivano delle risate, e Ranma si volse con espressione
contrariata verso le voci.
Ma
sentitelo! Io
mi sto facendo una testa così e lui si sta divertendo un
mondo!
“Ieri
le tue fidanzate hanno chiesto di te” lo informò
con cadenza
infastidita. “Era festa e ti stavano cercando. Hanno occupato
la casa per un
paio d’ore e poi se ne sono andate” disse con
noncuranza.
“Allora
il viaggio con Ryoga non è stato inutile”
commentò incrociando
le braccia dietro la testa. “Almeno mi sono risparmiato le
loro assurde
pretese.”
Guardò
di sottecchi Akane, in cerca di qualche segnale. Aveva preso la
palla al balzo per farle capire ancora una volta che quelle stupide non
erano altro
che delle amiche che nel bene e nel male gli rompevano le scatole ogni
due per
tre. Ma ad Akane quell’affermazione apparentemente non
sortì nessun effetto. Se
ne rimase in silenzio, osservandosi distrattamente le ginocchia. Ranma
sperò che
fosse rincuorata da quelle parole, che capisse qualcosa e gli regalasse
un
sorriso, di quelli dolci, che solo lei sapeva fare. Ma non mosse un
muscolo.
Ciò
lo spaventò tantissimo. E se i suoi sentimenti per lui si
fossero
ridimensionati? Se ora avesse in mente di fare dei passi indietro? Non
avrebbe
potuto biasimarla, non erano neanche riusciti a sposarsi come una
coppia che si
ama sul serio.
Avanti,
Akane!
Di’ qualcosa!
“Pensavo
che fossi felice della loro attenzione!” disse infine lei con
pungente sarcasmo.
“Pensavi
male, cretina.”
“E
che solo la mia ti infastidisse.”
“Ti
sbagli! Io”, e qui ogni barlume di rabbia svanì
come se non ci fosse
mai stato “non volevo andare. Kasumi ci ha convinti in buona
fede ma io non me
la sentivo di...”
Di
lasciarti subito
dopo quello che è successo.
“Anche
a me dispiaceva, sai?”
Akane
si strinse ancora di più le gambe al petto, forse per
proteggersi
dal nervosismo per ciò che stava per dire.
Strofinò con forza le dita dei piedi
sul pavimento di legno.
Era
nervosa.
Ranma
si sentì incoraggiato da quei sintomi. Significavano che
molto
probabilmente stava per dirgli finalmente qualcosa di carino.
“Eravamo
appena... tornati, e quando Kasumi vi ha proposto
di
fare questo viaggio di allenamento ho dovuto lottare contro me stessa
per non
chiederti di portarmi con voi.”
Ranma
sorrise. Anche lui aveva pensato a tutte le implicazioni nel caso
in cui Akane fosse partita con loro, soprattutto di come
paradossalmente gli
avrebbe fatto piacere.
“Ti
avrei portata volentieri.”
“Grazie...”
“A
patto che tu non cucinassi!”
“Idiota!”
La
solita atmosfera altalenante, fra parole carine e battutacce fuori
luogo. Ma quel giorno era come se l’energia per litigare
violentemente si fosse
esaurita, permettendo che una nuova subentrasse, quasi di soppiatto.
Timidamente,
Ranma si avvicinò un po’ di più ad
Akane, quel che bastava per sentire il suo
calore sprigionato a causa dell’allenamento di poco prima.
Sentì
il cuore martellargli nel petto con furia, ed aumentare di
secondo in secondo i suoi battiti dal momento che gli
ritornò con prepotenza
alla mente quella serie limitata ma intensa di abbracci che lei gli
aveva
riservato, e che lui aveva ricambiato sul serio e senza doppi fini solo
molto
più tardi, quando lo stordimento incredulo di quella dose
massiccia di felicità
lo portò a stringersi al petto Akane nonostante fosse nuda e
fredda.
Prese
ad osservarla mentre sovrappensiero si mordeva ripetutamente le
labbra.
Ranma
provò l’istinto irrefrenabile di toccarle, magari
con le proprie,
ma c’erano parecchie possibilità di ritrovarsi a
fare compagnia all’antenna sul
tetto.
Era
carina, Akane, sapeva essere romantica quando voleva, ma il suo
caratteraccio - oppure l’orgoglio, proprio come lui - la
portava spesso ad
essere violenta, a pensare a difendersi piuttosto che a lasciarsi
andare, a
dare per scontato il fatto che lui la stragrande maggior parte delle
volte la
volesse solo prendere in giro quando le rivolgeva qualche parola di
apprezzamento - e in fondo, non aveva tutti i torti, dati alcuni
trascorsi.
