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Autore: Caramell_    18/02/2017    3 recensioni
[...] Baciare Camus è tipo un’esperienza mistica. Milo gli circonda la vita con le braccia e, in silenzio, si meraviglia di quanto sia sottile. Gli stringe una guancia con la mano libera e prova a tirarselo più vicino. Va specificato però; non è come se avessero una relazione, non è che stanno insieme o cose così, è solo che si baciano, ogni tanto e dormono insieme. Niente sesso, solo, ecco, dormire.
[Parent!MiloxCamus/Child!Hyoga/Child!Shun]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’amore è quella cosa che tu sei da una parte, lui dall’altra
e gli sconosciuti si accorgono che vi amate
Anonimo – Twitter

 


 
 
 
 




 
 
 
Punto uno: Aiolia è un imbecille, e Milo lo detesta. Cielo, non lo maledirà mai abbastanza per la bravata della sera prima. Bere così tanto dovrebbe essere illegale, anche se Milo pensa che, in realtà, già lo sia, così come dovrebbe esserlo alzarsi e ricominciare a lavorare il giorno dopo. L’unica cosa che gli manca del periodo dell’università sono le sue tese, pacifiche domeniche, dove il massimo del trasgressivo era andare a dormire coi calzini spaiati.
Punto due: Lavorare in una scuola elementare non è il massimo, non se la sera prima ci si è dati alla pazza gioia. I bambini strepitano e non stanno fermi un attimo, e Milo è sicuro che, alla fine della giornata, dovranno come minimo ricoverarlo.
Punto tre: Lui adora il suo lavoro – il più delle volte – ma la cosa che davvero non può soffrire sono quegli stupidi incontri trimestrali con i genitori dei suoi alunni che la preside – maledetta – continua ad organizzare solo per – potrebbe metterci la mano sul fuoco – procurare a lui un’emicrania e ad Aiolos un colpo apoplettico. Cosa che, poveri loro, succede puntualmente.
Punto quattro: Aiolia è il più grande degli imbecilli e a quell’ora indecente la sua classe non dovrebbe essere così affollata. Genitori, genitori ovunque. Già si sente male.
Meglio fare una capatina alla macchinetta del caffè, prima. Sente di averne un disperato bisogno. Non è troppo lontana e poi quella mattina, subito dopo essersi reso conto che s’era infilato il maglione al contrario, aveva cercato in ogni buco della casa, portafogli, salvadanai e via dicendo e aveva trovato – esibendole subito dopo con un certo orgoglio – un sacco di monete dal piccolo taglio. Caffè assicurato, quindi. Un’ode angelica per le sue orecchie.
Il punto è che il destino è crudele e Milo se ne rende conto proprio in quel momento.
Davanti a quella che oramai il suo cervello ha ribattezzato come l’amore della sua vita, c’è un bambino, minuscolo e biondissimo, con le labbra contratte e i pugni stretti, tutto concentrato, in attesa e Milo sarà pure ancora mezzo sbronzo e parecchio intontito, ma rimane comunque un maestro e un uomo, e quella scena gli fa una tenerezza immensa.
Così si avvicina, piano e – Che succede, Hyoga? – sussurra e il suddetto, sbattendo le ciglia e mostrandogli il palmo – È che non ci arrivo – bisbiglia, serio e adorabile e Milo fissa i soldi che ha tra le mani e sorride.
- Cos’è che vuoi? – domanda e Hyoga sposta il peso da una gamba all’altra, gira la faccia.
- Cioccolata – bofonchia.
- Beh – contrattacca Milo – allora quelli non ti bastano – la cioccolata calda lì dentro costa un patrimonio, è lui il primo a riconoscerlo. La sua linea ne è immensamente felice, il suo cuore un po’ meno. Comunque, checché ne dica il suo stomaco o il resto di lui che ancora pare funzionare, non esiste essere peggiore al mondo di colui che priva un bambino della sua cioccolata. È una di quelle inderogabili leggi non scritte, punto. Perciò, non gli resta da fare altro. Si infila una mano in tasca e un minuto e venti secondi dopo Hyoga ha in mano la sua bevanda calda e Milo si sente un poco meglio, fiero di se stesso e, nel profondo, una specie di versione tascabile di Superman. Ben fatto, davvero.
Peccato che la goliardia gli duri poco. Dieci secondi dopo qualcuno afferra Hyoga per un braccio e, delicato, se lo stringe addosso, mentre il piccolo è ancora intento a fissare il suo bicchiere fumante e Milo, ripetiamolo, anche se in quel momento è ancora mezzo sbronzo, non ci mette molto a registrare la figaggine – perché altro modo di dirlo non esiste – del tizio sopra citato. Longilineo, pallido, e con due occhi di ghiaccio. Una specie di esempio, in carne ed ossa, dei suoi più vividi sogni di ragazzina. Per gli dei, ha quasi la bava alla bocca.
- Mi dispiace – gli dice, e prende Hyoga per una mano – L’ho perso di vista un attimo e-
- Oh, non importa – l’interrompe Milo e poi, rivolto al bambino – siamo apposto adesso, no? – e Hyoga annuisce convinto, fiero come se avesse appena portato a termine una missione di importanza galattica, il cappotto pesante allacciato fino al collo e le guance rosse. Poi lo sconosciuto sexy adocchia per un attimo la cioccolata che Milo gli ha comprato e storce il naso – Va bene, allora – dice dopo un po’ – Grazie – anche se, dalla faccia, sembra più che voglia prenderlo a schiaffi – Oh, ti prego, fallo. Comunque. Meno di un minuto dopo gli sta fissando il culo.
Hyoga si volta, mentre viene portato via, lui e il suo faccino serioso, e Milo solleva una mano, sorride.
Punto cinque: Ha sempre avuto un debole per i rossi.
 
