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Autore: Kitsunelulu    19/02/2017    0 recensioni
Orlando ama l'arte, le piante, il sole, i dolci. Marco odia tutto, per primo se stesso.
C'è qualcosa nel loro passato, tuttavia, che li accomuna.
Storia di due rette parallele che si incontrano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono passati nove minuti esatti dal momento in cui ho messo piede di fronte al bar dove lavora Orlando. In questa attesa che mi sembra eterna ho modo di notare dei dettagli ai quali finora non ho mai prestato particolare attenzione. E’ come se d’improvviso essi prendano ad essere più evidenti, amplificati dalla mancanza di stimoli più interessanti. Ad esempio ho per la prima volta modo di scoprire come si chiama questo posto in cui sono finito per caso due mesi e mezzo fa. L’insegna bianca a scritte color cioccolato reca il nome Caffè Passione. Che nome stupido. Dall’altro lato della strada, esattamente di fronte, vi è una serranda completamente blu. Nelle piccole aiuole ai lati della porta ci sono dei fiorellini color panna. La strada è poco trafficata e qualche centinaia di metri più avanti c’è un semaforo spento, la cui luce gialla lampeggia riflettendosi sull’asfalto bagnato. Da quanti giorni consecutivi piove? Ho perso il conto. Meno di una settimana, ma più di tre giorni. Complessivamente la cifra di giorni consecutivi di pioggia si aggira tra quattro e sei. Non posso averne la certezza perché alcuni giorni li ho passati in casa senza il minimo contatto, neanche visivo, con l’esterno. Una sorta di ritiro eremitico necessario ad accumulare coraggio. Finalmente la porta di vetro si apre e ne viene fuori Orlando, dall’aria stanca. Rimango ad osservarlo per un po’ prima che si accorga della mia presenza. Solo in questi momenti di intimità rubata si riescono a cogliere alcuni atteggiamenti rarissimi delle persone. Anche questi sono piccoli dettagli, che nel complesso però rendono una persona unica. La parte negativa è che si manifestano solo quando la persona crede di non essere osservata, quando è sola con se stessa. In quei momenti, Orlando, ha un volto cupo. Generalmente di fronte a me sorride molto, è energico e cerca di mantenere un atteggiamento positivo. Adesso però sono a conoscenza di ciò che quel sorriso tenta invano di nascondere. Efficace come un coniglio nano posto a guardia di un castello gotico. La sincerità con cui questo ragazzo è riuscito a raccontarmi tutto il suo passato dopo due mesi e mezzo di conoscenza mi ha spiazzato. E’ stato un enzima che ha inevitabilmente accelerato il processo di avvicinamento tra noi. Non so nemmeno più se si possa parlare di semplice amicizia. Non di amore, credo. Orlando è omosessuale, ma io no. Provo per lui una forte ammirazione, desidero di saper reagire come lui. In un certo senso ne sono attratto, ma io stesso non sono in grado di decifrare esattamente questo tipo di attrazione. Il problema è che non sono mai stato davvero innamorato. Provo attrazione sessuale per le ragazze, e questo è un dato di fatto. Ma non ho mai provato attrazione emotiva. Non so cosa voglia dire, perciò non saprei riconoscere l’innamoramento nemmeno se mi capitasse in prima persona. Ma, comunque, mi sto perdendo in pensieri inutili. Di certo non sarà un ragazzo a insegnarmelo.
Finalmente Orlando si accorge della mia presenza. Il suo sorriso istantaneo che nasce alla vista di me mi sveglia dal flusso di pensiero. Mi viene incontro verso l’angolo di marciapiede in cui attendo.
“Ehi, a cosa devo questa visita improvvisa? E’ un po’ che non ti fai sentire.”
“Ti sembrerà strano detto così all’improvviso, ma sentivo l’esigenza di vederti.”
“E come mai? Per caso ti senti più tranquillo?”
“Si, ho deciso che mi farò coraggio e ti racconterò del perché mi sia ridotto in questo stato.”
“Ma non è necessario che tu lo faccia. Davvero, è raro che una persona sia più brava ad ascoltare che a parlare. Sei un ottimo amico, non devi preoccuparti di raccontare cose che potrebbero farti soffrire.”
