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Autore: MaxB    19/02/2017    2 recensioni
In barba al mio terrore delle scadenze, quest'anno partecipo anche io alla Gajevy Week, e non solo da lettrice!
Spero che il mio piccolo contributo possa piacervi e riempirvi le vene di fluff^^
31/01: Bonus day - Dojo Au
14/02: 1 - Matching
15/02: 2 - Longing
16/02: 3 - Pillow Talk
19/02: 6 - Grief
26/02: 7 - Living Together
17/10/2018: 5 - Trouble Twins
Prompt dei prompt: il letto ;)
Enjoy the Week♥
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Pantherlily
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Grief

 
Gajeel si svegliò con la soffocante sensazione di essere sul punto di annegare nei suoi stessi sogni.
Appiccicoso, affannato, con quello sguardo rosso spiritato e inquieto e i capelli spettinati, probabilmente avrebbe spaventato anche i suoi figli.
Un brivido lo percorse dalla base della nuca per tutta la lunghezza della colonna vertebrale esposta all’aria, e gli fece prendere un lungo respiro.
Levy dormiva accanto a lui, i capelli sparsi sul cuscino e le manine unite sotto il suo viso, con le braccia che le coprivano il seno e le gambe piegate sotto il pancione, come a sostenere anche nel sonno la vita che portava dentro e che di giorno la faceva lamentare per la sua pesantezza. Il suo corpo, era evidente, sentiva la mancanza di Gajeel, che nel suo sonno inquieto si era allontanato da lei e aveva finito per non scaldarla.
Dalla finestra socchiusa entrava una brezza autunnale che avrebbe fatto venire la pelle d’oca persino a Natsu, e il ragazzo si maledisse per la sua poca accortezza.
Quando si alzò per andare a chiuderla, però, la luna piena rischiarò i suoi torbidi pensieri e gli fece comprendere che non sarebbe potuto tornare a letto, sotto il lenzuolo leggero, a contatto con la pelle di sua moglie. Non quella notte.
Gajeel prese un paio di pantaloni da casa e li infilò al volo, afferrando una canottiera mentre usciva dalla stanza. Scese al piano di sotto e aprì la portafinestra che dal salotto dava sul giardino posteriore di casa sua, dove i giochi dei bambini fungevano da allarme contro eventuali ladri. Non esisteva alcun sistema di sicurezza efficace quanto una paletta conficcata nel piede o una pallina perfetta per inciampare.
Gajeel si allontanò nella notte senza guardarsi indietro, a piedi scalzi, scavalcò la recinzione che separava la sua proprietà dal resto del mondo e si inerpicò sulla collina per la quale aveva scelto di comprare casa lì. Una bellissima collinetta verde sulla cui sommità stava appollaiato un maestoso albero dal tronco nodoso e le foglie larghe, che regalava un perfetto riparo dal sole in estate. Ci portava spesso Levy e i gemelli per fare un pic-nic, visto che era letteralmente attaccato a casa, oppure vi si recava quando si allenava con Lily o quando il mondo gli presentava dei misteri troppo complicati per risolverli subito, per cui c’era bisogno dell’intervento di ogni singolo neurone che abitava il suo cervello. Era lì che aveva rivelato a Levy, anni prima, che si sarebbe trasferito. Si sarebbe trasferito là, con lei. Ed era sempre lì che le si era dichiarato.
Levy gli aveva detto fin troppe volte il nome scientifico di quell’albero, ma lui continuava a scordarselo, e in quel momento la cosa gli fece male.
Un’altra cosa in cui non sarebbe mai stato all’altezza di Levy. Una delle tante.
Gajeel sospirò e, ormai giunto in cima alla collina, si lasciò a cadere a terra senza riguardi per il suo fondoschiena, appoggiandosi all’albero con il fianco. Rimase lì, in silenzio, a scacciare il buio che aveva nel cuore sperando che potesse disperdersi nell’aria e tingere di nero quella bella notte, rischiarata da una luna gigantesca.
Un pensiero scattante e veloce quanto il guizzo di un pesce gli fece notare che gli sarebbe piaciuto molto fare l’amore con Levy sotto un cielo così stellato e limpido. Sua moglie lo avrebbe certamente adorato, e lui avrebbe potuto godersi la cristallinità di quel paesaggio e il calore che solo il corpo della sua amata consorte poteva offrirgli.
Calore che forse, però, in quel momento, nemmeno lei poteva dargli.