 
Aiolos passa per una visita tre ore dopo e Milo ha già parlato con tutti genitori dei suoi alunni e, gli sembra, con una decina di sconosciuti che, di sicuro, deve avergli appioppato il tizio antipatico dell’aula accanto. Maledetto anche lui. Sospira, non ne può più.
- Ok – bisbiglia l’amico e, santo ragazzo, gli porge, cortese, uno degli enormi bicchieri di caffè della caffetteria lì all’angolo – Mio salvatore – sussurra Milo, e trangugia tutto in un paio di sorsi. Meglio, molto meglio.
- Hai finito? – ma quello che riceve in risposta è una specie di sintesi tra uno sbuffo e un grugnito, ridacchia – Vieni con me, per oggi t’accompagno io – a Milo scuote la testa, solleva stancamente una palpebra e, con l’indice, indica qualcosa alle spalle di Aiolos che, incuriosito, si gira, busto e gambe.
Appiccicato alla finestra, col nasino all’insù e imbacuccato fino al midollo, se ne sta Shun, in attesa, magrissimo e con il cappotto largo sulle spalle.
- I suoi non sono ancora arrivati – borbotta piano Milo e poi, rivolto ad Aiolos – rimarrò qui, ce ne andremo insieme
In realtà, anche se lo spera, Milo non crede si presenterà nessuno. In due anni, dopotutto, non ha mai conosciuto nessuno della famiglia di Shun, a parte suo fratello, Ikki che, però, facendosi due conti, abita o, meglio, girovaga, troppo lontano da lì per tornare solo per incontrare i maestri del fratellino. Non che Milo gliene stia facendo una colpa, è solo che veder piangere Shun – cosa che avviene molto spesso, a dirla tutta – è un po’ come una pugnalata al cuore e quindi indicibilmente doloroso, che tu sia colpevole o meno.  È come se fosse l’incarnazione di un orsacchiotto abbraccia-tutti e beh, da questi tutti, alla fine, viene coccolato.
Quella mattina, ad esempio, quando poi era tornato nella sua classe deciso ad assumersi le sue responsabilità e a comportarsi da uomo – non prima però di aver passato come minimo dieci minuti in assoluta adorazione fissando il muro – aveva notato Shun – anche se Shun non è che si nota, si sorveglia – trangugiare liquido da un bicchierone fumante più grande della sua faccia e il suo cervello aveva fatto due più due, complice anche il sorrisino fiero e compiaciuto che sfoggiava Hyoga.
Che poi, a proposito di Hyoga.
- Aiolos – chiama ad un certo punto. Lo ferma quando già ha un piede fuori dalla porta.
- Mnh?
- Hai presente Hyoga?
- Come?
- Hyoga. Sai, piccolo, biondo, occhi azzurri, perenne faccia imbronciata
- Milo – lo interrompe – È ovvio che ho presente Hyoga. Sta nella mia classe
- Bene – sentenzia, come se fosse fiero di lui – c’era qualcuno con lui oggi. Sai per caso chi-no?
- Oh – borbotta Aiolos dopo un po’ – perché t’interessa? – e Milo rotea piano gli occhi e scocca un’occhiata a Shun, per sicurezza. Tutto apposto. Bene.
- Mera curiosità – dice, e gira la faccia. Non lo vede mica il sorrisetto idiota di Aiolos, né quella sua inquietante smorfia obliqua. Per carità, altrimenti spiegherebbe l’equivoco.
- Si chiama Camus – rivela alla fine – È un amico mio e di Saga
Milo si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, non molla Shun nemmeno un attimo.
- Perché non l’ho mai visto prima? – domanda e la faccia di Aiolos si accartoccia per un secondo, sospira – Perché prima era la madre che veniva a prenderlo, ma beh- nessuno di loro ha il coraggio di finire la frase, comunque, e dopo, quando Aiolos riesce finalmente a levare le tende, Milo si impone di non pensarci, di scacciare i pensieri tristi e, piano, s’avvicina al corpicino di Shun, ancora rannicchiato tra il davanzale e il banchetto a fissare la neve.
È uno spettacolo piuttosto impressionante, concede, non solo per un bambino. Ma, per quanto gli piacerebbe, non possono stare appiccicati lì vicino tutto il pomeriggio, perciò solleva un braccio e afferra il piccolo per una spalla e, con fare cospiratore sussurra – E se tirassi fuori gli acquerelli? – e, davvero, il sorriso felice che, in quel momento, gli regala Shun gli riempie il cuore di gioia.
 
