Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Amatus    18/02/2017    0 recensioni
C'era una volta e non c'è più una piccola repubblica stretta tra due fiumi. I suoi abitanti furono molte cose, sudditi, contadini, cittadini e briganti. Furono fortunati più di molti altri e si trovarono ad esser padroni di loro stessi in un tempo in cui solo i re lo erano. Questa storia non vuole raccontare cosa davvero accadde, per quello ci sono documenti e libri di storia, molti pochi, a dir la verità. Questa storia racconta attraverso molti occhi l'esperienza unica di un paesino di 300 anime. Racconta le possibilità, i sogni, le sconfitte. Racconta Cospaia.
[Questa storia partecipa alla Challenge Trasformazioni elementali indetta dal forum Torre di Carta]
Genere: Avventura, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lucina

La luce della sera confonde i mie vecchi occhi stanchi, non c'è modo che possa finire il lavoro oggi. Poso il filo e il ricamo lasciato a metà e mi alzo a fatica dalla poltrona ormai logora. Devo chiudere gli scuri e approntare il pasto serale, un giorno in più da mettermi alle spalle, una pratica da sbrigare in fretta.
Una sera come tante, come troppe, questa vita che mi si è attaccata alle ossa con tenacia, non porta con sé un solo briciolo di volontà o di speranza.
Il vento di levante è frizzante questa sera e porta alla mia finestra un profumo di vita lontana che mi cattura ancora.
Le mie vecchie ossa, i miei occhi stanchi, le membra doloranti, ma nulla riesce ad incatenare il mio pensiero neanche in questi ultimi miei giorni. Il mio pensiero è la mia maledizione, basta un soffio profumato di erba per accendere la mia immaginazione, per eccitare i miei sensi. In un attimo torno la ragazza irriverente e sfrontata che sono stata, torno ad avere il fuoco nelle vene. Poi il mancato accelerare del mio cuore mi ricorda che quelle vene sono ormai rigide, e non possono assecondare tanto entusiasmo. Quel fuoco mi ha consumato l'anima bruciandola fino in fondo e lasciando della bella e allegra Lucina, niente più che un ammasso di stracci e dolori.