Irrazionalmente, Gajeel alzò una mano e l’appoggiò al tronco, e subito delle immagini vivide e impresse a fuoco nella sua mente lo fecero ritrarre di scatto. Chiuse gli occhi nel tentativo di scacciarle, ma quelle, nel buio che la sua mente gli offriva come lo schermo di un cinema, le visse ancora più realisticamente.
Levy appesa all’albero, crocifissa, con gli indumenti stracciati e il volto stravolto dal dolore, finché non era arrivata la pace dell’incoscienza a salvarla. Poteva sentire nell’aria l’odore della sua paura, della sua rassegnazione e della sua rabbia.
Rabbia nei confronti di se stessa, per non essere stata in grado di difendersi e di proteggere chi amava.
Quel sogno, quel ricordo, tornava ciclicamente a bussare nell’anticamera del subconscio di Gajeel, divertendosi a vederlo agonizzare. Forse era quello il prezzo da pagare per la vita idilliaca che stava vivendo nel presente. Forse era il prezzo da scontare per tutti i suoi errori.
Aveva Lily con sé, era sposato con Levy, la sua ragione di vita, colei che lo aveva reso umano, marito e padre di due gemelli meravigliosi, e stava per renderlo padre una terza volta.
Aveva una famiglia che lo amava come se fosse la persona più buona del mondo e non un ex criminale.
Aveva una gilda che gli aveva perdonato la distruzione che aveva causato e lo aveva accolto a braccia aperte, inglobandolo in quella strana famiglia.
E lui cos’aveva fatto per meritarlo? Aveva distrutto la gilda e la sicurezza di una tenera diciassettenne che, prima di vedersela con lui, aveva speranze e fiducia in se stessa.
Lui aveva demolito tutto, calpestato la personalità di sua moglie fino a farla tremare di paura al solo vederlo. L’aveva fatta sentire una nullità, disgregando le sue certezze e la sua capacità di fronteggiare il mondo da sola.
L’aveva quasi spezzata.
E lei? Lei aveva visto oltre, aveva visto qualcosa, aveva capito, e si era innamorata di lui. Di tutto. Passato, presente e futuro. Si era innamorata al punto da volerlo salvare, da voler diventare forte per essere all’altezza di lui, per potergli stare attorno senza disturbarlo o costringerlo a considerarla un peso. Aveva riacquistato fiducia in sé solo per lui, per farsi notare, per essere degna di lui.
Gli sfuggì un rantolo quando il sogno gli ricordò, di nuovo, che era colpa sua se Levy aveva dovuto fare tutti quei cambiamenti, ricominciare da zero per costruire la sua autostima sbriciolata in modo da potersi avvicinare a lui ed essere forte.
Perché era lui che l’aveva fatta sentire debole.
Il suo stomaco gli balzò in gola e tornò al suo posto capovolgendosi quando Gajeel, come spesso accadeva, si rese conto che non meritava tutto quello. Non meritava nulla.
E così come aveva avuto quella piccola porzione di paradiso, avrebbe potuto perderla. Del resto, cos’aveva fatto per meritarla?
Pochi minuti dopo sentì una mano calda e pelosa sulla spalla, e gli salì un conato di vomito fin quasi alla bocca.
Lily si sedette pesantemente senza aprire bocca, sovrastandolo con la sua figura umanoide.
Stette zitto, stringendo di tanto in tanto la presa sulla sua spalla, un modo per dirgli: “Calma, sono qui.”
Oppure: “Non azzardarti a scappare, codardo”.
- Pensavo che la crisi di inadeguatezza ti sarebbe venuta solo con il primo figlio. I gemelli, cioè. Non sei un po’ in ritardo ad avere il terrore di questa responsabilità con il terzo bambino? – chiese Lily dopo un po’, conscio del fatto che il problema non fosse quello, ma deciso a farlo parlare in un modo o nell’altro.
Gajeel sorrise amaramente. – Ho sognato che li appendevo a quest’albero – rivelò tranquillamente, senza giri di parole. Con Lily non servivano.
Il suo compagno osservò la luna in silenzio, allungando le braccia dietro di sé per sostenere il suo peso mentre attendeva che Gajeel continuasse.
- Levy, Yajeh, Shutora e… il nuovo arrivato. Erano tutti appesi all’albero, insanguinati e con i corpi tumefatti. Mi gridavano che era colpa mia e che ero un mostro, che avevo rovinato loro la vita e mi odiavano. Mi urlavano il loro rancore finché morivano.