 
Combinano un pasticcio, tutti e due. Shun ha i gomiti sporchi di verde e un paio di baffi rossi belli spessi e arricciati ai lati che gli decorano il muso. Milo non riesce a smettere di ridere, e tutti quelli che passano davanti alla sua classe, genitori compresi, fanno altrettanto. Devono essere una scenetta niente male, lui soprattutto. Grande, grosso e vaccinato e coperto di blu dalla testa i piedi. È meraviglioso. E poi Shun sembra divertirsi, perciò.
Non c’hanno più pensato, alla neve, nemmeno ad Ikki, agli incontri coi genitori. Ad un certo punto Milo ha tirato fuori un paio di tele bianchissime e gli occhi di Shun si sono allargati tanto che gli hanno occupato tutta la faccia. Poi, prima di cominciare a dipingersi addosso, si sono dati alle imitazioni e, visto che di tempo ne avevano, sono riusciti a costruire una scacchiera parecchio rudimentale e tutta sgangherata e a farsi una lunga partita a battaglia navale.
E anche se Milo, dal canto suo, non è mai stato troppo bravo a disegnare o che altro, Shun sembra trovare divertenti i suoi cani a sei zampe e i soli sorridenti che appiccica a piè di pagina. Missione compiuta, allora.
È solo quando il bambino si stropiccia una guancia con il pugno sporco che Milo si rende conto dell’orario balordo che s’è fatto. Santo cielo, la scuola dovrebbe essere chiusa da un pezzo e, molto più che certamente, gli unici ad essere rimasti là dentro sono loro due. Shun lo guarda un attimo, ridacchia un poco della sua faccia allucinata, poi la stanchezza riprende a farsi sentire e allunga le manine verso di lui, in attesa, e Milo non se lo fa ripetere due volte, lo tira su e lascia che gli circondi il collo con le braccia. Due minuti e dorme già.
Milo sospira, stanco anche lui, guarda Shun e il suo visetto addormentato e d’accordo, si dice, piano B. S’infila – non troppo facilmente ma ok – una mano in tasca e afferra il telefonino.
Marin gli risponde al primo squillo – Dovrebbe già essere qui, Milo – lo rimprovera.
- Lo so, lo so e mi dispiace – balbetta lui, in ansia e sente Shun sistemarsi meglio sul suo petto, respirare piano – ti prego, Marin. È troppo tardi anche solo per pensare di riportarlo in orfanotrofio
Lei sbuffa, all’altro capo, scuote la testa – D’accordo – cede – ma solo per questa volta e solo perché sei tu
- Sei un angelo
Milo chiude la telefonata e schiocca un bacio sulla testolina di Shun. Casa sua, dopotutto, non è poi così lontana.
 