Ma sono alla finestra ormai e i colori della sera mi catturano. “Signore vieni presto in mio aiuto”, le parole del vespro che imparai da bambina mi sorgono alle labbra. Molti direbbero che quelle parole sulla mia bocca sono bestemmia e forse avrebbero ragione. Si direbbe di me che io sia una peccatrice, ma contro chi ho peccato? Contro Dio o contro gli uomini? E questi uomini che mi accusano non hanno forse avuto l'ardire di sfidare il diritto divino come io ho fatto? Cosa ho fatto di diverso da loro? Ho osato stabilire il mio diritto su questa mia casa di zitella, come loro hanno fatto su questa terra. Ho avuto il coraggio di dire: “Questo è mio!” Ho sfuggito il giogo del padrone come loro hanno fatto, anche grazie al mio aiuto, tra l'altro. Credevo che una terra libera sarebbe stata libera per tutti, ma mi sbagliavo. Hanno ascoltato le mie parole quando queste parlavano in loro favore, quando loro erano servi e le mie parole parlavano di libertà. Quando questa libertà gli si è ritorta contro, quando loro hanno vestito le vesti dei padroni, le mie parole sono divenute eresia.
La donna è fatta per accompagnare l'uomo, dicono, per curarlo e accudirlo.
La donna è fatta per essere come l'uomo, dico io. Ma questo anche nella libera Cospaia produce il suono frastornante di catene infrante.
Ricordo quei giorni con lo stesso immutato fervore, ricordo le lunghe nottate trascorse nell'officina di Tancredi, lo scalpellino. Lui parlava di orizzonti che io non avevo mai visto o sperato di vedere. Ricordo l'impegno con cui cercai di comprendere ciò di cui parlava, imparai con grande affanno a leggere, finché quegli stessi orizzonti si spalancarono difronte a me, sterminati.
Il mio maestro diventò presto mio amico, non c'erano altri la cui conversazione suscitasse in me un piacere più autentico e vivo. Condividevamo per Cospaia i medesimi sogni, o questo credevo. Finché il mio mentore non decise di gettar da parte le idee in favore della brama di possesso e di fare di me sua moglie. Contro ogni logica, contro tutto ciò di cui per anni avevamo parlato, contro tutto ciò per cui ci eravamo battuti anche davanti ai nostri compatrioti. La libertà dell'individuo non contava più, la rigidità delle istituzioni umane che costringono lo spirito in gabbie che lo atrofizzano e lo abbrutiscono non erano più un male così grave. Nulla valeva quanto il suo desiderio di vedermi sua. Lo amavo? Non saprei dirlo. L'ho amato in qualche modo, ma non a prezzo della mia libertà. Voleva che divenissi sua proprietà, che mi trasformassi nella sua ombra, la sua sposa.
Fu colpa mia disse, ma l'unico crimine di cui mi macchia fu di essere irrimediabilmente felice, irrimediabilmente libera.
Una sera, dopo un'assemblea che ci aveva visti protagonisti e in qualche modo vittoriosi, insistetti per rimanere in piazzetta per un po'. Era inverno, il freddo era pungente ma l'emozione e la giovinezza mi mantenevano calda. Ero euforica, non sapevo che non sarei mai più stata altrettanto felice, la fiducia nel futuro in quel momento non conosceva confini. Avrei danzato attraverso la piazza e lungo la strada di casa, ma non vi era musica e il mio compagno era troppo posato. Mi feci un po' gioco di lui, risi, lo provocai e poi lo baciai e fuggii a casa augurandogli la buona notte. Non saprei dire perché lo feci, forse fu un gioco, forse ero ubriaca di speranza e possibilità, o forse davvero lo amavo in quel momento, o semplicemente ero giovane, incosciente e felice di esserlo. Ma l'indomani all'improvviso mi venne presentato il conto, la mia incoscienza venne pagata con una delusione cocente e la mia fiducia nel prossimo s'incrinò irrimediabilmente. Tancredi si presentò al mio uscio all'alba, mi disse che voleva sposarmi, che avremmo potuto farlo all'inizio della primavera e che saremmo dovuti scendere verso San Giustino e far celebrare la funzione dal cappellano del luogo, perché un matrimonio a Cospaia non avrebbe avuto valore. Nella sua proposta vi erano progetti ordinati e precisi, come del padrone entrato in possesso di un nuovo appezzamento di terra. Non si chiede alla terra se preferisce essere coltivata a grano o a maggese e così lui non chiese a me cosa mi aspettassi da quella sua proposta.
Rifuggii quei piani con tutta la forza di cui ero capace. Non volevo ferire il mio amico ma ne ero a mio volta mortalmente ferita. Mi allontanai da lui e il suo rancore mi trasformò in una donna perduta. Per tutti non fui altro che una donna facile, che aveva perduto la strada. Tutti credettero alla mia lascivia senza pormi una domanda, venni condannata senza subire giudizio.
Non avrei mai pensato di divenire ciò che sono stata, ma se una donna non ha il diritto di essere ciò che vuole ha il dovere di divenire ciò che può.
Venni espulsa dalla vita politica, le mie parole improvvisamente non importavano più, non contavano più. Venni ostracizzata come una criminale, il potere che avevo avuto era venuto meno, ero stata ricacciata indietro, una donna qualunque costretta davanti ad un focolare. Ma di tutto quello almeno sarei stata padrona, del focolare e di me stessa e non avrei ceduto il controllo a nessuno di ciò che ritenevo il mio dominio.
Non avevo mai fatto ciò di cui fui accusata al tempo, ma da quel momento in poi amai molti uomini, almeno con il mio corpo se non tutti con il mio spirito.
Ero padrona di entrambi ed ero l'unica a poter decidere come avvalermene. Questa casa divenne la mia reggia, gli uomini venivano qui con aria da padroni, ma uscivano sudditi dei loro istinti e del mio volere.