Lily annuì gravemente, facendogli capire che aveva compreso il suo tormento. Per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo dalla luna.
- Sai, ogni tanto anche io sogno la notte in cui ho salvato Mystogan. Sono varianti diverse dello stesso sogno. A volte il bambino muore tra le mie braccia, altre volte vengo ucciso per il mio tradimento, altre volte tutto ciò che faccio è inutile. In ogni sogno, comunque, gli occhi della regina Shagotte sono lì, mi fissano impassibili, e io non capisco cosa voglia comunicarmi. Mi fanno sentire uno stupido qualsiasi cosa io faccia, specialmente quando si abbassano, incapaci di osservare un reietto come me.
Fu il turno di Gajeel di stare in silenzio ad ascoltare il suo compagno. Le volte in cui Lily si era aperto a lui erano ancora più rare delle volte in cui l’aveva fatto lui.
- Alla fine mi sono reso conto che, sì, sono stato un traditore della mia razza, ho voltato le spalle ad una regina che amavo e per cui mi sarei immolato, tutto per salvare un bambino innocente. Ma ho tradito un valore in cui non credevo, e lo rifarei. Tu rifaresti ciò che hai fatto a Levy e alla gilda?
- No, ovviamente no. Assolutamente no. Se solo potessi tornare indietro…
- Ma non puoi – lo bloccò Lily, scrollandogli la spalla. – Non puoi, e angosciarsi non farà certo cambiare il passato. Renderà solo invivibile il presente e amaro il futuro. Tu hai tradito te stesso, Gajeel, solo te stesso. Ma non lo rifaresti per nulla al mondo, ed è questo quello che conta.
Il ragazzo sentì gli occhi inumidirsi per quelle parole e osservando il cielo ringraziò quelle buone stelle che gli avevano permesso di trovare un compagno di vita come Lily. Un’altra delle sue fortune.
- Ho paura di cadere di nuovo, Lily. E ho paura che un giorno tutto ciò che ho, Levy, te, i miei figli, mi verrà tolto così come mi è immeritatamente stato dato.
Lily sbuffò una risatina, anche se non era divertito. – Dubito che io e Levy ci leveremmo dai piedi così facilmente. Troveremmo il modo per tornare a infastidirti. E abbiamo la pellaccia dura, è impossibile che qualcosa ci separi. Non c’è riuscita la morte, ti ricordo – alluse, riferendosi allo scontro di tanti anni prima con lo spriggan che l’aveva quasi sconfitto definitivamente. – Tutto ciò che hai ora te lo sei guadagnato, Gajeel. Non è immeritato. È la prova del tuo impegno nel cercare di rimediare agli errori che hai commesso e del tuo successo nel farlo.
L’uomo annuì, anche se non del tutto convinto, e poi rabbrividì nella fredda aria notturna. Il terrore che quell’incubo gli aveva fatto scorrere nelle vene, scaldandolo come lava, si era raffreddato, e ora Gajeel si sentiva solo vuoto. Sentiva solo vuoto e dolore.
Fu Lily a ordinargli cosa fare, togliendogli la mano dalla spalla, alzandosi. – Mi ha svegliato Levy, sai? È venuta da me che stava quasi avendo un attacco di panico, mi ha scosso e ha farfugliato parole incomprensibili finché non l’ho abbracciata per calmarla. Il che è stato difficile, visto quanto è grossa. Dovresti smetterla di farle prendere trenta chili a figlio, Gajeel, quando il suo corpo è così minuscolo.
Gajeel incurvò leggermente un angolo della bocca in un piccolo sorriso, ma decisamente non era divertito. Levy aveva la schiena a pezzi e le caviglie così gonfie da sembrare un tutt’uno con i polpacci, e tecnicamente era colpa sua. Le stava causando ancora dolore.
- Comunque è riuscita a spiegarmi che non c’eri da nessuna parte e che aveva paura, paura che ti fosse successo qualcosa o te ne fossi andato. Era pallida come un cadavere, Gajeel. Poi ti ha visto. Si è affacciata alla finestra di camera vostra, con il chiaro intento di lasciarsi andare alle lacrime perché è incinta e ne ha tutto il diritto, e ti ha visto sulla collina. Ti dico solo che le sue imprecazioni mi hanno fatto rizzare i peli ovunque.