 
Milo è sempre stato un tipo abbastanza mattiniero anche se, dalla faccia, non si direbbe. Mai collezionato un ritardo, mai una multa. Questo, almeno, fino a che ha dormito da solo o, si corregge alle volte, fino a che non ha conosciuto Aiolia.
Il letto che ha comprato nemmeno due anni prima è enorme e Shun, attorcigliato dentro ad uno dei suoi pigiami, sempre ancora più piccolo di quello che è, un batuffolo di otto anni tutto scompigliato e Milo non ha proprio il cuore di svegliarlo, non per riportarlo in orfanotrofio.
Lancia uno sguardo all’orologio a muro che ha appiccicato sopra al tavolo. Otto meno cinque. Forse, pensa, potrei farmi sostituire. Solo stamattina. Anche se, ragiona ancora, una manovra del genere gli costerà un paio di pomeriggi in più piegato sui compiti in classe.
Alza le spalle. Niente che non sia sopportabile. Bene, è deciso. Aiolos lo prenderà a schiaffi non appena lo vedrà, è sicuro.
Shun si sveglia solo tre ore dopo, Milo se lo ritrova sulla soglia della cucina affamato e ancora mezzo addormentato. Sorride, intenerito e si siede con lui per fare colazione. Shun mangia come un uccellino e ridacchia, contento, quando qualche biscotto troppo inzuppato torna a galla nella ciotola.
Milo s’è sempre chiesto, in privato naturalmente, perché Ikki non se lo sia portato dietro. Tranquillo com’è non avrebbe dato fastidio a nessuno, ma forse, dopotutto, l’ha pensato più al sicuro lì, con Marin e i ragazzi dell’orfanotrofio. Parecchi di loro sono alunni di Milo, a cominciare da quella peste di Seiya che poi, a vederlo, pare più un tappo coi capelli che un ragazzino. Milo non ha veramente idea di come Marin faccia a sopportarlo. Aiolia le dà già abbastanza preoccupazioni.
Shun dondola le gambe sotto il tavolo, assorto, finisce i biscotti e butta giù tutto il latte poi, in mutande s’allunga e dice – Niente scuola?
- Oggi no, Shun – gli spiega – Scusa. È stata colpa mia
- È ok – dice e, per rassicurarlo, gli regala un sorriso enorme, tutto denti. È un amore e, a dispetto di tutto il sapone che hanno usato ieri, un baffetto rosso gli è ancora rimasto sulla guancia
- Vieni qui – sussurra Milo, se lo tira in grembo e con la manica della felpa prova a pulirgli la faccia. Shun si dimena, e ride – Và a darti una pulita. Ti riporto da Marin – e poi annuisce, si strofina per bene il naso e corre verso il bagno.
Alla fine escono di casa che è quasi mezzogiorno ma, prima di tornare all’orfanotrofio, passano per il parco e, quando Milo vede Shun rabbrividire per il freddo, gli compra una sciarpa nuova di un bell’azzurro cielo. Riesce a lasciarlo andare solo una buona mezz’ora dopo. Appena lo vede Marin quasi lo prende a sberle sul serio, gli tira le orecchie – Idiota – borbotta, ma sorride.
 
 
Il caffè di Aldebaran non gli è mai sembrato più buono, giura. Forte come pochi, rigorosamente amaro. Aiolos lo aspetta a scuola; correggere i compiti, questa volta, tocca a lui. Si prospetta un pomeriggio tutt’altro che emozionante o, almeno, è quello che pensa sconsolato fino a che non gira la faccia.
C’è Camus seduto dietro di lui, là, in fondo alla sala, seminascosto da quegli ingombranti pannelli di legno che Aldebaran si rifiuta di buttare. Camussguardodafigoeculodafavola; capelli rossi e pacchetto completo.
Se avesse un po’ meno autocontrollo sputerebbe il caffè, di getto. Poi Aldebaran gliele suonerebbe – di nuovo – ma diavolo, ne varrebbe la pena. Comunque, contegno, un minimo.
Ci parlo, si dice, ok, vado là e ci parlo, si. Ma no, in realtà no. Camus ha un maglione blu a collo alto, i capelli legati e un paio di sottili occhiali da vista e Milo lo trova bellissimo, anche ora che gli è passato il dopo-sbronza. Pensa, in verità, che lo troverebbe bellissimo anche se avesse un sacco di iuta calato sulla testa.
- Sono abbastanza sicuro che ti converrebbe essere più discreto. Sai, per la tua dignità – Aldebaran è dietro al bancone e, comprensibilmente, se la ride anche non troppo di nascosto, mentre gli passa un bicchiere d’acqua e un fazzoletto pulito – To’ – annuncia – Asciugati quella bava.
- Non sto sbavando – protesta Milo, rosso anche dietro al collo – Io non sbavo – e Aldebaran ridacchia – Certo
Poco più in là Camus solleva gli occhi dal laptop che ha poggiato sul tavolo. L’ha notato anche lui, il biondino, anche perché, a dirla tutta, sarebbe davvero impossibile non notarlo – un tipo davvero chiassoso, non c’è che dire.
Ha riconosciuto nella sua esuberanza uno dei – forse – maestri di Hyoga, quello della macchinetta, per intenderci, e della cioccolata.
È entrato lì dentro nemmeno un’ora fa, tutto baldanzoso, mentre Camus cercava di pensare, senza successo, alla scena finale di quell’ultimo, odiosissimo capitolo – Toro – l’ha sentito urlare – mio mastodontico amico, uno dei tuoi caffè extraforti, che oggi sento dolore anche solo ad alzare gli occhi – e poi ha visto lo stesso proprietario, “Toro” a quanto pare, lanciargli addosso quella che sembrava una vecchia caffettiera – Imbecille, finiscila di urlare – e niente, non ce l’ha fatta proprio a trattenersi dal ridere, e di cuore anche, come non succedeva da un po’. Una cosa parecchio contenuta, naturalmente, com’è nel suo carattere, ma comunque liberatoria e rilassante. Conoscere il suo nome, pensa, non sarebbe tanto male.
Lo schermo del computer, intanto, continua a lampeggiare. Camus si sistema gli occhiali sul naso, sospira. Guarda la pagina scritta a metà. Per quel giorno non crede riuscirà a fare di più, meglio non forzare la cosa più del necessario. Però, gli pesa terribilmente quello stallo improvviso.
Arriva davanti alla cassa che quei due stanno ancora bisticciando. Se non avesse fretta – lo ammette – rimarrebbe a godersi lo spettacolo.
Quando lo vedono avvicinarsi si zittiscono entrambi e Milo ci prova, a non incantarsi, ma non è che gli riesca così bene, dopotutto. Sussurra – Ciao – come se stesse parlando con un bambino delle elementari, come se anche lui lo fosse.
Camus si gira verso di lui, lentamente e, mentre Aldebaran gli porge il resto, fa, incerto e quasi tremante – Ciao uhm-
- Milo – s’affretta ad aggiungere lui, terribilmente felice che non l’abbia ignorato.
Camus pare pensarci un attimo su, poi annuisce – Milo – ripete e se ne va, così, portandosi via quello che resta del suo povero cuore.
 