“No, il fatto stesso di non raccontartelo mi fa star male. Tu ti sei aperto a me dandomi piena fiducia. E’ un atteggiamento che ti invidio, credimi, ti invidio profondamente. Vorrei essere come te, è questa la verità. Ed è per questo che ho deciso di smetterla con i limiti che mi sono imposto da solo finora.”
“Se davvero è un’esigenza che parte da te stesso, e non lo stai facendo solo per me, allora sono felice di ascoltarti. Che ne dici di andare a cena da qualche parte?”
“No, non ho appetito, preferisco rimanere a casa.”
“Allora andiamo a casa mia.”
Impieghiamo un quarto d’ora ad arrivare all’appartamento di Orlando. C’è un velo d’impazienza che incombe sulle parole che sto per pronunciare. E’ come se fossero state trattenute per troppo tempo ed ora, prossime a venir fuori, si accalchino all’uscita. Mi accomodo sul solito divano.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Si, grazie.”
“Alcolico o non alcolico?”
“Alcolico.”
L’altro mi raggiunge con una bottiglia di whisky e due bicchieri con ghiaccio.
“Senti, ho bisogno di farti una premessa per ciò che sto per raccontarti.”
“Ti ascolto, prego.”
“Prima di tutto,” tiro giù in un grande sorso il contenuto del bicchiere, “ti chiedo scusa per il mio carattere così lunatico. Forse avrai modo di capire cosa mi ha reso tale. Comunque, non te ne ho parlato finora solo perché non me ne sentivo in grado. Intendo, è come se ci fosse stato un blocco fisico ad impedire la vibrazione delle corde vocali ogni qual volta il mio cervello formulasse pensieri sull’anno precedente agli ultimi tre. Ho avuto pensieri suicidi all’inizio. Tutt’ora ci sono periodi in cui fatico ad uscire di casa. Credo sia una forma di depressione ma non voglio averne la certezza clinica. Forse il dubbio mi aiuta a far finta che le cose vadano bene così nella mia testa. Potresti versarmi un altro po’ di whisky?”
“Certo, ma tu non sei uno che regge molto, quindi vacci piano.”
“Riprendo il discorso. Tu, se ti interessa saperlo, sei il primo a cui racconto questi fatti. Non che io abbia avuto particolari amicizie finora, ma anche alle mie poche conoscenze non mi è mai venuto in mente di accennarlo. Eppure c’è questa mia amica da tre anni, Irene, che mi ha chiesto così tante volte di me, da dove venissi, perché fossi sempre triste e pessimista. Le ho raccontato un mare di bugie e non mi sono mai sentito in colpa. E’ un meccanismo di autodifesa. Poi arrivi tu. E tutto va a puttane.”
“Beh, ti chiedo scusa.”
“No, in senso buono, dico. Con la tua sincerità sfrontata hai sbloccato qualcosa in me. Non riuscirei mai a raccontarti le stesse bugie che racconto sempre a Irene, perché mi sentirei in colpa. Però allo stesso tempo mi sento in colpa a stare bene con te, come se da quel giorno di tre anni fa mi fosse vietato di tornare ad essere felice. Ovviamente non sei tu il problema. Prima o poi avrei trovato qualcuno che mi facesse star bene, ho trovato te. Ed il senso di colpa ha trovato me. Però sai cosa c’è di diverso oggi? Voglio prendere tutto il coraggio che ho e piangere davanti a te, non più da solo. Voglio raccontarti ciò che di solito non ho il coraggio nemmeno di pensare. Voglio aprire di mia spontanea volontà quel cassetto della memoria che di solito faccio di tutto per tenere sigillato. Voglio farlo perché sento che se ci sei tu al mio fianco non sarò da solo a dover affrontare la bestia che ne verrà fuori. Perché tu sai cosa significa. Dal primo momento in cui ti ho visto, l’ho saputo. Ho notato qualcosa di familiare nei tuoi occhi. Pensavo che fossero uguali ai miei, invece sono uguali a quelli di mia sorella. E per questo mi affido a te e ti racconto tutto.”
   
 
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