Questa volta Gajeel sogghignò leggermente, facendo ridere anche il suo compagno. – E poi?
- Poi mi ha ordinato di venere a pigliarti a calci per lei, visto che, testuali parole, si sente come una vacca obesa in attesa di partorire quattro vitellini e si vedeva ansimare di fatica già alla base della collina. Ergo, sarebbe volentieri venuta a farti nero, ma per colpa della tua grande capacità riproduttiva è impedita quanto un pinguino.
- Dovrei tornare da lei, vero?
- Penso che ci stia ancora fissando dalla finestra. E, no… - lo bloccò Lily, evitando che si girasse per verificare da dove Levy li stesse osservando. – Non ti conviene girarti se non vuoi essere incenerito dal suo sguardo.
Gajeel rise e si alzò. – Allora vado a subire la sua furia a letto, almeno la faccio sfogare.
- Dubito che otterrai qualcosa da lei, in questo momento – sospirò Lily, divertito.
- Mi basta il suo perdono – mormorò Gajeel, prima di avviarsi verso casa, con l’amico alle spalle.
 
Lily gli diede la buonanotte nel corridoio, e gli fece un cenno d’incoraggiamento. Poi controllò la camera di Yajeh e quella di Shutora e si ritirò in camera sua con un sorriso.
Gajeel sorrise a sua volta ed entrò in stanza sereno, trovando Levy sdraiata a letto.
Era sveglia, ma gli dava le spalle e si accarezzava la pancia con aria assorta.
Gajeel girò a sinistra per andare in bagno a lavarsi i piedi sporchi di terra.
Poi salì carponi sul letto, avvicinandosi alla moglie, e allungò una mano per toccarle il piede. Le accarezzò lentamente tutta la gamba nuda, fino ad arrivare al fianco coperto dall’ampia camicia da notte, e continuò la sua risalita sulla vita e il braccio. Indugiò sul collo e le scostò i capelli dal viso, baciandole teneramente la mascella. Risalì con le labbra sulla guancia e arrivò fino all’angolo della sua bocca.
Fu lì che la mano di Levy lo interruppe, bloccandogli le labbra.
- Hai avuto un incubo, un altro, e non me l’hai detto. Ancora. Hai preferito scappare e lasciarmi sola – lo accusò, lapidaria.
- Cosa intendi con “un altro”? – mormorò lui, respirando sulla sua spalla.
- Pensi che non ti senta, tutte le volte che ti svegli ansimando nel cuore nella notte? Pensi che non sappia che resti sveglio per il resto della notte quando accade, che ti rigiri nel letto senza trovare pace e non mi tocchi più nemmeno la mattina, fin quando non ti vengo io vicino? Pensi che non sappia che ultimamente non provi nemmeno più a sdraiarti per dormire, che resti fermo con la testa tra le mani e il respiro tremante?
Gajeel non fiatò, strinse solo gli occhi e si allontanò da lei per sdraiarsi.
Levy si girò goffamente verso di lui, intenerendolo mentre cercava di manovrare quell’enorme bagaglio che era il suo ventre. Lui non disse una parola quando lo inchiodò al materasso con lo sguardo, arresa più che adirata.
- Ho aspettato, notte dopo notte, che tu mi dicessi qualcosa. Che magari mi svegliassi per parlarmi, o anche solo per, non so, distrarti facendo l’amore. Chiedermi di aiutarti, darmi la possibilità di farlo. Ma niente. Nemmeno una parola. E questa sera sei letteralmente fuggito.
- Non sono fuggito da te – puntualizzò lui, sperando di giustificarsi.
- Sei fuggito da te stesso, e tu mi appartieni, Gajeel. Me l’hai promesso quando mi hai sposata.
Ancora, lui tacque. Aveva imparato a tacere, con gli anni, quando aveva capito che cercare di spuntarla con sua moglie era impossibile. Le sue giustificazioni cadevano come pezzi di carta straccia quando lei lo scrutava con un sopracciglio inarcato, e le sue convincenti arringhe diventavano balbettii confusi e inorganici. Quindi stava zitto.
- Gajeel, ti ho sposato nel bene e nel male. Non può esserci solo il bene, in una coppia, in una vita. Perché non vuoi condividere con me il tuo male?
Lui scosse la testa, incapace di guardarla. – Ti ho già causato abbastanza dolore.