 
Seiya sta cercando di ucciderlo, ne è sicuro, o di esaurirlo, che è più o meno la stessa cosa. Quel ragazzino petulante non fa che saltare da una parte all’altra dell’aula, mentre i suoi compagni – i quali, a quanto pare, non discendono direttamente da Satana – tengono le testoline abbassate sul compito d’italiano – anche se, a dirla tutta, chiamarlo “compito” pare eccessivo pure a lui, ma tant'é.
Dicevamo, Seiya. Dovrà dire a Marin di smetterla di imbottirlo di dolci e schifezze varie. Un’energia così non è nemmeno lontanamente sopportabile. Se poi ci infiliamo in mezzo le sue boccacce e quel modo irrispettoso che ha di fargli la linguaccia il quadretto è completo.
Ma ecco che riesce ad afferrarlo per un braccio per il cielo solo sa quale miracolo, quando il suo momento di gloria viene interrotto dall’entrata in scena di colui che tutto può, Aiolos, signori, domatore dei marmocchi impazziti. Presto detto, la piccola pesta si sguscia via dalle dita e, subdolo come pochi, corre ad appiccicargli alle gambe lunghe del sopracitato, sorridendo e sghignazzando come un pazzo.
Milo lo fissa per un poco e solleva scettico un sopracciglio – Traditore – borbotta e Seiya si gira verso di lui, tira di nuovo fuori la lingua.
Aiolos osserva la scena divertito e scuote la testa, poi sorride angelico a quella sottospecie di diavoletto, gli lascia una carezza sulla testa – Milo – dice – vieni fuori un momento – e Milo lancia un ultimo sguardo alla sua classe – Torno subito – annuncia e solo quando sente un coro di si echeggiare nella stanza si chiude la porta alle spalle.
Non è successo nulla di così grave. Semplicemente Camus ha appena avvisato che farà tardi e c’è da badare a Hyoga, almeno fino a che non riuscirà a liberarsi. Tutto qui, e appena Milo connette le parole ritardo-Hyoga con conseguente Camus-favore e Camus-animagemella è come se gli si illuminasse il cervello e un sorrisetto furbo gli spacca la faccia a metà. Quella deve essere la sua giornata fortunata.
Aiolos guarda la sua trasformazione stupefatto. Alle volte è così facile rendere felice qualcuno. Quando Camus l’ha chiamato, quella mattina, non ci ha pensato due volte. I bambini adorano Milo, che siano suoi alunni o meno, Hyoga fra tutti. Milo è l’unico, fra loro, che riesce a fargli dire sempre si, a farlo sedere composto, a convincerlo ad ascoltare la lezione. È come se lo invogliasse ad imparare e a stare con gli altri, a provarci. Nessuno ha ancora capito come ci riesce. Probabilmente non è altro che un dono e Milo è meraviglioso con i loro ragazzi. Quindi, per una volta, si lascia scappare una piccola bugia, una di quelle a fin di bene – Saga mi ha chiesto di dargli una mano con il trasloco e sai com’è quando si mette in testa una cosa – che poi, in realtà, proprio una bugia non è e Saga gli ha davvero chiesto un aiuto in più per spostare il divano ed impacchettare i suoi quadri, ma, ecco, c’è da dire che non è un qualcosa di proprio imminente, sebbene possa essere trasformata in una scusa niente male e piuttosto credibile. Bene, la sua anima è salva. E poi, Milo sembra così contento che adesso sarebbe un sacrilegio rimangiarsi tutto.
Aiolos annuisce fra sé e sé. Non è mai stato più fiero di se stesso. Più o meno.
 