Intanto Cospaia non impiegò lungo tempo ad attirare ogni sorta di sbandati. È facile credere che essere senza padrone equivalga ad essere senza legge e questo ci trasformò presto, agli occhi di molti, in una terra promessa di libertà senza conseguenze. Gente la cui unica salvezza sta nell'avere un padrone, diviene dannosa se lasciata libera e trasformò Cospaia in un luogo pericoloso. Ogni giorno gettava la propria luce su nuove forme di violenza ma ora nessuno più invocava un signore, tutti indugiavano in quel senso distorto di libertà che li umiliava e li faceva al tempo stesso sentire potenti. Diventarono presto uomini persi, senza ambizione e senza desideri che non risultassero sordidi in un modo o nell'altro.
Potere, immunità, denaro, donne, vino, gli uomini semplici ricavano piacere da cose semplici. Trasformai quindi la mia casa in una casa dei tanti piaceri, era necessaria, pensai, per incanalare e franare gli istinti che si erano già sfogati in modi più oltraggiosi. Essere necessari, inoltre garantisce un certo potere.
Dopo anni da emarginata, di nuovo la mia voce reclamava ascolto. Se prima essere ammessi in casa mia era accompagnato da un misto di bisogno e vergogna, ora rimanere fuori sarebbe stato disonorevole, come essere lasciati a bocca asciutta mentre si è in fila per ricevere l'ostia santa la domenica di Pasqua. Ero di nuovo io ad avere il controllo, ero io a dispensare favori ed elargire consigli, ero io a poter essere prodiga o inflessibile. Dovetti passare dagli istinti più bassi dell'uomo affinché venisse finalmente riconosciuta la mia esistenza come essere libero e quindi di per sé prezioso.

Le ragazze che pian piano si raccolsero attorno a me, avevano una vita più sicura di molte contadine, insegnai loro a leggere i libri e ad osservare gli uomini. Insegnai loro qualche trucco per difendersi dai più pericolosi, insegnai loro a piegare il corpo e a mantenere saldo lo spirito.
Forse mi illudo, forse non fui altro che l'ennesima donna perduta, che spinge altre sue simili sulla medesima strada, ma non permisi mai a nessuno di essere padrone di me, della mia casa, della mia anima e posso forse affermare lo stesso per la maggior parte delle mie ragazze.
Ho peccato io che ho usato il mio corpo per mantenermi libera? E coloro che lo hanno usato per sfogare piaceri animali? Perché il mio peccato dovrebbe essere stato peggiore del loro? Non ho mai ucciso o ferito nessuno, non ho mai tentato di mettere in catene un altro essere umano, non ho mai tradito i miei ideali, ho continuato a cercare conoscenza e perdono.

Ora in questa casa, che ho mantenuto grazie al mio lavoro, posso aspettare la fine, senza troppi rimpianti. I muscoli flaccidi, i tendini e le ossa dolenti, ma il cuore leggero. Perché il mio crimine più grave agli occhi degli uomini è quello di essere una donna, una donna che non hanno saputo imbrigliare. Ma questo a parer mio non è un peccato agli occhi di nostro signore. Ho peccato molto, ma il signore ha misericordia: “Molto le è perdonato perché ha molto amato1”.

O Dio vieni presto a salvarmi
Signore vieni presto in mio aiuto2.



Prompt: Controllo



1: Vangelo di Luca capitolo 7
2: Invocazione di apertura e chiusura dei vespri serali. I Vespri assieme alle Lodi mattutine sono i momenti principali nella liturgia cattolica delle ore. La liturgia delle ore scandiva materialmente il tempo nelle comunità monastiche e nelle piccole comunità rurali.


Quarto capitolo della storia, il balzo avanti dovrebbe essere più o meno di 40 anni, ci troviamo quindi più o meno attorno al 1480/90, la scoperta delle Americhe è vicina e inaspettatamente questa scoperta cambierà tutto per la piccola repubblica di Cospaia. Con questo racconto chiudo quello che immagino essere il primo ciclo di storie riguardanti tutti la nascita della repubblica, il primo di 4. Spero possa continuare a piacere e interessare, scrivere di questa repubblica mi diverte sempre di più quindi spero di riuscire a trasmettere un poco del mio entusiasmo.

Ricordo ancora che questa storia partecipa alla Challenge delle Trasformazioni Elementali indetta dal forum La Torre di Carta. 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Amatus