Levy gli prese la mano e se la posò sul ventre, dove dormiva il loro terzo figlio. – Penso che la gioia che tu mi hai arrecato, in migliaia di modi diversi, superi di gran lunga la pena, non credi?
- Ne sei certa? – chiese lui, quasi come un bambino che chiede una conferma all’unica persona al mondo in grado di consolarlo. Una mamma.
- Non sarei qui se non lo fossi – chiarì lei, baciandolo dolcemente. – Non ti va di parlare dei sogni, vero?
Levy lesse la risposta nei suoi occhi, ma non mollò. – Posso almeno chiederti alcune cose al riguardo?
Lui sospirò, si stropicciò il viso e scosse le spalle con noncuranza, dandole il via libera.
- Riguardano me i tuoi incubi?
Gajeel esitò, cercando di elaborare una risposta coerente.
- Ti mangio nei tuoi incubi? Per questo hai paura, perché ti mangio?
Girandosi verso di lei, allarmato, Gajeel vide l’ironia dipinta nei suoi occhi, e ghignò. – Sei un mostro cattivo, lo ammetto.
Levy ridacchiò leggermente prima di tornare seria. – Non posso cancellare il passato. Non posso e… non voglio. Non lo voglio cancellare. Il mio passato fa parte di me, fa parte di noi. E se l’essere crocifissa ad un albero è il prezzo da pagare per avere la vita che ho ora, Gajeel… be’, allora sono contenta che sia successo.
Incapace di afferrare quelle parole così schiette, il ragazzo non trovò tracce d’ombra nei suoi occhi sinceri.
- So che tu ti biasimi ancora per ciò che è successo, ma non devi. Te lo dico io, che ho tutto il diritto di provare dolore per ciò che è successo. Ma sai cosa penso quando ricordo ciò che mi hai fatto?
Gajeel scosse la testa.
- Non penso al gesto che hai compiuto, al dolore che ho provato dentro e fuori. Penso alle buone azioni che hai fatto in seguito, le paragono a quel gesto disumano e mi rendo conto che ciò che hai deciso di fare in seguito vale mille volte più di quella singola vicenda, Gajeel. Mi scalda il cuore vedere come sei cambiato, quante volte hai fatto ammenda per i tuoi errori, e non vedo l’ora di raccontare ai nostri figli il modo insolito in cui ci siamo conosciuti, quando lo chiederanno.
Gajeel prese un respiro corto e strozzato e strinse gli occhi per cacciare la morsa che gli attanagliava la gola e gliela raschiava come un pezzo di vetro.
Si permise di piangere solo quando Levy lo abbracciò, con qualche difficoltà tecnica, e gli sussurrò: - Non vedo l’ora che i nostri figli capiscano quanto è valoroso il loro padre, in modo che ne siano orgogliosi quanto lo sono io. E Lily.
Quella notte, stretto tra le braccia di quella moglie che gli aveva dato una vera vita, in tutti i sensi, Gajeel singhiozzò come un bambino come mai aveva fatto e come non fece mai, mai più. Lei pianse con lui e la mattina li colse abbracciati in modo indissolubile, avviluppati insieme in quell’avventura che era la loro esistenza insieme per il resto dei loro giorni.
Quella notte, finalmente, Gajeel perdonò se stesso, ringraziò per ciò che aveva e rinacque di nuovo, come uomo, marito e padre.
Quella notte capì che quello che aveva non era affatto immeritato. Era tutto guadagnato.
E il dolore a cui aveva detto finalmente addio era la moneta con cui aveva scambiato quel piccolo pezzo di paradiso.

 

MaxB
Ma buonaseraaa e benvenuti nel mio angolinooo...
Che concluderò in fretta.
Devo ancora iniziare Living Together AHAHAHAHAH e dire che devo darmi una mossa. Pensa che sarà una schifezzuola ma sinceramente sono pochissimi i capitoli di questa raccolta che mi piacciono.
I riferimenti alla ShaLily sono tutti per la mia grande amica *** (che non devo nominare). Ahahahaha penso che la farò arrabbiare ma un pochino mi diverto ad irritarla. Con affetto, cara^^
So che questo argomento del senso di colpa è trito e ritrito e smaciullato e calpestato, ma io non l'avevo mai affrontato in modo approfondito (e non è affrontato in modo approfondito nemmeno nel cap, perché alla fine è un po' superficiale,.. era solo una comunicazione di sensazioni, spero).
Grazie per essere passati di qua!
MaxB
  
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