 
Shun e Hyoga si adorano, non c’è altro da dire. Guardarli  è come vedere due cuccioli di orso che si leccano la testa a vicenda. Non si mollano un momento.
Hyoga non parla molto, quasi per niente, ma si è rivelato un ottimo ascoltatore e Shun non fa che chiacchierare. Se solo l’avesse saputo prima, Milo avrebbe chiesto immediatamente a Camus di affittargli il moccioso. Niente più pianti o faccette tristi e, da parte sua, niente più sensi di colpa.
Corregge i compiti di quella mattina con le loro vocette in sottofondo e ogni tanto lancia loro un’occhiata, a controllare che tutto vada bene. Sono tutti e due affacciati alla finestra e rimangono fermi lì per una buona mezz’ora. La nevicata ininterrotta dell’ultima settimana ha ricoperto completamente lo scivolo e l’altalena, l’erba tagliata del parco della scuola.
Si avvicinano a Milo con i loro nasini all’insù e prendono a fissargli le mani, i fogli corretti e quelli ancora intonsi.
Comunque, senza girarci troppo intorno, alla fine finisce per raccontar loro una favola. Alla proposta Shun sorride e comincia a saltellargli intorno, contento, Hyoga, da parte sua, rimane immobile, come sempre, e solo quando Milo, mezzo esasperato, anche se solo per gioco, gli chiede – Me lo fai un sorriso? – il bambino ci prova e solleva solo un angolo della bocca e in quel momento Milo si fa più entusiasta di Shun, e ridacchia.
Cadono sui classici; principesse, principi e prove da superare e Milo, da buon cantastorie qual è, c’infila in mezzo un paio di draghi e tinge i capelli della malcapitata di rosso. Riferimenti casuali, naturalmente. Quando poi, però, la suddetta malcapitata gli si presenta davanti, in carne ed ossa e di sesso opposto – grazie al cielo – Milo si rende conto che quei riferimenti sono diventati parecchio espliciti un paio di battaglie prima e quasi si strozza con la sua saliva, arrossisce fino alla punta dei capelli.
Camus è rimasto bello come l’ultima volta che l’ha visto. Ora ha i capelli sciolti, un cappotto scuro, pesante e una sciarpa ruvida attorcigliata al collo.
Appena lo vede Hyoga si dimentica di Milo e della sua favoletta e gli corre incontro e, in una più sobria imitazione di Seiya quando vede Aiolos, gli abbraccia le ginocchia, adorante.
- Scusa il ritardo – gli dice Camus, guardandolo e Milo vorrebbe scolpirsi quell’immagine nella testa più o meno a vita, ma poi il vero amore della sua vita si volta e – Anche a te – sussurra, tutto serio e gelido e Milo dovrebbe vergognarsi di se stesso, ma adora quella sua faccia da sciagure imminenti.
- Oh, non importa – balbetta in risposta – Ci siamo tenuti impegnati – e lancia uno sguardo a Shun, si sorridono – Su, piccolo, saluta Hyoga – ma il bambino continua a guardarlo, mette su una delle sue espressioni peggiori, tira un poco fuori il labbro e i suoi occhi si fanno enormi, tutti liquidi e tristi – Possiamo andare con loro? – pigola, implorante e Milo si sente come se avesse appena preso a bastonate un cucciolo di foca. Terribile, davvero. Oltre al fatto che, beh, è troppo presto per riportarlo all’orfanotrofio. È un favore che fa a Marin ,di tanto in tanto, lei prova a contattare Ikki e a tener a bada tutte le altre piccole pesti, e Milo si prende cura di Shun fino a sera. Sono un paio d’anni che le cose vanno così. Milo non se ne lamenta affatto.
Opta, quindi, per la cara, vecchia diplomazia. S’inginocchia al suo fianco e, con l’espressione più angelica del mondo, dice – Non lo so, Shun. Non dipende da me. Dovresti chiedere a Camus, no? – e corona il tutto facendo scivolare un poco la testa a destra, indicando, infame, Camus con la mano il quale, al di là della soglia, assiste abbastanza indifferente al piccolo teatrino che Milo ha messo su, fino a che non si sente strattonare una coscia da Hyoga – Per favore – bisbiglia il bambino e allora non c’è più niente da fare. Non è mica fatto di ghiaccio.
Quindi, e di certo non per suo demerito – e Camus ci tiene parecchio a precisarlo – alla fine si ritrovano in quattro sulla strada di casa. Fuori il cielo è di un grigio opprimente e la strada è un’enorme lastra d’argento. Shun e Hyoga camminano davanti a loro a piccoli passi e si tengono per mano, in silenzio. Camus li guarda mezzo sbigottito e mezzo intenerito. Hyoga non è mai stati un bambino socievole, è il primo rendersene conto. Parlare con lui, alle volte, è terribilmente difficile; una parola di troppo ed è capace di tenerti il muso per mesi e Camus, per sua sfortuna, se n’è reso conto un po’ di tempo fa, quando l’ha preso con sé e se l’è portato a casa. Le prime settimane sono state allucinanti. Hyoga non l’ascoltava mai e, di notte, non faceva che piangere. Camus gli vuole un bene dell’anima, è vero, ma non può non ammettere che trattare con lui è complicato. Eppure, a quanto pare, è appena stato battuto da un ragazzino di quanto, sei anni? perché Shun ci riesce e, addirittura, riesce a farlo ridere e Camus si sente quasi oltraggiato. Più che quasi, in realtà.