Era
anche questo che gli piaceva di lei. Paradossalmente si era trovato
ad amare tutto di Akane, anche quella sua indipendenza, quella sua poca
sensibilità verso i complimenti e quella caratteristica che
le permetteva di
vedere ciò che gli altri non erano capaci di intendere.
L’aveva
salvata tantissime volte, l’aveva protetta anche quando non
era
estremamente necessario. Era quello il suo modo di amare. Glielo aveva
dimostrato a suon di combattimenti e sacrifici, finché era
arrivato alla ferma
e irreversibile convinzione che per lei sarebbe morto.
“Ranma,
tutto bene?”
La
ragazza si accorse che Ranma la stava fissando con occhi lucidi, e
lui dapprima fu tentato di battere in ritirata. Ma gli bastò
vedere come le sue
guance si fossero imporporate per farlo cadere nuovamente nel desiderio
sfrenato di darle un bacio.
Akane
avrebbe potuto pensare a mille cose diverse se Ranma l’avesse
baciata di sana pianta; si sarebbe fatto ammazzare così, e
magari si sarebbe
fatto ridurre in poltiglia, ma che importava?
“Ranma?”
ripeté lei, sventolandogli una mano davanti alla faccia.
Lesto,
Ranma le bloccò il polso, e con altrettanta
velocità posò
dolcemente le sue labbra sulla bocca semichiusa di Akane.
Cazzo,
l’ho
fatto!
La
sentì irrigidirsi, prendere a tremare e stringere a pugno la
mano
che le aveva afferrato, mentre il suo odore personale gli
investì le narici con
prepotenza fino a farlo sentire alla sua completa mercé.
Invece
di farlo desistere, ciò lo eccitò al punto da
liberarsi di ogni
paura, e di certo fu quella la sensazione più bella dopo
quella delle loro
labbra unite: di non temere più di essere debole o ridicolo
ai suoi occhi, ma
soprattutto di non temere più di abbandonarsi completamente
a lei.
Era
stato terribile anche solo immaginarlo fino a quel momento. Ma ora
era straordinariamente meraviglioso. Le labbra di Akane erano calde e
morbide,
pregne di un sapore profumato e deciso.
La
giovane si dimenò in una debole e poco convincente
resistenza
finché, cedendo, timidamente rispose al bacio.
Il
cuore di Ranma mancò di un battito, finché
sorrise al culmine della
felicità.
Si
era fatto avanti per primo per scambiare con lei un gesto
d’amore
inequivocabile, e Akane non lo aveva cacciato, né preso a
martellate. Aveva
ricambiato, e ciò significava solo una cosa.
A
malincuore la lasciò andare e, aprendo gli occhi, scorse i
suoi che
lo guardavano quasi increduli, con un complesso di paura e desiderio
nel quale
Ranma ci si poteva specchiare.
Le
guance cariche di un rosso intenso la rendevano ancora più
bella e
ammaliante. Le carezzò piano. Erano bollenti.
“Akane,
io... scusami, ti prego. Puoi prendermi a calci, se ti va...”
Lo
disse con la voce più tenera e disarmante di cui era capace,
quasi
anche mortificata, ma ad Akane quasi venne da ridere.
“Ho
visto come mi guardavi, l’altra sera...”
sussurrò lei allusivamente
con una punta di malizia. “Ti stavo aspettando, lo
sai?”
Ranma
non comprese ciò che Akane volesse dire; ma quando lei gli
sfiorò
lievemente le labbra con le dita - lo fece impazzire, quel gesto! - si
rese
conto che era stato uno stupido a temporeggiare in quel modo.
Abbassò
lo sguardo con aria colpevole, ma lei subito lo intercettò
incatenandolo
al suo.
“Puoi
baciarmi ancora, se ti va...”
Ranma
non si fece pregare. Avvolse il suo corpo esile con forza,
sentendo le sue rotondità sotto il ji
leggermente umido del suo sudore;
e riprese il bacio lì dove lo aveva interrotto.
Ne
avrebbe fatti altri di viaggi di allenamento, magari con Ryoga - se
si fosse dato una calmata. Doveva e voleva allenarsi per poter rendersi
degno
di Akane e per far sì che niente e nessuno avrebbe potuto
separarli.
Ma
quello, così vicino a quegli eventi,
così lontano da lei e
dal suo calore, sembrava così privo di significato.