Milo segue il suo sguardo serio – Sono adorabili, non è vero? – e Camus non può che concordare con lui, lo sono, e cauto sorride. Sta proprio sollevando piano un angolo della bocca quando si rende conto, con un certo disappunto, di avere gli occhi di Milo puntati sulla faccia. Stringe le labbra, forte.
- Che c’è?
E Milo, da parte sua, ha, quantomeno, la decenza di sembrare dispiaciuto – Non è niente – dice – poi sembra pensarci un po’ – È solo che – deglutisce – sei davvero bellissimo
A quelle parole Camus boccheggia, arrossisce tutto d’un botto. Sei un idiota, vorrebbe dirgli. Non si dicono certe cose così, ad alta voce, in mezzo alla strada. Non si dicono e basta, ma dalla bocca gli esce solo un gelido – Non prendermi in giro – e Milo non ha mai pensato di essere masochista ma, per gli dei, s’è appena reso conto che sarebbe felice di farsi insultare per ore se a farlo fosse uno come Camus.
- Cos’è – bisbiglia – non ci credi? Penso davvero che tu sia bellissimo. Anzi, guarda, te lo dimostro
- No, io- e Camus non ha nemmeno il tempo di ribattere che Milo ha già afferrato Shun per una spalla, distraendolo da qualsiasi cosa stesse raccontando a Hyoga che, per inciso, ha appena incrociato le braccia e aggrottato le sopracciglia, triste come se gli avessero appena sfilato da sotto il naso il suo giocattolo preferito. Milo però non ha occhi che per Shun e gli sorride, dolce.
- Tesoro – dice con voce di miele – sai, io ho appena detto a Camus-
- Oh, ti prego
- che è davvero, davvero, davvero bello, ma lui non vuole credermi, quindi perché non glielo dici anche tu?
- Perché? – chiede il piccolo e Camus guarda un attimo il viso di Milo. Un sorriso malefico gli incornicia tutta la faccia. Se la situazione non fosse ai limiti del ridicolo sarebbe raccapricciante. Sono fermi in mezzo alla strada, al freddo, con decide e decine di persone che passano loro di fianco e fissano ed è assodato, Camus potrebbe morire d’imbarazzo da un momento all’altro, se lo sente.
- Andiamo, smettila. Lascia stare il bambino
Il sorriso di Milo però si allarga ancora mentre, tutto soddisfatto, si china su Shun e gli sussurra qualcosa all’orecchio.
Quando quella specie di bamboccio trentenne lo lascia andare Shun, che è un amore e farebbe sentire in colpa persino il criminale più incallito, si avvicina ad una gamba di Camus e, con quei suoi occhioni enormi, dice – Sei davvero, davvero bello – e si mangia un paio di lettere, arriccia il naso per lo sforzo. È di una tenerezza indescrivibile e il cuore di Camus perde un mezzo battito, sussulta.
- Quindi – riprende Milo – assodato questo, che ne dici di un caffè, magari, non lo, domani?
- Cosa? Ma tu- ed è a quel punto che succede; Shun comincia a balbettare e persino Hyoga, ancora arrabbiato nero, solleva le sopracciglia, incredulo.
- Ti-ti pr-prego, non pu-puoi di-dire di no, lo sh-shock mi fa-fabbe balbettare – e oddio, Milo è un idiota, Camus lo capisce in quel momento, un imbecille fatto e finito. Shun non sa ancora nemmeno parlare decentemente e lui, lui- Camus rimane immobile per un minuto buono e poi, poi scoppia a ridere di una di quelle risate piene, di pancia.
- Sei terribile – sussurra tra gli ansiti e Milo gli sorride, un po’ colpevole, il naso arrossato e le mani seppellite nelle tasche del giaccone.
- È un si, allora?
Camus annuisce – È un si – e a quella notizia Milo piega le ginocchia e, felice come una pasqua, schiocca un bacione sulla guancia di Shun – Missione compiuta – ridacchia e la pelle del bambino si arrossa di colpo, assume un’aria parecchio soddisfatta.
Riprendono a camminare che Milo ancora gongola – In quanti prima di me ci sono veramente cascati? – chiede Camus e l’altro risponde con un sorriso a trentadue denti.
- Solo tu – confessa e Camus scuote la testa, si dà dell’idiota cento volte. Beh, ormai.
Poi Hyoga afferra Shun con una mano, fa un urletto contento. E Camus allunga un poco il braccio destro e un gelido fiocco di neve gli si scioglie tra le dita.
 
 
La casa di Camus ha un giardino, e non è troppo distante dall’orfanotrofio. Quando ci arrivano, venti minuti dopo, entrambi i bambini sono infreddoliti e Shun sta quasi dormendo in piedi. Milo lo tira in braccio e se lo stringe tra i gomiti. Camus infila le chiavi nella toppa.
- Beh – dice Milo – Credo che ora sia meglio riportarlo a casa – e accarezza la testolina di Shun con riverenza – È sfinito
Ma Camus non gli dà il tempo di muovere un passo, lo afferra con la mano libera, dice – Potreste rimanere qui – e Milo spalanca gli occhi, inclina un poco la testa – Voglio dire, fa freddo e il bambino è distrutto. Potremmo prenderlo ora, quel caffè – fa un cenno verso Shun, intenerito – Dopo tutta la fatica che ha fatto, penso che tu glielo debba – e, beh, chi è Milo per dirgli di no?
Finiscono a prendere quel caffè in cucina. Camus ha ceduto il letto ai bambini che, rannicchiati vicini e cui pugnetti chiusi, s’addormentano profondamente appena toccano il cuscino. Hyoga ha coperto le spalle di Shun col lenzuolo e solo dopo ha chiuso gli occhi. Questo loro affetto lo spaventa un po’, ma Milo non vuole nemmeno provare a capire il perché.
Camus lo aspetta seduto a quel suo tavolo enorme, gli porge quella che più che una tazza pare una caraffa di caffè, a parte il fatto che non è affatto caffè. Cioccolata. Oddio. Milo adora la cioccolata, ma per poco non si mette a ridere.
- Non pensavo ne umh aveste? – dice, anche se sembra più una domanda, Milo riesce a vederci pure il punto interrogativo alla fine, gli svolazza proprio davanti alla faccia.
È come se adesso che è solo con Camus, in casa sua, tutta la sua spavalderia fosse evaporata e si ritrova quasi timido, incerto.
- È per Hyoga – spiega Camus – Non c’è praticamente nient’altro qui
Gli si siede di fronte, gelido e bellissimo e Milo, che ha un mini attacco di cuore anche solo a vederlo, si chiede come si sentirebbe se dovesse toccarlo. Probabilmente smetterebbe di respirare, sul colpo.
- Sei davvero bravo
- Come?
- Con i bambini – e a Milo lo dicono spesso, che ci sa fare con i bambini, che fa bene il suo lavoro, ma sentirselo dire da Camus è, beh, tutta un’altra cosa. La pelle prende a formicolargli e gli si arrossano le orecchie, tutte, fino alla punta.
- Non è niente – balbetta – Lo faccio da una vita
Camus scuote la testa, però, lo guarda come se avesse appena detto una stupidaggine – Con te è così tranquillo – sussurra – e sorride, l’ho visto. Qui, invece, alle volte non parla per giorni – ha lo sguardo puntato verso la camera da letto, là dove dormono rannicchiati i mocciosi mentre col suo lungo, affusolato, bianchissimo dito gratta la superficie della tazza. Milo ne è estremamente affascinato e poi quella sua faccia! Milo passerebbe ore a sfiorargli gli zigomi pronunciati, la curva degli occhi, a baciargli le ciglia. È così serio, persino quando parla di Hyoga. Pare, da fuori, che niente possa scalfirlo.
- Non sono io – dice – È Shun. Credo, a ragione, che nessuno possa resistere a quel suo faccino. Riesce a fare cedere persino Toro – e a quel nome Camus solleva un sopracciglio perfettamente disegnato.
- Il proprietario del bar? – domanda, e Milo annuisce – Siamo amici da tanto
- È il suo vero nome?
Milo ridacchia e in quel momento s’accorge di una cosa, proprio mentre sta per rispondere. Camus arriccia il naso quando i conti non gli tornano. È un movimento impercettibile, involontario probabilmente, che gli forma un’adorabile fossetta proprio lì, sulla guancia sinistra. A Milo vien voglia di mangiarselo.
- Ha un nome tremendo. Trovargli un soprannome era d’obbligo – ridacchia e Camus solleva un angolo della sua bocca perfetta, lo rende felice per un lungo momento. Milo si spaventa enormemente quando, a metà conversazione, il suo cervello gli dice, chiaramente, che potrebbe farlo per molto, moltissimo tempo, anche per tutta la vita.
 
 
 
 
 
 






























Note: Ok, se siete arrivati fino a qui significa che questo primo capitolo non è poi così male. Grazie mille per averlo letto. Non pensavo di riuscire a reggere un'altra long, anche se mini. Il secondo capitolo è già pronto, in realtà. Era parte del primo, ma mi sembrava troppo lungo. 
Spero davvero sia stata una buona lettura. Ogni commento è bene accetto. Servono a migliorare dopotutto.

  
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